nov182013
L’Associazione Culturale Galatina Project di Galatina, promuove annualmente il Premio Zucca per dare un riconoscimento a personalità che si sono particolarmente distinte nella promozione e nella valorizzazione del territorio salentino. Tra i premiati delle scorse edizioni:
il senatore Ugo Lisi- la senatrice Maria Rosaria Manieri- Giampiero Sabella ,campione mondiale di sleddog- il dott. Marcello Costantini, cardiologo- la casa editrice Chiriatti- l’editrice Salentina- Marcello Tarricone, direttore responsabile dell’Almanacco Salentino e direttore editoriale di “quiSALENTO-Angelo De Padova-Frate Minore Francescano
Quest’anno per celebrare il decimo anniversario del Premio Zucca, si è deciso di premiare la zucca con un contest culinario di piatti a base di zucca. I premi asaranno assegnati da una giuria appositamente costituita a:
L’ ORIGINALITA’ NELL’ ELABORAZIONE DEL PIATTO
L’ ARMONIA DEGLI INGREDIENTI
L’ ESTETICA DEL PIATTO
La manifestazione si concluderà con il Convegno a più voci – Un dibattito su:
La zucca nell’alimentazione- dott. Giuseppe Botrugno
La zucca nell’arte- prof.ssa Domenica Specchia
La zucca nella favola- prof.ssa Marinella Olivieri
La prof.ssa Giulia Palamà leggerà una sua poesia: La zucca
Moderatore: dott. Antonio Liguori- Gazzetta del Mezzogiorno
Seguirà buffet e premiazione dei vincitori del contest culinario- A tutti i partecipanti sarà rilasciato un attestato
L’evento avrà luogo presso Il Covo della Taranta- C.so Garibaldi 13 a Galatina
Il contest culinario inizia alle ore 17:00
Il convegno inizia alle ore 19: 00
Il buffet inizia alle ore 20:30
dic252013
Sono nato nel 1935 e perciò ora ho 78 anni. Sono entrato in seminario quando avevo appena 11 anni, nel 1946. La data delle fine della terribile seconda guerra mondiale la conoscete tutti: 1945. Perciò gli anni migliori della mia infanzia, dal 1940 al 1945, quando io avevo da 5 a 10 anni, li ho trascorsi sotto l’incubo delle brutte notizie, che, anche senza radio e senza televisione, arrivavano lo stesso anche a Noha.
Di quegli anni non ho ricordi particolari che riguardino il Natale o la “Befana”.
Ricordo solo il bombardamento al campo di aviazione di Galatina del luglio 1943,
ricordo le lampadine dell’illuminazione pubblica che erano di colore blu scuro, perché di notte non bisognava dare troppo all’occhio del nemico,
ricordo la tessera per comprare il sale, il pane o l’olio, se non si voleva rischiare di comprare a contrabbando,
ricordo che mio papà non c’era, perché partito per difendere la patria,
ricordo la benedizione dei giovani soldati messi sotto la protezione di S. Michele, prima di partire per la guerra da cui forse non sarebbero più tornati,
ricordo la notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943 che la gente, piangendo per la commozione, accolse come una grazia ricevuta dalla Madonna, perché quando a Noha arrivò la notizia si stava concludendo la processione della Madonna delle Grazie.
Ricordo tutto questo, ma i presepi viventi, i negozi e i giocattoli, le recite natalizie … no !
Si andava in chiesa, certo, e più di adesso: in quel tempo la Messa era rigorosamente di mattino, non esisteva la Messa vespertina o pomeridiana, e chi voleva fare la comunione doveva stare a digiuno a partire dalla mezzanotte, a digiuno di tutto, anche dell’acqua. Sì, in chiesa c’era il presepio, ma non la Messa di mezzanotte.
La Befana era attesa e si appendeva la calza alla spalliera del letto, ma arrivava per i bambini buoni, che erano i figli dei ricchi. Per noi poveri, se andava bene, poteva portare un’arancia, due confetti (i candallini), qualche caramella e fave rrustute. Le nostre mamme e le nonne soprattutto ci insegnavano la via del bene, e Natale doveva essere la festa della bontà, anche se per noi bambini il momento più atteso era quello di gustare le ricette natalizie delle nostre nonne: carteddhrate, porceddhruzzi e le pittule.
Vi ripropongo ancora una volta la lettura di una poesia sul Natale in dialetto: sicuramente è posteriore ai tempi della mia infanzia, ma fa sempre riflettere.
Non scoraggiamo il Signore che vuole ancora venire nella nostra vita e diamoGli spazio.
Ha detto Papa Francesco di non mettere sulla porta della nostra anima il cartello “non disturbare”, perché se viene Gesù viene solo per il meglio, non viene mai per disturbare.
lu bambinu s’ave stizzatu,
e a Sirasa l’ave dittu chiaru e tundu
nu’ bbole quai ccu scinda,
ca le dhroghe, li sequesthri e le vendette
suntu cose ca li fannu tantu orrore.
E iddhru ca canusce sulu amore
mmienzu a stu mare de dolore.
ca ede bbonu e ni perduna,
l’ave dittu senza tante discussioni:
“Nu fare lu scemu, Fijiu miu,
ca se faci lu tostu e lu puntusu,
dhri picchi picchi de cristiani ca su’ rimasti
prestu prestu ni torcianu lu musu
e a postu de amore e de bontà
semanamu puru a nui malvagità.
lug102011
Bianca come il latte, rossa come il sangue, Alessandro D’Avenia, Mondadori, 2010, pp. 254, € 19,00
Tempo di lettura: 1 giorno, 3 sono troppi
Lettura consigliata. Ma non aspettatevi nulla di eccezionale.
Le pagine scorrono veloci sotto gli occhi; i capitoli si rincorrono freneticamente e senza affannarsi troppo si riesce ad arrivare sino alla fine del romanzo. Peccato che, una volta chiuso e riposto nello scaffale, di lui rimanga solo il ricordo del fastidioso struscio della carta contro le dita, monotono sottofondo di questa rapida prima lettura estiva. Poca musica quindi, solo un leggero brusio interrotto a tratti da timidi singhiozzi di letteratura. Un disco rigato, purtroppo.
Tuttavia ve ne consiglio la lettura, soprattutto se avete letto e amato “La solitudine dei numeri primi”. Di sicuro la storia di Leo, il solito giovane adolescente in crisi, farà di nuovo breccia nel cuore dei “matematici solitari”, e infastidirà non poco i cercatori di novità letterarie, che ahimè, ignari del fatto che il giovane prof. D’Avenia sia stato osannato come il nuovo Paolo Giordano, ne hanno intrapreso la lettura.
La ricerca linguistica è nulla: frasi brevi, sintatticamente banali, interrotte da una poesia scontata. “Ogni cosa è un colore. Ogni emozione è un colore. Il silenzio è bianco. Il bianco infatti è un colore che non sopporto: non ha confini”. (pag. 9) Poi si scopre che per fortuna stiamo leggendo i pensieri del giovane adolescente protagonista della storia e non quelli del professore D’Avenia. Attenzione però a non cadere nell’errore di ridurre un ricercato lavoro d’interpretazione del mondo adolescenziale, quale vorrebbe essere quello del D’Avenia, alla solita sceneggiatura targata “Moccia”, fatta unicamente di slang, degli irrinunciabili Google, i-Pode, T9, del classico rifiuto delle regole, dell’ostinata ricerca dell’ignoranza, di banali frasi d’amore, dell’immancabile odio verso adulti, scuola e il mondo tutto, e nient’altro.
Da educatore e quindi profondo conoscitore del mondo adolescenziale, il professore (che si intrufola nel romanzo sotto le sembianze del Sognatore, un supplente di storia e filosofia con un’innata passione per l’insegnamento), ha il buon senso di aggiungere al mondo “mocciano”, o “giordano” che si voglia, quel tocco di intelligenza ai personaggi, quella spensierata meraviglia che permette di interrogarsi sulle cose del mondo, sul dolore o sul significato della conoscenza (due aspetti chiave del romanzo).
Elementi questi, che conferiscono alla storia quel pizzico di originalità che mi permette di consigliarvene la lettura. Nonostante tutto.
gen102007
gen112013
Cara amica ti scrivo e siccome l’anno è passato, di terra ancora ti parlerò. “Questo tuo libro - mi dici quasi sussurrando, - è presa di coscienza”. Parlare di coscienza per te è sacro. Mi sembra che tu abbia paura che qualcuno ci senta e pensi di te come ad una persona all’antica e lo bisbigli piano. Lo ripeti ancora che è presa di coscienza, a voce bassa . La coscienza, questa sconosciuta, è:
…una grossa novità, l’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va.
Continua così la canzone poesia del grande Lucio: “L’anno che verrà”. Poi ti fai coraggio e annunci ai nostri 25 amici che: “Cultura è solidarietà incondizionata, è educazione, è la famiglia, è l’esperienza degli anziani, la salute pubblica, l’acqua, l’aria, la terra, la scuola, i sentimenti, la condivisione, l’attenzione all’altro, il sacrificio per il bene comune, l’amore disinteressato, non discriminante”.
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione…
Si la trasformazione. Quella che molti amano esteriorizzare a spese della povera gente, dei giovani e del loro futuro.
…e tutti quanti stiamo già aspettando.
Cara amica mia, la presa di coscienza è scivolosa, è su di una strada irta di asperità, lunga quasi quanto una vita. Non sempre si compenetra con le ideologie. Le ideologie, che siano religiose o politiche, sono sempre sani principi, peccato però che ognuno le confonda con la propria im-maturità. Che delusione.
Cara amica mia, Marco è un ragazzo di Noha ed ha 27 anni. Suo papà ha fatto enormi sacrifici per farlo studiare all’università di Pistoia. I sacrifici di suo papà non sono briscole, tu sai che parliamo di rinunce forti, di denti rotti, di malanni trascurati, di mani gonfie, di ossa doloranti e di rughe profonde.
Mica come i sacrifici che (non) fanno i falsi profeti e seguaci di questa crescita infelice che mostra oggi più che mai tutta la sua impotenza. Quando un padre di Noha fa sacrifici è davvero sudore e sangue. Marco sognava di trovare un lavoro, ha studiato con profitto perché sperava. Adesso ha capito, dice guardandomi quasi con rabbia, che la colpa di questo suo fallimento è nostra. E indica me con l’indice della sua mano destra. Mi ferisce come con una pugnalata. Poveri figli nostri. Allora fanno bene tutti quei giovani come Tommaso, Anita, Antonella, Antonio, Tonino, Oreste, Alfredo, e tanti altri ancora, tutti laureati, mica "choosy" come si ostina a crederli qualcuno, a stendere nella piazza di Galatina i loro striscioni di protesta contro quest’ennesimo atto di bieca stupidità.
…ogni Cristo scenderà dalla croce…
Ho chiesto al mio Vescovo di invitare i suoi sacerdoti, in nome del Vangelo, a condannare chi inquina senza scrupoli, facendo morire di malattie i miei amici. Gli ho chiesto di aiutarmi a capire chi sono i mercanti da cacciare dal Tempio, se quelli che gridano in difesa della salvaguardia della terra o chi si affanna a spargere tonnellate di morte nelle nostre campagne? Chi sono i violenti? Quelli che distruggono la Val di Susa e la sventrano con i carri armati o le famiglie che vi si oppongono disarmate in nome del dialogo?
Che tristezza amica mia.
Dagli altari nessun monito in difesa della terra che è la vita, che è Dio. Anzi spesso si tace e (ahimè) a volte si vuole perfino far tacere.
Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno…
Per adesso stanno crocifiggendo la nostra terra. Nostra, ma soprattutto dei nostri figli e nipoti. Gli alberi di ulivo di mio zio, si lo zio Santo, Marti Santo, classe 1918, sono poco distanti da contrada Cascioni, temono la morte che scava, scava e cola cemento, ne sentono l’odore. A guardarlo ti si riempie il cuore di amarezza. Zio Santo, e prima di lui quattro secoli di famiglie, ha passato tutta la vita crescendo i suoi figli con molta dignità avvinghiato come l’edera a quegli ulivi che si ricordano della sconfitta dei Saraceni. Oggi è vecchio, onorevolmente vecchio. Vede poco, solo ombre, con cui rivive e racconta il suo passato. E’ quasi sordo, a volte piange altre volte sorride e quando canta la dentiera balla a ritmo della sua canzone.
Che dolcezza amica mia.
Anche i muti potranno parlare e i sordi già lo fanno.
Al consiglio comunale di Galatina e anche di Rivoli, la città in cui risiedo, tutti si riempiono la bocca di crescita, di ricadute occupazionali, di rilancio dell’economia. Ai suoi tempi chi aveva gli alberi di ulivo non andava via, restava a casa. Adesso non servono più, dicono che con l’olio non ci si guadagna più e la crescita felice richiede sacrifici. Felicità e sacrificio, due significati incompatibili. Allora via tutto, anche se ci sono voluti secoli per farli diventare opere d’arte, al loro posto è meglio un grande centro commerciale. Centro fuori dal centro e commerciale per pochi. Lo chiamano megaparco, grande parco, così si tacita la coscienza. Quanto durerà questo delirio, quanto lavoro darà questo scempio? Quanto, amica mia.
E senza grandi disturbi qualcuno sparirà.
Già.. quanti giovani e quanti Giovanni! Il dottor Serravezza e la sua splendida squadra di medici e infermieri che io stesso ho visto all’opera con grande umanità e calore mercoledì della scorsa settimana, al quarto piano, nel reparto di oncologia dell’ospedale di Casarano, continuano imperterriti a curare i nostri cari ammalati di tumore, e con che amore li curano! Da anni scrivono del più alto tasso di mortalità per colpa del cancro nell’area tagliata dall’asse Lecce Maglie.
Chi e cosa porta la morte fra la nostra gente, dottor Serravezza? E se fosse proprio colpa di questo falso progresso? Per favore, aiutaci a capire.
Vedi cara amica cosa si deve inventare… per continuare a sperare.
Cara amica ti scrivo e del dolore della mia coscienza ancora ti parlerò …e più forte ti scriverò.
Grazie Giuliana, grazie Lucio.
Marcello D’Acquarica
ott242013
Venerdì, 27 Settembre, è un giorno lavorativo, ma a Noha è l’antivigilia della festa di San Michele Arcangelo. L’aria è calma e c’è pure un bel cielo azzurro. Sono passate appena tre settimane da che sono andato via da Noha, ma vi ritorno con l’angoscia dell’eau de fogne che ci ha avvelenato l’estate. Affligge dover sopportare quest’ennesimo torto della mala gestione del territorio. Ma questa è un’altra storia. Pedalo sovrappensiero fra le case del mio paese. Sono ancora frastornato dal rapidissimo “trapasso” da Rivoli, una terra dove i pioppi soppiantano gli ulivi, le case paiono degli alveari e le persone sono infiniti sconosciuti, a questo paese che è l’esatto contrario. Ho come la sensazione che il mio cervello sia stato sbatacchiato per terra come detta l’usanza barbara con cui trattano i polipi ancora vivi. O forse è un po’ anche colpa dell’età, chissà. Attraverso guardingo via Collepasso, sempre meno via e sempre più pista per pseudo-piloti-rincoglioniti, e mi lascio trasportare dall’incantevole silenzio che regna nell’aria. E’ sempre accogliente il mio paese con le sue vecchie vie, dove il silenzio risuona di echi e voci nostalgiche. Solo un guizzo d’uccelli, e il lento ondeggiare di un vecchio uomo con il bastone. Nulla ancora anima i suoi brevi orizzonti delimitati dalle case multicolore. Tutto sfocia in un infinito senza ostacoli. Senza fumi o porcate apparenti.
Procedo senza fretta, a tal punto da reggere appena l’equilibrio. Pare un miracolo. Vorrei fermare tempo e spazio. Ma tutto ha un limite e dopo poche pedalate mi ritrovo in pieno centro.
Qui, in piazza, le pagine di questo giorno straordinario si sfogliano da sé. Sembrano scompigliate da un vento vorticoso: scale con le ruote e rotoli di fili, lampadine colorate e pali tinti di bianco, la cassa armonica e i soliti noti quattro opinionisti. Sono mattinieri, già attivi dalle loro postazioni a ridosso della chiesa. Non manca l’ape del consueto ambulante e gli occhi dolcissimi di un bambino. Ma la mia attenzione è attratta da un enorme cartellone che descrive il programma per i tre giorni di festa a venire.
Mi avvicino e leggo il tutto con l’intento di non perdermi nulla. Mi colpiscono in modo particolare due cose: il bacio della reliquia e la foto di una gigantesca porchetta. Sacro e profano, starete pensando voi. No, è la verità.
Non che il resto del programma sia da meno, ma queste cose, come dire, le colgo come novità. Della prima soddisferò la mia curiosità accodandomi al “pellegrinaggio” della sera dopo, in Chiesa, al rientro della spettacolare processione con la statua del nostro San Michele Arcangelo.
Trascendenza di una fede che resiste alle dure bordate di questo bizzarro progresso dal ventre molle. Resiste e unisce tutti, o quasi tutti. Così sembra a guardare la fila interminabile di gente che s’accoda con dignità compunta e speranzosa al bacio della reliquia: una pietruzza strappata alla grotta del Sacro monte del Gargano, per esorcizzare il male e per poi, magari, restituirle il merito di grazia ricevuta. Mistero della Fede.
Della seconda novità, la porchetta, invece dovrò chiedere lumi a qualcuno. Ma non ce n’é bisogno, il tempo di voltare la testa e dietro di me (quasi a voler dire: “cosa vuoi sapere?”), uno, due e poi non so più quanti, sono pronti a darmi le dovute spiegazioni. Tutto pare abbia avuto inizio pochi giorni prima, in occasione del “Gran Galà dei cavalli”, svoltosi il 22 Settembre, uno spettacolo fuori dal comune. Nel senso che dalle nostre parti non si è mai visto nulla di simile. Mi raccontano i “25 amici” che, quando ci si rese conto del poco tempo a disposizione e del gran lavoro che c’era per preparare il campo, stava per saltare tutto. Si è corso il rischio di non fare niente. Il campo per un gran galà di cavalli deve avere il terreno soffice come un velluto. Mentre sul nostro sembrava fossero sbarcate tutte le macchine schiaccia terra del mondo. Quindi? Quindi - mi dicono gli amici - si è scatenato il finimondo. Un nugolo di braccia e di macchine che pur di regalare a Noha l’evento più strabiliante del pianeta, hanno rinunciato alle proprie entrate economiche, per giorni e giorni. Entrate sempre più magre, e quindi a maggior ragione, sempre più preziose. Se dovessi farne i nomi non basterebbero 20 pagine, intere famiglie, caseggiati, gruppi di amici. Hanno chiuso negozi e officine, bar e chioschi, lavaggi e carrozzerie, agenzie e uffici tecnici, case e salotti: UNO PER TUTTI, TUTTI PER NOHA.
Non uno slogan banale, ma il segno di una comunità che si risveglia da un imperturbabile trascinarsi nel tempo. Un tempo dove tutto è programmato, e che vorrebbe tutto cambiare, ma di fatto nulla cambia. Così conviene ai pochi e sconviene ai molti. Come fare la doccia con l’impermeabile, appunto. Dove l’idea dell’individualità e del carrierismo, che hanno sempre ridicolizzato ogni credo, ha oltraggiato la tradizione stessa, spogliandola del mistero e della poesia che rinfranca gli spiriti buoni.
Una comunità che cresce ha bisogno di esempi e fatti, non solo di parole, promesse e speranze millenarie. Una comunità cresce quando alle persone viene offerta la possibilità di ragionare, quando non ci si oppone ostentando regole e pratiche che, come la fede, dovrebbero restare attente, anzi aperte, al dubbio. L’esempio è il più alto grado di solidarietà.
Per cambiare il mondo basterebbe che qualcuno, anche piccolo, avesse il coraggio di incominciare. Forse ci siamo.
apr132011
In questo nuovo appuntamento della rubrica “Musicando Pensieri” vi proponiamo una delle pagine più intense e poetiche de “Il nome della rosa” di Umberto Eco. È difficile non rimanere colpiti dall’armonia del linguaggio aulico, dalla melodia di questi versi poetici che fanno di un fatto di per sé impuro, un’esperienza unica e irripetibile. Del resto, a mio dire, il best seller di Eco rientra nei libri da leggere assolutamente prima di morire.
Ad accompagnare la vostra lettura un’opera di Wolfgang Amadeus Mozart : Piano Concerto No. 21 – Andante.
Come sempre buon ascolto e buona lettura!
Michele Stursi
[…]
Cosa provai? Cosa vidi? Io solo ricordo che le emozioni del primo istante furono orbate di ogni espressione, perché la mia lingua e la mia mente non erano state educate a nominare sensazioni di quella fatta. Sino a che non mi sovvennero altre parole interiori, udite in altro tempo e in altri luoghi, certamente parlate per altri fini, ma che mirabilmente mi parvero armonizzare con il mio gaudio di quel momento, come se fossero nate consustanzialmente a esprimerlo. Parole che si erano affollate nelle caverne della mia memoria salirono alla superficie (muta) del mio labbro, e dimenticai che esse fossero servite nelle scritture o sulle pagine dei santi a esprimere ben più fulgide realtà. Ma v’era poi davvero differenza tra le delizie di cui avevano parlato i santi e quelle che il mio animo esagitato provava in quell’istante? In quell’istante si annullò in me il senso vigile della differenza. Che è appunto, mi pare, il segno del rapimento negli abissi dell’identità.
Di colpo la fanciulla mi apparve così come la vergine nera ma bella di cui dice il Cantico. Essa portava un abituccio liso di stoffa grezza che si apriva in modo abbastanza inverecondo sul petto, e aveva al collo una collana fatta di pietruzze colorate e, credo, vilissime. Ma la testa si ergeva fieramente su un collo bianco come torre d’avorio, i suoi occhi erano chiari come le piscine di Hesebon, il suo naso era una torre del Libano, le chiome le suo capo come porpora. Sì, la sua chioma mi parve come un gregge di capre, i suoi denti come greggi di pecore che risalgono dal bagno, tutte appaiate, sì che nessuna di esse era prima della compagna. E: “Come sei bella, mia amata, come sei bella”, mi venne da mormorare, “la tua chioma è come un gregge di capre che scende dalla montagne di Galaad, come nastro di porpora sono le tue labbra, spicchio di melograno è la tua guancia, il tuo collo è come la torre di David cui sono appesi mille scudi.” E mi chiedevo spaventato e rapito chi fosse costei che si levava davanti a me come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribilis ut castrorum acies ordinata.
Allora la creatura si appressò a me ancora di più, gettando in un angolo l’involto scuro che sino ad allora aveva tenuto stretti contro il suo petto, e levò ancora la mano ad accarezzarmi il volto, e ripeté ancora una volta le parole che avevo già udito. E mentre non sapevo se sfuggirla o accostarmi ancora di più, mentre il mio capo pulsava come se le trombe di Giosuè stessero per far crollare le mura di Gerico, e al tempo stesso bramavo e temevo di toccarla, essa ebbe un sorriso di grande gioia, emise un gemito sommesso di capra intenerita, e sciolse i lacci che chiudevano l’abito suo sul petto, e si sfilò l’abito dal corpo come una tunica, e rimase davanti a me come Eva doveva essere apparsa ad Adamo nel giardino dell’Eden. “Pulchra sunt ubera quae paululum supereminent et tument modice”, mormorai ripetendo la frase che avevo udito da Ubertino, perché i suoi seni mi apparvero come due cerbiattim due gemelli di gazzelle che pascolavano tra i gigli, il suo ombelico fu una coppa rotonda che non manca mai di vino drogato, il suo ventre un mucchio di grano contornato di fiori delle valli.
“O sidus clarum puellarum”, le gridai, “o porta clausa, fins hortorum, cella custos unguentorum, cella pigmentaria” e mi ritrovai senza volere a ridosso del suo corpo avvertendone il calore e il profumo acre di unguenti mai conosciuti. Mi sovvenni: “Figli, quando viene l’amore folle, nulla più l’uomo!” e compresi che, fosse quanto provavo trama del nemico o dono celeste, nulla ormai potevo fare per contrastare l’impulso che mi muoveva e: “Oh langue”, gridai, e: “Causa languoris video nec caveo!” anche perché un odore roseo spirava dalle sue labbra ed erano belli i suoi piedi nei sandali, e le gambe erano come colonne e come colonne le pieghe dei suoi fianchi, opera di mano d’artista. O amore, figlia di delizie, un re è rimasto preso dalla tua treccia, mormoravo tra me, e fui tra le sue braccia, e cademmo insieme sul nudo pavimento della cucina e, non so se per mia iniziativa o per arti di lei, mi trovai libero del mio saio di novizio e non avemmo vergogna dei nostri corpi et cuncta erant bona.
Ed essa mi baciò con i baci della sua bocca, e i suoi amori furono più deliziosi del vino e all’odore erano deliziosi i suoi profumi, ed era bello il suo collo tra le perle e le sue guance tra i pendenti, come sei bella mia amata, come sei bella, i tuoi occhi sono colombe (dicevo) e fammi vedere la tua faccia, fammi sentire la tua voce, ché la tua voce è armoniosa e la tua faccia incantevole, mi hai reso folle di amore sorella mia, mia hai reso folle con una tua occhiata, con un solo monile del tuo collo, favo che gocciola sono le tue labbra, miele e latte sotto la tua lingua, il profumo del tuo respiro è come quello dei pomi, i tuoi seni a grappoli, i tuoi seni come grappoli d’uva, il tuo palato un vino squisito che punta dritto al mio cuore e fluisce sulle labbra e sui denti… Fontana da giardino, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo, mirra e aloe, io mangiavo il mio favo e il mio miele, bevevo il mio vino e il mio latte, chi era, chi era mai costei che si levava come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere vessillifere?
[…]
feb132012
Si concluderà domenica 19 febbraio Oblivium, la Mostra d’Arte Contemporanea di Claudio Scardino, curata da Francesco Luceri e Daniela Bardoscia e realizzata in collaborazione con l’Università popolare “Aldo Vallone” e il Museo d’Arte “P. Cavoti” con i patrocini del Comune di Galatina, della Provincia di Lecce e dell’Assessore al Mediterraneo, Cultura e Turismo della Regione Puglia. Il percorso artistico ha visto protagonista, nelle sale del museo galatinese, la più recente delle performance artistiche della cosiddetta “arte partecipata” di Scardino, scultore, artista multimediale e pittore, che, formatosi nei più floridi centri artistico-culturali italiani, avvezzo a prestigiose partecipazioni a eventi d’arte nazionali e internazionali, ha conquistato con la sua scultura Athena il pubblico statunitense e con Diana ed Enrico VIII (entrambi esposti per Oblivium) l’internazionale MoMM (Museum of Modern Media). “Finding ways to define reality and be in reality is the big question of our time” scrive l’artista e scrittrice australiana Marlene Sarroff, “Throughout his career there has been no limits to his invention, combining art with life, he looks for the most appropriate situations and then dives into the reality to be completely soaked in it”. Conclude il suo intervento scrivendo “This is where Claudio Scardino performances, really become a magical tool”. Gli “strumenti magici” di cui parla Sarroff, sono ancora per pochi giorni a vostra disposizione. L’Oblio è iniziato l’1 febbraio e, ancora per questa settimana, è possibile intraprendere un percorso catartico, tra i volti e i colori dell’artista leccese. I visitatori potranno ancora essere protagonisti − costretti “a consegnare nelle sapienti mani dello sculture quel pezzo di noi stessi che nasconde un embrione d'artista smarrito e confuso”, come scrive la curatrice − con l’Action Painting, intitolata “Opera Continua”, ultimo invito rivolto dallo Scardino ai visitatori, al grido bellico latino “Pugna!” (Combatti!): chi lo vorrà, armato di colori a cera (forniti in loco), potrà divenire guerriero dell’arte condivisa scardiniana. Varcando la sottile linea rossa che simboleggia il mitologico fiume Lete, corso d’acqua di purificazione e dispensatore di dimenticanza, si attraversa l’oblio dei tempi, per ascoltare, attraverso la visione di Scardino, gli echi del passato, dei miti greci e latini, in un recupero di alcuni frammenti della nostra identità multiculturale. Con il sovrano inglese, poi, molto apprezzato dai visitatori, si ritorna alla modernità e si approda alla seconda parte di Oblivium, nel vorticoso affacciarsi dei ricordi, che riguardano l’esperienza dell’artista. Per concludere degnamente il percorso, sarà esposta per il week-end un’opera scultorea, inedita, di Scardino. Verrà, inoltre, predisposta una installazione audio dell’artista, accompagnamento auditivo verso l’oblio. Chiuderà la mostra un programma speciale: a partire dalle 18.30, spettacolo di letture sceniche, sapientemente interpretate da Michela Maria Zanon (artista) e Gianluca Conte (poeta) dell’Associazione culturale “Eterarte”; a seguire, un’esibizione musicale degli alunni della Scuola Secondaria “G. Pascoli”. Al termine, lo Scardino proporrà la realizzazione di una scultura in azione, che intersecherà con la creazione artistica teatralità e danza. Oblivium batterà il suo crepuscolo con uno spettacolo di danza, classica e contemporanea, a cura della “Europe Dance School” di Nadia Fiorella Martina, che empirà di vita e poesia le statiche sale del Museo “P. Cavoti”. I visitatori lasceranno questo trasognante viaggio nell’arte, musica e poesia con un rinfresco e una degustazione della simposiaca bevanda, gentilmente offerta dalle Cantine Santi Dimitri.
I curatori colgono l’occasione per ringraziare tutti i convenuti e per lanciare un messaggio: «È possibile far rivivere la nostra città, aprendosi a nuove e giovani forme di cultura. Oblivium, evento eccezionale per tutta la Puglia, è stata allestita senza un solo Euro pubblico. Certamente, se avessimo potuto contare su qualche finanziamento, l’evento sarebbe stato ancora più prestigioso. Ciò nonostante, è stato un successo. Ci auguriamo, per il futuro, che le amministrazioni appoggino le forze che si stanno costituendo per una rinascita culturale del territorio, che finiscano gli oscuri tempi dei finanziamenti clientelari, per permettere al nostro territorio, ricchissimo di potenzialità storico-culturali inespresse, una crescita moderna e florida. Oblivium è il nostro messaggio: è possibile far vivere Galatina, il Museo “Cavoti” e la Cultura. Esistono persone disposte a mettere a disposizione di tutti la loro passione e la loro esperienza. La Cultura è la vera crescita».
Museo civico d’Arte “P. Cavoti”
Piazza Alighieri Alighieri, n. 51,
Galatina (LE), 73013
Tel. 0836/567568
e-mail: info@museocavoti.it
Per info: daniela.bardoscia@alice.it; tel. 3297669635, 3881197170
mar262014
Giovedì 27 marzo 2014 dalle ore 17 alle ore 19:30 Museo Civico Pietro Cavoti, “Galatina de ‘na fiata”, personaggi locali, scioglilingua, proverbi, e curiosità sulla toponomastica di Galatina a cura di Piero Vinsper in collaborazione con il Circolo Cittadino Athena.
Anche per l'anno 2014, con la seconda edizione, si è rinnovato l'appuntamento "Vivi i luoghi della Cultura 7 giorni su 7", promosso dall'Assessorato al Polo Biblio – Museale del Comune di Galatina. L’associazione Città Nostra,che ha aderito a questa edizione, ha organizzato questo laboratorio sperimentale di “oralità” iniziato il 20 febbraio con appuntamenti che si sono tenuti a cadenza infrasettimanale rivolti a bambini a giovani e ad adulti ogni giovedì dalle 17:00 alle 19:30 e che si concluderà giovedì 27 marzo 2014. Un esperimento ben riuscito, condotto in modalità familiare, nato con l’intento di svolgere azione di animazione territoriale e di agevolare il dialogo intergenerazionale (piccoli, giovani, adulti) e di rinnovare i vecchi racconti (“li cunti de ‘na fiata”). Nel primo incontro di giovedì 20 febbraio sono state indicate le modalità per partecipare al concorso che invita i cittadini ad esprimere la loro creatività, cimentandosi in un testo letterario (saggio, racconto, poesia, articolo giornalistico) avente come tema ispiratore la città di Galatina nei suoi aspetti culturali, storici e sociali. Si poteva partecipare al concorso fino al 20 marzo. Il 27 marzo, in occasione dell’ultimo incontro, saranno premiati i vincitori.
Info: e-mail: associazionecittanostra@live.it, cell.331/1800400
lug222014
Mercoledì 23 luglio, nella suggestiva cornice della Chiesa dei Battenti di Galatina, alle ore 20,30 Maurizio Nocera, Nico Mauro, Marco Graziuso e l’assessore al Cultura Daniela Vantaggiato ricorderanno Lucio Romano nella sua complessa figura di poeta e di intellettuale impegnato.
Lucio Romano nato a Galatina nel 1936 è scomparso nel 2007 si è occupato di studi storici, conducendo tra l’altro ricerche sul movimento operaio e sulle origini del fascismo in Terra d’Otranto. Con le sue opere letterarie ha ricevuto numerosi riconoscimenti in ambito locale e nazionale. Molti critici letterari hanno scritto di lui. Lui stesso ha scritto note critiche su Salvatore Quasimodo, Rocco Scotellaro, Alfonso Gatto. Accanto a questo bisogna ricordare il suo imprescindibile impegno civile è stato consigliere comunale per quindici anni e consigliere provinciale. Ha dettato l’epigrafe per Carlo Mauro, principale esponente del socialismo salentino, collocata tutt’ora in Piazza della Libertà .
Ricordiamo alcuni titoli delle sue raccolte di poesie “ Sul calar della sera” (1958-1964); “ Vagare stanco” (1965-1968); ” Romano” (1969-1974); “Alografie” (1983-1987); “Morire di verso” (1988-1990); “ Lettere di Gioacchino Toma a Eduardo Dalbono”(1992-1997); “Una vita in versi ”(2001).
L’amministrazione di Galatina gli ha assegnato alla memoria il Premio Beniamino De Maria per il biennio 2009-2010, ci piace riportarne per intero la motivazione : Un uomo che ha saputo coniugare poesia ed impegno civile. Un uomo che ha lasciato un chiaro messaggio secondo il quale potere e poesia significano altruismo, solidarietà umana, generosità, tentativo di edificazione di un altro mondo possibile nel quale tutti siano impegnati facendo tesoro anche della parola del poeta che lotta per il suo popolo, la sua gente, per gli umili e i diseredati.
In attesa di incontrarlo attraverso il ricordo degli amici e dei familiari lo ricordiamo così:
Salento da “Sul calar della sera”
bruciato dal sole
avaro dei piogge
ha sotto gli occhi
schiene curvate, some
dal cuore in pena:
antichi rumori di zappe.
L’evento, promosso ed organizzato dalla libreria Fiordilibro da sempre impegnata nella valorizzazione della cultura salentina , dei suoi esponenti e di quanti hanno contribuito e contribuiscono con il loro lavoro spesso solitario e misconosciuto, a dare lustro al Salento ed in questo caso anche alla città di Galatina. L’evento ha ricevuto il Patrocinio del Comune di Galatina ed è inserito nella Sezione “Vivi il Salento” della rassegna estiva“ l’Estate della Cuccuvascia”- ritrovarsi a Galatina.
mar112013
Andammo dunque sul Leggiadro e libero flirtava il maestrale Lo scandire di una dolce melodia La verità brusca, a mo’ di sparviero impavido, si staccava rapida Roteando attorno a quella che Finì così per cogliere visione della Volai anch’io sull’onda di Marcello D’Acquarica |
apr262022
Giovedì 28 aprile alle ore 21 (con ingresso alle ore 20:45) il palcoscenico del Teatro Cavallino Bianco di Galatina ospiterà Sergio Cammariere affiancato dalla sua storica band, composta da Daniele Tittarelli sax soprano, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria.
“Sono molto felice di ospitare a Galatina Sergio Cammariere, pianista ed interprete tra i più sofisticati e coinvolgenti del panorama musicale nazionale - afferma raggiante Luigi Fracasso, direttore artistico di Musica & Musica – e questo è stato possibile, anche, grazie alla volontà del sindaco Marcello Amante che ha creduto sin da subito nella possibilità di realizzare l’evento.”
Lo spettacolo, che chiuderà la mini rassegna galatinese organizzata da “I Concerti del Chiostro” e con il patrocinio e il contributo del Comune di Galatina – Assessorato alla Cultura, rispecchia l'animo e l'approccio musicale unico dell'artista, perfetta combinazione tra intensi momenti di poesia, intrisi di suadenti atmosfere jazz, e coinvolgenti ritmi latini che accendono il live con calde atmosfere bossanova.
Cammariere recupera dal baule dei ricordi i suoi successi più acclamati, dipingendoli di nuove sfumature: “Tempo perduto” “Via da questo mare”, “Tutto quello che un uomo”, il brano della prima partecipazione a Sanremo (nel 2003, ottiene il terzo posto in gara, il Premio della Critica e quello come “Migliore Composizione Musicale”), in un perfetto equilibrio armonico che ne sottolinea l’intensità emotiva. Le suggestioni del pianoforte svelano la melodia de “Dalla pace del mare lontano” aprendo la strada ad un ritmo incalzante contaminato di venature latine. E ancora “L’amore non si spiega”, con il suo testo impegnato e sentimentale in cui la musica sconfina nella poesia, mentre chiude il capitolo dei ricordi la vivace e autoironica “Cantautore piccolino”. Immancabili poi i tributi e gli omaggi ai memorabili cantautori che lo hanno ispirato durate la sua carriera.
La prevendita è su www.diyticket.it.
La biglietteria del teatro sarà aperta il giorno dell’evento dalle ore 18 alle ore 21.
Costo singolo biglietto euro 15.00.
Per info: www.iconcertidelchiostro.it – 331 4591008
Facebook-Instagram: I Concerti del Chiostro
Per gli eventi sarà necessario essere in possesso del Super Green Pass a partire dai 12 anni di età (avvenuta vaccinazione contro il Covid-19 oppure certificazione di avvenuta guarigione dal Covid-19).
Ufficio stampa
I Concerti del Chiostro
apr032019
Luisa Sello, flautista friulana scelta dal Ministero dei Beni Culturali per rappresentare la musica italiana in tutto il mondo, il 4 aprile sarà la protagonista del secondo appuntamento della XX Stagione Concertistica Internazionale de “I Concerti del Chiostro”.
Lo scorso 28 marzo, l’affiatato Duo Pollice ha inaugurato la rassegna con un concerto per
pianoforte a quattro mani. I due musicisti sono stati accolti nella splendida chiesa della Madonna delle Grazie da uno straripante e caloroso pubblico che per quasi due ore ha goduto delle note di Mozart, Beethoven, Verdi, Rossini e Puccini.
“Siamo molto felici di ospitare nel nostro paese questa rassegna musicale internazionale diretta dal M° Luigi Fracasso - afferma il sindaco di Soleto, Graziano Vantaggiato – I Concerti del Chiostro sono vera Cultura e il mio augurio è che diventino un appuntamento itinerante in più comuni della Provincia e non solo”.
[**]Luisa Sello, definita dal New York Concert Review 2016 un’artista dall’avvincente passione e spontanea cantabilità, con tecnica brillante e grande charme, ci accoglierà insieme al suo flauto con il programma “Quadri di colore”, tre sentimenti legati alla musica e a temi della vita: Arte, Amore e Gioia. Saranno eseguite musiche di J. S. Bach, W. A. Mozart, A. Vivaldi, G. Verdi e G. Rossini.
Appuntamento a giovedì 4 aprile alle ore 20 presso il Santuario Madonna delle Grazie di Soleto.
Come ogni concerto, anche questo sarà preceduto da una visita guidata nel Comune di Soleto a
cura dell’Associazione “Amici del Presepe” previa prenotazione.
Infoline: 3292198852
I Concerti del Chiostro – Associazione Musicale – via del Ciclamino 32, Galatina
Libreria Viva Athena – Via Liguria 73/5, Galatina 0836.566088
Pagina Fb: www.facebook.com/IConcertidelChiostro/
Email: iconcertidelchiostro2019@gmail.com
Gloria Romano
Ufficio stampa
Luisa Sello, flauto
Quadri di colore
LUISA SELLO Artista eclettica ed innovativa, flautista del panorama internazionale con una intensa attività solistica in Europa, Estremo Oriente, Stati Uniti e Sud America, è ospite di orchestre quali i Wiener Symphoniker, la Salzburger Kammerorchester, la Miami Great Symphony Orchestra, I Virtuosi Italiani.
Un’artista unica, una ‘musicista dall’eccezionale versatilità e dal carisma ammaliante, che riesce ad arrivare dentro l’anima di chi la ascolta, lasciando un’emozione difficile da dimenticare’. (Altromolise, Il Mattino di Bolzano, ABC Madrid, General Anzeiger Bonn, Messaggero Veneto).
Il suo repertorio abbraccia diverse epoche e forme d’arte, in un percorso da lei ideato
come esecutrice, autrice e regista, riscontrando consensi unanimi per ‘classe, eleganza, presenza, talento,
emozione’.
Ha lavorato con l'Orchestra del Teatro Alla Scala di Milano sotto la direzione di Riccardo Muti ed ha suonato accanto ad Alirio Diaz, Trevor Pinnock, Edgar Guggeis, il Nuovo Quartetto Italiano, lo Jess Trio Wien. Ambasciatrice della musica italiana nel mondo, è tra gli artisti sostenuti dai Ministeri degli Affari Esteri e delle Attività Culturali .
Ideatrice di spettacoli estremamente originali e nuovi, propone repertori classici e programmi riscoperti dal
gesto, in un personale percorso aperto a diverse forme d'arte, e da lei generato come interprete musicale, autrice di testi e regista .
Docente al Conservatorio di Trieste e Professore ospite all'Università di Vienna e di Graz, viene regolarmente invitata presso Istituzioni Accademiche in Giappone, Cina, Argentina, USA, Russia, Austria, Germania, Spagna, Estonia .
Laureata in Lingue per la Comunicazione Internazionale ed in Letterature Moderne, ha pubblicato saggi
comparativi tra letteratura e musica ed ha vinto diversi premi letterari di poesia.
Incide per 'Stradivarius', una delle eccellenze discografiche europee, e per la Beijjing Honhchen Millennium
& Art,in Cina .
Luisa Sello ha studiato a Parigi con Raymond Guiot, primo flauto dell'Operà, ed è stata una delle allieve predilette di Severino Gazzelloni che di lei ha scritto ‘qualità di primissimo ordine: tecnica e suono di ottimo livello, unite ad una magnifica sensibilità interpretativa‘.
Dopo il successo del 'Pierrot Solaire' vincitore del premio Speciale Start Cup 2008, e 'Canto per la vita' commissionato per il Premio Unesco 2008, sta ora lavorando sui progetti 'Bach, musica eterna' e 'Quadri di colore'.
mar012015
“Noi moderni tutti assillati nella conquista dei beni della terra, abbiamo quasi dimenticato i beni dello spirito; mai come oggi l’umanità è stata trascinata verso la terra, verso la materia, verso le paludi dell’immoralità; mai come oggi l’umanità incredula, scettica nelle verità della fede si è affannata e si affanna a chiedere ai beni della terra la felicità che essi non potranno mai dare”.
“Chi è mai in grado di evitare tutti i dolori, i fastidi, le avversità, le malattie, le contraddizioni, le delusioni che l’esistenza di quaggiù riserva al più innocente degli uomini? Se dunque la croce è di tutti, perché rifiutarla, perché non farne tesoro, perché non abbracciarla? Perché guardarla con diffidenza e scansarla o voler liberarsene ogni volta? Come potremo portarla trionfalmente in cielo, se oggi la temiamo e la disprezziamo?”
“La fede che Gesù vuole da noi non deve aver bisogno di miracoli”.
“Di fronte alle angosciose contraddizioni della vita ed alle prove più dure, non mettiamoci a ragionare, non pretendiamo di avere spiegazioni da Dio”.
“La vergogna di certi errori non deve allontanare dal perdono”.
“All’umiltà si oppone l’orgoglio e noi pecchiamo così spesso d’orgoglio. Che cosa è infatti il non voler riconoscere mai il proprio torto, il voler sempre occupare i primi posti, quel criticare le azioni del prossimo, il non accettare i richiami di alcuno?”
“Ricordiamoci che con Cristo si vince sempre. Passeranno gli anni, passeranno i secoli, non importa. Cristo non ha fretta, perché è eterno”.
“Per molti non esiste che il lavoro materiale, esso solo è degno di compenso, ad esso solo si attribuisce il progresso umano. Ma c’è un lavoro più alto e nobile: quello del pensiero, quello della poesia, della musica e dell’arte, e quello ancora più sublime della creazione della santità. Senza questo lavoro non può esserci popolo civile”.
“Siamo tutti fratelli! Se un mio fratello cade nel male, chi mi dà il diritto di condannarlo? Chi mi ha costituito giudice?”
“L’uomo ozioso non si occupa di nulla. Sa di avere un’anima da salvare, ma praticamente vive come se non ce l’avesse. Pensiamo che la nostra vita passa. Il tempo è nelle mani di Dio”.
“Noi saremo giudicati del bene e del male compiuto. E saremo giudicati anche del bene che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto”.
“La chiesa è la casa della preghiera, il luogo in cui la creatura viene ad umiliarsi davanti al suo creatore, a chiedergli perdono delle sue colpe, ad adorarlo, a glorificarlo, rendergli il supremo culto. Nella chiesa tutto è sacro, tutto è santo: sacre le immagini, le reliquie, sacre perfino le mura, i santi sacramenti, la divina parola, sante le funzioni che in essa si celebrano. La casa di Dio non solo deve essere rispettata, ma in essa devono essere santi tutti i nostri pensieri, tutte le nostre opere, tutte le nostre parole”.
“Quando il peccatore si curva su se stesso, riconoscendo i propri torti ed invocando perdono e misericordia, allora Dio si china su di lui, si abbassa e quasi lo abbraccia con il suo perdono”.
“Sentiamolo nel cuore l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo come noi stessi. La stessa misura che noi avremo usato nel trattare col prossimo, quella stessa misura ci sarà usata dinanzi a Dio”.
“Noi i Santi ce li immaginiamo lontani, invece ci sono vicini, sono nostri fratelli, forse nostri fratelli di sangue”.
“A noi tocca di essere bravi cristiani e bravi cittadini. Si è bravi cristiani se si è bravi cittadini e viceversa”.
“Dal buon uso della lingua scaturisce la civiltà, dal cattivo uso di essa viene fuori la barbarie”.
set162018
Come qualche mio studente sa bene [sì, ne ho qualcuno per hobby: nel senso che vengono a lezione da me per hobby, ndr.], l’Economia per fortuna non veste l’uniforme. Purtroppo nemmeno l’impermeabile, visto quant’è pregna degli umori del potere e dei caratteri dell’antropologia sociale, a loro volta influenzati dai primi. Insomma siamo in presenza del ciuco che si morde la coda.
Si possono avere eccome delle idee diverse in materia. Questo non implica però che il primo che si sveglia la mattina – mancando di categorie e strumenti dell’analisi economica - possa discettare di Economia. Chi s’improvvisa economista non discetta, scetta (che al paese mio significa tutt’altra cosa), oppure è una Cetta. Laqualunque.
Vero è che gli economisti mainstream son convinti del fatto che la loro disciplina sia una scienza esatta [sbagliato: nel senso che l’Economia non è propriamente una scienza, ndr.], e continuano a sfornare teorie-luoghi-comuni in grado di assicurar loro prebende e carriere universitarie, quando non anche politiche. Codesti Diciamo Professori, perlopiù teologi del neoliberismo, li vedi spesso correre al capezzale dello Stato: ma non per rianimarlo, bensì per impartirgli l’estrema unzione. Ubiqui come manco padre Pio, scorrazzano indisturbati sui cosiddetti giornali nazionali e locali, sulle tele-orba a reti unificate, e purtroppo anche nei dintorni del governo del Paese (incluso l’attuale “del cambiamento” che sta facendo di tutto per assomigliare al Precedente Direttorio, in sigla Pd, riuscendovi benissimo), con l’obiettivo di edulcorare la pillola - posto che si tratti di un farmaco assumibile per via orale e non per altri orifizi.
Ma ritorniamo ai cultori dell’Economia allopatica, i cui ragli sono presi come manco il Verbo descritto dall’evangelista Giovanni. Nel clero di codesto falso pluralismo s’annoverano gli accoliti degli organismi sovranazionali meglio noti come troike (con la k, ma anche senza), che ci spingono verso le dimissioni dalla nostra carica di cittadini, sermoneggiando qua e là su quanto la democrazia sia controproducente al nostro bene supremo.
Ci sono poi in ordine sparso: la setta delle politiche economiche del drenaggio di risorse dai molti che s’impoveriscono verso i pochi che s’arricchiscono, la congrega del Santo Briatore, i servitori dello Status quo, l’arciconfraternita del paesaggio-intonso-roba-da-antiquati, i fautori della Deregulation per gli amici e la Regulation per gli altri, gli ortodossi del Meno Stato e Più Mercato (pazienza se poi le mafie dei mono-oligopoli portano al fallimento di questo benedetto mercato), l’associazione degli schiavi moderni che non sanno di esserlo, i flagellanti delle multinazionali (tipo Tap, parlando con pardon), gli idolatri dei centri commerciali h24 incluso il giorno del Signore (degli Agnelli), e tutto il gregge degli adoratori del Pil, oggi e sempre sia lodato.
Il fanatismo (religioso) Pilifero scorda che nel famoso indice non rientrano cose che invece vale la pena di considerare valore, come la pasta e la salsa di pomodoro fatte in casa, i fagiolini dell’orto di tuo fratello, il polpo pescato in riva al mare con la zampa di gallina, ogni dono ai vicini di campagna, la saggezza di molti padri, l’amore di madre, le calze rammendate, il maglione lavorato ai ferri da zia, l’aria frizzante di un’alba a Lido Conchiglie e il tramonto al canneto di Sirgole. In compenso il Pil aumenta con la vendita di armi, con la caduta di ponti, e perfino quando si scrivono stupidaggini su fb.
L’economista eterodosso, quindi scostumato, forse non avrà mai una cattedra alla Business School (il cui numero di docenti sovente supera quello dei decenti), ma aprirà mondi nuovi alle persone e significati diversi al Pil. Che così potrà diventare poesia: Ispirazione Lirica, ma anche Pensare Insieme Liberamente, oppure Perfetta Ideale Letizia, Piacevole Interpretazione Logica, Promuoviamo Iniziative Lodevoli, e infine, dulcis in fundo, Pasticciotto Incidentalmente Leccese.
“Incidentalmente”, dico, in quanto il Pasticciotto è Inequivocabilmente Galatinese. Pazienza se l’acronimo che ne vien fuori sarà Pig traducibile con Maiale.
L’importante è che non si tratti di un Mega-Porco[1].
Antonio Mellone
[1] Il Mega-Porco per antonomasia è il centro commerciale di 260.000 mq di cemento vibrato che alcuni talebani dell’ipermercato vorrebbero ancor oggi colare nell’amena campagna di Collemeto, fraz. di Galatina, convinti come sono che gli asini volteggino nell’aere.
set082015
La rassegna estiva di cinema “AnimaMente” si conclude con “La storia della Principessa Splendente”
Ultimo appuntamento per la rassegna dedicata al cinema d'animazione per adulti “AnimaMente” promossa dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Galatina all'interno del cartellone dell'estate galatinese 2015.
Giovedi 10 settembre h 21 presso il Chiostro del Palazzo della Cultura si proietterà il film del grande regista giapponese Takahata “La storia della principessa splendente”.
Ispirato a uno dei più popolari racconti giapponesi (Taketori monogatari, Il racconto di un tagliabambù), narra le vicende di Kaguya, minuscola creatura arrivata dalla Luna e trovata in una canna di bambù da un vecchio tagliatore. Accolta e cresciuta come una figlia dal tagliabambù e sua moglie, la piccola cresce a vista d’occhio, affascinando tutti quelli che entrano in contatto con lei, fino a diventare una splendida giovane donna. Molti sono i suoi pretendenti, ma nessuno è in grado di portarle quello che davvero desidera, e nessuno, nemmeno l’Imperatore, riesce a conquistare il suo cuore.
La storia della Principessa Splendente parla dell'importanza di ‘imparare a convivere con quello che ci portiamo dentro’ a costo di dolori e problemi da affrontare”.
Il miglior cinema dello studio Ghibli che sposa favola a poesia.
Imperdibile!
mar272018
Mercoledì 28 marzo alle ore 18.00 presso il Palazzo Marchesale di Galatone - ingresso da via Castello - quinto incontro delle Lezioni Salentine organizzate dalle associazioni A Levante, spazi per la ricerca e Il Piccolo Principe.
Presentazione del libro di poesie di Laura Barone "Germogli di Sole", edizioni Milella, 2016.
Laura Barone dialoga con il prof. Gianluca Virgilio, scrittore, docente di lettere.
Nella prefazione del libro Franco Donatini scrive: "L'autrice, in queste liriche compie il miracolo di affrontare 'il dramma' con un linguaggio complesso, allo stesso tempo, lieve, quasi sereno, talora intrigante, non cedendo mai alla debolezza di volerci coinvolgere nella propria individuale sofferenza.
Il dolore si universalizza e insieme si smorza, in un linguaggio ermetico, musicale, ricco di assonanze e metafore, tratte da immagini della natura, che evocano, con immediatezza, i drammi e i turbamenti interiori, secondo un approccio tipico della poesia moderna."
NOTE BIOGRAFICHE
Laura Barone è nata a Sesto San Giovanni (Mi). Laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli Studi di Lecce, vive e lavora a Milano dove si occupa di formazione linguistica e orientamento scolastico.
È vincitrice della XIX edizione del concorso nazionale di poesia e prosa “Fazio Degli Uberti” di Pisa ed ha ottenuto vari riconoscimenti in diversi concorsi e premi nazionali ed internazionali. L'Università Popolare di Galatina (Le) le ha dedicato una pagina sul suo sito web. Le sue poesie sono comparse in varie antologie e riviste, tra cui “Malvagia”, rivista fondata da Pino Polistena e Carlo Cassola.
Tra il 2001 e il 2011 ha pubblicato tre silloge: “ Il Velo e i Pavoni”, “Il Canto dell'Edera” e “ Micron Poetici”.
Nel Luglio del 2016 è stato pubblicato il suo libro di poesie “Germogli di sole” a cura delle Edizioni Milella.
Gianluca Virgilio
feb192014
GALATINA – Museo Civivo "PIETRO CAVOTI" (presso Palazzo della Cultura ex Convitto Colonna).
Si tratta di 6 incontri settimanali, rivolti a bambini, a giovani e ad adulti, e si terranno ogni giovedì dalle 17:00 alle 19:30 con inizio il 20 febbraio e fine il 27 marzo 2014. Lo scopo di questo laboratorio è quello di coniugare scrittura ed oralità e, partendo proprio dal racconto, di agevolare il dialogo intergenerazionale (piccoli, giovani, adulti) e di R-innovare i vecchi racconti (“li cunti de na fiata”). Scrivere, Ascoltare e Raccontare Storie, nei luoghi della cultura ed in questo caso del Museo per rendere quest’ultimo un luogo più vivo e vicino alla gente. Nel primo incontro di giovedì 20 febbraio verranno indicate le modalità per partecipare al concorso che invita i cittadini ad esprimere la loro creatività, cimentandosi in un testo letterario (saggio, racconto, poesia, articolo giornalistico) avente come tema ispiratore la città di Galatina nei suoi aspetti culturali, storici e sociali. Si potrà partecipare al concorso dal 20 febbraio fino al 21 marzo.
INFO: 331/1800400; 380.3082069 e-mail: associazionecittanostra@live.it
NOTE: Anche per l'anno 2014, con la seconda edizione, si è rinnovato l'appuntamento "Vivi i luoghi della Cultura 7 giorni su 7", promosso dall'Assessorato al Polo Biblio – Museale del Comune di Galatina. L'iniziativa, realizzata in collaborazione con le associazioni culturali Scenastudio, Teste di legno, In-possibile, Associazione Città Nostra e Coop.va Imago che hanno accolto l'invito dell'assessore Daniela Vantaggiato, è nata dalla volontà e da una visione accogliente e socializzante dei luoghi del sapere e della conoscenza. L'inaugurazione della II edizione si è tenuta domenica 19 gennaio 2014 presso il Palazzo della Cultura (ex-convitto Colonna) con l'evento HAPPY ARTS, ed in questa occasione le Associazioni hanno promosso i loro laboratori attraverso performance, animazioni, video ed installazioni.
I laboratori, già iniziati, sono rivolti oltre che a ragazzi di varie fasce di età, anche ad adulti, e spaziano in vari ambiti e con modalità espressive diverse.
mar172014
In collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese, sotto l’egida del Ministero per i Beni, le Attività Culturali e Turismo, e della Regione Puglia, Assessorato al Mediterraneo, Cultura e Turismo, la Rassegna è rivolta non solo al pubblico affezionato, che ha accolto la notizia con grande entusiasmo, bensì a tutti i cittadini e in particolare agli educatori e ai giovani. L’Amministrazione Comunale tutta, consapevole dell’impegno di energie e delle risorse investite in un momento di generale difficoltà, ha inteso assumere un atteggiamento di non rinuncia, riproponendo la “Stagione Teatrale” che a partire dal 1988 e fino alle soglie del 2000 aveva portato in scena al CavallinoBianco indimenticabili opere.
Giovedì 20 marzo,“Una serata veramente orribile” per inaugurare con Carmela Vincenti,attrice brillante e versatile, incontri con il pubblico che si presentano, tra comicità, ironia e satira,occasione di divertimento e improvvisazione, affidata alla bravura di attrici e attori che si sono già cimentati in avventure sceniche difficili su ben altri gloriosi palcoscenici, con grande apprezzamento di critica e di pubblico.
Capa tosta, passionale e generosa, con questi aggettivi si definisce la Vincenti, cresciuta da Mirabella e stimata da Banfi,già conosciuta dal pubblico di Galatina in una esilarante serata della scorsa estate. Intriganti la raffinata esistenza di “nostra signora del crudo”,le feste anni ’60, la vita e le confessioni di una donna che ci racconta il vero nudo e crudo, in Una serata veramente orribile, nel senso buono, cioè assai forte.
Gli altri protagonisti, tutti meridionali, sono Ippolito Chiarello e Egidia Bruno che, appena dopo il recital “6°(sei gradi)” di Giobbe Covatta, con “Oggi Sposi” lui, e con “La mascula” lei,ci regaleranno straordinari momenti, narrando di temi e di stereotipi con stile, passione e riguardo alla saggezza popolare ma fuori da schemi ordinari. Il 3 maggio, “Serata d’onore” (poesia e musica),appuntamento esclusivo con Michele Placido per chiudere un cartellone che ha puntato sulla qualità dell’offerta culturale.
Giobbe Covatta, comico, attore e scrittore di grande successo, deve la sua fama nazionale a Maurizio Costanzo Show, doveinizia la sua carriera fortunata anche nel campo dell’editoria, a partire dal primo libro Parola di Giobbe. Nel 2010 porta in teatro Trenta, uno spettacolo dedicato ai 30 articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani. A marzo 2011, in coppia con Enzo Iacchetti a teatro con “Niente progetti per il futuro" una commedia con ben 87 repliche nei teatri di tutta Italia. A gennaio 2012, debutta in 6° (sei gradi). Anche in questo caso il numero ha un forte significato simbolico: rappresenta l’aumento in gradi centigradi della temperatura del nostro pianeta. Covatta, in “6°(sei gradi)” ,attore-autore del testo insieme a Paola Catella, si è divertito a immaginare le stravaganti invenzioni scientifiche, ma anche sociali e politiche, che l’umanità metterà a punto in futuro per far fronte all’emergenza ambientale.Per tutti giovedì 27 marzo un’occasione per sorridere degli “scherzi” del grande comicosul tema della sostenibilità del Pianeta e delle sue popolazioni.
Ippolito Chiarello è unartista eclettico che, spaziando dal teatro al cinema e alla musica,si è cimentato principalmente come attore ma ha praticato anche la strada della regia e della formazione anche in ambito di disagio sociale. Ha lavorato per circa dieci anni con la Compagnia Koreja di Lecce e con altre compagnie pugliesi. Al cinema come attore ha partecipato, tra gli altri, ai film "Italian Sud-Est”, “Galantuomini" e "Fine pena mai”.
Con la sua Compagnia, Nasca Teatri di Terra, ha prodotto, scritto e interpreta da dieci anni con successo lo spettacolo "Oggi Sposi”.
“Oggi Sposi” inreplica a Galatina venerdì 11 aprile è uno spettacolo “leggero”, tra il serio e il comico, un alternarsi ubriacante di sollecitazioni al riso e all’emozione, secondo i canoni del teatro comico musicale. Attraverso la musica, la letteratura, l’improvvisazione e le massime della saggezza popolare l’attore scava “pericolosamente” nei meandri del “rapporto di coppia” raccontando anche della sua stessa vita, con gli amori finiti e quelli mai iniziati.
Egidia Bruno è un altro volto noto a Galatina. Attrice dal dicembre 1990, la sua attività artistica è caratterizzata dalla trasversalità,dal teatro di prosa tradizionale, a quello di narrazione, a quello per ragazzi, dalla televisione al cinema, dalla radio al cabaret. Tutto questo la porta a essere coautrice dei suoi testi: “Io volevo andare in America e invece so' finita in India”, “Non sopporto le rose blu”, sviluppando la corda a lei più congeniale, quella dell'ironia. Dopo il successo di “La mascula” nel 2007 scrive e interpreta lo spettacolo “ANTIGONE 2000 d.C. ‘Na tragggedia!!”. La svolta, quindi, con “ W l'Italia.it... Noi non sapevamo", monologo "serio" sulla “questione meridionale”, rappresentato il 23 novembre 2012 a Galatina nell’ambito della Rassegna Culturale Identità in Dialogo _ guardare la Storia dal Sud, e con il quale vince il premio internazionale "Teatro dell'Inclusione - Teresa Pomodoro" 2012 .
Torna martedì 29 aprile con “La Mascula” scritto e diretto con Enzo Jannacci, per raccontare di un pallone calciato da gambe femminili nel Meridione d'Italia. Si racconta la storia di Rosalbadetta la mascula a cui piace giocare a pallone. La storia di un modo di essere, inconsapevole della sua purezza, e forse per questo ancora più libero. La storia di una libertà che non ha bisogno di provocare.
Michele Placido, attore tra i più carismatici e apprezzati degli ultimi vent'anni, vanta una lunga carriera cinematografica e teatrale, oltre ad una positiva esperienza come autore e regista. In tutti i ruoli interpretati emerge sempre uno spiccato interesse per le problematiche sociali, affrontate con grande sensibilità e coraggio.
L’appuntamento esclusivo a Galatina sabato 3 maggio con “Serata d’onore” è un omaggio al teatro. Passeggiando nella sua vita tra teatro e cinema, Placido farà rivivere magicamente le più classiche poesie d’amore. Alla poesia si alternerà la canzone, lasciando il posto per l'umorismo e le risate.
All’insegna di Il teatro è azione! lacampagna abbonamentiè stataaperta con la presentazione della Rassegna nella conferenza stampa a Palazzo Orsini mercoledì 12 marzo scorso.
È già quindi possibile acquistare la tessera e i biglietti presso il botteghino del Teatro Tartaro ( Corso Principe di Piemonte,n.19 - tel.0836 568653) che sarà aperto dal martedì alla domenica dalle h.19:00 alle h. 22:00.
(comunicato del Servizio Cultura e Comunicazione Città di Galatina)
gen252012
«Le radici rivolte al cielo, come braccia tese a catturare le vibrazioni e gli echi immortali del tempo, dell'arte, dell'umanità, con i suoi miti, i suoi eroi, le sue divinità. È questa la chiave di lettura dell'opera di Claudio Scardino che, con la sua arte, dà voce a questi influssi, di cui si fa recettore e strumento. Le sue performance, simposio d’arte, divengono un corridoio di specchi, prepotenti, insormontabili per i convenuti alla sua fucina d’anime e ci costringono a vedere, a prestargli attenzione, a scovare nella nostra inviolata intimità e a consegnare nelle sapienti mani dello sculture quel pezzo di noi stessi che nasconde un embrione d'artista smarrito e confuso. L’arte “partecipata” di Scardino conduce con feroce prepotenza a prendere distanza dalla quotidianità e a divenire un frammento del Tutto». Con queste parole Daniela Bardoscia presenta la Mostra d’Arte Contemporanea Oblivium di Claudio Scardino. I curatori della Mostra, che avrà luogo dal Primo al 19 febbraio 2012, sono Daniela Bardoscia e Francesco Luceri, rispettivamente scrittrice e studioso di filosofia e storia locale, entrambi attivi per la promozione socio-culturale nel territorio. L’evento, organizzato in collaborazione con l’Università Popolare “Aldo Vallone” e il Museo “P. Cavoti”, patrocinato dal Comune di Galatina, dalla Provincia di Lecce e dalla Regione Puglia, Assessorato del Mediterraneo, cultura e turismo, proporrà una situazione nuova e unica nell’intero territorio pugliese. Direttamente dal caffè storico “Giubbe Rosse” di Firenze, sarà presentata nelle sale del Museo Civico d’Arte l’attività artistica innovativa di Claudio Scardino, artista dell’Avanguardia storica, scultore, artista multimediale e pittore. Forse poco conosciuto nel nostro territorio, in barba al fatto che Scardino sia proprio del capoluogo leccese, riscuote grande successo nel resto d’Italia e, soprattutto, all’estero. Fresco di riconoscimenti da parte del Museum of Modern Media, come della partecipazione alla Boston Biennal, porterà la sua arte nella sede istituzionale artistica per eccellenza del Comune galatinese. Mercoledì 01 febbraio, alle ore 18.00, interverrà presso il Museo, nella sala concessa in uso all’Università popolare con una inedita audio-istallazione e un’action painting che coinvolgerà nella realizzazione di una scultura nuova, i soci dell’Università e tutti coloro che ne prenderanno parte. L’artista guiderà così il pubblico nella riscoperta della classicità, adattandola al sentire moderno del nuovo millennio, spingendo gli spettatori a comprendere sino in fondo il personaggio proposto e ad agire in sua vece, attraverso una tecnica di sperimentazione e ricerca artistica, atta ad avvicinare lo spettatore all’Arte stessa. Alle ore 19.00 circa, a conclusine della sua azione d’arte, Claudio Scardino, alla presenza del Vice Prefetto Vicario Dr.ssa Matilde Pirrera, inaugurerà la mostra d’arte temporanea Oblivium. Al termine della cerimonia inaugurativa, accompagnerà i convenuti, nella degustazione del rinfresco inaugurale, uno spettacolo di musica e poesia, a cura del Trio Colore, che si esibirà per le ore 20.00 in un programma che condurrà gli spettatori in un viaggio musicale e poetico dal Barocco al Contemporaneo. Componenti del trio sono: Simone Fracasso (Violino), Francesco Napolitano (Chitarra) e Triscia Franco (Voce recitante).
L’artista, per la durata della Mostra, sarà disponibile ad incontrare il pubblico, ogni venerdì, a partire dalle ore 18.00. Nei sabati successivi (4, 11 e 18 febbraio) Scardino terrà delle azioni performative e di poesia, alla conclusione delle quali si esibiranno artisti musicali. Il tutto si concluderà domenica 19 febbraio, con un programma di varia natura che coinvolgerà altre istituzioni del territorio e vari operatori culturali e artisti salentini.
La cittadinanza tutta è invitata a una partecipazione numerosa e attiva.
Museo civico d’Arte “P. Cavoti” Pizza Alighieri Alighieri, n. 51, Galatina (LE), 73013 Tel. 0836/567568 e-mail: info@museocavoti.it
Per info: daniela.bardoscia@alice.it; tel. 3297669635, 3881197170
dic112021
Il 10 dicembre ricorre la Giornata mondiale dei Diritti Umani. La storia di questa ricorrenza è strettamente legata con quella di un evento fondamentale della storia mondiale, ovvero la proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani avvenuta il 10 dicembre del 1948.
“I diritti umani iniziano nei piccoli luoghi, vicino a casa, così vicini e così piccoli che non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. A meno che questi diritti non abbiano significato lì, hanno poco significato ovunque”, disse Eleanor Roosevelt quando per prima provò a spiegare l’importanza di un’azione concreta che ponesse al centro la libertà e la dignità di ogni essere umano e dello sforzo che ognuno, anche nel suo piccolo, può fare per attuare un cambiamento davvero radicale.
Per questo ogni 10 dicembre torniamo a ricordare che ogni uomo, senza distinzione alcuna, dovrebbe nascere libero ed uguale ad ogni altro. E non soltanto sulla carta.
Il Club per l’UNESCO di Galatina e della Grecìa Salentina, in collaborazione con il Circolo Culturale Athena di Galatina e l’Associazione Culturale Apsec di Lecce, celebrano la Giornata Mondiale dei Diritti Umani con un Concerto che si terrà Domenica 12 Dicembre alle ore 18.00 presso il Teatro Cavallino Bianco di Galatina, con la partecipazione del Musicista Compositore Santino Spinelli in arte Alexian, ed il suo gruppo.
Santino Spinelli è un Rom italiano, nato a Pietrasanta (LU) e residente a Lanciano in Abruzzo. Musicista, compositore, cantautore, è ambasciatore dell’arte e della cultura Romanì nel mondo; ha fondato” l’Orchestra europea per la Pace” elevando la musica folklorica romanì a livello sinfonico; con il suo Alexian group ha tenuto concerti per tre papi, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. La sua poesia “Auschwitz” orna a Berlino il monumento eretto nei pressi del Bundestag dedicato alla memoria del genocidio di Sinti e Rom durante il nazismo. Nel 2020 il Presidente Mattarella gli ha conferito l’Onorificenza di Commendatore dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”.
Salvatore Coluccia
Club per l’UNESCO di Galatina e della Grecìa Salentina
mar212024
Oggi venerdì 22 marzo alle ore 18:00, nella Sala conferenze dell’ex Palazzo De Maria, in Corte Taddeo, è in programma il terzo e conclusivo incontro che l’Università Popolare dedica alla poesia: l’evento odierno, che sarà introdotto dalla Vice Presidente Maria Rita Bozzetti, prevede una relazione del prof. Simone Giorgino su “La linea poetica salentina: appunti ed ipotesi di lavoro”.
Simone Giorgino, è ricercatore universitario di Letteratura italiana contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento. È presidente del Centro Studi Phoné e membro del Centro Studi “Vittorio Bodini”, del Gruppo di ricerca ALIEN–Archivio Letterario Italiano ed Europeo del Novecento e di MeMo-Memorandum Europeo della Modernità Otto/Novecentesca.
Oltre a vari saggi in riviste e miscellanee su scrittori italiani del Novecento, ha pubblicato: Antonio L. Verri. Il mondo dentro un libro (Lupo, 2013), L’ultimo trovatore. Le opere letterarie di Carmelo Bene (Milella, 2014) e Poeti in rivolta. poesia e industria nella letteratura italiana contemporanea (Sinestesie, 2018). Ha curato i volumi Vittorio Bodini-Vittorio Sereni, «Carissimo omonimo». Carteggio (1946-1966) (Besa, 2016), Nicola G. De Donno, Tutte le poesie (Milella, 2017), Girolamo Comi, Poesie. Spirito d’armonia, Canto per Eva, Fra lacrime e preghiere (con Antonio Lucio Giannone, Musicaos, 2019), Vittorio Pagano, Poesie. Calligrafia astronautica, I privilegi del povero, Morte per mistero, Zoogrammi (Musicaos, 2019) e Vittorio Pagano, Antologia dei poeti maledetti, Besa Muci, 2020, Carta poetica del Sud. poesia italiana contemporanea e spazio meridiano, Musicaos, 2022.
Ultima sua produzione è il volume curato insieme ad Alessio Paiano, Da questo altrove. Carmelo Bene e Il Sud del Sud dei santi. Una cartografia, Kurumuny edizioni, 2024.
Dai soli titoli delle opere del nostro illustre ospite si può ricavare come “la linea poetica salentina” emerga con grande attenzione attraverso la presenza di autori del nostro territorio che hanno ottenuto così un ruolo significativo nella storia letteraria del nostro paese, grazie proprio a eminenti studiosi, come Simone Giorgino, che sono riusciti a dare voce alle figure più rappresentative del Novecento letterario salentino.
Nella locandina di presentazione dell’evento sono state inserite alcune immagini raffiguranti, oltre a Simone Giorgino, alcuni dei poeti che saranno oggetto del suo intervento e precisamente: Salvatore Quasimodo (1901-1968), Leonardo Sinisgalli (1908-1981), Alfonso Gatto (1908-1976), Vittorio Bodini (1914-1970) e Rocco Scotellaro (1923-1953).
Mario Graziuso
feb092022
Sarà un aprile all’insegna della grande musica con due appuntamenti proposti da “I Concerti del Chiostro” che tornano in una nuova location, quella del Teatro Cavallino Bianco di Galatina, con la rassegna “Musica & Musica”, diretta dal M° Luigi Fracasso, con il patrocinio e il contributo del Comune di Galatina – Assessorato alla Cultura.
In programma due imperdibili serate: la prima, il 21 aprile alle ore 21, dedicata al violino di Anna Maria Badia Nikiforova accompagnata al pianoforte da Louise Sibourd e la seconda il 28 aprile, sempre alle ore 21, dedicata alle sofisticate atmosfere jazz di Sergio Cammariere e la sua band.
Anna Maria Badia Nikiforova inizia la sua carriera musicale all’età di sei anni, debuttando alla Gasteig Hall di Monaco nel Concerto per Enfant Prodige in rappresentanza della Spagna e tenendo la sua prima tournée nazionale in Spagna.
Nel 2014 si trasferisce a Londra per studiare con Richard Ireland (Royal Academy of Music). A
marzo 2016 debutta da solista con l’orchestra al Musikverein di Vienna, alla “Goldener Saal” in un ciclo di concerti per l’anniversario di Mozart, riscuotendo uno strepitoso successo. Nel 2021, si laurea a Vienna come Magister Artium (Master of Arts). Si esibisce regolarmente in recital e da solista con orchestra in Italia, Belgio, Francia, Portogallo, Regno Unito, Israele, Polonia, Bielorussia, Austria.
Louise Sibourd ha studiato a Parigi presso il Conservatoire National Supérieur“, a Praga e a Vienna. Ha inoltre ottenuto il premio d'interpretazione della città di Morges della Radio della Svizzera Romanda. Svolge una significativa attività concertistica in Europa, America latina, Asia e Africa, esibendosi presso le più rinomate sale da concerto come il Konzerthaus, il Musikverein, il Schönberg Center e il Radiokulturhaus di Vienna.
Docente presso le Conservatoire National Supérieur de Musique de Paris, Louise Sibourd è la dedicataria di composizioni musicali di G. Ligeti e G. Coral, delle quali ha realizzato esecuzioni in prima assoluta e numerose registrazioni.
Sergio Cammariere chiuderà la mini rassegna, affiancato dalla sua storica band composta da: Daniele Tittarelli – sax soprano, Luca Bulgarelli – contrabbasso, Amedeo Ariano – batteria e Bruno Marcozzi – percussioni.
Lo spettacolo rispecchia l'animo e l'approccio musicale unico dell'artista, perfetta combinazione tra intensi momenti di poesia, intrisi di suadenti atmosfere jazz, e coinvolgenti ritmi latini che accendono il live con calde atmosfere bossanova. Cammariere recupera dal baule dei ricordi i suoi successi più̀ acclamati, dipingendoli di nuove sfumature: “Tempo perduto” “Via da questo mare”,
“Tutto quello che un uomo”, il brano della prima partecipazione a Sanremo (nel 2003, ottiene il terzo posto in gara, il Premio della Critica e quello come “Migliore Composizione Musicale”), in un perfetto equilibrio armonico che ne sottolinea l’intensità emotiva. Le suggestioni del pianoforte svelano la melodia de “Dalla pace del mare lontano” aprendo la strada ad un ritmo incalzante contaminato di venature latine. E ancora “L’amore non si spiega”, con il suo testo impegnato e sentimentale in cui la musica sconfina nella poesia, mentre chiude il capitolo dei ricordi la vivace e autoironica “Cantautore piccolino”. Immancabili poi i tributi e gli omaggi ai memorabili cantautori che lo hanno ispirato durate la sua carriera.
La prevendita è su www.diyticket.it.
Il costo dell’abbonamento è di euro 20.00
Costo singolo biglietto: euro 10.00 21 aprile; euro 15.00 28 aprile.
Per info: www.iconcertidelchiostro.it – 331 4591008
Facebook-Instagram: I Concerti del Chiostro
Per gli eventi sarà necessario essere in possesso del Super Green Pass a partire dai 12 anni di età (avvenuta vaccinazione contro il Covid -19 oppure certificazione di avvenuta guarigione dal Covid -19).
Gloria Romano
Ufficio stampa I Concerti del Chiostro
gen112023
L’altra sera pensavo a quanto fosse bello, di più, sublime assistere a uno spettacolo dell’orchestra di fiati e percussioni di Noha (non so perché il termine banda m’appare decisamente riduttivo) diretta dalla mia amica M° Lory Calò. Ero al teatro Cavallino Bianco di Galatina tra le centinaia di convenuti al concerto di fine anno di giovedì 29 dicembre scorso, e godevo della musica degli autori imperituri come Mascagni, Šostakóvič, Verdi e Strauss, ma anche dei diciamo contemporanei (ormai anch’essi a tutti gli effetti nel novero dei classici), come Bobby Helms, Michel Jackson, André Rieu, o Louis Armstrong, senza tralasciare i motivi della tradizione natalizia non meno, come dire, eclatanti. Il tutto presentato in modo impeccabile dalla nostra Denise D’Amato, con un linguaggio studiato e connaturale insieme, nell’eleganza della dizione libera finalmente dalla marcata inflessione locale, quella che a tratti aberra dalla caratteristica modulazione della lingua nazionale.
Per la verità pensavo a questo e a molto altro, tipo alle differenze con il pressoché simultaneo (a meno di una manciata d’ore) concerto di capodanno trasmesso urbi et orbi dalla Fenice di Venezia, per non parlare dell’ancor più lussuosa esibizione delle opere liriche in mondovisione dal Musikverein di Vienna (la cui tradizione nacque nel 1939), e ne inferivo che quella galatinese non aveva nulla da invidiare alle altre rappresentazioni musicali tanto blasonate quanto foraggiate da denaro pubblico e donazioni private (meglio note come sponsorizzazioni con sgravi fiscali - a carico ancora una volta di Pantalone), onde le manifestazioni proletarie nostrane, perennemente senza fondi, hanno del miracoloso se messe a confronto con le programmazioni concertistiche da una certa latitudine in su. La stessa Fenice di Venezia, per continuare con l’esempio e per darne un’idea, registra introiti annui pari suppergiù a 28 milioni di euro, dei quali solo circa 3 milioni (poco più del 10%) da biglietteria e prestazioni; il resto mancia, nel senso di “contributi in conto esercizio”, metà dei quali a spese di stato, regione e comune, cioè nostre. Ancor più corposi i numeri della Scala di Milano che, sostanzialmente nelle stesse proporzioni, sono pari a tre volte tanto. Altro che la mangiatoia del nostro Cavallino Bianco (ogni Cavallino che si rispetti ne ha una, sia chiaro), ma se avessimo soltanto un quinto delle risorse di uno solo dei teatri mainstream non saremmo costretti a fare le nozze (di Figaro) coi fichi. Nel frattempo, in ossequio alla Finestra di Overton, a livello governativo si continua a blaterare sempre più insistentemente di “autonomia differenziata”: eufemismo che sta per separatismo regionale basato ancor di più sui privilegi per i territori ricchi a scapito dei più disgraziati. Indovinate quali.
Ma ritorniamo al nostro teatro comunale e alla serata organizzata per il crepuscolo dell’anno vecchio e l’inaugurazione del nuovo per ricordare l’ulteriore tocco di poesia da parte delle due graziose (emozionatissime) bambine che han recitato i rispettivi brani in versi, l’intervento di don Francesco Coluccia che ha raccontato la storia del Concerto Bandistico “San Gabriele dell’Addolorata” da lui medesimo presieduto da più o meno un decennio, e i ringraziamenti di Matteo Costantini, giovane presidente di una neonata associazione di imprese locali, che forse più che farli, i ringraziamenti, dovrebbe riceverli.
E non poteva di certo mancare l’epilogo coi fuochi d’artificio (non quelli che piovono dalla facciata della chiesa madre, ma quelli metaforici) da parte del padrone di casa, vale a dire il sindaco. Uno si aspettava la consueta retorica politica con spruzzatina di propaganda su Rinascimento o Rinascita in corso grazie all’“azione della nuova amministrazione”; e invece il leader nato (e forse anche Nato), andando ben oltre, ci ha regalato una delle sue memorabili perle. Sicché, rivolgendosi alla Lory Calò - che dal podio lo guardava attonita (così ci è parso) -, l’eletto se n’è uscito confessando di essere “invidiosissimo” del suo ruolo di direttore d’orchestra, per via del fatto che con una bacchetta il maestro riesce a far parlare [sic], voleva dire suonare, e quindi far tacere chi vuole lei, mentre a lui è toccato il ruolo di povero sindaco e – sottinteso - certi lussi non può mica permetterseli. Povera stella.
E mentre probabilmente il nostro primo cittadino – che non è uno sprovveduto - si mordeva la lingua per la battutona “dal sen fuggita” (copyright del Metastasio), i suoi followers sempre più calati nel ruolo di tifosi turibolanti, dimentichi oltretutto del fatto che certe cose dentro le istituzioni cosiddette democratiche non si dicono nemmeno per ischerzo (una bacchetta in mano al potere si chiama manganello), si spellavano le mani estasiati.
Contenti loro: c’è chi vive di solo panen, e chi si nutre di circenses, cioè di ogni cazzata che esce dalla bocca del proprio beniamino.
Antonio Mellone
dic132019
Sabato 14 dicembre, incontro con la critica d’arte Angela Serafino ed il suo omaggio all’artista Renato Centonze. RESTITUZIONE è il titolo del saggio che verrà presentato nel corso della serata e che raccoglie l’analisi della produzione delle opere di Centonze con il loro inquadramento storico. Lo stesso titolo scelto per il libro è un omaggio dell’autrice all’artista ed è al contempo un ricordo personale , RESTITUZIONE infatti è la parola che Centonze di più usava, nelle conversazioni sull’arte, volendo richiamare per questo l’attenzione sulla sua qualità interlocutiva: “ Senza restituzione non è pensabile un’opera d’arte, oggi più che mai.” Non si tratta quindi solo di far conoscere le opere dell’artista, per Angela Serafino, ma di far comprendere anche i processi da cui sono state generate, cogliendone i collegamenti dai segni grafici, alle tele ,alle pitto-sculture-sonore. A chi gli chiede come mai questo scritto a nove anni dalla scomparsa di Centonze, l’autrice risponde che era doveroso un ricordo dell’artista, per l’attualità della sua produzione e per i temi che vi ha affrontato in particolar modo quello della tutela della terra, si occupava della Foresta Amazzonica già dagli anni ’90, quando ancora l’argomento non era di tragica urgenza. L’incontro è il terzo della seconda stagione della Rassegna” Incontri al Collegio “, si terrà nella omonima Chiesa alle ore 18,30. Introduce Don Antonio Santoro Rettore della Chiesa di Santa Maria della Grazia.
Angela Serafino
Laurea in Lettere Moderne. Ha curato mostre e rassegne, collaborando con associazioni, gallerie, fondazioni, teatri ed enti locali, in luoghi che vanno da dimore storiche (Palazzo Comi, Lucugnano) all’Aula Consiliare del Comune di Lequile ( E .Leandro, Polistiroli 2007, al foyer del Teatro Stabile dell’Innovazione di Koreja (tre edizioni di Arti-col-azioni:appunti possibili) agli spazi aperti di Colacem, agli Uliveti dell’Arneo. In collaborazione con l’Università del Salento ed altri Enti di formazione ha svolto attività di formatrice nell’ambito di temi legati ai linguaggi dell’Arte. Ha scritto su questioni nodali dell’immagine, incluse quelle della riproduzione fotografica e dedicato saggi monografici all’opera di Ezechiele Leandro, dello scultore pietrante Nino Rollo e del pittore Renato Centonze. Tra i prodotti curati : Il paesaggio; La luce della poesia; Interno Notte Esterno Notte: L’eco delle Venneri; Portrait; Costruzione Corale-pratiche di arte contemporane; Il gusto della creazion; Walk in progress- L’arte portata a piedi; Entropy; Intimate Portrai;, Vote for my art; Il vento accarezza l’erba.
Esercizi fotografici: Fiorisce il cielo, “ Estranged from Beauty none can be”, Dalla terra la rosa trae poesia
Emilia Frassanito
ott232021
Dopo numerosi e opportuni lavori di ristrutturazione e un processo partecipato di sensibilizzazione della cittadinanza che ha coinvolto associazioni, istituzioni, scuole e operatori del settore, torna agibile il prestigioso Teatro Cavallino Bianco di Galatina (Le) con la cerimonia inaugurale che si terrà sabato 13 novembre alle ore 10.30 (prenotazione obbligatoria) e un ricco e qualificato programma di spettacoli sostenuto da Ministero della Cultura, Regione Puglia e Città di Galatina col sindaco Marcello Amante.
Si riparte con la consapevolezza del teatro come bene pubblico, come bene comune, risorsa importante per il riscatto culturale, sociale ed economico di una città depositaria di un patrimonio culturale invidiabile (Galatina è culla del tarantismo, città ricca di beni culturali come la Basilica di Santa Caterina, di eccellenze enogastronomiche).
Anche il programma degli spettacoli impaginato dall’associazione OTSE (Associazione Theatrikès Salento Ellada) diretta da Pietro Valenti, già direttore di Emilia Romagna Teatro, nell’ambito di un progetto speciale finanziato dal Ministero della Cultura, in partnership col Comune di Galatina, Regione Puglia e AMA-Accademia Mediterranea dell’Attore di Lecce, diretta da Franco Ungaro, è coerente con una visione di teatro pubblico di prossimità, vicino ai bisogni della comunità e dei più giovani e al profilo che il Cavallino Bianco ha sempre avuto come ‘Teatro di tutti’.
Un progetto che coinvolgerà gli studenti degli Istituti scolastici Superiori in attività di alternanza scuola-lavoro, attività laboratoriali e incontri con gli artisti ospiti.
L’intenso e articolato programma propone in esclusiva regionale e nazionale spettacoli di alto profilo artistico con la presenza di riconosciuti protagonisti della scena culturale e teatrale, come Marco Baliani, attore, drammaturgo, regista teatrale e scrittore tra gli inventori del teatro di narrazione, che propone una sua versione del Rigoletto di Verdi, lo stesso titolo con cui nel 1949 venne aperto il Cavallino Bianco. Baliani sarà in scena sabato 13 novembre alle ore 21.
Seguiranno gli appuntamenti con: Virgilio Sieni, danzatore e coreografo, inventore di una gestualità rituale, poetica ed evocativa col suo omaggio a Dante Alighieri (16 novembre); la compagnia di operette di Corrado Abbati con Sul bel Danubio blu (17 novembre); Daniel Pennac, noto al grande pubblico per i suoi romanzi di straordinario successo che hanno per protagonisti Benjamin Malaussène, la sua squinternata famiglia e il quartiere parigino di Belleville (19 novembre); Gabriele Lavia, una delle colonne portanti del teatro italiano, che al Cavallino Bianco porterà il suo recital su Leopardi (20 novembre); Nicoletta Manni, originaria di Santa Barbara di Galatina, dal 2014 prima ballerina del Teatro alla Scala di Milano che si esibirà insieme a Timofej Andrijasenko e al Maestro Luigi Fracasso (21 novembre); Mariangela Gualtieri, tra le più apprezzate poetesse italiane (25 novembre); Gino Castaldo, con le sue Lezioni di rock e gli omaggi a David Bowie e Franco Battiato (26 novembre )
Di rilevante impatto e riconoscibilità artistica saranno la nuova creazione di Fredy Franzutti, Haribaírg, con le allieve e gli allevi delle scuole di danza di Galatina, Ballet studio e Oistros balletto (23 novembre); lo spettacolo di Roberto Piumini, Mattia e il nonno, con Ippolito Chiarello e la regia di Tonio De Nitto (28 novembre); gli spettacoli rivolti alle famiglie e ai ragazzi Biancaneve, la vera storia con la regia di Michelangelo Campanale e la produzione del Crest di Taranto (14 novembre); l’attore e scrittore Fausto Romano, originario di Galatina e proiettato sulla scena internazionale col suo lavoro L’eterno riso (30 novembre)
IL FUTURO È ADESSO
13 novembre ore 10.30
Cerimonia inaugurale del Cavallino Bianco di Galatina
Nel corso della cerimonia si esibirà il corpo bandistico “San Gabriele dell’Addolorata” di Noha- Galatina diretta dal m° Loredana Calò
13 novembre ore 21
RIGOLETTO: LA NOTTE DELLA MALEDIZIONE
Marco Baliani con
Giampaolo Bandini chitarra
Cesare Chiacchiaretta fisarmonica
Musiche di Giuseppe Verdi, Nino Rota, Cesare Chiacchiaretta
Produzione Società dei Concerti di Parma
In collaborazione con Teatro Regio di Parma
Rigoletto è un monologo, quindi per farlo c’è bisogno di un personaggio in carne e ossa, spirito e materia. Poter rivestire per una volta la pelle di un altro e starci dentro dall’inizio alla fine: è una gioia particolare per me che in scena da narratore non ho mai la possibilità di calarmi interamente nelle braghe di chicchessia, sempre devo stare vigile a controllare e dirigere l’intero svolgersi della vicenda. La proposta fattami dal Teatro Regio di Parma di occuparmi, a mio modo, di una “rilettura” di un’opera di Verdi, la potevo facilmente risolvere con un bel reading, lettura più musica e via così. Mi son detto però che era l’occasione buona per osare un personaggio e incarnarlo, dopo tanto tempo, tornare a mettere mano a tutte le cose che ho imparato strada facendo sul mestiere antico dell’attore e provare a costruirci sopra un testo scritto, un bel canovaccio su cui giorno dopo giorno, provando, creare un dire per niente letterario, ma concreto, materico. Compreso il trucco in faccia e il costume preso in prestito nei depositi del teatro Regio, appartenuti ai tanti Rigoletti passati da quelle parti. Poi c’è stata la mia passione per gli esseri del circo, ma quei circhi piccoli, non eclatanti, non amo i “soleil” circensi fatti di effetti speciali e artisti al limite della robotica per la bellezza scultorea e bravura millimetrica del corpo. No, preferisco la rozzezza faticosa ma meravigliosa di quei circhi dove chi strappa i biglietti te lo ritrovi dopo vestito da pagliaccio e il trapezista sa anche fare giocolerie, esseri nomadi, zingarescamente affamati di vita, mi prende uno struggimento totale quando varco quei tendoni, a percepire la fatica quotidiana di un vivere precario ma impeccabile. Volevo fare un omaggio alle cadute, alle sospensioni, alle mancanze di appoggi.
Marco Baliani
14 novembre ore 17.30
Testo, regia, scene e luci Michelangelo Campanale
con Catia Caramia, Maria Pascale, Luigi Tagliente
costumi Maria Pascale
assistente alla regia Serena Tondo
tecnici di scena Walter Mirabile e Roberto Cupertino
produzione Crest, vincitore Eolo Award 2018 e premio Padova 2017 – Amici di Emanuele Luzzati.
L’ultimo dei sette nani diventa testimone dell’arrivo di una bambina coraggiosa, che preferisce la protezione del bosco sconosciuto allo sguardo, conosciuto ma cupo, di sua madre. Una madre che diventa matrigna, perché bruciata dall’invidia per la bellezza di una figlia che la vita chiama naturalmente a fiorire. Nel bosco Biancaneve aspetta come le pietre preziose che, pazienti, restano nel fondo delle miniere, fino a quando un giorno saranno portate alla luce e potranno risplendere di luce propria ai raggi del sole.
Tutti i bambini conoscono già questa fiaba, lo spettacolo del Crest li vuole portare per mano “dietro le quinte” della storia, lì dove prendono forma e vita i personaggi, i loro sentimenti e le loro azioni, talvolta buoni e talvolta cattivi, quasi mai sempre buoni o sempre cattivi. Proprio come uno spettacolo: un po’ comico, un po’ emozionante; o come la vita che impariamo ad affrontare: un po’ dolce, un po’ irritante, un po’ divertente, un po’ inquietante, un po’.
Con questo lavoro continua il progetto che il Crest condivide con l’immaginario di Michelangelo Campanale – ricordiamo “La storia di Hansel e Gretel” (2009) e “Sposa sirena” (2012) – per raccontare ai ragazzi storie che riescano ad emozionarli davvero, senza edulcoranti e senza bugie, ma solo con grande rispetto della loro capacità di comprendere ed elaborare pensieri e opinioni in autonomia, semplicemente sulla strada della crescita.
16 novembre ore 21
PARADISO
Regia, coreografia e spazio Virgilio Sieni
musica originale Paolo Damiani
interpreti Jari Boldrini, Nicola Cisternino, Maurizio Giunti, Andrea Palumbo, Giulio Petrucci
costumi Silvia Salvaggio
luci Virgilio Sieni e Marco Cassini
allestimento Daniele Ferro
produzione Comune di Firenze, Dante 2021 comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni in collaborazione con fondazione teatro Amilcare Ponchielli – Cremona
Il Paradiso di Dante ricompone il corpo secondo una lontananza che è propria dell’aura, un luogo definito dal movimento, da ciò che è mutevole. Un viaggio che si conclude nello spazio senza tempo della felicità.
Dante non è un flâneur, viaggiatore della notte alla ricerca di se stesso nelle pieghe infernali della città; né un wanderer, viandante immerso negli abissi della malinconia e letteralmente risucchiato dai paesaggi emozionali; né un passeggiatore scanzonato, come ci indica divinamente Petrarca, cioè un camminatore che tiene lontani i pensieri invadenti e si sospende nell’ “errabondare tra le valli”. È un cammino dall’umano al divino, dal tempo all’eterno. Lo spettacolo è la costruzione di un giardino e non riporta la parola della Divina Commedia, non cerca di tradurre il testo in movimento ma si pone sulla soglia di una sospensione, cerca di raccogliere la tenuità del contatto e il gesto primordiale, liberatorio e vertiginoso dell’amore. Danza dialettale che si forma per vicinanze e tattilità.
Nella prima parte la coreografia è costruita per endecasillabi di movimenti dove i versi della danza ritrovano il risuonare della rima da una terzina all’altra. Questo continuo manipolare, accarezzare e pressare lo spazio invisibile intorno ai corpi edifica un continuum di terzine sillabiche del gesto: una maniera umile per porsi nei confronti della loro magnificenza geometrica, matematica e cosmica. Allo stesso tempo il gesto scaturisce da una ricerca sullo spazio tattile e sull’aura della persona.
Nella seconda parte tutto avviene cercando nel respiro delle piante la misura per costruire un giardino quale traccia e memoria dei gesti che lo hanno appena attraversato. La coreografia è costruita portando, sollevando e depositando le piante nello spazio. Le piante, la cosa alta, restituiscono il vero senso della danza, la lingua penultima: dialettale e popolare, in grado di mettere in dialogo le persone secondo declinazioni astratte, simboliche, inventate e immediatamente inscritte nella memoria.
17 novembre ore 21
SUL BEL DANUBIO BLU
Compagnia Corrado Abbati
musiche di Johann Strauss
coreografie Giada Bardelli
direzione musicale Marco Fiorini
Poco più di 150 anni fa Johann Strauss figlio scriveva quello che sarebbe diventato il manifesto di un'intera epoca: Sul bel Danubio blu. Più che un semplice valzer, il simbolo di un mito che ancora oggi vive e si rinnova generazione dopo generazione: chi non lo conosce? Chi non lo canticchia? Un'espressione di buonumore, di voglia di vivere, di fare festa. Ecco dunque uno spettacolo pieno di gioia e di buon umore: caratteristiche tipiche di una delle più importanti espressioni di quell’epoca: l’operetta!
Una “rivista” dove il ritmo della narrazione e l’armonia degli spunti melodici unisono e fondono, in una sequenza di allegri e spensierati episodi, gli stilemi delle espressioni teatrali tipiche dell’epoca: dalla commedia all’operetta, dalla musica da ballo all’opera. Uno spettacolo pieno di leggerezza e seduzione dove, ballando un vorticoso valzer, può succedere di innamorarsi, perché questa è musica che scioglie i cuori e scalda l’anima.
Buon divertimento! Corrado Abbati
Le musiche di Strauss, Lehar, Kalmann, Abraham, sono i cardini di questo spettacolo in quanto non si tratta di una serie di arie come in un concerto, ma di una vera e propria drammaturgia in forma scenica dove la coppia lirica, quella comica, gli assieme e le coreografie si integrano in vere e proprie e scene tratte da “Il pipistrello”, “La vedova allegra”, “La principessa della czarda”, “Ballo al Savoy”, solo per citarne alcune. Ne nasce quindi uno spettacolo pieno di ritmo e praticamente privo di quei tempi morti che si trovano spesso nei libretti di ogni lavoro teatrale.
19 novembre ore 10
COMPAGNIEMIA MOUVEMENT INTERNAZIONAL ARTISTIQUE
DANIEL PENNAC
Incontro con le Scuole
19 novembre ore 21
DAL SOGNO ALLA SCENA
Un incontro teatrale
di e con Daniel Pennac
e con Pako Loffredo e Demi Licata
mise en espace Clara Bauer
musiche Alice Loup
Produzione Compagniemia – Mouvement International Artistique
Un incontro « teatrale » che nasce dal desiderio di raccontare e condividere con il pubblico il lavoro creativo di Compagniemia con Daniel Pennac, un montaggio che mette in evidenza alcuni passaggi dei suoi ultimi adattamenti teatrali uniti nella magia della scena, che disegneranno l'universo narrativo e onirico dell'autore .
"Che ci faccio qui? Che ci sto a fare dietro le quinte di questo teatro, dietro a questa porta che sta per aprirsi sul palcoscenico? Io! Su un palcoscenico! Che mi ha preso? Io che non ho mai voluto fare l'attore! Tra poco la porta si aprirà e io mi precipiterò in scena. Perché? Perché io? In che cosa ti sei andato a cacciare? Che cosa hai nella testa?"
Daniel Pennac, in scena con alcuni suoi compagni di viaggio di CompagnieMia, Pako Ioffredo e Demi Licata, con le musiche di Alice Loup e la mise en espace di Clara Bauer, entrerà dal vivo fra le pieghe dei suoi libri e dei suoi ultimi spettacoli, incontrando il pubblico in quella linea di confine fra interpretazione e narrazione, lettura e recitazione. La piuma di Pennac gioca con la poesia della scena.
E che il piacere e lo humour ci guidino!
Incontro in lingua italiana ed in lingua francese tradotta dal vivo in italiano
20 novembre ore 21
LEOPARDI
di e con Gabriele Lavia
produzione Effimera srl –
L’attore non legge né interpreta le poesie di Giacomo Leopardi, ma riversa sul pubblico, in un modo assolutamente personale nella forma e nella sostanza, le più intense liriche dei Canti e non solo, da “A Silvia” a “L’Infinito”, dal “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” a “Il sabato del villaggio” e a “La sera del dì di festa”.
I versi leopardiani ripetono che l’amore, l’intimità rubata e immaginata fatta di attese e ricordo, i sogni senza sonno, le nobili aspirazioni dell’animo, le speranze che riscaldano lo spirito umano e che a volte svaniscono di fronte alla realtà, sono tutti elementi che rendono faticosa e impegnativa la vita, ma straordinariamente degna di essere vissuta.
È un viaggio nella profondità dell’animo umano, un nuovo omaggio al poeta, a quella sua nuova voglia di sondare la parola e il suono in un momento della sua esistenza che si tramutò in esaltante creatività artistica.
«Le poesie di Leopardi sono talmente belle e profonde che basta pronunciarne il suono, non ci vuole altro – spiega Gabriele Lavia -. Da ragazzo volli impararle a memoria, per averle sempre con me. Da quel momento non ho mai smesso di dirle. Per me dire Leopardi a una platea significa vivere una straordinaria ed estenuante esperienza. Anche se per tutto il tempo dello spettacolo rimango praticamente immobile, ripercorrere quei versi e quel pensiero equivale per me a fare una maratona restando fermo sul posto».
23 novembre ore 21
Haribaírg
performance di danza in una parte
Coreografia di Fredy Franzutti
Con Allieve e Allievi Scuole di danza: A.S.D. BALLET STUDIO / OISTROS BALLETTO
La restituzione alla comunità del contenitore che ospita il flusso della trasmissione culturale tra arte e pubblico è opportunità per elaborare il luogo come “Haribaírg” nel significato gotico che sta alla radice di “Albergo”. Ospitare, Accogliere, Custodire, Contenere sono sinonimi che possono descrivere un “luogo ricettivo” e un’attività teatrale virtuosa. L’ispirazione viene dal nome del Teatro dedicato all’operetta di Ralph Benatzky “Al Cavallino Bianco” che si svolge appunto in un albergo in Baviera. La narrazione non è nel testo dell’operetta, che viene solo citata nelle atmosfere e nei personaggi, ma nel concetto allontanante di un’operetta Bavarese calata nella società, tradizioni e storia della cittadina di Galatina. Le immagini del mito di Atena, Santa Caterina, il Barocco, i riti pagani di Pietro e Paolo, la vita rurale e il Salento vengono ospitate e sovrapposte nella condizione surreale dell’albergo bavarese creando la situazione onirica e straniante come il nome del Teatro che appare senza connessione con il tessuto sociale e culturale della cittadina. Il ponte fantasioso tra Salento e Baviera, che sembrano, e sono, due estremi distanti di una parabola stilistica ed emotiva, si accorcia e trova sintesi nella figura di Carlo V d’Asburgo. La presenza dell’imperatore che governa dai paesi bassi al sud Italia, che appare nel finale della performance, offre coerenza al progetto come messaggio di unità. Non solo casualmente, anche nel finale dell’operetta, “Al cavallino Bianco”, appare un Re: deus ex machina e risolutore delle incoerenze del testo. Fredy Franzutti
25 novembre ore 21
IL QUOTIDIANO INNAMORAMENTO
rito sonoro di e con Mariangela Gualtieri
con la guida di Cesare Ronconi
Produzione Teatro Valdoca con il contributo di Regione Emilia-Romagna, Comune di Cesena
Il quotidiano innamoramento dà voce ai versi di Quando non morivo, recente silloge einaudiana di Mariangela Gualtieri, li intreccia ad altri del passato e compone tutto in una partitura ritmica ben orchestrata, con un aggancio, in questa occasione, al tema della memoria. Tutto muove dalla certezza che la poesia attui la massima efficacia nell’oralità, da bocca a orecchio, in un rito in cui anche l’ascolto del pubblico può essere ispirato, quanto la scrittura e quanto il proferire della voce.
Mariangela Gualtieri è nata a Cesena, in Romagna. Si è laureata in architettura allo IUAV di Venezia. Nel 1983 ha fondato, insieme al regista Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca, di cui è drammaturga. Fin dall’inizio ha curato la consegna orale della poesia, dedicando piena attenzione all’apparato di amplificazione della voce e al sodalizio fra verso poetico e musica dal vivo.
Fra i testi pubblicati: Antenata (Crocetti ed.,1992 e 2020), Fuoco Centrale (Einaudi, 2003), Senza polvere senza peso (Einaudi, 2006), Sermone ai cuccioli della mia specie (L’arboreto Editore, 2006), Paesaggio con fratello rotto (libro e DVD, Luca Sossella Editore, 2007), Bestia di gioia (Einaudi, 2010), Caino, (Einaudi, 2011), Sermone ai cuccioli della mia specie con CD audio (Valdoca ed., 2012), A Seneghe. Mariangela Gualtieri/Guido Guidi (Perda Sonadora Imprentas, 2012), Le giovani parole (Einaudi, 2015), Voci di tenebra azzurra (Stampa 2009 ed., 2016), Beast of joy. Selected poems (Chelsea Editions, New York, 2018), coautrice – con Cesare Ronconi e Lorella Barlaam - dell’Album dei Giuramenti/Tavole dei Giuramenti (Quodlibet, 2019) di Teatro Valdoca, Quando non morivo (Einaudi, 2019), Paesaggio con fratello rotto (Einaudi, 2021).
26 novembre ore 10 per le Scuole
LEZIONI DI ROCK con Gino Castaldo
Ascoltare la musica, vedere la musica, raccontare la musica. Gino Castaldo, critico musicale del quotidiano “La Repubblica”, in Lezioni di Rock indaga temi e personaggi della storia del rock, ricostruendo storie, raccontando dischi, curiosità, aneddoti e testi, per guidare il pubblico nell’ascolto di opere che fanno parte della storia della musica ma anche della vita di noi tutti. Due ore di lezione ricche di canzoni memorabili e storie indimenticabili.
David Bowie L’8 gennaio 2016, giorno del sessantanovesimo compleanno, è uscito Blackstar, considerato il suo “canto del cigno”. Due giorni dopo, nella notte del 10 gennaio, David Bowie si è spento nel suo appartamento di New York. Anche la sua morte può essere considerata un’opera d’arte.
Musicista, cantautore, attore, produttore discografico, artista completo e intellettuale complesso, ha attraversato cinque decenni di evoluzione culturale, in particolare della musica rock, lasciandosi periodicamente dietro le spalle i più diversi stili con i quali si è cimentato, le più diverse immagini che ha incarnato.
Dal folk acustico all’elettronica, dal glam rock, al soul, dal cinema al video, dal palco alla scrittura, ha influenzato il pensiero, i gusti, le mode di varie generazioni del “secolo breve”.
26 novembre ore 21
LEZIONI DI ROCK Con Gino Castaldo
Franco Battiato Un colosso della cultura italiana, un intellettuale che ha usato ogni mezzo possibile per promuovere arte e bellezza, un artista che con incredibile originalità ha realizzato opere che, senza alcun dubbio resteranno nel tempo, pittore, regista, scrittore, compositore, direttore d’orchestra, cantante, autore, divo pop, e tanto altro. Ed è stato poeta, nel senso pieno del termine, perché con le parole ci ha fatto vedere cose che non avremmo visto altrimenti, provare emozioni fortissime, ci ha fatto scoprire e conoscere cose che non conoscevamo, è stato “maestro” in grado di insegnare e mostrare. E saranno proprio le sue parole a mancarci di più, quelle de “La cura” o di “Povera patria”, parole, dure e dolci, mescolate alle sue melodie, in grado di farci vedere la nostra misera vita quotidiana da altezze inarrivabili, ci mancherà la sua visione, mistica e misteriosa, e il suo saperci portare in ogni momento in ogni luogo del mondo.
28 novembre ore 17.30
MATTIA E IL NONNO
di Roberto Piumini dal romanzo omonimo pubblicato da Einaudi Ragazzi
con Ippolito Chiarello
adattamento e regia Tonio De Nitto
musiche originali Paolo Coletta
Costume Lapi Lou
Luci Davide Arsenio
Tecnico Matteo Santese
Organizzazione Francesca D’Ippolito
coproduzione Factory compagnia transadriatica , Fondazione Sipario Toscana in collaborazione con Nasca Teatri di Terra
Mattia e il nonno è un piccolo capolavoro scritto da Roberto Piumini, uno degli autori italiani più apprezzati della letteratura per l’infanzia.
In una lunga e inaspettata passeggiata, che ha la dimensione forse di un sogno, nonno e nipote si preparano al distacco, a guardare il mondo, a scoprire luoghi misteriosi agli occhi di un bambino, costellati di incontri magici e piccole avventure pescate tra i ricordi per scoprire, alla fine, che non basta desiderare per ottenere qualcosa, ma bisogna provare e soprattutto non smettere mai di cercare.
In questo delicato passaggio di consegne il nonno insegna a Mattia, giocando con lui, a capire le regole che governano l’animo umano e come si può fare a rimanere vivi nel cuore di chi si ama.
Una tenerezza infinita è alla base di questo straordinario racconto scritto con dolcezza e grande onirismo. Un lavoro che ci insegna con gli occhi innocenti di un bambino e la saggezza di un nonno a vivere la perdita come trasformazione e a comprendere il ciclo della vita.
Domenica 21 novembre ore 21
Nicoletta Manni – Timofej Andrijasenko
Passo a due da “Il Corsaro”
Musiche: Adolphe Adam Coreografie: Marius Petipa
Passo a due da “Caravaggio”
Musiche: Bruno Moretti Coreografie: Mauro Bigonzetti
Passo a due da “Luminus”
Musiche: Max Ritter Coreografie: Andras Lucaks
Maestro Luigi Fracasso
L. v BEETHOVEN Sonata in Do diesis min. op. 27 n. 2 min 17
Adagio sostenuto
Allegretto
Presto agitato
F. CHOPIN Notturno in Fa min. op. 55 n. 1
Polacca in La bemolle magg. op. 53
Nicoletta Manni, nome di punta della compagnia del Teatro alla Scala è nata e cresciuta a Santa Barbara di Galatina (Lecce, Italia).
Ha ricevuto la sua formazione iniziale presso la scuola di ballo di sua madre, a 13 anni è ammessa al 4° corso presso la Scuola di ballo del Teatro alla Scala. Nel 2009, dopo essersi diplomata all'età di 17 anni, ha ricevuto un contratto presso lo Staatsballett di Berlino sotto la direzione di Vladimir Malakhov, dove è rimasta per tre stagioni, prendendo parte in tutte le produzioni classiche e contemporanee. Sotto l'invito di Makhar Vaziev, è tornata in Italia, nella compagnia del Teatro alla Scala, debuttando con Myrtha(Giselle) e Odette/Odile nel Lago dei cigni di Rudolf Nureyev. Un anno dopo, all'età di 22 anni, è stata promossa Prima Ballerina del Teatro alla Scala. Da allora ha ballato tutti i ruoli principali, accanto a etoile e ospiti internazionali, interpretando molte nuove creazioni, oltre ai numerosi capolavori del repertorio classico.
Timofej Andrijasenko nato a Riga, in Lettonia, nel novembre 1994, dove inizia i suoi studi di balletto alla National State Academy. Nel 2009, all'età di 14 anni, ha partecipato al Concorso Internazionale di Danza "Città di Spoleto", vincendo una borsa di studio; questo premio gli consente di frequentare il Russian Ballet College di Genova diretto da Irina Kashkova, dove si diploma nel giugno 2013. Da novembre 2014, su invito di Makhar Vaziev, entra a far parte del corpo di ballo del Teatro alla Scala e nel 2018 viene promosso Primo Ballerino. è nel cast dei marinai russi in The Nutcracker di Nacho Duato ed è tra i principali interpreti di Cello Suites di Heinz Spoerli.
Luigi Fracasso, pianista italiano, di Galatina (Le) ha compiuto gli studi musicali presso il Conservatorio di Musica di Stato “T. Schipa” di Lecce, conseguendo con il massimo dei voti il Diploma di Pianoforte. Aldo Ciccolini ha scritto: “… Luigi Fracasso è un musicista vero, agguerritissimo, con idee sane sulla nostra arte e con un vivo senso della logica strumentale.”. È direttore artistico dei concerti del chiostro.
30 novembre 2021 – ore 21
L’eterno riso
di e con Fausto Romano
musiche, eseguite dal vivo, di Eva Parmenter
Produzione FAUST
I pomeriggi d’estate, in un afoso Salento, il chierichetto Faustino, di otto anni, si reca con padre Luigi a “prendere i morti” da casa per far loro il funerale. È un bambino acuto, attento e analizza il tutto con estrema curiosità cogliendo le diverse contraddizioni del rito e i lati colorati della più grande recita della vita, dove ognuno vuol togliere al morto la parte del protagonista. Incontriamo allora il becchino Rafele, che per fare il suo lavoro deve vestirsi obbligatoriamente di nero e tagliarsi i capelli; la ventriloqua Maria che colleziona presenze in chiesa; Gianni, che si è costruito da solo la propria bara finendoci dentro con una donna; il “cane degli inferi”, presente a ogni corteo funebre; la banda musicale che accelera il passo e il ritmo dei brani per tornarsene presto a casa... E ancora, il numero di manifesti mortuari perché “più manifesti ci sono, più il morto è importante”; gli strani oggetti contenenti nelle bare; le divertenti frasi di congedo e i pericolosissimi elogi funebri tenuti dagli amici del “fu”.
Fausto Romano, con la sua usuale leggerezza e intelligente vena umoristica, ci trasporta in un paesino del Salento degli anni novanta nel quale ognuno di noi potrà ritrovarsi e scoprire che la morte, alla fine, è uno spettacolo per tutti.
info: 3881814359 / 3201542153
mail: officinetse.com
www.otse.it
Prevendita online dal 28 ottobre su: www.diyticket.it
Prevendita presso la biglietteria del teatro Cavallino Bianco
Via Giuseppe Grassi, n.13 – GALATINA (Le) dal giorno 26 ottobre
dal lunedì al venerdì dalle ore 16.30 alle ore 19.30
sabato dalle 10 alle 13
Prenotazione tramite centralino telefonico:
la prenotazione del biglietto e quindi del posto a sedere può essere effettuata anche
chiamando i seguenti numeri telefonici 388.1814359 / 320.1542153 a condizione che il biglietto venga poi ritirato in botteghino entro 24 ore dalla prenotazione, altrimenti la stessa viene considerata annullata.
mar132024
Con il contributo della maestra Paola Congedo e ovviamente del sottoscritto, diretti nipoti del pittore di Noha, si è voluto organizzare una piccola mostra con alcune opere del pittore di Noha, Michele D'acquarica.
Quindi è tutto pronto per condividere un pensiero positivo che nonostante i malanni della vita moderna e relative conseguenze spesso insostenibili, ha resistito fino ai nostri giorni.
È un messaggio, quello dell'artista della pittura e della poesia, che seppur nelle difficoltà della vita, ha voluto che restasse il più a lungo possibile con i suoi figli, i suoi nipoti e infine con tutti noi.
Marcello D'acquarica
lug222019
Un tempo era la valigia di cartone. Poi arrivarono i pacchi, quelli sigillati con nastro adesivo marrone anche per rinforzarli un po', e legati con lo spago per una presa migliore.
Ma non pensate che i pacchi di cartone siano un retaggio del passato, ché invece sono più attuali che mai. Sì, certo, oggi non vengono più ostentati in treno (o in aereo) come avveniva solo qualche lustro fa, ma affidati a un corriere, spesso ancora quello Salentino di fiducia a km zero più che a quello anonimo delle multinazionali della logistica.
Il minimo comun sindacale del Pacco tuttavia è sempre quello: vale a dire il contenuto che non può prescindere dalla busta di friselle, la salsa già pronta, il Boccaccio di marmellata (in maiuscolo: è poesia), la crostata, il sacchetto con le noci, la puccia-e-il-panetto-cotti-a-legna, la bottiglietta di olio dell'orto degli ulivi, le paste di mandorla, il salame sottovuoto del supermercato sotto casa, un limone del giardino... Quanto ai pasticciotti la scuola di pensiero prevalente è quella di evitarne decisamente la spedizione, se no s'incavola Ascalone e appare in sogno con il dito puntato su mittente e destinatario.
Prima del sigillo finale, un paio di scatolette di tonno (magari pescato nel Mar del Nord) per obliterare eventuali interstizi.
A proposito di buon cibo, avvisiamo i nostri ospiti che a Noha per fortuna non si muore ancora di fame, e che la sera della kermesse, prima o dopo lo spettacolo teatrale, potranno mettere qualcosa sotto i denti rivolgendosi ai seguenti locali: Bar Settebello in piazza San Michele; Pizzeria/Pucceria/Rosticceria Scacco Matto nella bella via Pigno; Trattoria-Pizzeria Le Putìe in via Catania; Bar Pasticceria Pizzeria Madagascar di via Nievo; Bar Gelateria Pasticceria Dulcis di via Collepasso; Pasticceria e Gelateria Zucchero e Cannella prospiciente i Giardini Madonna delle Grazie; Bar Birreria Tribal Cafè di via Tiziano.
Con la speranza di non aver scordato nessuno, cari Salentini nel Mondo Welcome to Noha and enjoy your meal.
Gli organizzatori
feb132019
Si tratta di un libro straordinario da comprare, leggere e conservare dal titolo " Reputu ", vale a dire un pianto funebre delle piazze rurali del nostro Salento. Oltre alla classica presentazione del libro ad allietare la serata ci saranno gli interventi musicali di Enzo Marenaci leader e voce dei " Cantori della Giurdana ", Marina Leuzzi voce femminile del gruppo folk " I Cardisanti " e gli immancabili interventi del filosofo cantastorie Roberto Vantaggiato. A presentare la serata Raimondo Rodia che terrà a bada anche il vulcanico autore del libro Giovanni Leuzzi. L'appuntamento da non perdere è per venerdi 15 febbraio 2019 alle ore 18.30, presso la biblioteca comunale di Tuglie, in via Risorgimento. Dopo i saluti istituzionali del sindaco Massimo Stamerra e del vice sindaco ed assessore alla Cultura Silvia Romano, si aprirà questa kermesse di musica, poesia, lingua, tradizione, storie ed aneddoti locali. Di seguito la sinossi del libro e due righe sulla vita professionale del prof. Leuzzi.
Il poema in ottava rima e in rigoroso dialetto salentino, che utilizza a pretesto narrativo una divertente storia paesana, fotografa, con i toni e registri più diversi e seguendo il libero andare della memoria, il rapido e per molti versi catastrofico diluirsi, in un nulla ancora indistinto, della millenaria civiltà contadina; una civiltà che nei centri rurali del Salento aveva realizzato, pur in un quadro diffuso di povertà, sfruttamento ed ingiustizia, straordinari risultati di risposta ai bisogni collettivi, di socialità ed identità culturale. Le piazze di quei paesi, che negli ultimi anni sono state oggetto di importanti rifacimenti strutturali ed estetici dagli effetti spesso scenografici, perduta ogni funzione economica e sociale, oggi si presentano come spazi vuoti di presenza umana, freddi, senza storia, senza anima e memoria e ormai da decenni attendono nuova linfa e nuova vita, che sarà, se mai, del tutto diversa da quella di un passato leggendario ed irripetibile. L’ottava rima, con la musica e le cadenze sue proprie, poggia sulla strepitosa padronanza di una lingua che, già grande di suo, si è strutturata nei secoli con scambi, arricchimenti ed imprestiti i più diversi, consentendo al popolo del Salento straordinarie capacità espressive, comunicative e creative; lingua che nel poema è strumento formidabile per il disegno di quadri, situazioni e personaggi, lo sviluppo del pensiero e del racconto, il dipanarsi di nostalgiche ricostruzioni e di ironiche, ma spesso amare e desolate invettive, tutte giocate tra il semiserio rimpianto del passato e la icastica condanna del presente.
Giovanni Leuzzi, laureato in Lettere Classiche, già docente nelle Scuole Superiori, da sempre impegnato in politica e per lunghi anni consigliere e vicesindaco di Cutrofiano, ha operato tutta la vita tra politica e cultura, privilegiando, oltre che importanti percorsi storico-letterari, la conoscenza e l’indagine sulla storia del Meridione e del Salento, sulle varie espressioni della cultura locale (arte, musica, religione), sulle evidenze linguistiche, espressive e documentali della macroarea griko-salentina. Anche l’approdo recente a prove poetiche in dialetto salentino è nello stesso tempo conferma e sviluppo di tale impegno, vissuto e perseguito con costante passione.
Raimondo Rodia
lug232012
Prendi tre sorelle, molto diverse tra loro, e falle ritrovare dopo qualche anno nella casa in cui sono cresciute, a Barnwell, piccola cittadina universitaria del Midwest americano. Tre sorelle che apparentemente sembrano non avere nulla in comune, se non una smodata passione per la lettura; tre sorelle caratterialmente molto diverse, che aspirano a sogni differenti e che hanno fatto scelte molto diverse nella vita. Ora che ce l’hai tutte e tre sotto lo stesso tetto, adesso che si prendono cura della madre che ha scoperto di avere un tumore al seno e che si ritrovano di nuovo a star dietro al padre, eccentrico docente di letteratura inglese, cultore di Shakespeare in particolar modo (di cui conosce a fondo tutta l’opera), ecco ora che ce l’hai tutte e tre di fronte prova a tessere una trama, prova a pensare a come dipanare la matassa di una possibile storia.
Ti dovrei dare qualche altro suggerimento, magari un piccolo aiuto ti potrebbe essere sufficiente a capire un sacco di cose riguardo la piacevole storia di Rosalinda, detta Rose, Bianca, meglio conosciuta come Bean, e da ultimo Cordelia, da tutti chiamata Cordy. Tre sorelle non a caso fatali, che non a caso si ritrovano vestite dalla penna di Eleanor Brown ognuna con una particolare personalità. Basta, ve lo dico (anche perché lo trovate subito scritto in copertina!): il collante della storia è Shakespeare, tutti i pezzi stanno insieme grazie a lui.
Sfogliate infatti l’opera del sommo poeta inglese e capirete subito che le sorelle fatali alludono in realtà alle tre streghe del Macbeth, che Rose, Bean e Cordy si ritrovano addosso, per volere del padre, i nomi di eroine di matrice shakespeariana, e che ad unirle è la straordinaria capacità di citare Shakespeare in ogni occasione durante la giornata.
«La nostra è una storia trina, dalla linea di confine in continuo movimento, caotica, priva di equilibrio, di equanimità. Due contro una oppure una contro l’altra, mai tutte e tre insieme. Il giorno della nascita di Cordy, Rose si alleò con Bean. Due contro una. E quando Bean si ribellò, rifiutandosi di partecipare ai giochi proposti da Rose, lei scoprì di potersi coalizzare con Cordy, che accettò docilmente il ruolo di gregaria. Due contro una. Finché Rose non se ne andò di casa e fummo di nuovo divise, una contro l’altra».
Un romanzo, quindi, molto piacevole, da leggere sotto l’ombrellone. Una storia poco impegnativa, molto lineare (a volte banale e scontata), scritta con uno stile abbastanza sobrio, digiuno di sofisticazioni letterarie. Di certo non può essere considerata una rivelazione, ma Le sorelle fatali (Neri Pozza, pp. 363, 2011) è senz’altro un buon sostituto ai romanzi sdolcinati e troppo commerciali che da qualche anno a questa parte siamo abituati a mettere nella sacca da mare.
Se non altro, questa è una buona occasione per rispolverare la poesia del bardo.
Michele Stursi
ago302010
ott212017
“A Sud della Musica – La voce libera di Giovanna Marini” è il primo documentario italiano sulla straordinaria figura di Giovanna Marini, cantautrice e grande studiosa della musica popolare e sociale in tutte le sue forme.
Il film accompagna Giovanna nel suo ennesimo viaggio alla ricerca di voci e volti: un viaggio che porta sempre verso Sud, dove l’oralità del patrimonio culturale è ancora presente sotto forme diverse. “A Sud della Musica” è un viaggio incontenibile e inesauribile di una viandante che non vuole smettere di inseguire gli odori, i sapori e i colori di una cultura sempre in pericolo.
Attraverso il lavoro di ricostruzione, l’artista diventa garanzia e strumento di trasmissione della storia popolare.
> Il ritorno nel Salento
Tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre del 2017 Giovanna Marini tornerà nel Salento per ripercorrere i luoghi visitati negli anni Settanta in compagnia della sua assistente Sara Scalìa. In quel lontano autunno del 1971 la cantautrice fu protagonista di una serie incontri fondanti per la sua carriera musicale. Fra questi ricordiamo le sorelle Chiriacò, cantrici di Sternatìa, il giovane Luigi Chiriatti, oggi noto editore nel campo delle tradizioni popolari, la “Simpatichina”, cantrice dalla voce inconfondibile, oltre alle documentate frequentazioni con la scrittrice Rina Durante.
> Un viaggio a Sud della Musica
In quest’Italia, così diversa da Nord a Sud, le espressioni musicali cambiano secondo il clima, la cultura, la storia. La figura di Giovanna si muove, nel passato e nel presente, lungo questa linea musicale, che unisce gli artisti salentini ai Cantori di Conversano, fino alla Basilicata di Antonio Infantino, restituendo le miriadi di sfumature di questo meraviglioso mosaico che sono la cultura e la musica popolare.
Cosa c’è a sud della musica? Giovanna Marini, l’antropologa viandante, è forse l’unica che può ancora raccontarcelo con la sua musica esigente, che si ostina a non voler dimenticare quel mondo e quei luoghi.
> La stagione politica e i canti di libertà
Il personaggio di Giovanna Marini è molto legato a una stagione politica che l’ha vista interprete di molti canti di lotta divenuti celebri. La si ricorda negli anni Settanta sui palchi in compagnia di Paolo Pietrangeli a cantare “Contessa”, la si ricorda cantare per i morti della strage aerea di Ustica, per il feroce assassinio di Pier Paolo Pasolini e raccontare la storica manifestazione di Reggio Calabria a bordo del treno che dal Nord portò migliaia di manifestanti nel profondo Sud.
Le sue note, in questa fase storica del paese, si mescolano alla poesia, restituendo a tutte le generazioni intensi momenti di riflessione.
> Le donne
Giovanna Marini è tra quelle artiste che hanno cantato la sofferenza e la forza delle donne, in un Paese spesso ostile e difficile. Il ruolo della donna in Italia e nella sua società, sono temi spesso toccati nel ricchissimo repertorio di questa artista, così come fecero interpreti indimenticate come Caterina Bueno, Giovanna Daffini, Rosa Balistreri. La voce libera di Giovanna, diventa simbolo della forza e della libertà di tutte le donne.
> Il film
Il documentario, con la regia di Giandomenico Curi, è prodotto e realizzato da Meditfilm, società di produzioni salentina in collaborazione con Roberta Poiani, scritto da Giandomenico Curi, Tommaso Faggiano e Fabrizio Lecce. Tra gli interpreti: Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Sara Scalia, Piero Brega, Gianni Nebbiosi, Enza Pagliara, Canzoniere Grecanico Salentino, Antonio Infantino, Luigi Chiriatti, Rocco De Santis, Susanna Cerboni e il Coro della Scuola di Musica Popolare di Testaccio.
Il gruppo Meditfilm, ospiterà nel Salento la cantautrice e ricercatrice per effettuare le riprese del documentario. Il film sarà girato tra Roma e la Puglia tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018.
> Una campagna di crowdfunding “Produzioni dal Basso”
L’idea di finanziare questo film dal basso é in linea con il principio di libertà editoriale che da sempre contraddistingue il collettivo di Meditfilm. È dunque attiva una campagna di raccolta fondi, essenziale per la realizzazione di questo prodotto ambizioso. Meditfilm s’impegna a realizzare il documentario in tutte le sue fasi, dallo sviluppo alla postproduzione, dalla gestione e dall’impiego delle risorse alla promozione. È possibile sostenere finanziariamente il progetto collegandosi alla piattaforma di crowdfunding produzionidalbasso.com o direttamente al link: https://www.produzionidalbasso.com/project/a-sud-della-musica-la-voce-libera-di-giovanna-marini/
> Meditfilm e il Laboratorio di Antropologia visuale Luoghi e Visioni
Il collettivo Meditfilm da anni opera sul territorio pugliese realizzando produzioni audiovisive incentrate sul patrimonio demo-etno-antropologico. Il paesaggio, le minoranze linguistiche, la civiltà contadina, l’archeologia industriale sono solo alcuni temi che Meditfilm ha raccontato attraverso il progetto “Luoghi e Visioni - Frammenti di Antropologia Visuale”, un’esperienza supportata da un comitato scientifico formato da intellettuali e ricercatori, che contribuisce alla creazione di un flusso continuo e vitale di contenuti.
> Contatti
Produzione: +39 327 7305829 | tommaso.faggiano@meditfilm.com
Ufficio stampa: +39 339 8265104 | fabriziofaggiano@yahoo.it
Info: info@meditfilm.com
Siti internet: www.meditfilm.com , www.luoghievisioni.it
Social: https://www.facebook.com/giovanna.marini.a.sud.della.musica.meditfilm/
mag052017
Proseguono gli appuntamenti dell’ambito della rassegna di eventi nel Centro Storico “GalatinArte” in programma nel periodo dal 16 aprile al 29 giugno.
La rassegna – promossa dal Comune di Galatina, sostenuta dalla Regione Puglia, dal Teatro Pubblico Pugliese e da Puglia Sounds – ospiterà nelle piazze e nei cortili dei palazzi storici concerti, laboratori, spettacoli teatrali, esposizioni, letture e presentazioni di libri, percorsi turistici e altre attività che coinvolgeranno gli istituti scolastici, le associazioni e gli artisti locali, insieme a gruppi musicali e compagnie provenienti da tutta la Regione
Domenica 7 maggio appuntamento con i laboratori per bambini, scienza e poesia.
ATRIO PALAZZO GORGONI
ore 11.00 - Laboratori per bambini coordinati da Io al centro de “la Fabbrica dei Gesti”.
Secondo appuntamento della serie di incontri/laboratori di “IO AL CENTRO”, un progetto de La Fabbrica dei Gesti, dedicato ai bambini delle Scuole Primarie, organizzato in collaborazione con artisti e associazioni del territorio salentino, che lavorano a stretto contatto con i bambini e i ragazzi, nella realizzazione di progetti educativi, didattici, artistici con particolare attenzione all’inclusività e all’intercultura. Il secondo appuntamento prevede il Laboratorio di Piccolo Circo condotto da Robertino e Daniela Rizzo. Il laboratorio coinvolgerà i bambini in una serie di esercizi di giocoleria e acrobatica che li introdurranno al meraviglioso mondo del circo, aiutandoli ad esplorare nuove possibilità di movimento e azione in un clima ludico e divertente.
PIAZZA GALLUCCIO
ore 11.00 - Attività Ludiche a cura dell’I.I.S.S. “Falcone e Borsellino”
PIAZZA CAVOTI
ore 19.00 - “Bolle di sapere” Itinerario tra gli errori della scienza e la magia dei linguaggi a cura del Liceo Scientifico e Linguistico Statale “A. Vallone”.
ATRIO PALAZZO GORGONI
ore 18.00 - “Poesie visive” - Poesie e musiche e grafica a cura dell’Istituto Tecnico Commerciale “M. Laporta”.
Rinviato a data da destinarsi il Concerto con Giampiero Perrone (sax e clarinetto) e Antonia Ancora (tastiera e voce) in calendario per sabato 6 maggio.
Donatella Guido è una ragazza di Noha che ama leggere, cantare, passeggiare. E scrivere poesie.
Le ultime sono state raccolte in un libro che ha per titolo il verso di un suo componimento dedicato alla mamma: “Non ho che questo fiore”.
*
Vi racconto com’è andata.
Io conoscevo Donatella soltanto di vista, e non avrei mai saputo del suo talento poetico senza la mia amica e compagna di classe Maria Rosaria, un’altra nohana più osservatrice di me.
E’ lei che mi ha aperto una finestra sul mondo di questa signorina e sulla sua straordinaria avventura.
Insieme s’è poi convenuto di raccogliere i versi della Donatella e di pubblicarne un libretto – non senza aver prima consultato Marcello D’Acquarica che, con il suo zampino artistico, sa dare sempre un tocco di classe alle cose.
E’ nato così l’ennesimo volumetto edito da “L’Osservatore Nohano”: con le poesie che ci ha consegnato mamma Pompea, con la loro trascrizione su di un foglio elettronico da parte di Maria Rosaria, con il lavoro grafico di Marcello per la copertina, e, infine, con l’impaginazione, la stampa e la preziosa edizione di Antonio Congedo e delle sue ‘Arti Grafiche Marino’, sempre così professionali, e soprattutto pazienti con noi altri.
Sapete, circolano molte idee sbagliate sulle persone. Forse perché a volte conta più l’apparenza che la sostanza e si giudica in base a pregiudizi. Perlopiù fuorvianti.
Sì, è una vera e propria sindrome, la nostra, e tra le peggiori. Lo è quando ci fa snobbare le differenze che sono invece ricchezza oltretutto culturale, quando c’impone la moda che ci vuole come un gregge, o quando ci fa il lavaggio del cervello sulla diversità da discriminare e, ove possibile, da condannare.
Esiste invece un altro mondo, credo migliore, che è quello inclusivo e non esclusivo, quello senza paure, senza fisime e tabù, quello della fiducia e del saper far tesoro delle esperienze positive di chi, superando mille difficoltà, sa raggiungere risultati ammirevoli. Come quello di portare alla luce il potenziale racchiuso in sé attraverso un’esplosione di parole da incollare sulla carta.
E’ questo il caso di Donatella che non si è fatta soffocare dagli inconvenienti, né ha permesso al rumore, alle facili lamentele o all’ansia di sovrastarla a tal punto da non riuscire a muovere nemmeno un muscolo.
Questa affettuosissima ragazza di Noha (quando te ne vai non ti saluta, ti abbraccia forte) ha invece trovato il modo di comunicare al mondo quello che aveva dentro. E l’ha fatto, lo fa ogni giorno, con la poesia.
Ne ha scritte diverse. Lo fa per sé, ma parlano anche a noi.
Vi prego di leggerle. Ne otterrete, come me, un commovente senso di consolazione.
Antonio Mellone
P.S. Presenteremo “Non ho che questo fiore” di Donatella Guido (ed. L’Osservatore Nohano, Noha, 2017), domenica 12 febbraio 2017 alle ore 18, a Noha nell’accogliente sala convegni dell’associazione ‘L’Altro Salento’ in via Collepasso n. 22, nelle immediate adiacenze del salone dei Parrucchieri Mimì. Siete tutti invitati.
mag282018
In occasione della presentazione del libro di poesie “Alla Vita e per la Vita”, che si è tenuto la sera del 25 maggio, presso la sede del circolo Arci Levèra in via Bellini 24 a Noha, abbiamo avuto il piacere di vivere, tra parole e musica, un’ora di intensa emozione.
Per stare dalla parte della poesia, bisogna essere fuori moda, armarsi di coraggio, togliersi la maschera, mettere a nudo l’anima.
Oggi vanno più di moda i comparti, i centri commerciali, gli appalti, meglio se truccati, non la poesia.
La poesia non costa, ma non è nemmeno in vendita. E non è per tutti. La poesia è un miracolo della natura. Ma che ci facciamo con queste pagine bianche di sincerità: là fuori vige la scaltrezza, l’illegalità, la corruzione.
Devi chiudere gli occhi, la poesia invece apre il cuore.
Ma con il cuore non si seppelliscono rifiuti, non si incendiano campi, non si avvelena la terra.
La poesia e la musica invece incendiano il cuore.
La poesia è arte, è ricerca del dettaglio. E’ ciò che viene spesso tralasciato perché talmente piccolo che temiamo ci faccia perdere tempo.
Noi con il tempo facciamo a gara, e vorremmo stringerlo in un pugno, e a volte lo stringiamo così forte da ucciderlo, così uccidiamo noi stessi.
Invece la poesia allunga il tempo, colora la vita.
La poesia rende liberi, permette di superare le barriere, e di abbattere mura di cinta che sminuzzano gli orizzonti e arginano la bellezza.
La poesia pulisce le colonne di fumo, non produce rifiuti, non necessita di colate di cemento.
Senza la poesia ci perdiamo il meglio: l’incanto dei fiori, i prati, il cielo azzurro, il canto e il pianto.
Anche le parole semplici della poesia di Ada sono resistenza.
P.S.:
Ringraziamo la Pr.ssa Ada Palamà per questa opportunità di aiuto per la Vita, ringraziamo gli ospiti di Cuore e Mani aperte verso tutti, che hanno apportato a tutti noi la conoscenza del valore del loro volontariato, ringraziamo le lettrici Antonella Marrocco, Ausilia e Giulia Palamà, ringraziamo il Direttivo di Levèra per l’organizzazione dei locali, ringraziamo tutti gli ospiti, e infine Antonio Mellone, per aver legato magnificamente ogni respiro della serata.
Il direttivo di Fareambiente Laboratorio di Galatina - Noha
lug222017
Non me ne voglia Pietro Aretino (1492 – 1556) - al quale osai paragonarmi un dì, ma soltanto per l’epitaffio vergato dal vescovo Paolo Giovio, onde lo scrittore d’Arezzo pare avesse trascorso la sua vita parlando male di tutti, eccezion fatta per Cristo, ma sol perché asseriva di non conoscerlo. Gli chiedo scusa, dicevo, se intitolo questa terza fetta di Mellone estiva come una delle sue raccolte di ottave e quartine più licenziose, e tuttavia più castigate degli invece ben più spinti “Sonetti lussuriosi”.
Non c’è, dunque, in questa terza fetta di Mellone, nulla di scostumato o lascivo o triviale che rievochi qualcuno dei dubbi ardenti del nostro poeta rinascimentale (che comunque vi consiglierei di leggere, se non altro per trovare sollievo dalla calura del solleone salentino).
E’ che a volte son preso anch’io da un dubbio amoroso (molti di meno, dunque, dei trentuno dell’Aretino) e talvolta mi vien la tentazione di uscire a comprare un teschio con cui discutere su chi dei due aveva ragione: se Dante Alighieri (1265 – 1321) o, a quattro secoli di distanza, suor Juana Inés de la Crux (1648 – 1695), a proposito d’amore (malattia endemica contro la quale non esistono vaccini ministeriali).
Premesso che non fa niente se ignoriamo i classici (il bello è invece che sono loro che conoscono noi), Dante e suor Juana in fatto d’amore la pensano in maniera diametralmente opposta.
L’Alighieri nel V canto dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca, al famosissimo verso 103 fa un’affermazione sconvolgente. Che è questa: “Amor che a nullo amato amar perdona”. Chi altri avrebbe mai potuto formularla con tal perfezione se non il Poeta [ecco perché m’incavolo come una iena: perché non io? E lo stronzo sì? Ndr.].
Ebbene, per Dante l’amore non esonera nessuna persona amata dall’amare a sua volta.
Secondo questo diciamo teorema si può affermare che sempre, fulmineamente, senza appello, chiunque s’innamori di una persona automaticamente non può che esserne corrisposto, ricambiato così su due piedi, con pari intensità. Non solo la reciprocità d’amore esiste eccome, ma essa è oltretutto istantanea e perfetta.
C’è chi afferma che questo funzioni solo con l’amore di Dio, per cui amare Dio ed essere amati è un’unica cosa. Ma a me non interessa ora approfondire questi concetti sconfinando in altri campi, come il teologico o il morale. A me interessa ora rimanere sulla terra (ovvero terra terra) e capire invece – magari mi ci darete una mano voi – se questa corrispondenza d’amorosi sensi è vera sempre, o se viceversa è più frequente il fatto che amiamo chi non ci ama e siamo amati da chi noi non amiamo, come se l’amore fosse, diciamo così, asimmetrico.
Guardate un po’ come esprime questi concetti la stupenda suor Juana Inés de la Crux:
L’ingrato che mi lascia, cerco amante
L’amante che mi segue, lascio ingrata;
costante adoro chi il mio amor maltratta
maltratto chi il mio amor cerca costante.
Chi tratto con amor, per me è diamante,
e son diamante a chi in amor mi tratta;
voglio veder trionfante chi mi ammazza,
e ammazzo chi mi vuol veder trionfante.
Soffre il mio desiderio, se ad uno cedo;
se l’altro imploro, il mio puntiglio oltraggio:
in ambi i modi infelice io mi vedo.
Ma per mio buon profitto ognor m’ingaggio
A esser, di chi non amo, schivo arredo
E mai, di chi non mi ama, vile ostaggio.
Chiaro come la luce del sole. Non necessita di alcun commento, questa che non è una poesia ma una vera e propria figata.
Una cosa è certa (e converrete con me): l’amore è il movente del mondo. La causa efficiente della vita. Sicché senza amore non c’è vita. Ovviamente molto meglio del sottoscritto (e non ci vuol mica tanto) sa esprimere questo concetto un’altra grande poetessa francese, Louise Labé (1525 – 1566) che scrisse il componimento che suona così:
Finché i miei occhi potran lacrimare
sulla gioia che un dì teco ho goduta,
finché la bocca mia non sarà muta
per i troppi sospiri e il singhiozzare,
finché la man mi potrà accompagnare
mentre canto il mio amor sull’arpa arguta,
finché il mio cuor d’accogliere rifiuta
ogni altra cura fuorché a te pensare,
io non domando ancora di morire.
Ma quando io senta inariditi gli occhi,
rotta la voce e la mano languire,
e quando il mio cuor mostri d’aver caro
che in questa vita amor più non lo tocchi
venga allor morte e anneri il giorno chiaro”.
*
Perché si ama, l’abbiamo appena visto: l’amore è, dunque, il pretesto della vita. Punto.
Ora vediamo per cosa e come si ama. Per chiarirlo chiedo una mano alla mia amica inglese Elizabeth Barrett Browning (1806-1861). Elisabeth ci spiega che non deve esserci per forza un motivo per amare: si ama per lo stesso amore e basta. Infatti:
Se devi amarmi, per null’altro sia
se non che per amore.
Mai non dire: “L’amo per il sorriso,
per lo sguardo, la gentilezza del parlare,
il modo di pensare così conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno”.
Queste son tutte cose
che possono mutare.
Amato, in sé o per te, un amore
così sorto potrebbe poi morire.
E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto.
Può scordare il pianto
chi ebbe a lungo il tuo conforto
e perderti.
Soltanto per amore
amami sempre
per l’eternità.
*
Dove è nato tutto codesto amletico dilemma e dunque questa terza fetta di Mellone?
Ma ovviamente lungo il litorale, nei pressi del mio solito scoglio (che credo di avere ormai usucapito). Sedevo colà al calar del sole, e nel sovrumano silenzio miravo gli interminati spazi di là da quello, allorché, bella come l’aurora, fulgida come il sole e terribile come un esercito schierato in battaglia, si presenta davanti a me una donna, che dico, una Madonna. Solo che il portamento, le movenze e le curve di codesta apparizione mariana stimolavano certamente negli astanti (compreso dunque il sottoscritto) pensieri tutt’altro che religiosi, direi pure diversamente casti e pii.
La creatura, guarda un po’, si mette a conversare amabilmente con me, non con altri. Ride. Mi guarda negli occhi. Si tocca i capelli. E dopo un po’ mi fa: “Che tipo da spiaggia che sei. Anzi d’amare”. Penso di non aver affatto frainteso: sennò perché mai avrebbe fissato (lei!) un rendez-vous con me in altro orario e il altro loco?
*
“All’alta fantasia qui mancò possa;/ ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,/ sì come rota ch’igualmente è mossa,/ l’amor che move il sole e l’altre stelle”. (Dante, Paradiso, XXXIII, 142-145).
Ebbene sì, ha ragione Dante. Da vendere. Ma talvolta anche suor Juana.
Antonio Mellone
mar152024
A volte è necessaria una pausa riflessiva, diciamo giusto per riprendere fiato. Anche questa è resilienza.
Michele D'acquarica ci mostra la sua tenacia in momenti durissimi della vita del secolo scorso.
Ci insegna a tenere dritto il timone sulla rotta di bellezza, lo fa con la sua arte.
Sarà poco incisivo nel nostro quotidiano, ma una cosa è certa, per scoprire profondi significati dall'arte e dalla poesia, come dice Galimberti, occorre un po' di follia, essa è più forte della ragione.
Marcello D'acquarica
mag302015
Sorpresa, delusa, amareggiata con me stessa,
non è così che avrei voluto vederti per l’ultima volta.
Mi resta solo da ricordare.
o una porta aperta erano il tuo modo di dire: “Ci sono”.
E le tue parole incuriosiscono la mia voglia di sapere.
La serenità nel tuo modo di esprimerti
rende tutto più piacevole nell’ascolto
e il tono della tua voce cambia a seconda dell’importanza delle parole.
Niente è detto a caso. Momenti di riflessione esprimono i miei silenzi.
E le tue parole prendono il volo in racconti di vita, volano nel passato
ricordando sacrifici di animo e spirito.
Attraversano l’azzurro del mare e prendono il loro colore,
si confondono tra le onde e hanno il loro sapore,
risplendono consumandosi tra i raggi del sole.
Rimane il silenzio, un sorriso e un arrivederci.
Volevo esprimere di più
ma le parole si chiudono nel mondo dei ricordi
a piangere dietro una porta che resterà per sempre chiusa.
E per te il mio ricordo sarà sempre quello di un uomo
servitore di Dio, vestito di nero
ma con l’arcobaleno nel cuore.
set152018
- Settembre è un mese lirico. Guardatevi la luce che batte sui polsi e andate in libreria, cercate lo scaffale più nascosto, più esiguo, cercate lo scaffale dei poeti. É una cosa che potete fare ogni giorno, ma facciamo che il giorno buono è la bisettrice del mese, il 15 settembre. Facciamo un assalto alla poesia sorprendiamo i librai e anche gli editori e anche i poeti decidiamoci di farci accompagnare da qualcuno di loro nell’autunno che viene e anche nell’inverno. Qualcuno ha detto che la bellezza salverà il mondo. Ora immaginiamo che la poesia può semplicemente salvarci la giornata o almeno un’ora dispari , o solo qualche minuto. La poesia è sempre una questione molto privata tra chi legge , è un faro che non lampeggia in tutte le notti, è una lucciola alle due del pomeriggio, è un mucchietto di neve in un mondo con il sale in mano. Qualunque cosa sia è un tempo , questo è un tempo in cui alcuni possono chiedere qualcosa alla poesia. Già in rete si assiste con piacere alla presenza di versi ,ma ci vuole che la poesia venga comprata , ci vuole una prova che teniamo a lei , come lei tiene a noi . Lungamente l’amore della poesia nei nostri confronti è stato un amore non corrisposto . Adesso è il tempo di ricambiare. L'assalto alla poesia è un assalto alla miseria spirituale che sta conquistando tutto. Comprare un libro di poesia, farlo assieme a tanti altri, è uscire dalla mestizia che aleggia intorno alla letteratura, è ridare vigore politico alle parole migliori che gli uomini e le donne di ogni tempo hanno scritto.-
Questo è l’appello nazionale lanciato dal poeta Franco Arminio, per riunire tutti gli amanti della poesia, la libreria Fiordilibro promuove l’iniziativa per tutta la giornata con sorprese e con la presenza , all’interno dei suoi spazi in via Vitt. Emanuele,31 a Galatina,di alcuni ospiti d’eccezione. In particolare dalle 18:00 saranno presenti l’attrice Maria Margherita Manco ed a seguire la scrittrice Maria Neve Arcuti, che ci accompagneranno con la lettura di personali selezioni di poeti e poesie. Che dire, vi aspettiamo.
Libreria Fiordilibro
gen022016
La mamma dei coglioni è sempre incinta.
La mattina di capodanno, quando ho aperto face-book (sì, nonostante non venga bene di profilo, ne ho uno anch’io), mi son cadute le braccia.
Una delle risposte ad un mio messaggio testuale di auguri e brindisi urbi et orbi (pare che in gergo si chiamino post), riportava la foto del puteale della Trozza - uno dei beni culturali più emblematici di Noha - semidistrutto da ignoti, probabilmente con l’ausilio di qualche ordigno in maniera edulcorata definito petardo, accompagnata da un caustico commento didascalico vergato dalla mia amica Maria Rosaria Paglialonga, che suona più o meno così: “Brindo ai vandali che hanno accolto il 2016 nel migliore dei modi e secondo le loro buone abitudini. Auguri!”.
La mia amica m’ha confidato successivamente che alla visione di quello scempio inaudito, la sua pressione arteriosa era arrivata a 200 millimetri di colonna di mercurio, e che ha impiegato una notte insonne per riuscire a riportare per iscritto le sue prime impressioni nella maniera meno triviale possibile, utilizzando cioè l’eufemismo “vandali” per definire la natura mentulomorfa del cranio degli autori del crimine perpetrato al nostro monumento [per ottenere il significato di mentulomorfo, basta tradurre dal latino il lemma “mentula”, ndr.].
Le ho successivamente risposto che si farebbe un torto ai vandali, e che era il caso di utilizzare l’epiteto più appropriato al caso: coglioni.
Ma la prima a denunciare il misfatto e a pubblicare su Nohaweb l’agghiacciante spettacolo del crollo del grosso pezzo di pietra leccese scolpita dai nostri avi è stata la Lory Calò, anch’ella incavolata nera e mordace quanto basta: “Brindo alle telecamere sulla Trozza, al suo imminente restauro e alla recinzione tutto intorno. Ah, anche ai vigili e alle forze dell'ordine che si faranno vedere spesso. Auguri.”.
In effetti, ultimamente a Noha il controllo del territorio è diventato un optional, se è vero come è vero che le bombe fatte esplodere durante queste feste natalizie un po’ ovunque e da chiunque (anche minorenni, a detta di qualcuno) farebbero impallidire, quanto al fragore, quelle dei recenti bombardamenti in Siria. In effetti, c’è da chiedersi chi acquista questi ordigni e soprattutto chi li commercializza. E inoltre come mai, visto che la storia si ripete da anni, non s’è vista in giro un’auto una delle forze dell’ordine, se non altro per prevenzione o a mo’, diciamo così, di dissuasore mobile.
Ho risposto alla Lory che, come al solito, ha ragione, ma che in fondo non mi piace tanto l’idea delle telecamere ovunque: “[…] Le vere telecamere dovremmo essere noi cittadini. In una Comunità degna di questo lemma non dovrebbero esserci dei presidi tecnologici di tal fatta che di fatto limitano la nostra libertà: la vera tutela dei nostri beni culturali non dovrebbe, cioè, essere delegata a marchingegni/personaggi esogeni, tipo un monitor, le forze dell'ordine, e men che meno i cosiddetti politici (in tutt'altre faccende affaccendati […]), ma alla Cultura. Bisogna continuare a lottare in tal senso. E tu lo fai benissimo, per esempio insegnando la Musica. Vuoi sapere quale condanna infliggerei ai suddetti coglioni responsabili (minorenni o maggiorenni, non importa, sempre coglioni sono)? La condanna consisterebbe nel seguire ogni giorno, per almeno due ore di fila, delle lezioni di Storia dell'Arte, a partire dalle prime civiltà, passando per l'arte in Mesopotamia, in Egitto, in Grecia (l'arte ellenistica: tutta, dalla A alla Z), l'arte classica, e poi l'etrusca, la romana, la bizantina, e poi ancora, il romanico, il gotico, il barocco, il rococò, fino all'arte moderna (realismo, impressionismo, simbolismo, liberty), fino alle transavanguardie, fino all'arte informale e alla video art dei giorni nostri. I corsi, ovviamente, li terrei io. Sarebbe, penso, un giusto guiderdone alla natura mentulomorfa (vedi sopra il significato, ndr.) delle loro teste.” Chissà che in tal modo questi pirla non lascino finalmente in pace la Trozza, e gli altri beni culturali, liberandoci da scritte (oltretutto sgrammaticate), graffiti, pedate, buchi e altre porcherie peggiori di queste.
Ma ecco pronta la risposta di Maria Rosaria: “Eh no, caro Antonio Mellone, condannare gli autori di questo scempio ad almeno dieci ore di tue lezioni (con interrogazioni) di Storia dell'Arte, dalla preistoria ai nostri giorni, sarebbe per loro un onore troppo grande che, a mio avviso, non meritano. Mandiamoli a spalare letame meglio, almeno stanno con un loro pari (la merda) ca tantu ci nasce tundu nu pote murire quatratu.”
Ovviamente sono lusingato per le parole di Maria Rosaria (alla quale forse sfugge la spietatezza di certe mie interrogazioni, per dire, sulla sintesi epesegetica delle opere di certi autori), ma da qualche parte bisognerebbe pur incominciare.
Aggiungo che a codeste lezioni e alle relative interrogazioni farei partecipare anche gli eventuali genitori della suddetta prole illetterata e cogliona, responsabili quanto meno per non aver vigilato (culpa in vigilando: colpa per non aver vigilato).
*
Un ultima chiosa in merito alle reazioni dei politici nostrani (e per nostrani intendo i nostri quattro consiglieri comunali di Noha - ché quelli di Galatina non conoscono non dico i nostri beni culturali, ma nemmeno dove è ubicata Noha).
Ebbene, salvo errori, non si registra da parte dei magnifici quattro nessun commento su Nohaweb (troppa grazia Sant’Antonio), nessun comunicato-stampa (né su Noha.it, né sui tanto cari siti di Galatina), nessuna reazione, nessuna denuncia, nessuna esecrazione del gravissimo atto consumato ai danni della Trozza, men che meno sui loro rispettivi profili face-book. Per dire, su quello di Giancarlo Coluccia della cosiddetta opposizione appare la pubblicità di una commedia in vernacolo; mentre sulla bacheca di Antonio Pepe appare una poesia, chiamiamola così, sul nuovo anno “postata” da chissà chi.
Per quanto riguarda i due consiglieri di maggioranza, vediamo un po’: sul profilo di Luigi Longo abbiamo in primo piano l’immagine di una porta con un cartello con evidente errore di ortografia (e con una pletora di “mi piace” – sic!), mentre il messaggio del giorno prima riporta un’altra foto con dei fuochi pirotecnici (mi auguro non si tratti di quelli che probabilmente hanno distrutto la Trozza).
Dulcis in fundo, sul profilo del politico più di peso della nostra cittadina, vale a dire Daniela Sindaco, c’è una bella foto di Topolino e Minnie (per fortuna senza alcun “mi piace”, mentre scrivo queste note).
*
Purtroppo, di tutto questo degrado i veri responsabili siamo noi cittadini.
E la nostra colpa è duplice: culpa in vigilando (come detto sopra) e culpa in eligendo (colpa nella scelta, nell’elezione di questi personaggi in cerca di bastonatore).
Antonio Mellone
mar192024
“Io non vi parlo da maestro ma da compagno. Non vi esorto da capitano ma vi invito da soldato. Sono coetaneo vostro e condiscepolo vostro ed esco dalle stesse scuole con voi, cresciuto tra gli studi e gli esercizi vostri, partecipe dei vostri desideri e delle speranze e dei timori. Abbiate pietà di questa bellissima terra, dei suoi monumenti, delle ceneri dei nostri padri e fate che la povera patria nostra in tanta miseria non rimanga senza aiuto perché non può essere aiutata fuorché da voi.”
Il passo riportato sopra e letto all’inizio della presentazione della mostra di pittura realizzata il 16 marzo presso il Circolo Arci Levera di Noha, è preso dal "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica" di Giacomo Leopardi, e ovviamente è rivolto ai giovani del tempo del sommo poeta. Michele D’Acquarica, attraverso il linguaggio delle sue opere ci vuole dire le stesse cose, cioè, esortarci ad amare la bellezza in ogni sua manifestazione.
Il pittore di Noha ha dipinto tantissime opere, centinaia, forse migliaia. Purtroppo, sono sparse in giro per il mondo. Infatti, alcuni dei suoi figli emigrarono anche in Brasile. La maggior parte sono a Milano e in Sicilia, altre sono visibili a Cutrofiano e sono per lo più affreschi sacri, così come il San Michele Arcangelo e il Calvario a Noha, paese natio di Michele D’Acquarica.
Nei quadri di quadri di Michele D’Acquarica, notiamo che l’artista non è votato solo per la pittura a sfondo religioso, ma la sua passione rientra anche in paesaggi di diverse zone geografiche d’Italia e figure mitologiche, frutto probabilmente di profonde letture. Infatti tra le sue molteplici opere troviamo anche illustrazioni di episodi per romanzi, come per esempio “La Macchia di sangue”.
Ci ricorda il Filosofo Umberto Galimberti:
“Quando osserviamo un quadro ci comportiamo come quando ammiriamo una perla, dimenticando che la perla è la malattia della conchiglia, così senza la “fatica” dell'artista quell'opera non sarebbe mai nata”.
Alea iacta est
«il dado è stato tirato», o «la sfida è ormai lanciata».
La frase la pronunciò Giulio Cesare nel 49 a.C. quando decise di infrangere la legge entrando con le armi nei confini di Roma.
Come sappiamo tutti dalla storia, nel 1920 l’Italia viveva un grande fermento, il 1919 e 1920 fu chiamato il biennio rosso, il periodo storico che seguì alla fine della Grande Guerra e in tutta l’Europa c’erano lotte sociali, scioperi e sentimenti di ingiustizia seguiti dai risultati non soddisfacenti del Trattato di Versailles. Possiamo immaginare che anche i giovani di Noha fossero presi nella fase di forti cambiamenti socioeconomici.
Michele D'Acquarica in questo periodo ha 34 anni, ed è vedovo da soli due anni, con due figli da mantenere, eppure insieme a tanti altri concittadini trovano la forza per lottare. Anche Noha non era esclusa dalle lotte contadine per le terre e gli scioperi del mondo operaio. Sappiamo anche che purtroppo il tutto finì per essere fagocitato da una delle dittature più tragiche della storia d’Italia.
Possiamo spiegarci quindi l’immagine della Libertà in posa di vittoria, che rappresenta la giovane Italia, coronata d'alloro dopo la vittoria della Prima Guerra Mondiale, con i simboli di fertilità (le spighe nella destra) e di santità e purezza (il giglio nella sinistra), e a questo punto il selvaggio abbattuto sembrerebbe essere quindi l'Austria asburgica, di cui il nostro artista ricorda i colori, giallo e nero.
Per contestualizzare il tutto possiamo ancora notare la presenza dello scudo monarchico e del fantastico stemma di Noha con le tre torri, stranamente privo dei due velieri.
Michele D'Acquarica, mediante le sue opere d’arte, ci lascia un messaggio importante, e cioè che nella vita è necessaria sì la competizione, ma non per sovrastare l'altro, ma ci fa capire che è necessario competere in bellezza, partecipare con le proprie qualità e conoscenze alla costruzione di riferimenti positivi, sforzarsi d'essere un esempio che faccia migliorare l'ambito di tutti, perché, ognuno di noi, primi ed ultimi, anzi soprattutto gli ultimi, quelli che faticano, che sono meno fortunati, possano avere a loro volta delle certezze, e quindi essere parte accolta di una grande famiglia: LA COMUNITA’.
Al momento non sappiamo come, ma certamente sarebbe bellissimo se con una parte di queste opere, si potesse allestire una mostra permanente, magari con l’aiuto della Amministrazione Comunale di Galatina in un luogo pubblico di Noha, come segno di riconoscenza verso il nostro artista ma anche di testimonianza all’armonia e all’eleganza espressa nella sua arte, quella cosa che gratuitamente e senza fare alcun rumore, contribuisce anche alla formazione positiva dell’identità delle nuove generazioni.
Marcello D’Acquarica
ott042006
Parliamo di libri questo pomeriggio di fine estate, in questo cortile, luogo del cuore, purtroppo semidiruto, graffiato dall’ira del tempo e dall’abbandono degli uomini. E lo facciamo quasi sottovoce (anche se con il microfono), con delicatezza, come si conviene, per non svegliare i fantasmi del passato, aggrappati alle volte dei secoli.
In questo luogo, appena cinque secoli fa, si sentiva ancora rumore di armi e di guerrieri, di cavalli e cavalieri, di vincitori e vinti.
Al di là di questo muro, tra alberi di aranci, una torre si regge ancora, da settecento e passa anni, come per quotidiano miracolo: è la torre medioevale di Noha, XIV secolo, 1300. Quelle pietre antiche e belle urlano ancora, ci implorano, richiedono il nostro intervento, un “restauro”, il quale sempre dovrebbe rispettare e storia e arte.
Da quella torre, addossata al castello, riecheggiano ancora le voci lontane di famiglie illustri nella vita politica del mezzogiorno d’Italia. Qui abitarono i De Noha, famiglia nobile e illustre che certamente ha avuto commercio con i Castriota Scanderbeg e gli Orsini del Balzo, signori di San Pietro in Galatina (città fortificata chiusa dentro le sue possenti mura), ma anche con Roberto il Guiscardo e forse con il grande Federico II, l’imperatore Puer Apuliae, che nel Salento era di casa.
Da Noha passava una strada importante, un’arteria che da Lecce portava ad Ugento, un’autostrada, diremmo oggi, che s’incrociava con le altre che conducevano ad Otranto sull’Adriatico o a Gallipoli, sullo Ionio.
Da qui passarono pellegrini diretti a Santa Maria di Leuca e truppe di crociati pronti ad imbarcarsi per la terra santa, alla conquista del Santo Sepolcro…
*
Ma la storia noi stiamo continuando a scriverla; voi potete continuare a scriverla, e non solo nelle pagine di un libro. Solo se diamo corso (come stiamo credendo di fare) ad un nuovo Rinascimento ed ad un nuovo Umanesimo di Noha, daremo una svolta alla nostra vita e alla nostra storia. E alla nostra civiltà.
* * *
Noi ci troviamo dunque in un “praesidium”, un presidio. E Noha era un presidio.
E sapete anche che Noha è, da non molto tempo, invero, “Presidio del libro”.
Ma cosa è un presidio?
Sfogliando un dizionario d’italiano (che dovremmo sempre avere a portata di mano, pronto per la consultazione) al lemma o parola “presidio” troviamo questi significati: 1) presidio = complesso di truppe poste a guardia o a difesa di una località, di un’opera fortificata, di un caposaldo; luogo dove queste truppe risiedono (per esempio si dice “truppe del presidio”);
2) presidio = occupazione di un luogo pubblico a fini di controllo e sorveglianza o anche solo di propaganda (per esempio “presidio sindacale nella piazza”);
3) presidio = circoscrizione territoriale sottoposta a un’unica autorità militare;
4) presidio = complesso delle strutture tecnico-terapeutiche preposte in un dato territorio all’espletamento del servizio sanitario nazionale (presidi ospedalieri);
5) presidio = difesa, protezione, tutela (essere il presidio delle istituzioni democratiche);
6) presidio = sostanze medicamentose (presidi terapeutici) oppure presidi medici e chirurgici….
Vedete quanti significati può avere la parola “presidio”!
Penso che per il concetto di “Presidio del libro”, tutte queste definizioni, più o meno, calzino bene.
E’ un luogo. E la biblioteca Giona è il cuore di questo presidio.
Ci sono le truppe.
Ma le truppe siamo noi e le armi sono i libri; i carri armati sono gli scaffali che li contengono.
Le altre armi, invece, quelle da fuoco, le lasciamo agli illetterati, ai vandali, ai mafiosi, a chi non è trasparente, a chi non ha idee, a chi non ama il bello.
Presidio del libro è anche sostanza medicamentosa, terapeutica, contro i mali della società.
Il presidio del libro riuscirà a sovvertire, a sconfiggere quell’altro presidio: il “presidio della mafia”?
Forse si: se questi libri li apriamo, li sfogliamo. Li annusiamo, anche, e li leggiamo, li prendiamo in prestito, li consigliamo agli altri, li doniamo. Ne incontriamo gli autori, ne parliamo a scuola, in piazza, dal parrucchiere, dall’estetista, al supermercato, al bar, al circolo, fra amici.
Tutti i luoghi sono opportuni per parlare di libri: a volte basta solo un cenno, non c’è bisogno di una conferenza in una sala convegni per parlare di letteratura, di poesia, di storia, di leggenda, di arte...
Ecco allora che “Presidio del libro” diventa “difesa”, “protezione”, “tutela”, “crescita”, rispetto della persona, dei luoghi, dei beni culturali, di Noha tutta. Solo chi legge difende i monumenti, la piazza, la torre, questo castello, la masseria, la casa rossa, la trozza, la vora, il frantoio ipogeo, le casette dei nani… Ma anche i giardini, le terrazze, la campagna, i colori delle case di Noha (che stanno sempre più perdendo il loro colore bianco brillante, quello della calce, per diventare d’arlecchino multicolore, a volte troppo appariscente…). Chi legge difende la civiltà, la democrazia, l’etica, la libertà del pensiero e del giudizio e finanche della critica (costruttiva), e tutela il bello che è integrità, luminosità e proporzione.
Guardate che la biblioteca o la libreria (che non dovrebbe mai mancare in ogni casa: meglio se questa libreria è ricca, e piena di libri e non contenga solo un’enciclopedia a fascicoli che ti danno in regalo con l’acquisto dei detersivi o con la raccolta dei punti al distributore di benzina); dicevo, la libreria non è solo un deposito o una raccolta di libri. Ma uno strumento di conoscenza ed in certi casi di lavoro.
*
E’ vero: esistono così tanti libri, che spesso non si sa da dove incominciare.
Se soltanto volessimo leggere i “classici”, cioè i libri, diciamo, fondamentali per l’uomo di buona cultura, volendone leggere, ad esempio, uno ogni settimana (che è una ragionevole media), non ci basterebbero 250 anni. Dovremmo vivere almeno 250 anni, per leggere ininterrottamente i libri diciamo più importanti o indispensabili.
Se a questi volessimo aggiungere le collane della Harmony, o i libri di Harry Potter, o quelli degli scrittori minori o locali (come siamo noi), o gli altri che leggiamo per diletto o divertimento, (tutti ottimi! Ma non classici) necessiteremmo almeno del doppio di questi anni, vista permettendo!
Dunque: nessuno può aver letto o leggere tutto (neanche le opere più importanti).
E questo però ci consola.
Intanto perché possiamo partire a piacere da dove vogliamo.
Ed un altro fatto che ci rassicura è che spesso i libri parlano di altri libri: cioè con la lettura di un libro a volte riusciamo a entrare in altri libri (anche senza aver mai visto questi altri libri): i libri infatti sovente, tra un riferimento e l’altro, si parlano tra loro.
I libri sono come i nostri amici che ci riferiscono come stanno gli altri nostri amici, che magari non vediamo da tempo.
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Sentite.
Spesso si parla del dovere di leggere.
No!
Leggere non è un dovere: è un diritto!
Inoltre il lettore ha altri diritti (come dice Daniel Pennac, nel suo libro intitolato Come un romanzo, Feltrinelli, 6 Euro): e questi diritti sono i seguenti: primo il diritto di non leggere (ciò che ci impongono); poi, il diritto di saltare le pagine; poi abbiamo il diritto di non finire un libro; il diritto di rileggere (non preoccupatevi: si può essere colti sia avendo letto quindici libri che quindici volte lo stesso libro. Si deve preoccupare invece chi i libri non li legge mai!); il diritto di leggere qualsiasi cosa; c’è poi il diritto di leggere ovunque (non solo a casa, ma al mare, sull’autobus, in villetta, ovunque); il diritto di spizzicare (si da uno sguardo, si legge la bandella della copertina, si apre a caso una pagina, si legge come comincia o come finisce: insomma pian piano un libro si può assorbire anche a “spizzichi e mozzichi”. Chi ce lo impedisce?); ancora il diritto di leggere a voce alta; infine il diritto di tacere: cioè nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa lettura, che è e rimane una cosa intima, esclusivamente nostra.
*
Leggendo, ragazzi, vedrete, poi, che riuscirete a descrivere qualcuno o qualcosa, utilizzando quelle stesse parole del libro: vi viene quasi automatico. Vi accorgerete di essere stati chiari e non banali; non avrete più il problema di cadere nei silenzi tra una parola e l’altra. Quei silenzi orrendi e imbarazzanti. Come il silenzio nel corso di certe interrogazioni.
E non abuserete dei “cioè”; vi sentirete soddisfatti di questo, ma soprattutto imparerete a sognare, a volare alto, e difficilmente sarete malinconici.
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Il nostro scritto prima ancora di iniziare a vivere nel libro, o su un giornale o su una rivista, si può già assaporare nelle parole della gente, con i suoi racconti, le sue esperienze: sentimenti, che lo scrittore ha raccolto e animato.
Ecco lo scrittore cerca di colorare il mondo. Noi abbiamo cercato di dare calore e colore alla nostra storia, alla nostra arte, alle nostre leggende.
P. Francesco D’Acquarica, che ha scritto con me le pagine di questo tomo (è come se avessimo eseguito una suonata a quattro mani e quattro piedi ad un organo a canne) ha compiuto un lavoro lungo decenni, s’è consumato gli occhi, per leggere, interpretare e ritrascrivere i documenti dell’archivio parrocchiale di Noha o quello vescovile di Nardò e numerosi altri documenti. E ha fatto rivivere la storia della gente ed i suoi pensieri (se leggiamo i proverbi che abbiamo posto in appendice, ad esempio, capiremo subito).
Ha risvegliato, ha ridato voce e fiato e vita e colorito ai nostri avi, ai nostri bisnonni, gli antenati. Per questo non finiremo mai di ringraziarlo.
Però il miglior modo di ringraziare uno scrittore è leggerlo.
E’ sfogliare il nostro libro, che abbiamo scritto con tanta passione. Leggerlo, consultarlo, criticarlo (anche), ma prima di tutto studiarlo.
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Vedete: Noha dopo il nostro libro: “Noha. Storia, arte, leggenda” non è più quella di prima. Anzi quanta più gente legge il nostro libro, tanto di più migliorerà la nostra Noha. Potremmo anche dire che oggi Noha è un po’ migliore, rispetto a ieri. Non dobbiamo aver paura di pensarlo e dirlo.
E sarebbe proprio la città ideale se tutti leggessimo quel libro, fossimo curiosi, ci conoscessimo di più.
Saremmo più gentili. Meno sospettosi. E anche più accoglienti.
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Abbiamo bisogno a Noha di scrittori, di gente che può cambiare il mondo. Ma prima di tutto abbiamo bisogno di lettori. I lettori sono i primi che possono cambiare il mondo. Se con la lettura si riesce a svagarsi, divertirsi, sognare, imparare a riflettere, allora si capisce meglio il mondo, e non si da retta alle futili mode o tecnologie o alle corbellerie. Ma è così che si cambia il mondo!
Con la lettura miglioriamo il nostro stile di vita, il nostro equilibrio morale ed anche economico. Non a caso chi legge è anche più ricco, e gode di un più alto tenore di vita.
E, il più delle volte, è anche un po’ più affascinante (o almeno così qualcuna mi dice, lusingandomi)…
*
Democrazia e libri sono sempre andati storicamente a braccetto.
Le librerie e le biblioteche nei paesi liberi sono veri e propri presìdi di democrazia e civiltà. La libreria o la biblioteca è uno spazio amico. Giona è dunque una nostra amica. E certe amicizie vanno frequentate.
In libreria o in biblioteca c’è la sostanza più potente di tutte: la parola scritta. Tutte le altre sono chiacchiere, parole al vento.
Nella vita di ogni uomo c’è un pugno di libri che lo trasformano radicalmente. Entra in un libro una persona e ne esce un’altra, che vede se stessa ed il mondo in maniera completamente diversa e farà cose diverse.
Un maglione, un’auto, una moto possono rappresentare un uomo ma mai cambiarlo come invece può fare un buon libro.
*
Il libro è un regalo. Un regalo che potete fare innanzitutto a voi stessi ma anche agli altri. E’ un regalo che si può “scartare”, aprire diverse volte e non soltanto una volta sola. E ogni volta la pagina di un libro può riservarci una gradita sorpresa.
Il libro è un capitale, un investimento che produce interessi incalcolabili.
E non c’è libro che costi troppo!
*
Qualcuno mi dirà alla fine di tutta questa pappardella: e il tempo per leggere? Dove lo trovo?
Certamente non abbiamo mai tempo! Presi come siamo dalla diuturna frenesia.
Ma su questo tema del tempo chiudo prendendo in prestito, guarda un po’, le parole di un libro.
E’ quello già citato di Daniel Pennac, il quale a pag. 99, di Come un romanzo, (Feltrinelli, ed. 2005), così si esprime:
<<…Si, ma a quale dei miei impegni rubare quest’ora di lettura quotidiana? Agli amici? Alla Tivù? Agli spostamenti? Alle serate in famiglia? Ai compiti?
Dove trovare il tempo per leggere?
Grave problema.
Che non esiste.
Nel momento in cui mi pongo il problema del tempo per leggere, vuol dire che quel che manca è la voglia. Poiché, a ben vedere, nessuno ha mai tempo per leggere. Né i piccoli, né gli adolescenti, né i grandi. La vita è un perenne ostacolo alla lettura.
“Leggere? Vorrei tanto, ma il lavoro, i bambini, la casa, non ho più tempo…”
“Come la invidio, lei, che ha tempo per leggere!”
E perché questa donna, che lavora, fa la spesa, si occupa dei bambini, guida la macchina, ama tre uomini, frequenta il dentista, trasloca la settimana prossima, trova tempo per leggere e quel casto scapolo che vive di rendita, no?
Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d’altronde, o il tempo per amare.)
Rubato a cosa?
Diciamo al dovere di vivere.
……..
Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.
Se dovessimo considerare l’amore tenendo conto dei nostri impegni, chi si arrischierebbe? Chi ha tempo di essere innamorato? Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare?
Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva.
La lettura non ha niente a che fare con l’organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l’amore, un modo di essere.
La questione non è di sapere se ho o non ho tempo per leggere (tempo che nessuno, d’altronde, mi darà), ma se mi concedo o no la gioia di essere lettore>>.
Grazie.
mar192022
Dopo una serie di iniziative preparatorie e di inaugurazione e restituzione alla comunità, prende adesso il via la programmazione artistica della stagione 2022 del teatro Il Cavallino Bianco del Comune di Galatina in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese, che si inserisce nella più ampia programmazione del Cavallino Bianco in collaborazione con l’associazione OTSE - Officine Theatrikés Salento Ellàda.
Tre gli spettacoli organizzati direttamente dal Teatro Pubblico Pugliese. Si tratta di “Serata romantica”, spettacolo di danza e poesia con i versi di Giacomo Leopardi di Balletto del Sud con ideazione e regia firmate da Fredy Franzutti, in programma il 1° aprile; “Trapunto di Stelle” dei Radicanto il 23 aprile: un concerto, tratto dall'omonimo disco, che intende contestualizzare l’arte di Domenico Modugno restituendola alla sua terra di provenienza; e infine il 21 maggio il Maestro Peppe Vessicchio con il suo concerto – spettacolo “La musica fa crescere i pomodori” tratto dal suo primo libro, un saggio pop in cui ripercorre la propria vita all’insegna della musica ed esplora il connubio tra armonia e natura. Tutti gli spettacoli sono in programma alle ore 21.00.
«La riapertura del nostro teatro Cavallino Bianco non poteva che suggellare il rapporto tra la Città di Galatina e il Teatro Pubblico Pugliese. Una collaborazione ormai matura e decennale che, tuttavia, negli ultimi anni, per cause di forza maggiore, ha vissuto un periodo di stasi - ha detto il Sindaco Marcello P. Amante -. Eppure, la Città di Galatina ha continuato a far sentire la propria presenza all'interno del Consorzio del TPP condividendo la strategia e il lavoro di promozione della cultura e del nostro territorio attraverso l'arte del teatro ma non solo. Siamo felici di riaprire le porte del nostro Cavallino Bianco al Teatro Pubblico Pugliese, che mette in scena sul palco di Galatina spettacoli di alto valore artistico e disponibile a tessere una proficua rete con le associazioni del territorio».
«Era importante, dopo la riapertura del nostro teatro nell'autunno scorso, che il Teatro Pubblico Pugliese fosse presente a Galatina non solo in quanto consorzio di promozione della cultura di cui il nostro ente è socio ma anche e soprattutto per quella visione d'insieme che a livello regionale mette in relazione vari comuni verso un obiettivo condiviso, ovvero la promozione della nostra Puglia attraverso l'arte e la cultura. Per questo motivo, abbiamo fortemente voluto la presenza del Teatro Pubblico a Galatina come tassello importante e decisivo per la vita futura del Cavallino Bianco» ha aggiunto Cristina Dettù, vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Galatina.
«Come Teatro Pubblico Pugliese siamo molto felici di lavorare con l'amministrazione comunale di Galatina per questa stagione teatrale che torna ad abitare il teatro comunale dopo il lungo e importante lavoro di restauro concluso da pochi mesi. La stagione che abbiamo preparato insieme al Comune è un modo per riaprire le porte del bellissimo teatro Comunale portando in scena spettacoli in grado di regalare leggerezza e, allo stesso tempo, far riflettere il pubblico che sceglierà di tornare a frequentare il teatro comunale» ha commentato commento di Giulia Delli Santi, dirigente responsabile delle attività teatrali del Tpp.
Agli appuntamenti curati direttamente dal Teatro Pubblico Pugliese si aggiungono, come già accennato, quelli a cura dell’associazione OTSE - Officine Theatrikés Salento Ellàda di Pietro Valenti. Dopo “Il Dio Bambino” con Fabio Troiano lo scorso 16 marzo, i prossimi appuntamenti in programma sono:
il 22 e 23 marzo “Otello Circus” (ore 20.45, prenotazione obbligatoria) di Antonio Viganò, un'opera lirico-teatrale ispirata alle opere di Giuseppe Verdi e William Shakespeare ambientata in un vecchio Circo dove tutto sembra appassito ed Otello è costretto a rappresentare la sua personale tragedia. Lo spettacolo sarà replicato anche il 23 e 24 marzo al mattino in forma riservata per il pubblico scolastico.
Si torna a teatro domenica 27 marzo per “Processo a Dio” dramma in due atti di Stefano Massini con la regia Raffaele Margiotta (ore 20.45, spettacolo fuori abbonamento con biglietto unico a 10 euro). Lo spettacolo sarà replicato lunedì 28 marzo al mattino in forma riservata per il pubblico scolastico.
Il 9 aprile (ore 20:45) sarà in scena “La caduta di Troia” dal libro II dell’Eneide con Massimo Popolizio voce magnetica e inconfondibile. Il tema è quello dell’inganno. Le parole di Virgilio sembrano uno storyboard, una sorta di sceneggiatura ante litteram. Le musiche sono eseguite da Stefano Saletti, Barbara Eramo e dal musicista iraniano Pejman Tadayon che suona il kemence, il daf e il ney, antichi ed evocativi strumenti della tradizione persiana. Le lingue cantate sono il ladino, l’aramaico, l’ebraico e il sabir, antica lingua del Mediterraneo.
E ancora, il 26 aprile (ore 20:45) ci sarà “Caduto fuori dal tempo”, con progetto, elaborazione drammaturgica e interpretazione di Elena Bucci e Marco Sgrosso, meravigliosi artisti di straordinaria sensibilità e talento, che si confrontano con uno dei maggiori scrittori della nostra epoca, David Grossman, rileggendo per il teatro una delle sue opere più toccanti, che ci parla della drammatica perdita di un figlio e del dolore di chi resta.
Il 6 maggio (ore 20.45) andrà in scena “In nome della madre” di Erri De Luca per la regia di Gianluca Barbadori e con Galatea Ranzi: la storia, narrata in prima persona, di Miriàm, una ragazza della Galilea che ha una strana visione nella quale un angelo le annuncia che avrà un figlio e le profetizza per lui un destino di grandezza. Facendo ricorso al linguaggio semplice e terso della poesia, Erri De Luca racconta la gravidanza di Miriàm/Maria.
E infine il 12 maggio (ore 20.45) andrà in scena “Museo Pasolini” di e con Ascanio Celestini. Lo spettacolo si interroga su un ipotetico, possibile, auspicabile “Museo Pier Paolo Pasolini”.
TEATRO RAGAZZI – LA DOMENICA NON SI VA A SCUOLA
E a Galatina si pensa anche ai più piccoli con una stagione teatrale loro dedicata con spettacoli di teatro ragazzi in programma sempre la domenica pomeriggio.
Il 3 aprile (ore 17.30) in scena ci sarà “Il mondo di Oz”, produzione Compagnia Teste di Legno. Una rilettura in chiave pedagogica di quella celeberrima non-fiaba, infatti, potrebbe farci riflettere sulla necessità di valorizzare ciò che già abbiamo dentro, invece di cercarlo fuori di noi. Il tutto raccontato e manovrato a vista tra mille colori, pupazzi giganti e attori.
Il 10 aprile (ore 17.30) ci sarà “Il fiore azzurro”, spettacolo di figura e narrazione per attrice e pupazzo di e con Daria Paoletta e il pupazzo di Raffaele Scarimboli, produzione Compagnia Burambò. Un viaggio attraverso la storia di un popolo, quello tzigano, attraverso l'accettazione del diverso, il superamento delle avversità della vita, l'amicizia e la capacità di immaginare che il proprio destino non sia scritto ma è in continuo cambiamento.
Domenica 8 maggio (ore 17.30) toccherà a “Sapiens” di Valentina Diana con la regia Giuseppe Semeraro, produzione Principio Attivo Teatro, animare il pomeriggio dei ragazzi con questo spettacolo che racconta a un pubblico di bambini e ragazzi l'incontro-scontro tra due specie di ominidi che hanno condiviso l’esistenza in Europa per migliaia di anni, Sapiens e Neanderthal.
E ancora, domenica 15 maggio (ore 17:30) ci sarà “Diario di un brutto anatroccolo”, tratto dalla fiaba di Andersen con la riscrittura e regia di Tonio De Nitto, produzione Factory Compagnia Transadriatica. Diario di un brutto anatroccolo coniuga il teatro e la danza a partire da un classico per l’infanzia di Andersen. Un anatroccolo oltre Andersen che usa la fiaba come pretesto per raccontare una sorta di diario di un piccolo cigno, creduto anatroccolo, che attraversa varie tappe della vita come quelle raccontate nella storia originale, e compie un vero viaggio di formazione alla ricerca di sé stesso e del proprio posto nel mondo e alla scoperta della diversità come elemento qualificante e prezioso.
BIGLIETTI
Spettacoli serali
intero € 20 / ridotto € 10
Spettacoli pomeridiani
intero € 10 / ridotto € 6
prevendita online su www.diyticket.it
Biglietteria del Teatro Cavallino Bianco Via G. Grassi nr. 13 Galatina
martedì e giovedì 16:30 – 19:30, sabato 10:00 - 13:00
Abbonamenti e biglietti ridotti per under 25, over 65, diversamente abili, persone non autosufficienti ed i loro accompagnatori
* Otello Circus spettacolo a prenotazione obbligatoria
** Processo a Dio spettacolo fuori abbonamento, biglietto unico € 10
INFO E PRENOTAZIONI
Telefono 3287391140
Ingresso solo con Mascherina FFP2 e Green Pass Rafforzato
set272015
Metti un cielo pieno di stelle, un bel plaid, una roulottina vintage, un cestino pieno di cose buone e chi sa parlarti di stelle e il gioco è fatto! è l'ASTRO PICNIC!
La nina delle meraviglie, con Safi , Fiordililibro Libreria e G.A.S. Gruppo Astrofili Salentini organizza per sabato 3 ottobre ASTRO PICNIC con partenza da Via O. Scalfo 74 a Galatina alle 16,00 oppure ci si ritrova alle 17,00 direttamente alla SECRET DESTINATION.
La prenotazione è obbligatoria entro il entro il 30.09.15. Per info e costi 3498636027- 3803797092
Dopo il picnic avremo, durante la serata, la possibilità di godere la visione di un cielo stellato che vedrà scivolare verso ovest le costellazioni estive mentre ad est sorgeranno quelle autunnali, con l'ariete e il Toro prima e il grande Cacciatore Orione poi, che sorgerà imperioso insieme a Nostra Sorella Luna in fase gibbosa calante verso le 23,15.
Ai telescopi del G.A.S. si potrà ammirare, fino al sorgere della Luna, alcuni oggetti del profondo cielo, come l'ammasso della civetta , l'ammasso stellare della cruccia, e non ultimo l'ammasso stellare delle Pleiadi, le sette sorelle figlie di Atlas e Pleione, più luminose che mai.
Con l'ausilio di un puntatore laser raggio verde (uso astronomico) i partecipanti saranno condotti, fra mito e poesia, in un viaggio affascinante intorno alle stelle delle costellazioni Estivo-autunnali alla ricerca della stella maestra mentre la via lattea riempirà i nostri occhi della sua meravigliosa bellezza.
L’evento verrà rimandato in casi si avverse condizioni meteo.
mag192018
Il libro che sottoponiamo alla Vostra attenzione si intitola “Alla Vita e per La Vita” ed è un’opera desiderata della maestra Ada Palamà, innamorata della poesia e della gioia che con essa colora la vita.
Vi chiediamo di regalarci un'oretta del vostro tempo per condividere insieme “un atto di pace”, così come dice Pablo Neruda.
L’evento è organizzato da Fareambiente Laboratorio di Galatina-Noha, che si adopera per la salvaguardia dell’ambiente, in collaborazione con Cuore e Mani aperte verso chi soffre, che si prodiga per alleviare le sofferenze fisiche e sociali dei più bisognosi.
Alla fine della presentazione di “Alla Vita e per La Vita “, vi invitiamo al piccolo buffet e a brindare con noi alla bellezza della poesia e “Alla Vita e per La Vita”.
Fareambiente Laboratorio di Galatina-Noha
gen072012
Pindinguli, Zaranguli e Scisciariculi è il titolo della raccolta di poesie postuma di Uccio Giannini, edita da Edit Santoro, curata dal professor Gianluca Virgilio e fortemente voluta da famigliari e amici dell’autore, scomparso il 4 dicembre del 2010 all’età di ottantadue anni. Un profano della lingua dialettale leccese caduta in disuso, come il sottoscritto, si chiederebbe: ce suntu ‘sti Pindinguli, Zaranguli e Scisciariculi? A tal proposito viene fortunatamente in nostro aiuto la nota introduttiva di Virgilio: credo che dal significato dei titoli che Giannini volle dare alle sue poesie – afferma il curatore della raccolta - emerga chiaramente la volontà del poeta di presentare il suo lavoro in modo semplice e dismesso, come un corpus di composizioni di poco conto e senza valore.
Di sicuro, a un qualunque sprovveduto che la sera del 28 dicembre si fosse trovato a passare dal museo “Cavoti”, affacciandosi sull’uscio della sala, gremita per l’occasione, dove abitualmente si tengono quest’anno le lezioni dell’Università Popolare “A. Vallone”, a un qualunque sprovveduto, dicevamo, non sarebbe mai passato per la testa che si stesse lì presentando una raccolta di poesie. Difatti, è difficile rimanere seduti, composti e seri, ascoltando le poesie di Giannini, per niente facile ascoltare in silenzio, senza commentare sul momento con il vicino i versi del poeta, costruiti con arguzia, con cura e dimestichezza. In un crescendo armonico di attese e mistero, come un tamburo che batte nel petto, i più sfociano in un’interminabile risata, altri lasciano un amaro in bocca impossibile da ignorare, che si mimetizza in un brusio di approvazione. Così, sentendo recitare le poesie di Giannini dalla voce espressiva e carismatica di Gregorio Caputo, l’ascoltatore come un blocco di pietra si lascia scalfire dalla fluidità del verso dialettale, dalla semplicità apparente dell’argomento, per poi all’improvviso ritrovarsi, in quell’attimo di silenzio che involontariamente si crea tra una poesia e l’altra, modellato dal poeta.
Pindinguli, Zaranguli e Scisciariculi, dice Virgilio, è un abbassamento retorico del valore dell’opera, che ne facilita l’approccio da parte del lettore. Aggiungerei che nella trappola dell’“abbassamento retorico” messa in atto dal Giannini, alla fine ci cascano tutti, inevitabilmente, e tutti ne vengono fuori non istupiditi e vuoti, ma arricchiti e dubbiosi. Le poesie del matematico Giannini (ha conseguito infatti la laurea in Matematica e Fisica e ha insegnato matematica presso le scuole superiori), coprendo un arco di tempo che va dal 1979 al 2002, hanno la capacità non solo di intrattenere e divertire, ma anche di interrogare e istruire, facendosi portavoce di un passaggio epocale che ha visto il mondo contadino prepotentemente rimpiazzato dalla società industrializzata. Si avverte quindi, come riporta Gianluca Virgilio nell’introduzione, in alcune composizioni poetiche quel senso di nostalgia, sempre ben controllato, quella considerazione piuttosto dolente del progresso, che ha portato con sé la fine dei valori, ma emerge allo stesso tempo l’esigenza di scrivere innanzitutto per se stessi, per mettere a tacere quel brusio fastidioso che ci perseguita ovunque, dandogli una veste umoristica, come nel caso di Giannini, e condividendolo con gli altri. Ecco, quindi, che la poesia di Uccio Giannini si fa espressione di un modo alternativo di affrontare la realtà.
Michele Stursi
gen242011
Scrivo, sperando di riuscire a liberarmene una volta per tutte. Scrivo, appunto, scrivo qualcosa che si potrebbe definire, volendo, recensione di un libro, ma che credo non abbia nulla di simile, a parte il libro, a una recensione. Sia ben chiaro che con la presente non è mia intenzione offendere alcun recensore professionista, né tantomeno l’autore del libro in questione, Antonio Errico.
L’ultima caccia di Federico Re (Manni Editori, pag. 151, 2005) è infatti l’opera di cui voglio parlarvi e che ancora non ho finito di leggere. Avete capito bene, non l’ho ancora finito di leggere e ho già iniziato, senza esitare un attimo di più, a buttare giù qualche idea. Beh, cosa sono quelle facce sconvolte? Vi avevo avvisato. Ecco quello che succede a non prendere mai sul serio chi scrive! Comunque non ho intenzione di tornare indietro, sia ben chiaro, io continuo dritto per queste righe.
Bene, e ora vi devo fare un’altra confessione: prima di iniziare a leggere quest’opera ne ho dovuto subire la persecuzione. Sarà capitato anche a voi, ditemi di sì, di gironzolare tra gli scaffali di una libreria e scorrere con gli occhi centinaia di titoli, distrattamente, senza prestare attenzione a nessuno in particolare. Almeno così vi sarà sembrato, se non fosse che alcuni giorni dopo vi trovate davanti un articolo il cui autore non vi è del tutto sconosciuto, siete certi di averne già sentito parlare, ma non ricordate in quale circostanza.
Ora, per favore, ditemi che è proprio così che vanno in genere le cose!
Nel mio caso l’autore si chiamava Antonio Errico. Ne ero sicuro, questa la mia certezza, l’unica in fondo, per il resto ero costretto a vagare nel nulla; tutte le fatiche risultavano inutili, non c’era capriola, tuffo acrobatico, triplo salto nei miei ricordi che suscitasse una qualsiasi associazione: un libro, una poesia, bastava anche un volto, il colore di una copertina o un’immagine, una musica per carità, ma niente, nonostante continuassi imperterrito a lustrare il fondo della mia memoria, nessun luccichio mi veniva in aiuto.
Arriva sempre, inevitabilmente, un momento nella vita in cui è bene dimenticare, e in genere lo facciamo in automatico, senza alcuna prassi burocratica che ci porti via del tempo. Dimentichiamo per fare spazio a ricordi più ingombranti; mettiamo ordine perché ci rendiamo conto che presto ci riuscirà impossibile ripescare quel particolare ricordo.
Così mi accingevo a buttar via il ricordo di Antonio Errico, piccolo e deformato, probabilmente perché non mi riusciva di sistemarci nient’altro in quello stesso angolo di memoria e mi occorreva ancora dello spazio. Fu allora che mi sembrò di rivivere, nella penna del Collodi, lo spauracchio di Maestro Ciliegia, dal momento che proprio quand’ero sul punto di gettar nel fuoco il mio ricordo, ecco che questo vi si ribellò e mi ritrovai Errico dappertutto, a firma di articoli, mentre parlava della poesia di Vittorio Bodini al Liceo Classico “P. Colonna”, in una lezione all’Università Popolare di Galatina e nei suoi libri, che il caso però voleva non riuscissi mai a sfogliare, ma solo a intravedere nelle librerie, su scaffali di letteratura salentina.
De L’ultima caccia di Federico Re non ne avevo mai sentito parlare, mai prima della mostra Fabbricanti di Libri presso Palazzo Baldi a Galatina. In quell’occasione mi sono trovato dinanzi alla trasfigurazione artistica dell’opera, a una metamorfosi creativa che prendeva origine dalle pagine di quel testo, le modellava, ne plasmava l’idea dell’artista con quella dello scrittore per dare vita a un’opera d’arte unica e di rara bellezza. Questo era il libro che dovevo leggere, mi dissi, e non ci fu bisogno di mettermi a cercarlo, perché fu lui a venirmi incontro. Giorni dopo eccolo, infatti, sugli scaffali della Biblioteca Giona a Noha, ancora lui, Antonio Errico e il suo L’ultima caccia di Federico Re.
Scrivo, quindi, scrivo sperando di riuscire a liberarmene una volta per tutte.
Scrivo, cercando di dare un senso a questa smodata ricerca.
ago032015
Quest'estate Galatina mette al centro i bambini, ma anche gli adulti: arriva Cartonando, rassegna di cinema per ragazzi, nell'ambito de L'estate della Cuccuvascia - ritrovarsi a Galatina, organizzata dal Comune di Galatina. Il 4-11-18 agosto, in Piazzetta G. Fedele, si inizia alle ore 20.00 con la pre-animazione a cura del Centro Servizi per l'Infanzia il Baobab, e si proseguirà alle 21.00 con il cinema.
Un programma ideato per coinvolgere direttamente i bambini e trasportargli nel magico mondo del cinema propone un'esuberante animazione che vi lascerà senza fiato: un percorso incantato per far scivolare adulti e bambini nel meraviglioso mondo delle fiabe e del cinema animato. Tantissime emozioni da vivere.
4 agosto:
Ore 20.00 Un fatato tocco artistico con il face painting ispirato ai personaggi animati dei corti;
bans e giochi di gruppo per dar sfogo all'energia;
La spettacolare magia di Presto, il coniglio (a cura di Mago Rocky Di Maggio);
laboratorio creativo: La Luna dei sogni;
balloon art per far vivere i coloratissimi amici dell'animazione;
zucchero filato, per un po' di dolcezza extra;
e, infine, una suggestiva sorpresa...
Ore 21.00 Disney e Pixar presentano una nuova incredibile collezione di 12 cortometraggi, alcuni candidati all'Oscar (miglior cortometraggio animato: Presto, 2008; Quando il giorno incontra la notte, 2010;
La Luna, 2011). Fantastiche storie, personaggi accattivanti e un'animazione straordinaria, con contenuti inediti.
11 agosto:
Ore 20.00 Un tuffo artistico nel Paese dei Balocchi con il face painting ispirato ai personaggi di Collodi;
bans e giochi di gruppo per un pieno di allegria;
teatro delle marionette con Dialogo da burattini veri;
laboratorio didattico-creativo: Crea il tuo burattino;
balloon art per un po' di vivace giocosità;
Ore 21.00 I coloratissimi fotogrammi di Pinocchio, di Enzo D'Aló disegneranno una vivace poesia in grado di catturare l'attenzione di adulti e piccini, allo riscoperta di un burattino sferzante è pieno di vita.
18 agosto:
Ore 20.00 Face painting per immedesimarsi nei protagonisti creati da Daniel Pennac;
bans e giochi di gruppo con una gara tra orsetti e topolini;
Sentimenti delicati come bolle di sapone, spettacolo di bolle di sapone giganti;
laboratorio didattico: Il libro delle emozioni e i consigli di Celestine;
balloon art per emozionare con i coloratissimi palloncini e le loro figure;
Ore 21.00 Ernest & Celestine, di Stéphane Aubier, un capolavoro che parla di amicizia, eguaglianza e cuori puri.
Daniela Bardoscia
ott212015
Ritorna l’appuntamento fisso del mercoledì di Nohinondazioni con MSG Radio, il programma radiofonico nato per intrattenere giovani e meno giovani, che spazia dal reggae, all’house fino alla musica commerciale. In compagnia di Marco, Simone e Gabriele mercoledì 21 ottobre dalle 18 alle 19 saranno ospiti i Crifiu, che presenteranno Ad un Passo da Te, il loro nuovo album in cui raccolgono l’esperienza di questi anni di tour in Italia e in Europa insieme ai frutti del fortunato lavoro precedente “Cuori e Confini” e realizzano 11 tracce - diverse nei contenuti e nella musicalità con testi importanti e ricchi di riferimenti letterari - che rivelano un sentiero comune che conosce la crisi e il suo superamento, che sa che dietro ogni salita c’è una discesa, che ogni giorno nasce dalla notte e che solo dopo il diluvio si scorge l’arcobaleno, ribaltando così il concetto di crisi come momento di stimolo alla creazione.
A UN PASSO DA TE è un album contemporaneo nelle tematiche e nei suoni, tra pop, rock e world music, dal forte impatto musicale ed emotivo, che conserva le coordinate sonore ormai riconoscibili della band: chitarre, frequenze basse, flauti, potenti groove, melodie mediterranee e ritmiche del mondo, pop e poesia. L’album vanta, inoltre, la produzione artistica di Arcangelo “Kaba” Cavazzuti, già batterista di Vasco Rossi e Biagio Antonacci e produttore di numerosi dischi italiani e tra i tanti ospiti anche i Boom da Bash nella hit “Al di là delle nuvole” e l’attuale sezione fiati di Manu Chao.
Ovviamente il link per ascoltarci è www.nohinondazioni.it
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fonte: inondazioni.it
nov292008
Presentazione del libro
“Il sogno della mia vita”
(Circolo culturale Tre Torri – Noha, 18 ottobre 2008)
Buonasera a tutti e benvenuti a questa manifestazione in cui parleremo di libri.
Questa serata rientra in un cartellone che ormai esiste dal 2006, e nel quale proprio dall’inizio io ho avuto l’onore di far parte per esserne stato sempre invitato come relatore. La rassegna si chiama: “Ottobre piovono libri. I luoghi della lettura.” Sottotitolo: “Il Salento ed altre storie”.
Questa manifestazione, come avrete visto dal manifestino, è promossa in collaborazione con tante istituzioni che non sto qui ad elencarvi, e comprende presentazioni di libri, maratone di lettura, bookcrossing (cioè incrocio o scambio di libri), letture di brani nelle chiese, nelle scuole, nelle biblioteche, nei parchi, e anche negli ospedali o nelle carceri o negli autobus, ecc.
Questa sera siamo in un circolo culturale. Il circolo culturale “Tre Torri” che ringraziamo per l’ospitalità.
*
Permettetemi ora di aprire una parentesi e la chiudo subito. Qualcuno m’ha chiesto: a che serve la presentazione di un libro?
Vi dico intanto cosa è la presentazione di un libro. La presentazione di un libro è una specie di battesimo del libro. E la si può fare anche più volte. Solo che la seconda volta anziché chiamarsi battesimo, si chiamerà magari cresima.
La presentazione di un libro la si può fare anche se il libro è già conosciuto e, come in questo caso, sia già in circolazione da tempo.
Un libro vive di vita propria. Una volta messo in circolazione non ha più bisogno dell’autore. Però un libro, come una persona ha bisogno di momenti comunitari, magari di festa.
Sicché la presentazione di un libro che come sapete potrebbe essere fatta in televisione, in casa tra amici, in un oratorio, in piazza, o in un circolo culturale, come stasera, deve essere semplicemente un momento di festa.
E qui siamo ad una festa, c’è anche il video, c’è la musica (dal vivo, grazie Maestro e grazie e bravi ragazzi!), c’è l’ospite o la madrina della serata, la Giuliana Coppola, dopo ci sarà anche un rinfresco, e tutti voi alla fine avrete anche una piccola immagine in dono: la bomboniera. Ecco cos’è la presentazione di un libro. Una festa necessaria. Che serve al libro in sé, e non necessariamente all’autore o al curatore o all’editore.
Un’ultima cosa brevissima sul concetto di “evento culturale”. Si è parlato di evento culturale, lo avete anche letto sull’invito o sul manifestino. Ma volevo farvi capire che la cultura non è l’evento in sé, che è qualcosa che passa: la cultura è quello che rimane dell’evento. Se di un evento non rimane nulla, allora è meglio non farlo. Di questo evento spero vi rimanga qualcosa. A me certamente rimarrà molto. Chiusa la parentesi.
* * *
Io vi presenterò un libro la cui edizione è fresca anzi ancora calda di torchio (è uscito infatti nel mese di giugno di quest’anno) ma di fatto si tratta di un libro che era già stato scritto in diversi anni - una cinquantina circa - a partire dagli anni quaranta del secolo scorso.
Si tratta di un libro i cui paragrafi erano già scritti e sparpagliati in fogli di quaderni trovati per caso. Sicché il mio lavoro è stato come quello per esempio del cuoco (sul libro ho scritto “del sarto”, ma dovevo trovare un’altra metafora per non ripetermi), un cuoco che ha già gli ingredienti a portata di mano e si diletta a preparare a sperimentare un nuovo piatto con una combinazione inedita di elementi noti, mettendoci un po’ di sale ed anche un pizzico di pepe.
Il cuoco di un libro si chiama “curatore”. Il curatore è colui che cerca di legare le parti di un libro, cerca di spiegare, di mettere in relazione, di commentare, di ricordare, di narrare qualche aneddoto; in questo caso è quello che ha scelto la copertina, il carattere, le dimensioni del volume, le foto, i colori, la carta del libro, l’impaginazione, gli spazi tra un rigo e l’altro, e molte altre cose.
Chi di fatto ha scritto il libro invece è l’autore.
Dunque questo libro, diciamo, per l’80% non è stato scritto dal curatore (cioè io che avrò al massimo scritto il restante 20%), ma dall’autore che è il qui presente Donato Mellone (ho detto Donato Mellone perché quando si parla di autori non ci vanno i titoli: dottore, don, professore, onorevole, o zio…).
Ma c’è un’altra particolarità.
Nel 99% dei casi l’autore è consapevole non solo di quello che ha scritto ma anche del fatto che ciò che ha scritto è destinato ad un prodotto editoriale. Cioè è destinato a comporre le pagine di un libro.
Nel caso di questo libro, invece, l’autore sapeva certamente di aver scritto delle cose su dei quaderni: omelie, pensieri, prediche, panegirici. Ma non avrebbe mai pensato che in occasione del suo sessantesimo di sacerdozio, che ricorre proprio in questo 2008 (il 18 luglio scorso, per la precisione: giusto tre mesi fa a partire da oggi), - l’autore dicevo, non avrebbe mai pensato che le sue omelie si sarebbero trasformate in questo libro.
Per forza di cose l’autore doveva rimanere all’oscuro di tutto, altrimenti al sottoscritto curatore non sarebbe mai stato permesso non dico di mettere tutto assieme ma nemmeno di leggere i manoscritti o di riprodurre le foto.
L’autore poi in maniera intelligente ha accettato il tutto, una volta messo di fronte al fatto compiuto. Poi magari ci dirà se ha gradito o meno.
Il titolo del libro… Beh lascio a voi scoprire il perché di quel titolo. Altrimenti che ci state a fare? A cosa servirebbe un lettore se tutto gli venisse scodellato?
Sappiate solo che la storia del titolo di questo libro è bella e sarebbe proprio da leggere. Non vorrei dirvi altro: Elias Cagnetti ebbe a scrivere: “Chi mi consiglia un libro me lo strappa di mano, chi lo esalta me lo guasta per anni”.
Il lavoro del curatore – sappiate - non così facile come potrebbe sembrare a prima vista. Il curatore non si limita a “copiare” (“copiare” con tanto di virgolette). Il curatore deve anche interpretare, capire, deve andare un po’ più in là dell’apparenza.
Nel mio caso è stato come fare un viaggio nel tempo. Ritornare indietro nel tempo per respirare l’aria, l’aura, la cornice di quei quaderni. Del resto riordinare le carte di un archivio è sempre fare un’avventura contro tempo, quando il passato si svela con sorprese inimmaginabili e senti che alcune cose ti appartengono per chi sa quale strampalato marchingegno.
Il presente lo conosciamo attraverso la televisione (purtroppo), mentre i decenni scorsi li conosciamo attraverso i libri e attraverso la visita dei luoghi, oserei dire anche attraverso le pietre.
Allora, sono andato a rileggermi tanti libri per rituffarmi nel periodo degli anni ’40, ’50, ’60. E poi i miei anni ’70, ’80 e ’90, gli anni che mi appartengono. Così non ho potuto non rileggermi Umberto Eco e la sua “La misteriosa fiamma della regina Loana”; un sacco di libri sul mitico ’68, e poi ancora i libri di Antonio Antonaci come per esempio il “Gaetano Pollio”, il “fra’ Cornelio Sebastiano Cuccarollo”, il “Luigi Accogli”; ancora alcuni libri sulle cronache del tempo, per esempio alcuni volumi de “L’Espresso” di quegli anni (che vendevano in allegato con Repubblica) e poi ancora il bellissimo e recente libro di Michele Rielli “Salento anni ’60 (Congedo Editore, 2007), e poi il libro “Memorie di Galatina” di Giuseppe Virgilio (sempre Congedo, 1998), e ovviamente “L’immaginazione che voleva il potere”, AAVV di Manni del 2004, e tanti altri. I libri si parlano tra loro del resto.
Ed altre decine di libri, tra i quali – non stupitevi - qualche testo mio come il “Don Paolo” e il “Noha – Storia, arte, leggenda”.
Cosa credete? Anch’io devo spesso andare a rileggermi quei due o tre libri che ho scritto! Mica mi ricordo tutto.
Poi ho pescato molte cose nella mia memoria di chierichetto, tra l’altro ritratto con altri ragazzi-colleghi sulla prima di copertina. E poi ho chiesto informazioni a destra e a manca. E soprattutto, per descrivere alcuni ambienti, ho dovuto visitare i luoghi del tempo che fu: la vecchia chiesetta di Santa Maria al Bagno, mi sono intrufolato fin nella vetusta sacrestia nella quale ci sono ancora alcune sedie mezzo sgangherate, ma anche nella nuova chiesa dedicata all’Assunta, costruita dal qui presente Donato Mellone stesso. Sono stato a Santa Caterina in quell’altro tempietto. Mi sono recato a Nardò nella cattedrale per percepire nella fissità arcaica di quella maestosa chiesa l’atmosfera solenne dei riti, molti officiati dallo stesso qui presente Donato Mellone, che di quella cattedrale fu viceparroco; ho visitato alcuni ambienti del vecchio seminario, l’episcopio, e villa Tabor a Le Cenate di Nardò. Eccetera.
I luoghi della chiesa di Noha e della canonica ce li ho, anzi ce li avete presenti tutti. Anzi proprio in questo momento, in questi locali, aggrappati alle pietre e agli anni di questi muri, ci sono le storie e le immagini della canonica del tempo narrato nel libro.
Insomma elementi importanti per la sceneggiatura, diciamo.
Dunque nulla di improvvisato. Non si improvvisa nemmeno se si copia.
“Bisogna saper copiare” - ci hanno sempre detto a scuola.
Ora prego Paola Congedo a leggere due brevi brani del sottoscritto, così sentirete con le vostre orecchie se ho copiate bene o male…
(Ecco uno dei due brani letti dalla Paola Congedo)
Da pag. 34
Don Donato, nelle funzioni solenni, e specialmente nel corso del triduo pasquale, voleva che i giovani (finalmente!) fossero presenti sull’altare, accanto al celebrante, nella lettura del “Passio”, della preghiera dei fedeli, ma anche nel corso di tutta la messa, senza bisogno di indossare alcuna tunica o veste liturgica. Erano “grandi conquiste”, cose inaudite né mai viste prima di quei tempi. Anche a Noha erano finalmente finiti i tempi in cui le “pizzoche” assistevano attivamente alla messa semplicemente recitando il rosario (che altro potevano fare se non intendevano né potevano ritenere nella loro mente il latinorum?). A dire il vero, alcune di queste “comandanti di plotone” le vedevi annuire alle parole del prete che recitava preghiere in latino: volevano quasi dimostrare di essere in grado di capire quelle espressioni (latine o italiane che fossero), ma in realtà molto probabilmente non sapevano neanche di cosa il prete stesse parlando. Al tempo della messa in latino le immancabili pie donne, sovente, ripetevano per assonanza, a memoria (e oltremodo deformavano) le parole che venivano fuori dalla bocca del parroco o da qualcuno più istruito che padroneggiava quella lingua, senza conoscere il reale significato, ma con tanta apparente devozione. Perciò capitava spesso di ritrovarsi in un coro di fedeli che miscelava frasi e parole latine con il dialetto di Noha: l’esilarante spettacolo era assicurato: “Dominu vu mbiscu”, “Requie e statti in pace”, “Amme”. * * * Molti fedeli non sapevano né leggere né scrivere. E quando chi scrive, vestito da chierichetto, distribuiva i foglietti della messa, non era infrequente che qualcuno gli dicesse di non poter leggere. Era facile accorgersi della loro ignoranza; che i più furbi cercavano di mascherare in qualche modo, per esempio adducendo la scusa di aver dimenticato gli occhiali a casa. Era bello vedere la “Nzina”, la “Tetta”, la “Sina” e la “Vata” tutte prese rigorosamente sotto braccio, dirette alla volta della messa vespertina. Erano vere e proprie comitive di amiche, colleghe di nero vestite, con abiti e scamiciati perlopiù taglia “over-size”, donne pronte ad intonare, con voci più o meno accordate, più o meno nasali, seguendo chi più chi meno il tempo, l’inossidabile e bellissimo canto “Tantum ergo” (o come a squarciagola stornellavano le allegre comari: “Santu mergo”), ma anche il nuovissimo “Noi canteremo gloria a te…”. Queste donne, così desiderose di spiritualità, erano quasi legate alla sottana (si potrebbe dire così?) di don Donato, tanto che lo seguivano in ogni iniziativa proposta. Così, una volta, nel Seminario Vescovile di Nardò si tenne un convegno su Bioetica e Religiosità, il cui relatore principale era monsignor Elio Sgreccia, teologo e presidente della Pontificia Accademia Pro-Vita. Orbene, alcune delle donne cattoliche nohane venendo a sapere dell’importanza del relatore vollero non solo partecipare a tutti i tre giorni del simposio, ma giocando d’anticipo sulle altre colleghe-concorrenti provenienti dalle altre parrocchie della diocesi, riuscirono anche a prendere i posti in prima fila, diremmo “in poltronissima”, onde esser accorte, attente a non perdere nemmeno una parola delle relazioni. Ma per un paio di esse il tutto fu inutile. Non passò molto dall’inizio del meeting che, sarà per la comodità della poltrona, sarà per l’ambiente ovattato, sarà per il rilassamento post-battaglia per accaparrarsi i primi posti, sarà per i discorsi invero un po’ monotoni o soprattutto difficili per le loro menti, sarà, dicevamo, per tutte codeste concause prese all’unisono, un paio di esse caddero inesorabilmente nelle braccia di Morfeo: si addormentarono, trasportate dalla voce del monsignore. Il quale, senza dover scrutare oltremodo l’attenzione dell’uditorio, se ne accorse, e ironicamente nel suo discorso fece pure cenno al “trasporto” con il quale qualche signora, assisa proprio di fronte a lui, seguiva la sua prolusione… Alla fine della lectio magistralis, le belle addormentate, non solo si svegliarono di botto ed applaudirono entusiaste, ma al loro ritorno a Noha non finivano di dire a tutti: “Come è stato bello il convegno, e quanto era bravo il relatore!”>>. * * * Dopo tutto questo lavoro preparatorio si è potuto procedere alla ricopiatura dei quaderni. Ecco, in questo libro ci sono 14 quaderni scampati al macero per un caso fortuito. Non vi racconterò - neanche in questo caso – tutta la storia avventurosa di questi quaderni, altrimenti non la leggerete dalle pagine del libro e vi soffermerete e vi limiterete a guardare le foto (vizio di molti). Si tratta di quaderni stracarichi di anni e di esperienza. Quaderni pieni di versi che sono arrivati fino al nostro tempo a volte senza compiersi per una pazienza che non so capire. Ma come invece capiremo dalla lettura di qualche brevissimo brano, finché ogni giorno ognuno di noi può stare anche su un solo rigo delle scritture sacre o su queste di questo libro che di quelle parlano, riusciremo a non mollare la sorpresa di essere vivi. Prego Ileana, ora tocca a te. (Brani letti dall’attrice) Da pag. 57: La vita è un viaggio spesso doloroso. In questo viaggio sovente si scivola, si cade, si smarrisce la via, ma chi si è comunicato bene la prima volta, si rialza, se si è perduto si ritrova, perché la Comunione accende una stella sulla che attraversa il mare della vita, conduce al porto dell’eterna salute. Da pag. 67: Noi moderni tutti assillati nella conquista dei beni della terra, abbiamo quasi dimenticato i beni dello spirito; mai come oggi l’umanità è stata trascinata verso la terra, verso la materia, verso le paludi dell’immoralità; mai come oggi l’umanità incredula, scettica nelle verità della fede si è affannata e si affanna a chiedere alla terra, ai beni della terra, la felicità che essi non potranno mai dare. Da pag. 75: Chi è mai in grado di evitare tutti i dolori, i fastidi, le avversità, le malattie, le contraddizioni, le delusioni che l’esistenza di quaggiù riserva al più innocente degli uomini? Se dunque la croce è di tutti, perché rifiutarla, perché non farne tesoro, perché non abbracciarla? Perché guardarla con diffidenza e scansarla o voler liberarsene ogni volta? Come potremo portarla trionfalmente in cielo, se oggi la temiamo e la disprezziamo? Da pag. 77: La fede che Gesù vuole da noi non deve aver bisogno di miracoli. Da pag. 78: Di fronte alle angosciose contraddizioni della vita ed alle prove più dure, non mettiamoci a ragionare, non pretendiamo di avere spiegazioni da Dio. Da pag. 94: La vergogna di certi errori non deve allontanare dal perdono. Da pag. 113: All’umiltà si oppone l’orgoglio e noi pecchiamo così spesso d’orgoglio. Che cosa è infatti il non voler riconoscere mai il proprio torto, il voler sempre occupare i primi posti, quel criticare le azioni del prossimo, il non accettare i richiami di alcuno? Da pag. 123: Ricordiamoci che con Cristo si vince sempre. Passeranno gli anni, passeranno i secoli, non importa. Cristo non ha fretta, perché è eterno. Da pag. 125: Per molta gente rozza non esiste che il lavoro materiale, esso solo è degno di compenso, ad esso solo si attribuisce il progresso umano. Ma c’è un lavoro alto, nobile: quello del pensiero, quello della poesia e dell’arte, e quello ancora più sublime della creazione della santità. Senza questo lavoro non può esserci popolo civile. Da pag. 135: Ma siamo tutti fratelli! Se un mio fratello cade nel male, chi mi dà il diritto di condannarlo? Chi mi ha costituito giudice? Da pag. 136: L’uomo ozioso non si occupa di nulla. Sa di avere un’anima da salvare, ma praticamente vive come se non ce l’avesse. Pensiamo che la nostra vita passa. […] Il tempo è nelle mani di Dio. Il tempo vola. Da pag. 143: Saremo noi giudicati del bene e del male compiuto, saremo giudicati anche del bene che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Da pag. 159: La chiesa è la casa della preghiera, il luogo in cui la creatura viene ad umiliarsi davanti al suo creatore, a chiedergli perdono delle sue colpe, ad adorarlo, a glorificarlo, rendergli il supremo culto. Nella chiesa tutto è sacro, tutto è santo, sacre le immagini, le reliquie, sacre perfino le mura, i santi sacramenti, la divina parola, sante le funzioni che in essa si celebrano. La casa di Dio non solo deve essere rispettata, ma in essa devono essere santi tutti i nostri pensieri, tutte le nostre opere, tutte le nostre parole. Da pag. 153: Quando il peccatore si curva su se stesso, riconoscendo i propri torti ed invocando perdono e misericordia, allora Dio si abbassa e quasi lo abbraccia con il suo perdono. Da pag. 156: Sentiamolo nel cuore l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo come noi stessi. La stessa misura che noi avremo usato nel trattare col prossimo, quella stessa misura ci sarà usata dinanzi a Dio. Da pag. 162: Noi i Santi ce li immaginiamo lontani, invece ci sono vicini, sono nostri fratelli, forse nostri fratelli di sangue. Da pag. 164: A noi tocca essere bravi cristiani e bravi cittadini. Si è bravi cristiani se si è bravi cittadini e viceversa. Da pag. 165: Dal buon uso della lingua scaturisce la civiltà, dal cattivo uso di essa viene fuori la barbarie. Da pag. 182: Siamo dei nomadi in cammino verso una patria eterna. * * * Grazie Ileana. Ora la parola all’autore Donato Mellone (vi confesso che mi risulta difficile, quasi innaturale chiamare Donato, chi ha scelto di essere per sempre don Donato). * * * Intervento di P. Francesco D’Acquarica, Missionario della Consolata. Ha raccontato alcuni aneddoti del periodo in cui, al rientro dalle missioni in giro per il mondo, ha soggiornato a Noha ed ha collaborato con don Donato. Molto divertenti (accompagnati da applausi e risate) gli aneddoti risalenti agli anni ’70. In particolare quello del traino della sua vettura da parte della mitica 600 di don Donato, dalla città di Parabita a Noha: 12 km di difficoltà, colpi di scena, drammi, risate. Molto simpatica anche la storia del clergymen di don Donato acquistato con l’ausilio di P. Francesco a Roma da De Ritis, negozio di abbigliamento religioso (ubicato nella strada romana che dal Pantheon conduce a Porta Argentina) poco prima di partire in pellegrinaggio alla volta di Lourdes… * * * Intervento di don Donato Mellone, molto applaudito. - Racconto della favola della “montagna che partorisce il topolino”; - “Ma io non voglio essere Donato Mellone; io voglio essere don Donato Mellone; - “Non mi piace e non so parlare nei convegni. A me piace parlare in chiesa. Ma quando parlo in chiesa non sono io che parlo è un Altro che parla per me”; - “Io non sono nessuno. Io sono il topolino di cui vi parlavo. Non sapevo nulla di questo libro. Se avessi saputo qualcosa, sarei, come dire, scomparso dalla circolazione” - Ringraziamenti. * * * Intervento della giornalista e scrittrice prof.ssa Giuliana Coppola. (Non abbiamo la registrazione. Diciamo soltanto che l’intervento di Giuliana, bellissimo, ascoltato in religioso silenzio per tutti i suoi quindici minuti, ha incantato l’uditorio). * * * Grazie Giuliana, ci hai commosso. A me ora non rimane che concludere. E come ogni buona conclusione che si rispetti dovrei terminare con dei ringraziamenti. Ma stavolta non farò un elenco interminabile di persone da ringraziare. Mi limito a ringraziare soltanto una persona per tutti. Non ne dirò il nome per non nominarlo invano. Capirete di chi si tratta. Ma dopo le bellissime parole della Giuliana, non posso più usare parole mie. Per esserne all’altezza devo prendere in prestito le parole di un grande scrittore, Erri De Luca, stese alla pag. 18 del suo libro “Nocciolo d’oliva” (ed. Messaggero, 2002), quello stesso dal quale ho tratto l’incipit del libro che stasera abbiamo festeggiato e che vi leggo di seguito. Allora, ringrazio Chi… “…Nacque e fu vivo grazie al solo prodigio di cui non fu lui stesso autore. Per tutta la vita, poca, cercò di pareggiare il conto di quell’ingiustizia, fino a farsi appiccare sopra l’osceno patibolo romano che esponeva la morte in alto, in vista, a manifesto. […] Per tutta la vita, poca, fu abitato da una folla di bambini mancati, dal dolore delle loro madri. Così poté sopportare quello della sua, ai piedi della croce. Molti dei suoi prodigi erano […] miracoli, ma non colossali, non inceppò la macchina del cielo come Giosuè, che fermò il sole in Gabaòn e la luna sulla valle di Aialòn. Non aprì le acque come Mosè, però ci camminò sopra senza bagnarsi. Non creò il frutto della vite, ma seppe provvedere, in una festa, a vendemmiare vino dall’acqua. Non creò il sole, il fuoco, né luna, né stelle già create, ma diede vista ai ciechi e questo è un modo di inventare luce. Non ebbe figli, non procurò una sua discendenza, ma litigò con sua sorella morte e le strappò di mano un corpo già in sepolcro, riportandolo indietro a rivivere, certo, ma anche a rimorire. Fu battezzato in acqua dolce, amò la pesca, frequentò pescatori, ne riempì le reti, placò le ondate di una tempesta sul lago di Tiberiade. […] Delle scritture sacre preferì Isaia; di Davide gustò più i salmi che le imprese. Discendeva da lui, così vuole la legge del Messia. […] Chiese all’offeso di esporre l’altra guancia, mettendo l’offensore al rischio del ridicolo, ma pure stabilendo un termine alla prova: in numero di due, non più, sono le guance. Non scrisse, non dettò, le sue parole facevano il viaggio delle api sopra i petali aperti delle orecchie. Salvò una donna dalla condanna di lapidazione chiedendo ai suoi accusatori che il primo di loro, se puro da peccati, si facesse avanti con la prima pietra. Sapeva che gli uomini tirano volentieri le seconde. Diverse donne lo seguivano di luogo in luogo alla pari degli apostoli. Non pretese astinenza; il celibato venne dopo, a chiese fatte. Sudò sangue, morì con tutto il corpo resistendo alla morte con nervi, fiato, febbre, piaghe e mosche intorno all’agonia. Risuscitò per intero, carne, ossa e promessa di essere solo il primo dei destinati alla risurrezione. […] Dopo di lui il tempo si è ridotto a un frattempo, a una parentesi di veglia tra la sua morte e la sua rivenuta. Dopo di lui nessuno è residente, ma tutti ospiti in attesa di un visto”. Ecco a questo protagonista - non a me - vorrete indirizzare l’applauso del ringraziamento. Antonio Mellone
dic022017
Non so se sapete che la Conferenza dei Servizi - quella che si sarebbe dovuta tenere giorni fa a Bari per la famosa proroga a Pantacom (la società a responsabilità non esagerata nel cui libro dei sogni d’oro e nel nostro degli incubi è previsto un centro commerciale di 25 ettari alle porte di Collemeto) - è stata rinviata a data da destinarsi.
Pare che si voglia lasciare tutto il tempo alla suddetta Srl per predisporre la documentazione necessaria alla richiesta di una dilazione [ancora rimandi, procrastinazioni e more. Tattiche dilatorie, insomma. E, di grazia, 'Usque tandem'? Se non chiediamo troppo: perché mai concedere un altro slittamento dei tempi? ndr.].
A questo punto, già che ci siamo, e se non già fatto, io staccherei pure qualche dirigente comunale di bocca buona e con le mani in pasta per darle una mano: poveretta, ‘sta Pantacom, non può mica fare tutto da sola. E se poi dovesse sbagliare? O scordare qualche carta? O perdersi nei meandri delle leggi, dei regolamenti e della convenzione, e magari incappare in qualche scadenza, decadenza o prescrizione?
No, meglio non correre rischi; meglio lasciarle tutto il tempo che le serve, tanto che fretta c’è. E poi non possiamo mica permetterci il lusso di perdere questo popò di “volano per lo sviluppo” e ben “200 nuovi posti di lavoro”. Recentemente, a dirla tutta, il monocorde quotidiano caltagironeo parlava addirittura di 300 nuovi posti di lavoro: il 50% in più dei soliti 200. Eh sì, pare che ultimamente le assunzioni nei centri commerciali lievitino come le 'pittule' dell’Immacolata [l’Immacolata Cementificazione per la precisione, propedeutica all’Assunzione, ndr.].
*
A proposito: vi è mai capitato di leggere la famosa “Convenzione Galatina/Pantacom”? Non potete perdervela per nessuna ragione al mondo: musica per le orecchie, poesia, arte, letteratura [a tratti horror, ma pur sempre letteratura, ndr.].
Orbene, nella suddetta Convenzione [altrimenti detta cir-convenzione di capaci di tutto, ndr.], oltre alla piattaforma per i capannoni commerciali, sono previste anche le famose rotatorie.
Ne sono state pronosticate ben tre: la prima “adiacente la SP Galatina-Collemeto per consentire un accesso continuo e senza interruzione all’interno dell’insediamento produttivo in questione”; la seconda “di svincolo sulla viabilità complanare di collegamento a Copertino”, e, visto che non c’è due senza tre, una terza “di svincolo del traffico dall’arteria complanare che si sviluppa lungo la SS 101”.
Me li vedo, tutti i politici delle larghe attese, letteralmente con il fiato sul collo del funzionario del Comune intento a redigere l’articolato della Convenzione, mentre il sindaco detta gli articoli da sottoporre all’ovazione consiliare: “Signorina Pantacom!, veniamo noi con questa mia addirvi una parola che scusate se sono poche; noi ci fanno specie che questanno c’è stato una grande morìa delle vacche come voi ben sapete.: ma questo mega-porco servono solo alle ricadute sull’occupazione e al volano per lo sviluppo. Punto. Anzi due punti.
Noio della Comune volevam savuar se 420.000 euro sulla carta quale compensazione, ristoro e pure ristorante per la soppressione sia del parco urbano di cinque ettari e sia dei campi di calcetto (dove i giovanotti, con la testa al solito posto cioè sul collo, potevano giocare), vi sembrano troppi onde, poscia e per cui vi concediamo tutto il tempo che volete per pensare di ridurre l’importo, tanto noi vi approviamo tutte le schifezze.
Poi faremo un’altra circonvenzione, sempre con calma, per darvi tutto il tempo necessario di vendere il pacchetto, anzi il pacco (chiavi in mano o in tasca: fate voi). Noi siamo sempre qui, con la faccia sotto i vostri piedi, per supportarvi ma soprattutto per essere suppostati.
Signorina Pantacom, dimenticava di dirvi che però in cambio vogliamo le rotatorie. [Assessore, mettici qui una rotatoria. Anzi aggiungine altre due, facciamo vedere che abbondiamo!, Abbondandis in abbondandum].
Salutandovi indistintamente, i fratelli Caproni, scusate, Caponi che siamo sempre noi [caponi o capponi = pennuti della razza della cuccuvascia, ndr.]”.
*
In alternativa a Totò e Peppino potremmo pensare anche a Mario e Saverio [al secolo Massimo Troisi e Roberto Benigni, quando quest’ultimo faceva ridere, ndr.] intenti a stendere la nota convenzione da indirizzare al santissimo Savonarola.
Sarebbe certamente più azzeccato, visto che non ci resta che piangere.
Antonio Mellone
mag222021
Ho sfidato, e più volte, la zona rossa per recarmi da Fiordilibro, la libreria della Emilia Frassanito. Voglio dire che ho azzardato l’allontanamento da Noha per quasi tre chilometri diretto alla volta di Galatina al numero 31 di corso Vittorio Emanuele, meglio conosciuta come via dell’Orologio, a dispetto delle norme che se non imponevano la clausura cenobitica ti concedevano al massimo un giretto attorno alla tua abitazione purché munito di scarpette da ginnastica. A meno, s’intende, di rigorose motivazioni da riportare su foglio ministeriale prestampato altrimenti detto autocertificazione (mica semplicemente certificazione o dichiarazione), motivi, dicevo, legati a salute, lavoro, o a casi di improcrastinabili urgenze. E io ho sempre avuto con me tutte e tre le giustificazioni: le questioni sanitarie legate alla mens sana, quelle lavorative (non puoi occuparti di economia senza l’aiuto di altri autori non economisti), e infine quelle dei bisogni primari: per alcuni i libri sono infatti aria, acqua, generi alimentari di prima necessità e non c’è Rider che possa sostituirsi al destinatario per il loro trasporto.
Se poi mi avessero fermato i vigili urbani, dirimpettai della Fiordilibro, credo che mi avrebbero graziato: non perché dotato di pass acquisito sul campo dopo un articoletto a loro dedicato poco tempo fa (e credo valido per almeno un semestre), ma per il fatto che sono certo che persino per gli uomini in divisa è sempre cosa buona e giusta fare un salto nelle botteghe di parole.
Fiordilibro dunque è una delle tre benemerite librerie di Galatina “Città che legge” [si spera, ndr.], essendo le altre due Fabula e Viva (per me quest’ultima rimane sempre Viva, al di là di altri più magniloquenti posticci loghi).
Incastonata in un palazzo antico, all’ombra del campanile civico, la Fiordilibro è animata dall’Emilia, la quale, laureata in archeologia con il prof. Francesco D’Andria, dopo i suoi bravi scavi archeologici anche e soprattutto nel Salento, nel 2004 decide di lasciare in cantina trowel, piccone e pennello per dedicarsi ad altre stratigrafie, quelle che ti si sedimentano dentro pagina dopo pagina.
E così il ventre di codesto aedificium seicentesco si riempie di scaffali, e quindi di libri, ma poi anche di tavoli, sedie sgabelli e pedane, diventando all’occasione scriptorium e talvolta pure theatrum. Le pareti della Fiordilibro sono piene zeppe di manifesti (ne ha appesi solo alcuni, l’Emilia) a testimonianza di questo fervore, che dico, di questo fuoco che arde inesauribile, benché ultimamente sotto la cenere. Pensate, in una di codeste locandine nelle quali si parlava di tabacco e di un libro che ne racconta la storia locale c’è perfino il nome del sottoscritto (per dire quanto le mie siano braccia strappate alla cultura oppure all’agricoltura, a seconda dei punti di vista).
Quindi dialoghi con gli autori, cene letterarie, feste dei lettori, corsi di scrittura creativa (per esempio con la Luisa Ruggio nostra), musiche e parole: tutto questo certamente, ma Fiordilibro prima che una ruddhra (vivaio) di iniziative è innanzitutto una libreria, luogo sacro dove i libri ti guardano dai ripiani fino a quando non decidono di sceglierti. Qui riesci a beccare oltre a tutto il resto cose sfornate dall’editoria locale, perfino fuori catalogo (sembra esista ancora addirittura un monumentale “Noha, storia arte e leggenda” del 2006 scritto a due mani e due piedi: le mani sono quelle di Francesco D’Acquarica, i piedi, invece, i miei), le famose guide verdi di Congedo Editore, i cataloghi sulla poesia dialettale, quelli sulle torri costiere, le masserie, le ville, le campagne e gli ulivi di queste parti; e ho pescato di recente pure un “Dante e i misteri di Otranto” a proposito del settecentesimo della morte del Poeta, e poi ancora Bodini, Maria Corti, Carmelo Bene, Antonio Antonaci e Donato Moro, “e più di mille ombre [Emilia] mostrommi e nominommi a dito”.
La libraia all’occasione diventa pure una tua confidente, e a richiesta ti procura sotto banco pure i “libri proibiti” (“Non lo dico a nessuno, tranquillo”, ti rassicura), tipo quelli molto commerciali, o quelli di qualche scrittore di destra come un Marcello Veneziani (ché tu, comunista, mica puoi confessare al mondo di aver letto nemmeno per isbaglio).
Che pesi che deve portarsi dentro la povera Emilia. Ebbene sì, purtroppo la vita non è sempre tutta rose e Fiordilibro.
Antonio Mellone
gen212017
Non c’è niente da fare. E’ più forte di loro.
Sul Quotidiano locale, a distanza di 24 ore dalla prima, è apparsa un’altra articolessa a firma dello stesso “giornalista” (o gggiornalista, o giornalisto, fate voi), per elogiare le magnifiche sorti e progressive di uno scempio ambientale di 95.000 metri cubi e rotti di costruzioni, chiamati con il tipico sense of humour inglese: Ecoresort.
Cosa cavolo significherà mai questo lemma, bisognerebbe chiederlo all’accademia della crusca (quella che fa andare di corpo).
Il titolo, con tanto di virgolette: «Sarparea idea coraggiosa contro il degrado» è già tutto un programma: cioè la Sarparea, alla quale aggiungono spesso il vocabolo “Oasi” per far sembrare agli allocchi tutto più bello, sarebbe un’“idea”, per di più “coraggiosa” e soprattutto “contro il degrado”.
Evidentemente, nel mondo di sottosopra di certi impareggiabili quotidiani salentini il degrado è piuttosto una campagna lasciata intonsa, con i suoi ulivi monumentali, magari incolta, e non invece l’ennesima villettopoli turistica, con albergo e settanta (dico set-tan-ta) cottage con annessi parcheggi, strade, crocevia, e vari ed eventuali asfalti & cementificazioni.
Subito dopo l’incipit, in cui si fa cenno al consigliere regionale Casili, secondo il quale giustamente questa schifezza inenarrabile “sarebbe incompatibile con i lughi” [“sarebbe”, non “è”, ndr.], il nostro ‘reporter sans frontières’ finalmente dà spazio ad “una voce fuori dal coro”: quella “del noto ambientalista neritino, Gianpiero Dantoni” [Carneade, chi era costui? Boh?, ndr.].
Tu pensi: meno male che c’è un’anima pia, un partigiano della natura, uno che si fa sentire, rema contro, procede in “una direzione decisamente opposta” [sic], anzi ostinata e contraria, e non le manda assolutamente a dire. Vuoi vedere che mo’ gliene canta quattro all’italiano e all’inglese e a tutto il cucuzzaro lanzichenecco? [mancherebbe solo l’americano per completare la barzelletta, ndr.].
Invece ti tocca leggere le parole in versi di codesto noto “ambientalista” [si badi bene: “noto”, mica “sedicente” ambientalista come quegli altri, ndr.] che così pontifica: “A quei cittadini e politici di Nardò che sulla faccenda si ergono a difensori della natura, degli ulivi, dell’economia agricola e perfino degli interessi della cittadinanza [insomma un discorso ecumenico, ‘furbi et gnorri’, ndr.]; a tutela dei residui di natura sparsa qua e là, fra un campo di patate e uno di angurie [che poesia: sembra Salvatore Quasimodo, che dico, Carducci, Foscolo!, ndr.], nascosta tra le case sorte in completa anarchia [le nuove, invece, accanto alle anarchiche saranno composte e disciplinate, allineate e coperte, ndr.] propongo che l’uomo ceda il passo alla natura [scusatelo, voleva dire: che l’uomo ceda in pasto la natura, ndr.], e che la usi limitatamente per il sostentamento strettamente necessario” [tipo i bisogni fisiologici, ndr].
“Provocazione a parte [che ironia, che sarcasmo, che brividi, brrrr, ndr.] invece di suonare le solite campane a morto con i soliti slogan ammuffiti e falsi [e tu pensi: vuoi vedere che i soliti slogan ammuffiti e falsi sono quelli del tipo: “facciamo in modo di creare qualcosa di serio”, e poi: “rispetto di regole chiare e precise in un’ottica di sviluppo turistico vero”, e ancora: “eventi come quello della Sarparea si governano e non si ostacolano”, oppure: “si facciano i controlli agli investitori che coraggiosamente (co-rag-gio-sa-men-te, signora mia, ndr.) scelgono un posto degradato come Sant’Isidoro”, e bla, bla, bla, ndr.], facciamo in modo di creare qualcosa di serio” [ah, ecco, finora abbiamo solo scherzato, ndr.].
Dopo averti incitato con qualcosa di serio, il noto ambientalista, scevro dai soliti slogan ammuffiti e falsi di cui sopra, così prosegue irremovibile: “Facciamo [dunque] in modo di creare qualcosa di serio che rispetti regole chiare e precise in un’ottica di sviluppo turistico vero [finalmente, questo sì che è parlare chiaro, ndr.]. Eventi come quello di Sarparea si governano e non si ostacolano [e ridaje, ndr.]: dovremmo controllare che vengano rispettate le norme e imporre protocolli d’intesa con gli investitori che coraggiosamente [sic] scelgono un posto degradato [de-gra-da-to, signora mia, ndr.] come Sant’Isidoro” [che con 70 villette, più albergo, più parcheggi quanto bastano, più rotonde e più accessori diventerà invece il giardino dell’Eden, Amen, ndr.].
*
Non invidio proprio gli accaniti lettori (si fa per dire) di codesto giornale (si fa sempre per dire): poveretti, nel momento dello smaltimento di pagine così intrise di saliva a favor di Sarparea, non sanno più se utilizzare il bidone della carta o quello dell’umido.
Antonio Mellone
mar172011
Ecco perché i migliori non si vedono e mai si vedranno in politica, almeno sino a quando il sistema non cambierà. Così facendo tuttavia si lascia sempre più spazio ai peggiori, che presi dalla foga del vuoto della piazza intorno a loro, si rincorrono e si azzuffano come bambini giocosi, ignari del danno che arrecano, giorno dopo giorno, all’Italia unita.
lug242020
Nella splendida cornice dell’ex Monastero di Santa Chiara, in un contesto forse inusuale per una classe di scuola primaria, una nutrita rappresentanza della IV C del Istituto Comprensivo Polo 2 di Galatina è salita sul podio della sezione poesia giovane edita o inedita a tema libero per alunni della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, classificandosi al 3° posto al Concorso Internazionale di poesia Città di Galatina e aggiudicandosi una Borsa di Studio messa in palio dall’associazione Giovani Realtà APS (meglio conosciuta come GIORE’), organizzatrice dell’evento, da sempre attiva per la difesa dei diritti umani, della solidarietà, dell’arte e musica e dell’ambiente.
Dopo l’emozione palpabile della recitazione dei versi del componimento scritto a 25 mani, sotto lo stimolo e la guida costante dell’insegnante Mariella Greco, altrettanto toccanti le parole della Presidente Gabriella Noia nei confronti dei nostri ragazzi. Grande sorpresa anche per la Giuria che ha giudicato le poesie, presieduta dalla professoressa Beatrice Stasi, in quanto solo nel momento della proclamazione dei vincitori ha appreso chi fossero gli autori, e a maggior ragione nel nostro caso, ha constatato che l’opera fosse stata scritta da 25 bambine e bambini di una classe quarta.
Ma ciò che resterà indelebile più di ogni cosa della serata è il luccichio degli occhi e le risate sincere dei compagni di classe, ritrovatisi assieme per la prima volta dopo mesi di didattica a distanza e lockdown, un’oretta prima dell’inizio della manifestazione per la prova generale.
“E’ questa la gioia più grande” afferma visibilmente emozionata l’insegnante Mariella Greco “vedere i miei alunni riuniti come una classe, con la consapevolezza che l’ultimo periodo è servito anche a far capire il valore dei legami che la scuola primaria riesce a creare e che resteranno sempre nei loro ricordi. Al rientro a scuola a settembre decideremo INSIEME come utilizzare la borsa di studio vinta, ma sono convinta che la vera vittoria sia stata quella che abbiamo affrontato negli ultimi mesi”.
Una serata estiva diversa per gli alunni presenti, anche in rappresentanza dei loro compagni, contrassegnata da un vento leggero, che metaforicamente ha voluto spazzare via gli aspetti più brutti degli ultimi mesi ed ha preso in consegna l’opera dei giovanissimi poeti veicolandola con una dolcezza e forza dirompenti, come solo l’arte e la cultura riescono a fare.
Ecco la poesia vincitrice
LA SCUOLA E’…
La scuola è…
una torta di sapere da mangiare con piacere,
una grande famiglia dove impari a meraviglia,
una madre premurosa che di accoglierci è ansiosa,
una chiesetta che i suoi fedeli alunni aspetta,
una grande miniera di cui la maestra va fiera,
un libro di avventure con tante pagine senza paure,
un posto speciale in cui si è felici di imparare,
una famiglia davvero importante che vale più di un diamante,
un bagaglio di nozioni, di esperienze e di emozioni,
un mondo di conoscenza e di accoglienza,
un albero rigoglioso di frutti che, generoso, dona a tutti,
un campo fiorito concimato a dovere che emana profumo di sapere,
un ambiente che la nostra mente accende e liberi ci rende,
un cammino di cultura, prezioso per la vita futura,
un mare in movimento: maestre, alunni e tanto divertimento,
un luogo di condivisione con gli amici dove crescere felici,
una biblioteca che come per magia si anima con la nostra compagnia,
un luogo dove, con poco, impariamo tanto come in un gioco,
una mamma che ci insegna a volare per poi liberi lasciarci andare,
un’amica che ogni giorno aspetta paziente il nostro ritorno,
un ricordo unico nel nostro cuore, la speranza per un mondo migliore.
ago122013
“Ciao Rosina, che fai di bello?”
“Nà, sta mi ccoju do ”
Osservo e commento ad alta voce: “Magnifica questa pianta, sembra una regina parata per una passeggiata nei giardini reali!”
Rosina sorride, è grata della vita, la sua folta chioma di riccioli bianchi si confonde fra i grandi fiori della pianta di cappero, non può che sorridere a questa mia affermazione. Penso che la natura non abbia bisogno né di lauree in architettura né in economia, i conti li fa così. Trapana e divelle il cemento più duro senza arnesi meccanici o permessi speciali. Faccio due passi sulla squallida piattaforma in cemento che argina la strada, il piano è sconnesso, inciampo varie volte e infine rinuncio a camminarci per non rischiare le ginocchia.
“Rosina, -aggiungo- chi la governa ora questa terra?”
“Non so- dice- mi pare che i nipoti di Antonio abbiano seminato laggiù”. E mi indica il campo con i resti della mietitura a pochi metri. Per il resto null’altro, se non quattro gallinelle spelacchiate rinchiuse in un recinto all’ombra dell’immancabile fico e di un pergolato.
Antonio non può più fare niente per la sua terra, ma la terra può fare ancora molto per lui, per i suoi nipoti e i nipoti dei nipoti. Lo sguardo va in mezzo ai detriti che fanno da pavimento al pollaio: è ancora pieno zeppo di vecchi residui di terrecotte. Appartengono all’antico sito pre-romano o al convento di San Teodoro (Santu Totaru) che sicuramente esisteva tanti secoli fa. Tutto scompare sotto l’incalzare impietoso di questa inarrestabile smania di pulire la sporcizia della terra, con genuine colate di cemento e catrame.
Controllo che il “menhir” di Noha sia sempre al suo posto. Un ultimo sguardo in giro, saluto Rosina e inforcando la mia inseparabile due ruote a pedali, procedo contromano verso Galatina.
Alla mia sinistra la famigerata Colabaldi, un’antica masseria, ultima testimone dell’intelligenza umana, perdente e pendente, sia la masseria che l’intelligenza. La spaccata verticale del muraglione a nord-est non lascia dubbi. Resiste ancora, ma quanto durerà? Su di un cartello c’è scritto: “Vendesi masseria con annesso terreno”. Un ossimoro degli spasmi di questo capitalismo moribondo che emana già cattivi odori. Come la puzza di fogna che invade tutta Noha da qualche tempo. Sarà colpa delle piogge che scarseggiano, o dell’impianto fatto alla “carlona” che invece di smaltire gli odori ce li fa respirare. Comunque, tornando alla masseria, vendono un mucchio di pietre sconnesse, quando nessuno oggi è più disposto a comprare nemmeno una casa nuova. E’ vero che la speranza è l’ultima a morire.
Che spero io? Che sperano i cittadini di Noha? Mentre osservo tutto ciò con la testa girata a sinistra, verso la masseria, continuo a pedalare. Per poco non mi schianto contro le auto ferme in doppia e tripla fila davanti allo stand degli ultimi contadini di questa logorata campagna. Un’occhiata veloce ai prezzi degli ortaggi, un calcolo rapido per concludere che con stò euro la roba è diventata cara ovunque: a Torino, a Milano, a Galatina, nel piccolo negozio e nel grande supermercato. Che possiamo fare? Certo che poi i consumi calano! La gente incassa sempre uguale, ma se i prezzi aumentano come può comprare le stesse quantità di prima, quando con un euro compravi un chilo di ogni cosa? Proseguo sempre contromano.
Perché contromano, starete pensando? Perché a Galatina come a Noha, andando in giro con la bici, il pericolo è meglio vederlo in faccia. Questo Viale Dalla Chiesa sembra la pista di un aeroporto, dove tutti corrono pensando di dover decollare, ma a poche centinaia di metri, sia verso Noha che verso Galatina, il volo viene interrotto dalle abitazioni, ma qualcuno che non se ne rende conto, prosegue la sua corsa come un disperato. Quindi, per un ciclista che non può porre la sua fiducia su questi pseudo-piloti della vuttisciana, contromano è d’obbligo. A sinistra, dove il sole tramonta ogni giorno, il fantasma arrugginito della vecchia cava si staglia alto nel cielo. Questi (il cielo), pietoso, sembra volerlo consolare per la sua lunga agonia. Per un attimo lo associo alla torre campanaria della Chiesa della Madonna delle Grazie che arrugginisce pericolosamente sempre di più. Qui il tempo sembra davvero che non esista, tutto agogna per secoli e decenni, tranne che le porcate fatte di cemento, quelle scivolano veloci sulla terra quasi a voler cancellare le vergogne di una classe politica e dirigenziale che, dietro le quinte, danneggia, e che non ha né poesia né cuore, ma solo affari e interessi personali. Tutti per uno, uno per tutti. In questo sì, che l’Italia è unita. Pedalo confortato da una dolce brezza mattutina che dopo la calura di questi ultimi giorni sembra una vera manna. In fondo al campo figure operose di alcuni contadini mi fanno venire in mente i limiti raggiunti ultimamente dal mio fisico. Se dovessi piegarmi per raccogliere io quelle verdure, dopo poche decine di minuti dovrebbero raddrizzarmi facendomi ingoiare un ombrello.
Però lo scenario è incantevole, e le gigantesche zolle del campo appena arato, color rosso sangue di porco, sembrano dirmi che da quel ventre nasceranno, forse, nuove tavole imbandite e risa gioiose di giovani mamme, figli e nipoti, come quelli di Antonio, che invece dovranno smaltire le centinaia di metri di cemento colato sul suo campo.
Da lì a poche decine di metri l’incanto si rompe e la realtà di questo pusillanime e moribondo capitalismo delle banane, si infrange contro lo scempio della nuova circonvallazione di Galatina. Città dedita all’Arte e alla Cultura.
set042013
Da quando Antonio Mellone mi coinvolse in quell’avventura che risponde al nome de “L’Osservatore Nohano”, mi rendo sempre più conto che la mia presunta patologia d’amore per la mia terra è tutt’altro che un male raro. Infatti a Noha non mancano le persone che condividono questo sentimento. Quando lo racconto a Angela, mia moglie, lei esordisce dicendo che le perle migliori sono quelle nascoste alla luce del sole. Quelle che non si fanno vedere e non fanno rumore. Ma quando meno te lo aspetti arrivano le sorprese, a volte anche le belle. Mai più mi aspettavo che qualcuno, tantomeno non residente, ci dimostrasse la sua gratitudine con un dono straordinario. Insomma non capita tutti i giorni che uno, anzi in questo caso due, suonino al campanello della porta e si presentino sovraccarichi di buste e scatoloni trasportati da Milano a Noha, sacrificando il piccolo spazio del baule tolto ai vestiti o altre cose utili per le vacanze di un mese. Già da questo possiamo immaginare quanto amore abbiano dedicato Fabio e Laura a questo loro pensiero per il sottoscritto e per mia moglie Angela.
Dovete però sapere che questi due ragazzi, Fabio Solidoro e la solare moglie Laura Romanelli, “suonati persi irreversibilmente” per Noha (oltre che l’uno per l’altra), ogni anno, invece di assicurarsi una vacanza in una delle tante località pubblicizzate dalle agenzie viaggi, trascorrono le loro ferie proprio a Noha.
Ma questa sorpresa di Fabio e Laura proprio non ce l’aspettavamo. Un dono, anzi due, non solo inatteso ma straordinari e unici: vere opere d’arte. Non è facile descrivere con le parole ciò che rappresenta l’arte di Fabio.
La prima cosa che prendiamo in considerazione è un servizio di bicchieri colorati con incise le lettere “A e M”. Dopo un attimo di sorpresa, compresa la faccia sorniona di Antonio Mellone, ci rendiamo conto che il servizio di bicchieri non è per Antonio Mellone, appunto, come la sigla potrebbe far supporre di primo acchito, ma per me e per Angela: le lettere “A” ed “M” sono appunto le iniziali del mio nome e di quello della mia consorte. Fino qui, possiamo dire che il tutto è gratificante.
Così, dopo questa simpatica sorpresa, passiamo ad analizzare il secondo regalo. Qui la cosa supera ogni aspettativa. Ciò che appare alla nostra vista, dopo una elegante confezione multistrato, è una vera e propria opera d’arte: un vaso in cristallo stupendo, alto all’incirca 45 cm e del diametro di 25 cm. La straordinarietà non è nelle dimensioni o nell’oggetto in sé, ma nelle decorazioni incise che ci appaiono in tutto il loro splendore. Non si tratta solo di saper disegnare in prospettiva le architetture stupende della chiesa di San Michele, della Trozza, della Casa Rossa, delle Casette, dello stemma delle Tre Torri e del resto, ma di incidere e dorare il vetro su di una superficie tondeggiante: non è facile, non è da tutti. Certi lussi possono permetterseli solo gli artisti.
Sapevo che Fabio Solidoro, questo nohano incallito di rare qualità, avesse qualche “mania” artistica, difatti su uno dei primi numeri del nostro giornale on-line, avevamo addirittura pubblicato la mappa di una metropolitana tutta nohana, disegnata e progettata da lui manco fosse un ingegnere specializzato in trasporti. Ma non immaginavo tanta bravura. Ci sarebbe da chiedergli ora di disegnare anche un circuito di piste ciclopedonali per questo straordinario paese pianeggiante che rimpiango per undici mesi all’anno.
Purtroppo dove trascorro la maggior parte dell’anno, cioè Rivoli (To), le strade sono in salita e impegnano non poco fiato e muscoli, che, ahimé, si fanno sempre più corti.
Fabio vive a Milano da sempre, eppure se provate a chiedergli dove è nato, non riesce mai a risponderti di getto. Subito appare dubbioso, come se non ne avesse più memoria, ma poi appena inizia a parlare ti rendi conto della sua faticosa rassegnazione nel dover dichiarare la sua vera nascita, che non è tanto il giorno in cui è venuto al mondo, quanto la data del suo concepimento avvenuto esattamente nove mesi prima nel paese che lui adora di più al mondo e che corrisponde al bellissimo nome di Noha.
Che cos’è questo anomalo sentimento per le proprie origini in un mondo dove contano solo utili e titoli, quello che uno sente pur non essendovi nato e nemmeno vi risiede? Se questo non è amore, ditemelo voi, che cos’è? Naturalmente, essendo io stesso portatore sano della Noha-patia, il mio parere non fa testo. Una malattia come questa è auspicabile che si trasformi in epidemia al più presto, prima che sia soffocata dalla forza dirompente di quell’altra vera e propria mania di indifferenza alle cose semplici, al sorgere del sole e al suo ripetuto accavallarsi sulla notte, ai prati di quadrifogli, ai campi distesi di ulivi e muretti a secco, al profumo dei gelsomini, agli aloni colorati degli arcobaleni, al cadenzarsi delle fette di lune, all’odore della pioggia o dell’erba tagliata.
poesia? Nient’affatto, questa è pura ragione, niente a che vedere con il dimenarsi degli ultimi colpi di coda di questa unta e logorante mania del bruciare tutto, in tutti i sensi, compresa la vita.
Grazie Fabio, grazie Laura, siete stati e siete per noi una miracolosa e inaspettata terapia.
Marcello D’Acquarica
ott182022
La poesia “A Livella” di Totò si basa su un concetto chiave: la morte rende tutti uguali, ricchi e poveri. Ma a pensarci bene, non è solo sorella morte a fare di noi tutti un minestrone: in un certo senso pure l’immondizia rade a zero titoli e galloni, poveri e ricconi.
Di cosa stiamo riempiendo le discariche e, in mancanza, le campagne con i nostri 500 kg pro capite all’anno di rifiuti è sotto gli occhi di tutti. E se non lo vediamo ce ne accorgiamo tramite le nostre malattie, sempre più numerose, sconosciute, devastanti.
Mi sono voluto per così dire dilettare nel mettere a fuoco, nel senso di provare a osservare attentamente, alcuni oggetti fra le centinaia di migliaia di inutili schegge e frammenti di cocci di terracotta sparsi ovunque. Il Salento è un museo a cielo aperto. Basta scandagliare gli oggetti con una buona luce diurna, e non è difficile scorgere in mezzo al pietrame, tra le zolle, ai bordi delle strade di campagna, a ridosso dei muretti a secco, e soprattutto in prossimità di antichi casolari, furnieddhri, masserie o casali di pertinenze monastiche, per esempio in località Santu Totaru a Noha e in località Badia di Cutrofiano, pezzi archeologici della vita che fu. Ormai è tutto macinato da secoli di lavorazione della terra, soprattutto in questi ultimi anni, dove si è visto l’abbandono delle strutture murarie sopravvissute all’incalzare di questa fervida economia del tutto e subito, e osservare la terra, anche se ultimamente viene sottoposta a cicli continui di pesanti trattamenti meccanici. Tutto ciò ha portato ulteriore distruzione di quel poco che si era salvato.
Ma basta aspettare la pioggia che dilava un po’ la superficie e con i raggi del sole appaiono brillanti come stelle. Sembra che siano lì a chiamare senza voce, ad attrarre la nostra attenzione, a volerci raccontare le loro storie, di mani di massaie che impastano il cibo o che lavano i panni, di fanciulli che bevono nelle piccole scodelle, di uomini arsi dal sole cocente e dalla dura fatica che stringono ancora nelle mani quei manici di boccali con la razione di acqua quotidiana. Ogni frantume si ricollega ad un altro, e messi insieme si radunano come per magia come su tavolate imbandite da famiglie numerose, nelle “rimese” di ritorno dal lavoro dei campi. D'altronde secoli di storia intensa non possono scomparire nel nulla.
Non importa se hanno 50, 100 o più di mille anni, conta la loro resistenza. Sono oggetti che hanno aiutato a vivere persone i cui corpi sono oramai inesistenti.
Oggi sono gli unici testimoni della fame e della sete placate, sono il nostro passato, il tempo narrato sugli usci delle case e qualcuno scritto nelle pagine dei libri.
La modernità invece macina tutto con veemenza per soddisfare i nostri vizi. Ché di virtù manco l’ombra.
Marcello D’Acquarica
dic312010
nov202010
Il Mangialibri è un libro che divora libri, storie, vite, racconti. Prima pagina, leggo: "A chi non si stanca di cercare"; questo sono io. "A chi ha paura di trovare"; anche questo sono io. "A chi non si ferma mai"; e sono sempre io. Poi "A chi non ha ancora capito che prima o poi, cercando si trova"; sono ancora io. Così sin da subito acquisti la consapevolezza che questo romanzo è dedicato a te, chiunque tu sia; l'importante è che ami la ricerca, che guardi in alto se non hai trovato per terra, se ti emozioni più per una parola che per un fatto.
Il Mangialibri infatti ama le parole, come lo stesso Michele Stursi che ne è l'autore. Le prime due voci che aprono questo romanzo, quasi oserei dire straordinariamente rurale, sono "arrivo" e "abbandono". Si arriva non prima di aver abbandonato qualcosa. Ogni tappa presuppone l'essersi allontanato dalla precedente. Michele Stursi conosce la sofferenza del lasciare e l'emozione del ritrovare, e ce lo racconta con parole che a volte sfiorano la poesia, tramutandosi in versi. A pagina 14 leggi "Seduto nelle ultime file un solo spettatore pagante: il silenzio". Se non è poesia questa, allora si sono stravolti i canoni del buon gusto letterario. Stursi racconta la sua vita, nei panni del protagonista, passata a leggere, a meditare, per poi rendersi conto dell'inutilità del lavoro meccanico della mente che non ha il coraggio di confrontarsi con gli altri. Il Mangialibri coglie in pieno i difetti di questa società: effimera comunicazione. Solo i sentimenti rimangono quelli originali di sempre: amor del vero, nostalgia di casa, amicizia, amore. Il romanzo racconta di Noha, ma leggendo ti accorgi che Noha non è un paese soltanto di case, ma di persone. Noha è le grida di un fruttivendolo, una moglie che chiede al marito la verdura fresca di campagna, un vecchio di fronte casa che cerca di mettere in moto il suo Ape. Noha è le comari che escono dalla porta della Chiesa, il contadino che raccatta gli attrezzi del mestiere, la zitella Carmela che spazza davanti casa.
La descrizione dei luoghi e della natura è accattivante; l'ulivo vive come vivono gli esseri umani. Anche esso è uno dei protagonisti. Vive accanto ad ogni altro personaggio di questo racconto, respira con lui, soffre, suda. Stursi scrive che "l'ulivo per la gente di questi luoghi non è un albero, ma un simbolo". Concordo pienamente con l'autore. Noha vive anche delle sue tradizioni, di suoi simboli, di suoi detti popolari. Noha è autonoma e sovrana per la sua cultura, per la sua tradizione e per le sue storie. I protagonisti del romanzo si guardano intorno e si accorgono di essere circondati dalla natura, immersi in un verde dominante, minacciato spesso dalla solitudine degli animi, dall'oscurità dei pensieri.
Ma Il Mangialibri è anche una storia d'amore difficile non per i protagonisti che la vivono ma per le dinamiche che la supportano. La parola amore, o per lo meno il suo senso e i suoi effetti, sono presenti dovunque. Pasquale, il protagonista, ama Eleonora, una pittrice di ulivi. Le emozioni dei personaggi ti coinvolgono, i loro pensieri ti assillano, le loro speranze ti troncano il fiato. E quando non ti accontenti più del flusso di ciò che è scritto e vorresti sapere ancora e ancora, Michele Stursi ti rimprovera per la tua poco educata curiosità: "Ebbene, che termini qui il racconto di questa indimenticabile notte", leggi a pag. 172.
Sapere è bene ma la fantasia è un'arma a doppio taglio, e non sai mai se il manico del coltello ce l'ha l'autore o il lettore. Se Stursi ti lascia maneggiare la sua fantasia, in un attimo se la può riprendere, catapultandoti nella realtà.
Il romanzo si chiude con una riflessione sulla scrittura, sul suo essere al servizio, sul suo essere dotata di vita propria. "Scrivere è il gesto più umile e innocuo che un uomo possa concepire", leggi a pag 196. Ma Michele Stursi sa bene che la scrittura è una delle conquiste più ardue e coraggiose che l'uomo abbia mai fatto. Ed è per la scrittura che alcuni uomini oggi vivono, come suppongo lo sia anche per questo ragazzo improvvisatosi scrittore. L'esperimento è riuscito: "E' giunto il momento di uscire fuori da qui. Mi sa che devo delle spiegazioni alla mia Noha". Ognuno esca allo scoperto, chiarisca il suo ruolo e spieghi che cosa ha fatto finora per il proprio paese, la propria città, la propria nazione.
Tutto questo e molto altro è "Il Mangialibri" di Michele Stursi.
Fabrizio Vincenti
fonte: www.galatina.it
ago202024
feb262020
Il 26 febbraio del 2010, in un vile attentato ad opera dai talebani, veniva colpito a morte Pierantonio Colazzo, funzionario dell’AISE - Agenzia informazioni e sicurezza estera -.
Il "Park Residence Guesthouse» di Kabul ospitava Pierantonio ed una delegazione trattante pachistana ed indiana. L 'attacco, durato diverse ore, forzò le misure di sicurezza scatenando una caccia all'uomo all'interno di ogni singola camera d'albergo.
Pierantonio, in quel drammatico tempo, si prodigò per mettere in salvo molte persone tra cui suoi connazionali e fu in continuo contatto telefonico con la polizia afghana, contribuendo a rallentare l'azione dei terroristi.
Furono colpite a morte 17 persone tra cui 10 medici indiani ed un documentarista francese. Pierantonio Colazzo morì nella sua camera, consapevole che la scelta di restare all'interno dell'hotel gli sarebbe stata fatale.
Era un uomo dalle straordinarie qualità umane, colto, con una passione per il teatro, la poesia, la musica classica e pop. Aveva frequentato il Liceo Classico "Pietro Colonna" e si era laureato in lingua e letteratura araba, presso l'università orientale di Torino. Parlava correttamente il Dari, il dialetto persiano diffuso in Afghanistan, e prima di mettere a disposizione le sue competenze nell’AISE, fino a giungere a ruoli di altissima responsabilità, aveva lavorato presso il ministero della Difesa. I suoi incarichi all’estero lo hanno visto operare tra gli altri paesi anche in Oman.
Pierantonio era a Kabul a protezione del contingente italiano, forte della sua capacità di ispirare fiducia, della conoscenza della cultura del luogo, della capacità di ricondurre ogni possibile azione violenta in una logica di mediazione e di scambio.
I suoi occhi avevano visto, la sua penna aveva appuntato troppi orrori e la sua formazione culturale lo portava ad operare solo nella direzione della costruzione di ponti.
Era quindi diventato il cardine di un sistema di relazioni che avrebbe potuto creare dei nuovi e diversi equilibri in quell’area. Un lavoro evidentemente impossibile da portare a compimento, come poi la storia ci ha insegnato devesse essere.
Riprendo un suo scritto, vergato a Kabul nel 2008, che meglio di ogni altra parola ne traccia le qualità di uomo e di professionista e lo consegna come esempio alle nuove generazioni.
Scriveva Pierantonio Colazzo:
“Avere coraggio non può essere un fatto d’onore o di dignità. Bisogna decidere: combattere tutti i mulini a vento è più saggio che prendere per mano l’amore della propria vita e dare sguardi rassicuranti ai figli che ami e vuoi vivano in pace?
E se invece, ti caricassi nel cuore il rischio di perdere la tua vita per cercare, in un inferno meno buono del tuo, di salvare chi resta dal contagio di una follia immorale, sterile, suicida, per niente ironica per niente simpatica e improvvisa?
Una follia meditata forse, non si può vincere, va solo curata con l’anima”.
La Città di Galatina onora la memoria di un suo figlio, esempio alto di valori imperituri.
mar152024
Oggi venerdì 15 marzo alle ore 18:00, nella Sala conferenze dell’ex Palazzo De Maria, in Corte Taddeo, è in programma il secondo dei tre incontri che l’Università Popolare dedica alla poesia: l’evento odierno, che sarà introdotto dal Presidente Mario Graziuso, prevede una relazione della Vice Presidente e poetessa Maria Rita Bozzetti sul tema: “Le voci della poesia religiosa”.
Come ben sappiamo la letteratura italiana è nata in poesia nel Duecento quando tra Umbria e Marche fiorì una corrente di poesia religiosa: ad essa si lega il Cantico di frate Sole (o Cantico delle creature), un inno di ringraziamento a Dio per le creature del mondo. Una seconda espressione del rinnovamento religioso di quell’epoca fu la lauda, valorizzata sul piano artistico da Jacopone da Todi.
Il discorso di Maria Rita Bozzetti, oltre a dipanarsi lungo le coordinate storico-letterarie del genere in esame, sarà incentrato, in particolare, sul significato che oggi possiamo avere di poesia religiosa, da intendersi come risposte o tentativi di risposta ad interrogativi spirituali, esistenziali che diversi poeti, anche di diverse tradizioni spirituali, ci hanno lasciato attraverso versi intrisi di misticismo, di “abbandono all’Amore misericordioso di Dio”, di ricerca di trascendenza nell’esperienza umana.
Con la sua riconosciuta ed apprezzata sensibilità poetica, Maria Rita Bozzetti, attraverso la lettura di testi di Clemente Rebora, Cristina Campo, Margherita Guidacci, Davide Maria Turoldo, Mario Luzi e Paolino di Nola, ci avvicinerà alle diverse tematiche che oggi caratterizzano la poesia religiosa, tematiche legate alla fede, alla spiritualità, alla relazione tra l’uomo e il divino, alla riflessione sulla sofferenza umana e sul significato della salvezza.
Maria Rita Bozzetti, nasce a Roma, dove si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha operato per venti anni in ospedale come Primario di Patologia Clinica. Attualmente vive a Galatina e si dedica esclusivamente all’attività letteraria. È autrice di innumerevoli raccolte di poesie incentrate su tematiche spirituali, religiose e sociali. Le sono stati conferiti riconoscimenti nazionali e internazionali e ha riscosso molta attenzione da parte della critica. Tra le pubblicazioni più recenti: Paesaggi di carta. Poesie di Natale e preghiere, Edizioni Feeria, Panzano in Chianti (Fi) 2016; Sul retro di cuori, Manni Editori, S. Cesario di Lecce 2019; Permanent Migration, Gradiva Edizioni, New York 2021 e Dialogo con Teresa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2021.
Mario Graziuso
apr042024
In occasione della Giornata internazionale della popolazione Romani, mercoledì 10 aprile, alle ore 15.00, presso la Scala di Milano, si esibiranno due tra i più famosi musicisti internazionali di musica Rom, gli abruzzesi Santino e Gennaro Spinelli.
Santino Spinelli è un Rom italiano, nato a Pietrasanta (LU) e residente a Lanciano in Abruzzo. Musicista, compositore, cantautore, è ambasciatore dell’arte e della cultura Romanì nel mondo; insieme al figlio Gennaro ha fondato “l’Orchestra europea per la Pace” elevando la musica folklorica romanì a livello sinfonico. Santino e Gennaro Spinelli si sono esibiti nei più importanti teatri d’Europa ed hanno tenuto concerti per tre papi, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. Si sono esibiti presso il parlamento Tedesco alla presenza del Primo Ministro Angela Merkel; e la poesia “Auschwitz” di Santino Spinelli orna a Berlino il monumento eretto nei pressi del Bundestag dedicato alla memoria del genocidio di Sinti e Rom durante il nazismo. Per i suoi meriti in campo culturale nel 2020 il Presidente Mattarella gli ha conferito l’Onorificenza di Commendatore dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”.
Santino e Gennaro Spinelli si sono esibiti in passato anche nel nostro Salento, a Galatina prima nel dicembre 2021 presso il Teatro Cavallino Bianco in occasione della Celebrazione della Giornata dei Diritti Umani ospiti del Club per l’UNESCO di Galatina e della Grecìa Salentina; e nel settembre 2022 a Cutrofiano nell’ambito della XXII Stagione dei Concerti del Chiostro, riscuotendo grande successo di pubblico in entrambe le esibizioni. E proprio in questa ottica il Club per l’Unesco di Galatina e della Grecìa Salentina continua a collaborare con le Comunità Romanì italiane per l’inclusione della Musica Rom come Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
I due musicisti saranno affiancati nelle loro esecuzioni dai Musicisti della Sezione Anpi del Teatro alla Scala e dai Solisti dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini di Pesaro ed eseguiranno brani di Jovanovic, Bizet, Monti, Brahms, e dello stesso Spinelli. Al Teatro Alla Scala saranno presenti Ministri e Ambasciatori di diversi Paesi, tante personalità del mondo dello spettacolo, della cultura, delle istituzioni e diversi Sindaci. Sono partner e sponsor dell’evento: UNAR-Presidenza del Consiglio dei Ministri, Federazione Italiana delle Associazioni e Club e per l’UNESCO (Galatina), ANPI-Milano, Orchestra Sinfonica Rossini, International Romani Union (IRU), Presencia Gitana (Spagna), EPEKA (Slovenia), Udruzenje Romskih Knjizevnika (Serbia), Compagnia Nuove Indye (CNI), Meeting Etichette Indipendenti (MEI), Comune di Lanciano, Comune di Orsogna, Comune di Fossacesia, Novagro, Tecno-glass S.r.l. (Ortona), Tenuta Ulisse, Consorzio Nova (Trani) Lions Club-I Marrucini (Chieti), Michele Jannamico s.p.a. (Lanciano), Comunità di Sant’Egidio, I Sentinelli, ARCI, Accademia dei Sensi, Comitato Artistico Lancianese, SEF Consulting.
Club per l'UNESCO di Galatina
mag232016
La rivista culturale "La Fornace", in collaborazione con l'Ambito Territoriale Sociale di Galatina e l'Istituto Immacolata ASP, bandisce la prima edizione di un concorso letterario rivolto a tutti coloro che condividono l’amore per la scrittura. L'iniziativa vuole da un lato avvicinare i giovani all'arte della scrittura e al piacere della lettura, mentre dall'altro far emergere nuovi autori dando loro un'occasione di visibilità.
La scadenza di presentazione delle opere è il 31 Maggio 2016
Si allega Bando e Scheda di adesione.
Cordiali saluti,
Il Servizio di Segretariato Sociale Professionale P.U.A.
ATS Galatina - ASP Istituto Immacolata, Galatina.
ago222022
Kalia Athina - L’estate della civetta è un omaggio alle radici della città, alla Bella Athena, divinità cui si deve secondo alcune ricostruzioni storiche il nome della Città.
La civetta associata alla dea greca è infatti presente nello stemma civico di Galatina.
La rassegna che ha preso il via 7 agosto a Noha e si conclude il 30 settembre, prevede numerosi eventi musicali, reading, teatro, letteratura, poesia, sport, food e diversi momenti dedicati ai bambini.
“Questa è la prima vera estate della ripartenza, dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto per oltre due anni. Avevamo il dovere di donare ai galatinesi delle serate di intrattenimento, di arte e di cultura per avere la possibilità di respirare pienamente la Città in ogni suo angolo, con eventi che coinvolgeranno tanto il centro della città quanto le frazioni e le periferie. Noi crediamo fortemente nel valore aggregante e coesivo della Cultura. La cultura genera comunità” afferma il Sindaco Fabio Vergine.
La rassegna estiva è costituita da eventi di grande richiamo. Nuovi format ed alcuni importanti ritorni daranno animo all’estate galatinese.
Alcuni degli eventi più importanti sono: il 17 agosto “I love 80-90”, format consolidato negli anni scorsi, tra musica e divertimento, che quest’anno torna in Piazza Alighieri.
Il 18 agosto farà tappa la Notte della Taranta, con la sua Orchestra Popolare, che approda per la prima volta assoluta a Galatina.
Il 21 agosto all’ex convento delle Clarisse, andrà in scena il recital concerto “I miei poeti” rock di Vincenzo Costantino Cinaski, accompagnato da Tobia Lamare alla chitarra.
Il 24 agosto in piazza Orsini, Galatina ospiterà per la prima volta una tappa del Locomotive Jazz Festival. I protagonisti della serata saranno Bungaro con Raffaele Casarano.
Il 28 agosto nel centro storico ci sarà “Le Ronde della Taranta”, un evento che vuole omaggiare il Tarantismo storico e concludere il ciclo di rassegne dedicate alla musica popolare e alla tradizione, riconducendole nel luogo originario del fenomeno culturale che ha tanto lustrato il Salento negli ultimi anni.
Il 4 settembre l’attrice e scrittrice Anna Dalton presenterà a Galatina il suo libro “Le tre figlie edito da Garzanti”.
Rita Marcotulli ospite l’8 settembre all’ex Convento delle Clarisse aprirà il ciclo de “I Concerti del Chiostro” in città.
Fabio Vergine Sindaco
Ufficio Stampa
mar212009
I dialoghi di Noha vanno avanti. Eccovi il testo e le immagini del commento e della recita del canto V dell'Inferno di Dante Alighieri che ha avuto luogo il 28 febbraio 2009 a cura di Antonio Mellone nello stupendo scenario dello studio d'Arte di Paola Rizzo.
I DIALOGHI DI NOHA
DANTE ALIGHIERI: IL CANTO V DELL’INFERNO
Vi dico subito come è strutturata questa lectura Dantis.
Cercheremo brevemente d’inquadrare il canto V nel girone dell’Inferno. Il secondo per la precisione. Spiegherò chi sono i personaggi. E poi prima del vero e proprio canto V (che proverò a recitare a memoria) commenteremo le singole terzine. Come saprete, i livelli di lettura della Comedia sono molteplici. Noi cercheremo una chiave di lettura: la più semplice possibile.
* * *
Adesso farò girare delle fotocopie sulla struttura dell’oltretomba dantesco. Ed in particolare sull’Inferno.
* * *
L’Inferno è come una grande vora, diciamo una voragine a forma di imbuto il cui termine, o il cui punto di minimo, si trova al centro della terra. Dunque un imbuto o un cono rovesciato enorme (come potete vedere dalle fotocopie). Un burrone che si apre sotto Gerusalemme causato dalla caduta di Lucifero (l’angelo, il più bello fra tutti, che si era ribellato a Dio) quando fu scaraventato dal Paradiso sulla Terra in seguito alla battaglia condotta e vinta dal nostro Arcangelo San Michele e dai suoi angeli.
La terra dunque in seguito a questa caduta si ritira, per paura, per ripugnanza, per schifo… per ricomparire dall’altra parte dell’emisfero terracqueo come una enorme montagna: la montagna del Purgatorio.
L’Inferno è diviso in nove cerchi concentrici che si rimpiccioliscono man mano che si scende, man mano che si va al centro della terra, per terminare nel lago di Cocito, lago ghiacciato a causa del vento (un vento freddissimo, diremmo di tramontana) prodotto dalle ali (enormi e senza piume, come quelle dei pipistrelli), ali di Lucifero, a sua volta immerso nel ghiaccio. Lucifero ha tre teste ed in ogni bocca sgranocchia anzi maciulla coi denti un peccatore. I tre traditori rosi dal diavolo sono Bruto, Cassio (entrambi responsabili della congiura contro Cesare) ed ovviamente Giuda (traditore di Gesù).
Vediamo ancora un attimo insieme la struttura dell’Inferno per vedere dove ci troviamo con questo canto quinto. Siamo nel II cerchio. Vedete? Subito dopo il primo cerchio che contiene il Limbo, che è quello in cui si trovano le anime di coloro che non furono battezzati. Ma prima ancora c’è la famosa porta dell’Inferno sulla quale c’è scritto (recito): Per me si va nella città dolente/ per me si va nell’eterno dolore / per me si va tra la perduta gente./Giustizia mosse il mio alto fattore/fecemi la divina potestate/la somma sapienza e il primo amore./ Dinanzi a me non fuor cose create/se non etterne ed io etterno duro/ lasciate ogni speranza voi ch’intrate.
Poi c’è l’Antinferno, dove ci sono gli Ignavi, quelli che non si schierarono mai, quelli che vissero sanza infamia e sanza lode, di cui lo stesso Virgilio dice a Dante: non ti curar di lor ma guarda e passa. Fanno così ribrezzo che non li vuole manco l’Inferno! Dunque c’è la necessità di schierarci.
Il terzo cerchio è quello dei Golosi, il IV quello degli Avari e Prodighi, nel V troviamo gli Iracondi e gli Accidiosi; il sesto cerchio è quello dove sono puniti gli Eresiarchi (o Eretici).
Il settimo cerchio è quello dei Violenti. Questo cerchio a sua volta è diviso in tre gironi: il primo dei violenti contro il prossimo e le sue cose; il secondo dei violenti contro se stessi e le proprie opere; il terzo dei violenti contro Dio e le sue cose.
Dopo una ripa scoscesa si va all’ottavo cerchio: quello dei violenti contro chi non si fida. L’ottavo cerchio è diviso in dieci bolge: 1) Seduttori; 2) Adulatori; 3) Simoniaci; 4) Indovini; 5) Barattieri; 6) Ipocriti; 7) Ladri; 8) Consiglieri Fraudolenti; 9) Seminatori di discordia; 10) Falsari.
Dopo c’è il pozzo dei giganti. Ed infine si arriva al nono cerchio (dove sono puniti i violenti contro chi si fida: cioè i traditori). Il nono cerchio è diviso in quattro zone: la prima dei traditori dei parenti (la cosiddetta Caina. Nel canto di questa sera vedremo che Francesca farà riferimento a questa zona del nono cerchio), la seconda dei traditori della patria, la terza dei traditori degli amici, la quarta dei traditori dei benefattori. In fondo c’è Lucifero, come detto sopra.
Ora ritorniamo sopra, al secondo cerchio e vediamo un po’ di focalizzarci su alcuni personaggi che Dante incontra nel suo viaggio.
* * *
La storiella dei due amanti che Dante incontra è questa.
Per sedare antichi rancori, due potenti famiglie di Romagna (i Polenta da Ravenna e i Malatesta da Rimini) pensano di pacificarsi combinando un matrimonio. Gli sposi sono Francesca da Polenta, bellissima, e Giovanni Malatesta detto Gianciotto, brutto e sciancato.
Per evitare un rifiuto secco da parte della giovane, le famiglie decidono di celebrare il matrimonio per procura. Questo fatto rappresenterà un altro raggiro, in quanto Francesca per un attimo pensa che lo sposo promesso sia l’ambasciatore o meglio il procuratore: Paolo Malatesta, uomo bellissimo, fratello di Giovanni, lo zoppo.
Ma così non è.
Francesca capirà subito chi sarà il vero marito e, sottomessa com’è, si sottopone al vincolo coniugale.
Però la scintilla era scoppiata. A sua volta a Paolo piacque subito Francesca, così come a Francesca piacque subito Paolo. Vedremo anche questo concetto: amor che a nullo amato amar perdona.
Ed una sera di maggio, in una loggia panoramica del castello di Gradara (che è bellissimo: v’invito a visitarlo come ho fatto io tempo fa) basterà la lettura a due della pagina di un famoso romanzo cavalleresco, in cui si raccontano gli inizi di una vicenda extraconiugale, perché i due cognati si bacino finalmente non riuscendo più ad andare avanti. Qui pare che irrompesse il marito (Gianciotto, cioè Giovanni Malatesta, lo zoppo) sorprendendo i due in flagranza di adulterio (un bacio!) e infilzandoli con una spada o una lancia in un’unica stoccata.
Tra l’altro a quanto pare questo duplice omicidio non sembra aver sciupato la vantaggiosa alleanza per le due famiglie che anzi viene rinsaldata con questa specie di patto di sangue.
* * *
Ora iniziamo a commentare il canto (prima di cercare di recitarlo tutto intero a memoria). Il canto è quello in cui Dante incontra i due amanti appunto in questo secondo girone dell’Inferno.
Dante con Virgilio discendono dal primo cerchio giù nel secondo, che ha una circonferenza più piccola, ma che contiene più dolore che spinge al lamento (che punge a guaio).
Piantato nell’entrata sta Minosse, giudice dell’inferno, che giudica e manda secondo ch’avvinghia. Ovviamente il giudizio è sempre inappellabile e soprattutto qui si parla di ergastolo. Qui la pena ed il carcere è vita. O meglio a vita eterna.
Dunque, quando l’anima mal nata (nata alla propria dannazione) gli capita davanti, confessa tutti i suoi peccati. E Minosse individua il comparto dell’Inferno che fa per lei e glielo comunica o glielo notifica secondo ch’avvinghia: cioè avvolgendosi nella coda un numero di volte pari all’ordine del grado o cerchio in cui l’anima deve precipitare. Per esempio quattro giri di coda, quarto cerchio; otto giri di coda, ottavo cerchio, e così via.
Il flusso delle anime è incessante: a turno vanno al giudizio, si confessano, ascoltano la sentenza, e poi sono scaraventate di sotto a capofitto.
Come vede Dante, Minosse s’accorge che non si tratta di un’anima ma di un uomo in carne ed ossa (in quanto Dante proietta un’ombra) e subito interrompendo l’atto di cotanto uffizio, gli urla: Tu che vieni in questo ospizio di dannati, stai attendo a dove ti stai cacciando. Non t’inganni l’ampiezza dell’entrata.
E Virgilio (compagno di viaggio di Dante) gli ribatte: Perché pur gride? Non tagliargli la strada. Vuolsi così colà dove si può (puote) ciò che si vuole e più non chiedere (dimandare).
Poi Dante viene al nocciolo del racconto. Or incomincian le dolenti note (il suono del dolore) a farmisi sentire, or son venuto là dove molto pianto mi percuote (mi investe e mi turba).
Io venni in loco d’ogne luce muto, cioè nel buio, silenzioso di luce, che mugghia come fa mare in tempesta quando è schiaffeggiato dai venti.
La bufera infernale che mai non s’arresta, e tormenta le anime dei dannati nella sua rapina sbattendole di qua, di là, di su, di giù.
Quando giungono davanti alla ruina si scatena un coro stonato di strida, singhiozzi, lamenti e bestemmie.
A questo punto Virgilio dice a Dante che i dannati sottoposti a quella pena sono i peccator carnali che la ragion sommettono al talento, cioè che subordinano l’ordine della ragione ai disordini del desiderio. Cioè sottomettono la ragione alla passione: sono in una parola i lussuriosi.
Ecco la legge del contrappasso: sbattuti dal vento delle passioni da vivi, questi peccator carnali saranno allora strapazzati dalla bufera infernale nei secoli dei secoli, amen.
Ecco allora due similitudini (ce ne stanno molte nella Divina Commedia).
La prima. Gli spiriti di questo cerchio, la massa dei lussuriosi, sono paragonati allo stormo largo e pieno degli storni (un tipo di uccelli) che in massa turbinano alla rinfusa.
La seconda. Le ombre travolte dalla medesima tormenta (de la detta briga) striano gemendo, come gru che disposte in lunga riga van cantando lor lai (cioè si lamentano). Dunque sono gru lamentose queste anime selezionate, ch’amor di nostra vita dipartille, cioè che han perso la vita a causa dell’amore.
Dante domanda: chi sono queste anime-gru?
Risponde Virgilio. La prima è Semiramide, la leggendaria imperatrice, che succeduta al marito Nino, regnò sulla terra che il Soldan corregge, cioè la città che oggi è retta dal sultano d’Egitto. Questa Semiramis, Semiramide, fu donna talmente depravata che per abrogare l’ignominia a cui s’era ridotta, decretò la liceità di ogni sfrenatezza: libito fe’ licito in sua legge. Insomma si fece una legge ad personam. Le leggi ad personam evidentemente non sono un’invenzione di questi nostri giorni!
La seconda delle anime in riga è colei che s’uccise per amore, dopo aver rotto il patto di fedeltà giurato sulle ceneri del marito Sicheo: si tratta della vedova Didone, regina di Cartagine: la quale folle di Enea (quando questi partì) si lanciò tra le fiamme.
Segue Cleopatra lussuriosa: Cleopatra amante di Cesare e Antonio e di molti altri (si suicidò morsa da un aspide).
Segue ancora Elena, per cui tanto reo tempo si volse, (dieci anni della guerra greco-troiana)
Vedi Parìs: vedi Paride, amante di Elena, e vedi Tristano (quello che preleva la bella Isotta in Irlanda per tradurla sposa a suo zio Marco, re di Cornovaglia: poi i due bevono una pozione, un filtro d’amore. Ma poi Marco mette a morte il nipote… Ma questa è un’altra storia).
L’elenco dei sette morti lussuriosi, completato da mille altri nomi di donne antiche e cavalieri, sgomenta Dante e pietà lo coglie.
Quando ecco che qualcosa, sconvolgendolo ancor di più, cattura la sua attenzione. E si rivolge a Virgilio e gli dice: poeta, mi piacerebbe parlare con quei due che volano insieme e sembrano essere così leggeri al vento. Ed il maestro gli risponde: non ti preoccupare, quando saranno più vicini a noi, pregali in nome dell’amore che li sbatte a destra e a manca e vedrai che verranno.
E così Dante, non appena il vento sembra rallentare un attimo, si rivolge a loro dicendo: oh anime affannate, venite a parlare a noi, se altri (se Dio, cioè) non lo vieta.
Dalla riga di gru, come due colombi, si staccano due anime, tratte dalla forza dell’appello affettuoso. Ma inizia a parlare solo lei. Lui (Paolo) non parlerà mai in questo canto. Piange in silenzio.
Francesca si dice allora disposta a dire tutto quello che Dante, quella creatura vivente vorrà sapere. Mentre che il vento come fa ci tace.
Francesca per designare la sua città, si dichiara nata sulla marina dove sfocia il Po per aver pace con i suoi affluenti. Ed aggiunge che se qualche udienza lei e Paolo potessero ottenere (ma mai l’otterranno) nei cieli, pace pregherebbero per il pellegrino commosso dalla loro pena. Pace e niente altro: pace che altro non è che la disperata aspirazione di questa signora che, con l’amante, tinse il mondo di sanguigno, e ora gira e rigira furiosamente nell’aere perso del secondo cerchio dell’Inferno.
Amor, che in un cuore nobile attecchisce subito, prese questo Paolo del bel corpo di cui sono stata privata, ed il modo ancor m’offende. Può significare: la smodatezza della passione di Paolo mi tiene ancora in sua balìa; oppure: il modo dell’omicidio continua ad offendermi.
Amor gentile. Amor cortese. Dolce stil novo: quello che sublima la donna, vista come un angelo. Non vi posso a questo punto non recitare la bella poesia di Dante: Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia…[recita].
Tanto gentile e tanta onesta pare
La donna mia quand’ella altrui saluta
Ch’ogne lingua devien tremando muta,
E gli occhi no l’ardiscono di guardare
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per gli occhi una dolcezza al core
che ‘ntender no lo può chi non la pruova
e par che de la sua labbia si mova
uno spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: sospira.
* * *
Amor che a nullo amato amar perdona.
Amore che non esonera nessuna persona amata dall’amare a sua volta, prese me della bellezza di quest’uomo, e con tanta forza che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amore ci coinvolse in un’unica morte. La Caina, cioè quel cerchio dei traditori dei parenti (che abbiamo visto anche sulle fotocopie) che è la zona del lago di ghiaccio che chiude il cratere infernale, la Caina – dicevo – attende chi a vita ci spense: cioè mio marito che ci uccise.
* * *
Ora apro una breve parentesi su quel verso 103 ormai famosissimo: Amor, ch’a nullo amato amar perdona.
Secondo questa specie di teorema si può affermare che sempre, fulmineamente, senza appello, chiunque s’innamori di una persona automaticamente non può che esserne corrisposto. Dunque c’è reciprocità d’amore. Istantanea e perfetta.
C’è chi dice invece che questo funziona solo con l’amore di Dio per cui amare Dio ed essere amati è un’unica cosa. Ma senza approfondire questi concetti ché si sconfinerebbe in altri campi (teologici, morali, psicologici, filosofici…) diciamo che nel tempo altri poeti pensarono invece che non esiste questa corrispondenza d’amorosi sensi.
Per esempio nel seicento ci fu una suora di lingua spagnola, Suor Juana Ines de la Crux, di Città del Messico che scrisse questa poesia molto bella che ora vi recito: “L’ingrato che mi lascia cerco amante”… [recita].
Chiusa la parentesi.
L’ingrato che mi lascia, cerco amante
L’amante che mi segue, lascio ingrata;
costante adoro chi il mio amor maltratta
maltratto chi il mio amor cerca costante.
Chi tratto con amor, per me è diamante,
e son diamante a chi in amor mi tratta;
voglio veder trionfante chi mi ammazza,
e ammazzo chi mi vuol veder trionfante.
Soffre il mio desiderio, se ad uno cedo;
se l’altro imploro, il mio puntiglio oltraggio:
in ambi i modi infelice io mi vedo.
Ma per mio buon profitto ognor m’ingaggio
A esser, di chi non amo, schivo arredo
E mai, di chi non mi ama, vile ostaggio.
Ecco: in questa poesia si evidenzia molto bene non la simmetria ma la asimmetria degli amorosi sensi…
* * *
Ma torniamo al nostro canto V.
Dopo aver ascoltato quelle anime offense, Dante abbassa gli occhi e tanto li tiene bassi, finché Virgilio gli chiede: che pensi? Cosa ti passa per la testa?
E Dante risponde dopo un po’: Ahimè, quanti dolci pensier, quanto desìo menò costoro al doloroso passo.
Poi si rivolge a Francesca dicendole: Francesca, le tue pene, il tuo dolore mi impietosiscono fino alle lacrime. E poi le chiede, quasi morbosamente curioso: ma dimmi, per quali indizi ed in quali circostanze vi ha consentito Amore di conoscere i vostri titubanti e mutui desideri?
E Francesca: Nessun maggior dolor …premesso che nulla fa più male che ricordarsi del tempo felice nella miseria, dirò come colui che piange e dice: dirò come direbbe chi piangendo dicesse.
E continua: un giorno, per svago, senza essere insospettiti da alcun presentimento, lei e Paolo leggevano insieme un romanzo francese, dove era raccontata la storia d’amore di Lancillotto e Ginevra, moglie di re Artù (qualcuno ricorda il film con Richard Gere e Sean Connery, su questa storia. ecc.).
Più di una volta la lettura costrinse i loro sguardi ad incrociarsi, ed i loro visi a sbiancare. Ma a sopraffarli fu una pagina: proprio quella. Quando lessero il desiderato sorriso di donna Ginevra essere baciato da cosiffatto amante, questi che mai da me non fia, non sia, diviso la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, quel giorno più non vi leggemmo avanti.
Il Galeotto di cui si parla è il siniscalco Galehaut, che nel romanzo francese istiga il leale Lancillotto a dichiarare il suo amore a Ginevra; e sotto i suoi occhi, Ginevra prende Lancillotto e lo bacia.
Dunque: Galeotto fu il libro: il libro o meglio il suo autore, ci ha fatto da mezzano.
Quel giorno più non vi leggemmo avante…
Questa frase di Francesca ha dato luogo a diverse interpretazioni. Può significare che la lettura, interrotta dal bacio, sarebbe stata immediatamente e definitivamente troncata dall’irruzione del marito zoppo e quindi dal doppio omicidio.
L’altra interpretazione forse più plausibile, benché più piccante, è quella per cui da quel giorno, i due abbiano accantonano le perlustrazioni letterarie sul tema dell’amor cortese, per abbandonarsi alla passione.
Il canto finisce con Dante che sviene cadendo come corpo morto cade.
Eccovi dunque la recita integrale del canto V dell’Inferno.
Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.
«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,
«guarda com' entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid' io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?».
«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell' è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.
L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov' è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettüoso grido.
«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand' io intesi quell' anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com' io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
mar092024
Profondissimo momento di riflessione quello sollecitato oggi dagli studenti e dalle studentesse del Liceo “A. Vallone” di Galatina che in occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale dei Diritti della donna, hanno scelto di «far rumore» attraversando le strade principali della città.
Un lungo corteo, ordinato e partecipe, si è mosso dalla sede centrale del Liceo con il nobile obiettivo di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco e sull’inefficacia di questa ricorrenza.
“L’ignominia continua da Giulia…1,2,3…12 vittime” è il messaggio che gli studenti e le studentesse del Liceo hanno portato in corteo, ribadendo che “Nessun delitto ha una giustificazione”!
Circa 900 studenti e relativi docenti, alla presenza delle forze dell’ordine e del vicesindaco, dott.ssa Maria Grazia Anselmi, hanno attraversato le strade principali della città in un assordante ma loquace silenzio, rotto soltanto da un pacato clangore di chiavi.
Dipanando un drappo rosso lungo 30 metri, simbolo del dolore e delle violenze che le donne ancora subiscono, visto il perdurante divario di genere, il corteo ha raggiunto Piazza San Pietro dove, alla presenza della Dirigente scolastica, prof.ssa Angela Venneri, è stato realizzato un flash mob di riflessione chiuso con la lettura di Knocking on Heaven’s door, profondo monologo in voce maschile tratto da Ferite a morte, di Serena Dandini.
Di forte impatto visivo ed emotivo la piazza centrale animata dalla compostezza esemplare degli studenti e delle studentesse, attraversata soltanto dal sordo drappo rosso, simbolo del sangue che potrebbe lambire chiunque.
Sotto lo sguardo attento e accorato della cittadinanza tutta, il flashmob si è chiuso senza parole o interventi delle autorità presenti ma con l’augurio e l’incoraggiamento rivolto a tutte le donne mediante i dolcissimi versi della poesia di Alda Merini, Sorridi donna, in un’ottica di sensibilizzazione e condivisione d’intenti.
Non un’occasione per festeggiare, dunque, ma solo per riflettere e tenere alta l’attenzione, con l’auspicio che l’educazione culturale possa riaffermare un ineludibile principio di civiltà.
Maria Rosaria Campa
ott072010
“Tu non conosci il Sud: leggendo Vittorio Bodini ”
Un paese che legge è una storia bellissima
Novità, eventi e attività in biblioteca
Ruota intorno alla figura del grande poeta e letterato del ‘900 il programma che il Sistema Bibliotecario della Provincia di Lecce ha scelto di lanciare quest’anno, aderendo alla campagna nazionale di promozione della lettura .
Una scelta conforme e brillante per sviluppare il tema proposto alla V edizione, “Parole d’ Italia ”, coniugare il tema risorgimentale e le numerose identità culturali del nostro paese, nel contesto europeo.
La Città di Galatina per il tramite della Biblioteca Comunale, in rete con Università Scuola e Associazioni Culturali, partecipa all’iniziativa dedicata all’autore, che negli anni ‘41-‘44, fu illustre docente del Liceo “P. Colonna”, con una serie di appuntamenti e di novità anche per i piccoli lettori.
Le iniziative in calendario non presentano carattere celebrativo, tuttavia è evidente che il filo conduttore può promuovere un rinnovato senso civico e di appartenenza, una più forte consapevolezza della complessità della nostra storia, delle peculiarità di una terra fertile, del dinamismo del Salento, ma anche delle contraddizioni e delle problematiche di oggi e di quelle di ieri.
Sono altresì occasioni che danno visibilità al valore delle attività degli operatori del settore. Le biblioteche non offrono ai cittadini solo servizi che favoriscono la crescita culturale individuale . Si confermano sempre più come centri di aggregazione.
La Bibliomediateca e il Museo Civico di Galatina, nell’ex Convento dei Domenicani, ora Palazzo “Z. Rizzelli”, sono agenti che quotidianamente investono e sono investiti in manifestazioni che aumentano l’offerta culturale del territorio.
In servizi che per essere qualificati richiedono adeguata competenza ed impegno non disgiunti da creatività e fantasia soprattutto quando sono rivolti agli utenti più piccoli.
Che saranno i protagonisti dell’ Ammutinamento in biblioteca, laboratorio ludico-didattico rivolto agli studenti della classe quinta della scuola primaria. Una divertente caccia al tesoro, nelle ore pomeridiane di martedì 26 e giovedì 28 ottobre, per esplorare e trovare indizi tra i volumi della biblioteca, alla ricerca di versi del Bodini. I bambini partecipanti dovranno essere accompagnati in biblioteca dai genitori che avranno cura di prenotare l’iscrizione, utilizzando apposito modulo.
La campagna promozionale prende il via venerdì 8 ottobre, giornata di inaugurazione, nelle sale del Museo, della Mostra di pittura e scultura Il Salento di Bodini nell’arte e nella poesia ,aperta al pubblico sino al 7 novembre .
Si avvicenderanno incontri con scrittori, poeti e critici, preziose testimonianze di ex allievi dell’autore.
Sabato 13 novembre, a chiusura del progetto, echi forti di salentinità potremo cogliere nei versi della poetessa Daniela D’Errico, 2^ classificata premio Bodini 2005 - Vitruvio – Lecce, in dialogo con Beatrice Stasi e Giovanni Invitto, docenti dell’Università del Salento.
gen172008
ago302018
E’ tutto pronto per l’edizione 2018 del Premio Marcello Romano per il Cinema, riconoscimento nato per rendere omaggio alla memoria dell’avv. Marcello Romano (1943 – 2008), cultore di cinematografia, istituito nel 2009 dal Comune di Galatina in collaborazione con l’ex-Istituto d’Arte G. Toma, ora Liceo Artistico dell’IISS “P. Colonna” di Galatina.
Quest’anno il Premio viene attribuito a Meditfilm e verrà consegnato sabato 8 settembre a Galatina presso l’ex Monastero delle Clarisse.
Meditfilm si distingue per la realizzazione di numerosi progetti, cine-documentaristici, televisivi, di antropologia visuale e comunicazione multimediale, che raccontano e costruiscono percorsi di tutela e valorizzazione del patrimonio collettivo naturale, artistico e culturale salentino.
Il Premio Marcello Romano per il Cinema è stato consegnato in precedenza nell’ambito del Festival “Corti di marzo” 2011, fuori concorso, al regista Andrea Costantino, per il cortometraggio “Sposerò Nichi Vendola” (2010) e nel 2014 a Francesco Micciché per il documentario “Lino Miccichè, mio padre. Una visione del mondo” (2013), nell’ambito della Rassegna Identità in dialogo-Prospettive meridiane #tuttosuipadri, con il patrocinio della Regione Puglia e di Apulia Film Commission.
Introduce Rita Toscano. Intervengono per i saluti istituzionali Marcello Amante, Sindaco di Galatina, Cristina Dettù, Assessore alla Cultura e Maria Rita Meleleo, Dirigente del Liceo Colonna.
Ospiti del Premio saranno Beatrice Stasi, professore associato di Letteratura Italiana Università del Salento e Presidente Università Popolare “Aldo Vallone” Galatina; Chiara Eleonora Coppola, consulente progettista, componente del Consiglio di Amministrazione Fondazione Apulia Film Commission; Eugenio Imbriani, professore associato di Discipline Demo-etnoantropologiche, componente Comitato Scientifico progetto Luoghi e Visioni, a cura di Meditfilm; Antonio Mellone, (nelle vesti di) economista e Francesca Casaluci, Presidente Associazione Salento Km 0.
I relatori interverranno su tema: “Cinema Terra e poesia”, ragione sociale di Meditfilm.
Al termine della premiazione, verrà proiettato il documentario Stare sul confine, una delle più recenti pellicole di Meditfilm, per la regia di Tommaso Faggiano.
Parteciperà all’evento anche Renato Grilli, attore/autore e voce narrante del film.
La consegna del Premio sarà un’occasione di festa per tutti gli spettatori che avranno il piacere di dialogare con gli autori, in un clima di convivialità, nella suggestiva cornice del giardino del monastero di Santa Chiara.
Rita Toscano
feb232020
Insomma, due giorni interi di messaggi a non finire sulla magnificenza del concerto, gente che ti ferma per strada, o ti chiama al telefono per complimentarsi (mica con te, che non c’entri niente, ma con il Maestro).
E così lo Scarcella Francesco di Andrano, maestro d’organo, dopo aver suonato all’estero e nel resto d’Italia, vinto concorsi, composto opere, registrato dischi, diretto orchestre, inventato festival (tipo l’Organistico del Salento), promosso restauro di organi antichi, architettato di moderni, tenuto seminari, e insegnato in conservatorio e in mille altre scuole di ogni ordine e grado, l’altra sera si è presentato a Noha in frac e dunque papillon bianco, abito d’uso dei direttori d’orchestra, per farci girare la testa.
L’ha fatto non solo dando fiato alle canne del nostro Continiello del 1971, che obbedienti gli han risposto per le rime, ma facendoci capire che un organo si deve suonare anche con i piedi (in senso letterale non letterario, eh), che per di più la musica, fosse anche quella di un’opera buffa come il Barbiere di Siviglia del Rossini, è pur sempre sacra, e che, benché sacra, o forse proprio perché sacra, non può non essere ribelle.
Per farla breve, l’Arte (in questo caso dei suoni) è sovvertimento di canoni: sì, certo, c’è quello di Pachelbel, di Canone dico, che si ripete costante, imperturbabile, ma siccome il cantus firmus rischia di essere monotono arriva finalmente la lotta di classe da parte di quella cosa sublime che è il Contrappunto, forma d’indipendenza, e talvolta contrasto di melodie che è sale e pepe, ma sa diventare zucchero e crema pasticciera quando serve.
Händel, poi, sa il fatto suo, e tra il sei e il settecento suona a corte per re e regine, compone su pentagramma l’arrivo presso il saggio Salomone della Regina di Saba, e, come suole, fa musica aristocratica. Ma le canne tutte del Continiello di Noha, per mani e piedi del prof. Francesco, diventano spade da investitura al cavalierato, che dico, di proclamazione regale, con l’elevazione di ogni esponente del popolo in ascolto, al rango di re e regine, principesse e principi (rospi inclusi).
Del sovrano del Contrappunto, tal Johann Sebastian Bach, delle sue suite (da cui la celeberrima Aria sulla quarta corda, propedeutica a una seduta di Yoga) e della sua Toccata e Fuga ci sarebbe da dissertare a lungo, ma qui ci limitiamo a dire che a Noha diventano stoccata e foga (di applausi).
Il Te Deum, canto antico di ringraziamento, che si esegue in genere alla fine, si anticipa per anticonformismo all’inizio dell’esibizione (non erano forse i Nomadi che lo suonavano come brano di apertura di ogni loro concerto?). Quello di Charpentier, in particolare, scritto per soli coro e orchestra, comincia sempre con un rullo di timpani, ma stasera in questa terra non servono per l’ouverture strumenti a percussione con membrana tesa su bacino emisferico: bastano i cuori pulsanti in concerto dei suoi abitanti.
Si vola verso la conclusione con l’Improvvisazione Scarcelliana sul tema del Symbolum, simbolo cioè che la classe è finalmente acqua di colonia, profumo d’immenso, per giungere in men che non si dica ai saluti e alle congratulazioni finali. Non può mancare certo il fuoriprogramma: un bis soave con organo e popolo tutto che intona “È l’ora che pia”: uomini e donne astanti armonizzati come un sol corpo e una sola voce e, forse, una sola anima, in una lode giubilare maestosa e perfetta.
Si omaggia infine Maister Scarcella coram populo con un niente al confronto dell’emozione che ci ha donato: un po’ di storia arte e leggenda nohane rilegate in un libro, una scultura di Marcello D’Acquarica, un bigliettino diciamo promemoria, e un libretto di musica datato Anno Domini 1910, rinvenuto nelle carte musicali del compianto don Donato Mellone, cui la serata è dedicata.
Né si può tacere il fatto che tra cose del compianto Don si son rinvenuti, tra gli altri, dei vinili dal titolo “Canti di Lotta e di Speranza”, e poi ancora “In cammino con noi verso la Liberazione”, nonché degli spartiti musicali su “La Natura non ha frontiere” (che diede il titolo a un brano ecologico ante litteram che imparammo a memoria, lui al suo Continiello 1971), e infine appunti e parole eterne tipo queste: “Per molti non esiste che il lavoro materiale, esso solo è degno di compenso, ad esso solo si attribuisce il progresso umano. Ma c’è un lavoro più alto e nobile: quello del pensiero, quello della poesia, della musica e dell’arte, e quello ancora più sublime della creazione della santità. Senza questo lavoro non può esserci popolo civile.” [Don Donato Mellone, Appunti].
Se non è rivoluzione questa, ditemi voi cos’è.
Antonio Mellone
giu102010
Ho conosciuto Corrado Marra nel corso di alcune riunioni di lavoro: siamo infatti colleghi, entrambi responsabili di filiale di un importante istituto di credito dell’Italia del Sud. Corrado, in provincia di Lecce; chi scrive, in provincia di Bari.
Capita sovente, nel corso di codeste riunioni, di far comunella con i compagni di viaggio, trascorrendo con loro, oltre alle ore canoniche degli incontri, gli intervalli, le pause pranzo o - nel caso di missioni in corsi residenziali lontano da casa con durateultragiornaliere - anche le serate in pizzeria con connesse lunghe, belle passeggiate e discussioni. Tuttavia il più delle volte si finisce per parlare di lavoro, di colleghi, di superiori, di numeri, in mille discorsi arzigogolati, fritti e rifritti.
Con Corrado Marra non è mai stato così. Sin da subito, senza bisogno di accordi, abbiamo parlato “d’altro”; e se qualche volta fuori orario s’è fatto riferimento al nostro lavoro, l’abbiamo fatto in maniera beffarda, canzonatoria, divertita e, ove possibile, auto-ironica, tra tante gustose risate. Quel “parlare d’altro” è la base ed il succo di queste note.
Può sembrare strano, ma due direttori di banca possono anche discettare di arte, di letteratura, di poesia, e di cultura. Sì, perché a Corrado piace dipingere; al sottoscritto, leggere e talvolta cimentarsi nella scrittura. E si sa che pittura, lettura e scrittura sono sorelle che da sempre vanno a passeggio sotto braccio.
Per essere ancor più espliciti diciamo che Corrado è un pittore di lungo corso (avendo egli, tra l’altro, frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Lecce nel corso di pittura), mentre l’estensore di questi appunti è uno scrivente (e non s’azzarderebbe mai ad autodefinirsi scrittore, per quei tre o quattro libelli che gli è capitato di consegnare alle stampe, o per gli editoriali e le rubriche che tiene su di un periodico on-line semi-clandestino chiamato L’Osservatore Nohano).
Noi conveniamo sul fatto che si riesca ad essere bravi direttori di banca, coordinando collaboratori, raggiungendo determinati risultati, risolvendo mille grattacapi quotidiani, guadagnandosi la fiducia e la credibilità dei clienti, se e soltanto se si ha dimestichezza con le opere d’arte, con la poesia, con la musica; cioè solo se si frequenta il teatro, la fotografia, la pittura, il patrimonio librario, archeologico o archivistico. Dunque, solo se si ha commercio d’amorosi sensi con le arti figurative o con le mille altre testimonianze aventi valore di civiltà si riesce a essere anche dei bravi professionisti. Non c’è antagonismo tra i due aspetti, ma somma consonanza: non c’è soluzione di continuità tra la ricerca della bellezza, e la bravura e la professionalità di un uomo assiso dietro la sua scrivania. Un fatto non esclude l’altro, anzi lo completa, lo migliora, lo esalta.
Per far comprendere meglio a chi ci legge che qui si fa sul serio, diciamo che Corrado è anche titolare di una galleria d’arte, in via D’Enghien (www.artdenghien.it) una tra le più belle ed accoglienti di Galatina, con un invitante salotto al centro della sala, in cui si finisce per accomodarsi, sprofondando nelle sue comode poltrone. Così, per oziare, per passare il tempo, per discettare del più e del meno, si finisce per diventare terroristi armati di filosofia, titolari di quel pensiero migliore che solo è in grado di annientare le armi di distrazione di massa, come di fatto è diventato il teatrino elettrico, ormai ultrapiatto, che tutti abbiamo in casa, acceso dalla mattina alla sera.
Entrare in quella galleria-tempio è come partecipare ad un rito di bellezza: mirare i quadri di Corrima (è questo lo pseudonimo di Corrado Marra) significa redimersi dai problemi, dalle angosce, dalla nostra finitezza che c’inchioda a terra. In questa galleria di quadri e di installazioni artistiche tutto diventa magia, incanto, Sud.
Antonio Mellone
nov282015
Martedì 1 dicembre 2015 - Palazzo della Cultura (Galatina, Le)
La città di Galatina rende omaggio a Ernesto De Martino con la rassegna "Il peso dei rimorsi", dedicata al grande antropologo italiano nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa.
L'appuntamento ricade all'interno di una serie di incontri e dibattiti organizzati in numerose città italiane, curati dall'Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, l'Associazione internazionale Ernesto De Martino, la Fondazione Premio Napoli, l'Università di Ginevra, la Scuola di specializzazione in Beni demoetnoantropologici dell'Università di Perugia, la Fondazione Istituto Gramsci e la Fondazione Angelo Celli.
Come molti sanno, a Galatina, Ernesto de Martino fece tappa nel ’59 con la sua équipe, per studiare a fondo, per la prima volta in maniera organica e multidisciplinare, il fenomeno del tarantismo: da quella spedizione scaturì il celebre saggio “La terra del rimorso”, oggi tradotto, conosciuto e studiato in numerosi Paesi del mondo.
Ma la tappa galatinese della celebrazione vuole rendere omaggio ad un de Martino meno conosciuto e al suo travagliato percorso ideologico e politico, che lo ha visto protagonista, dagli anni 40 agli anni 60, del panorama intellettuale italiano, insieme ad altri illustri personaggi che ne hanno segnato la formazione e con alcuni dei quali egli stesso ha intrattenuto una intensa dialettica intellettuale: Gramsci, Croce, Pavese e molti altri.
Al convegno interverranno:
Il convegno sarà accompagnato da una mostra fotografica dal titolo “Il cattivo passato” e dalla “Breve rassegna Luoghi e Visioni” a cura di Meditfilm, un percorso di antropologia visiva che prevede la proiezione di alcuni documentari etnografici e la presentazione in anteprima del cortometraggio “Equilibri nel tempo” prodotto da Meditfilm, scritto e diretto da Fabrizio Lecce:
L’evento è promosso dal Comune di Galatina – Assessorato alla Cultura e organizzato in collaborazione con Meditfilm nell’ambito del progetto “Luoghi e Visioni - Frammenti di Antropologia Visuale”.
L'intera manifestazione si svolgerà martedì 1 dicembre a Galatina, presso il Palazzo della Cultura, con il seguente programma: alle 16:00 apertura mostra fotografica “Il cattivo passato”, alle 17:00 inizio del convegno "Il peso dei rimorsi", alle 19:00 proiezione dei film in rassegna con l’anteprima del corto "Equilibri nel tempo".
Link di approfondimento
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MEDITFILM
+39 3277305829
ufficiostampa@meditfilm.com
+39 3355772274
giu072015
"La sera dell’otto gennaio scorso, durante il convegno sulle cause radici del nostro benessere o malessere, organizzato nell’edificio delle ex scuole elementari di Noha, si parlava dello stato di inquinamento del nostro territorio. Il tema era concentrato sull’esposizione dei dati riportati da Luigi Russo. Ci fu però un momento in cui Ivano Giuffreda, presidente di Spazi Popolari, a proposito di malattie derivanti dall’inquinamento, chiese rivolgendosi al pubblico, quanti dei presenti avessero un malato di cancro in casa o tra la cerchia degli amici o parenti. Ci una folta e immediata alzata di mani, e fra tutte, le mani di Roberto si proiettarono in alto. Sembrava quasi voler gridare: eccomi, sono qui in prima persona.
Questa poesia la dedico al mio amico Roberto, che pur sapendo a cosa andasse incontro, ha lottato con determinazione e coraggio senza mai cedere alla disperazione."
ago122019
Galatina risulta tra i Comuni ammissibili al finanziamento per un importo di € 18.810,00 con il progetto “Galatina, Piazza Vecchia, viaggio alla scoperta dei prodotti agroalimentari tradizionali”.
Con Determina Dirigenziale n.87 del 31.07.2019 è stata resa nota la graduatoria relativa alla partecipazione all’avviso pubblico per l’organizzazione di iniziative di ospitalità di giornalisti e opinion leader promosse dai Comuni o Unioni di Comuni della Regione Puglia 2019 finalizzate alla conoscenza del territorio e dei suoi attrattori materiali ed immateriali.
L’Amministrazione Comunale ha da subito posto grande attenzione per finanziamenti di questo tipo.
Il 15 settembre, a Galatina, si rinnova l’appuntamento con la seconda edizione della manifestazione Piazza Vecchia, coordinata dall’ Associazione Salento Km0, che ha sede a Galatina ed opera da tempo su tutto il territorio salentino per la promozione dei prodotti agroalimentari locali provenienti da agricoltura naturale.
I palcoscenici di questo singolare evento saranno Piazza Arcudi e Piazza Vecchia che costituiscono il nucleo più antico della città di Galatina, una parte del centro storico viva e attiva sino a pochi anni fa che, come sempre più spesso accade, è stata quasi completamente abbandonata avendo anche subito il peso della cattiva reputazione del vecchio “casino”.
L’idea di ripopolare questi luoghi raccontando le storie passate è al centro di questo progetto che si pone l’obiettivo di connettere la città con l’esterno. Il dedalo di vicoli tra Piazza Vecchia e piazzetta Arcudi sarà il mezzo attraverso il quale la poesia e la storia della città parleranno a viva voce, offrendo agli occhi dei visitatori un’immagine unica di comunità, dove produttori e cittadini collaborano per costruire questa idea di Osteria Diffusa, con interventi musicali nelle corti, proiezioni a tema e laboratori per tutti.
L’evento sarà animato da una serie di iniziative che coinvolgono le realtà imprenditoriali e associative galatinesi e dei dintorni. I visitatori avranno l’opportunità di conoscere le piccole aziende agricole, i caseifici e i laboratori di produzione passeggiando tra i banchetti del mercatino agro-artigianale promosso dall’Associazione Salento Km0.
L’assessore al turismo Nico Mauro afferma: “Continuiamo a raccontare, attraverso media e testate giornalistiche, il nostro territorio in tutta la sua particolare bellezza, con l’impegno di valorizzare anche quelle professionalità che sono ricchezza aggiunta e che permettono di guardare al futuro con ottimismo. La presenza di un gruppo di giornalisti di diverse testate, tra nazionali ed estere, permetterà di raccontare e dare visibilità a Galatina, a suoi scorci di centro storico poco noti e soprattutto a quel patrimonio di cultura, saperi e sapori, vera ricchezza immateriale.”
Per la stessa manifestazione Galatina aveva ottenuto uno dei quattro finanziamenti, curati dall’ Assessore all’ambiente Cristina Dettù, nell’ambito del progetto ECOFESTE, ed aventi l’obiettivo di sostenere i Comuni che volessero trasformare feste, sagre e raduni in ecofeste, manifestazioni ed eventi pubblici a basso impatto ambientale e plastic free: in tali occasioni, infatti, dovranno essere utilizzate solo stoviglie lavabili, compostabili o biodegrabili.
Ufficio Stampa Marcello Amante
ago042019
Anche a Galatina si celebrano i 200 anni dalla composizione della poesia L'infinito di Giacomo Leopardi, con un evento musicale e poetico di altissimo livello, inserito nella rassegna di iniziative culturali estive A cuore scalzo. Mercoledì 7 agosto, alle ore 21,30, nel suggestivo sfondo dell’ex Convento delle Clarisse in piazzetta Galluccio, un poeta e un promotore di poesia come Davide Rondoni e un chitarrista di fama internazionale come Maurizio Colonna alterneranno e armonizzeranno la diversa musicalità di parole e note in un percorso di avvicinamento all’infinito leopardiano, inseguendo mimeticamente la voce del vento evocata nella celeberrima poesia. Poeta in proprio, tradotto e conosciuto anche all’estero, consulente editoriale e direttore di collane di poesia presso diversi editori, Davide Rondoni è tra i fondatori del Centro di poesia contemporanea dell'Università di Bologna e direttore responsabile della rivista “ClanDestino”.
Considerato unanimemente uno dei più grandi chitarristi classici del nostro tempo, autore di libri storico-musicali e compositore tra i più rappresentativi ed eclettici di oggi, Maurizio Colonna ha raggiunto una popolarità mediatica anche internazionale grazie a numerose apparizioni televisive, da quella al Festival di Sanremo del 1996 alla partecipazione nel 2012 a un evento in mondovisione su Rai1 come One world, One Family, One Love, in presenza di Papa Benedetto XVI.
Introduce la serata Beatrice Stasi, docente universitaria di Letteratura italiana e Presidente dall’Università Popolare “Aldo Vallone” di Galatina che ha promosso l’iniziativa, in convenzione col Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento. Grazie all’illuminato contributo organizzativo del Comune di Galatina e al generoso mecenatismo degli sponsor, l’evento è a ingresso libero.
Nico Mauro, assessore al Turismo
feb292024
Oggi venerdì 1 marzo alle ore 18:00, nella Sala conferenze dell’ex Palazzo De Maria, in Corte Taddeo, è in programma un primo di tre incontri che l’Università Popolare dedica alla poesia: l’evento odierno, che sarà introdotto dalla Vice Presidente Maria Rita Bozzetti, prevede una relazione del prof. Antonio Lucio Giannone su “Giuseppe De Dominicis (Capitano Black) e la poesia dialettale dell’Ottocento”.
Nei successivi incontri saranno illustrate “Le voci della poesia religiosa” a cura della poetessa Maria Rita Bozzetti e verrà analizzata “La linea poetica salentina: appunti ed ipotesi di lavoro” a cura di Simone Giorgino.
Ritornando alla conferenza odierna, nasce ovvia la domanda: chi era Capitano Black?
“Lo chiamavano Capitano Black scriveva poesie, avrebbe avuto molto da raccontare e regalare al Salento e al mondo della letteratura, perché i suoi versi, rigorosamente in vernacolo piacevano, viaggiavano lungo una saggia scia di ironia, raccontavano la condizione umana al di là del verso strappando un sorriso e una riflessione.
Ma il Capitano Black, Giuseppe De Dominicis, non ha vissuto abbastanza a lungo da sapere come sarebbe andata a finire, perché a soli 35 anni ha salutato la vita, consegnando il suo nome alla storia della letteratura.
Giuseppe De Dominicis nasce l’11 settembre 1869 a Cavallino, e viene avviato alla vita da pastore, lavoro che, un po’ per la tenera età, un po’ per la sua indole, svolge senza alcun entusiasmo. Dentro sente il bisogno di mantenere saldo il rapporto con il vernacolo, così decide che sarà quella la lingua in cui scriverà.”
Nel 1982 pubblica “Scrasce e Gersumini”, la sua prima raccolta poetica in vernacolo, con prefazione di Sigismondo Castromediano. Sarà un successo, tanto che nel 1893 pubblica “Canti de l’autra vita”.
Antonio Lucio Giannone, professore emerito di Letteratura italiana contemporanea dell’Università del Salento, è stato nostro ospite in più occasioni e abbiamo avuto pertanto già modo di apprezzare la sua fine e profonda cultura. Nella presentazione di due volumi scritti di recente in suo onore, quale tributo al suo insegnamento universitario e ai suoi studi, si afferma come il loro titolo, “Metodo e passione”, connoti il suo magistero di contemporaneista rigoroso e appassionato: “da un lato, la passione, in quanto connotazione etica di un bisogno estetico e di storia; e dall’altro, il metodo, in quanto attenzione esaustiva al testo, nel segno di una indefettibile dedizione ad esso, alle sue peculiarità e specificità. A questa armoniosa integrazione ha sempre ispirato la sua lunga e operosa fedeltà di studioso.”
Mario Graziuso
apr042022
Che la politica fosse l’arte dell’impossibile che diventa possibile l’avevamo capito da tempo. Dalle convergenze parallele morotee in poi se ne sono viste tante alleanze politico-strategiche che erano inimmaginabili solo cinque minuti prima che si manifestassero.
A Galatina le convergenze parallele sono tornate di moda. Sono diventate lo strumento principale di ambiziosi politici di taratura provinciale (nella sua accezione più negativa) pronti a seminare bandierine su e giù per la città ombelico del Salento, pronti a spartirsi, pezzo dopo pezzo, il pasticciotto più succulento del mondo. Chi la sua bandierina ha intenzione di piazzarla sull’ospedale, troppo ingombrante per il futuro di altri ospedali, chi sulla fiera, troppo in competizione con la naturale vocazione della Città capoluogo, chi sulla zona industriale troppo confinante con altre zone industriali. Galatina oggi appare ai più un territorio di conquista, un bacino elettorale da tenere assopito, da accomodare in terza fila al tavolo dei territori che contano.
La narrazione ufficiale degli spin doctor è quella di una città aperta agli altri territori, capace di interpretare le esigenze di un’area vasta. Chi si contrappone viene definito chiuso e campanilista, eccessivamente legato al passato ed incapace di interpretare il mondo che cambia. Ma scavando, si scopre che nella coalizione del nuovo (che più nuovo non si può), si ritroveranno candidati tre consiglieri comunali di maggioranza e tre consiglieri comunali di minoranza, che, fino a ieri, se le sono date di santa ragione in Consiglio Comunale, con attacchi, accuse e chi più ne ha più ne metta. Si scopre che lo stratega politico del nuovismo che vuole pacificare la città sia il più grande avvelenatore dei pozzi della politica galatinese, talmente tanto specializzato nel far cadere amministrazioni che i sindaci che hanno avuto la “fortuna” di averlo alleato, prima di ogni Consiglio Comunale, recitavano la poesia di Ungaretti “ si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.
E così, con lo spirito del nuovo che avanza, si scopre che all’ombra di Piazza San Pietro, si sta consumando la più strana liason politica degli ultimi anni. Mellone e Metallo, che solo sei mesi fa si attaccavano reciprocamente sui palchi di Nardò, l’uno a difendere il proprio sfarzoso operato, l’altro a difendere la dignità della sinistra neretina dal bullo populista e fascistello, definendolo la più grande anomalia dello schema emiliaNano, oggi si ritrovano alleati e sorridenti, insieme, a cercare candidati e costruire liste per colui che, più di un candidato sindaco, sembra il più grande Cavallo di Troia mai avvistato nei pressi di Piazza Dante Alighieri, il colui che tutto puote, per dirla alla Dante. E non ditemi che questa è politica, no non lo è! Non lo è nella misura in cui risulta essre irrazionale l’idea di considerare tale strategia un modo per ben gestire i fondi del PNRR, perché fare politica non è un’accozzaglia di ideologie che mai troveranno riscontro nella prassi. E poi c’è chi definisce “maestro” il solito showman del momento, che ha l’illusione utopia di dettar legge a Galatina, consigliando aspiranti consiglieri come un docente assiso in cattedra. Infine, ma non infine, si scopre che è talmente nuovo il clima politico che si respira in città, che mentre a Galatina pioviggina, a Noha grandina, trasformando un semplicissimo comizio in un atto di eroismo delle masse pronte a sostenere il nuovissimo leader, una narrazione degna della propaganda sudamericana anni ‘70. Personalmente non ho altro da fare se non farmi una grassa risata, davanti a questo scempio ma soprattutto davanti a questa accozzaglia tenuta insieme dall’illusione del nuovo che in realtà non è altro che un riciclo (spesso indifferenziato). Dal canto mio continueremo a lavorare assieme al mio Circolo e alla nostra coalizione, per dare a Galatina, Noha, Collemeto e Santa Barbara l’alternativa, dove tutto sembra nuovo ma in realtà è soltanto lavato con Perlana, ed anche male!
Michele Scalese
lug112024
giu072023
La nostra Greta Idolo, figlia di Davide e Gabriella, continua a stupirci con le sue parole sfregate sulla carta.
Questa volta si tratta di una poesia sull'orrendo periodo storico fissato nei libri di storia sotto il tema Seconda Guerra Mondiale, con tutte le connesse atrocità. "Parole di dolore, orribili favelle, accenti d'ira" ma, come asserito da Greta davanti al pubblico con la sua ormai proverbiale spigliatezza: "Ho voluto dar loro [alle vittime, ndr.] un'altra opportunità".
Premio Internazionale di poesia "Città di Galatina", V edizione - concorso aperto a scuole elementari, medie e superiori di tutta Italia - strameritato dalla nostra piccola poetessa nohana.
Continua così, cara Greta: e chissà che le tue parole non contribuiscano a far aprire gli occhi ai signori della guerra dei nostri (purtroppo anche questi) infausti giorni, dando a loro, e quindi anche a noi, "un'altra opportunità".
Congratulazioni: Noha è orgogliosa di te.
Noha.it
mag182020
Commercianti, Artigiani, Professionisti, liberi cittadini, facenti parte del Gruppo S.O.S. GALATINA, insieme ad altre Partite Iva della provincia di Lecce e non, hanno organizzato Lunedi 18 maggio, in piazza San Pietro a Galatina una manifestazione in cui rivendicano l’assenza di un sostegno concreto a sostegno dell’economia, tanto declamato in tutte le conferenze, dai nostri governanti.
Di tutte le proposte fatte, poco o nulla è giunto alle aziende e alle famiglie. Pertanto lo scopo dell’iniziativa è quello di sensibilizzare le istituzioni Nazionali e Regionali su alcune problematiche consequenziali alla crisi economica causata dalla Pandemia.
“Noi Partite Iva, dicono gli esponenti di S.O.S. Galatina, per una questione di sicurezza sanitaria, abbiamo fatto il nostro dovere, rispettando lo Stato, chiudendo le nostre attività, dalla sera alla mattina, con enormi perdite, e con nessuna certezza per il futuro. Il Governo invece, in tutta risposta ci sta mancando di rispetto”.
In questo momento storico chiediamo alle istituzioni di metterci nelle condizioni di tornare alla normalità, con risposte realistiche e d’impatto immediato, con meno poesia e più fatti.
Ci servono iniziative che riducano i costi delle attività, risposte che non si perdano nei meccanismi della burocrazia, - vedi finanziamenti bancari - , in sostanza, chiediamo agli enti facenti parte dello Stato che siano di supporto e non di contrasto alla ns/ripartenza.
"DATECI LA POSSIBILITÀ DI GUADAGNARCI IL PANE CON IL NOSTRO LAVORO".
La manifestazione si svolgerà, rispettando le regole concordate con la Questura, dalle ore 08:30 alle ore 20:30 con la presenza in piazza di una sedia contrassegnata dal nome delle attività che hanno confermato la loro adesione, più il Gruppo P.I.N. (Partite Iva Nazionali) UFS Italia (Unione Nazionale Feste e Sagre) ed altre ancora.
INFO 327/4606566 ( Gruppo S.o.s. Galatina )
apr162015
Fino a poche ore fa ne avevo solo sentito parlare qualche volta da Antonio Mellone. Adesso è un libro dal titolo: Vivere.
La prima cosa che mi colpisce di questo libro è il colore della carta, quel bianco caldo che mi ricorda la luce fievole di quando ero ragazzo e stavo a casa in via Aradeo, quando l’elettricità si interrompeva e si doveva ricorrere al tradizionale lume a petrolio. Anche al tatto delle dita la carta di queste pagine trasmette calore e serenità. Ma allora Michele è un libro? Non so ancora chi sia, ma sono bastate poche ore, forse meno di due, per entrare nel suo pensiero e carpirne la bontà d’animo, la semplicità e l’ardire. Leggo il suo raccontare e mi lascio trasportare nei posti che descrive. In un certo senso mi ritrovo come immerso nello stesso personaggio che è il fratello di una sorella che ha sofferto, come mio fratello guarda caso anche lui di nome Michele, mancato dopo due lunghi anni di cure. Molte sono le cose che ci accomunano: la passione per il passato, l’attenzione ai cambiamenti del presente, la fierezza per il suo lavoro, l’attaccamento alla propria terra, l’amore per la natura, la poesia, il suono delle campane e quell’osservare con orgoglio le compagne della sua vita, moglie e figlia.
Il suo narrare non ha la continuità di una storia unica, come dice Tiziana Montinari nella prefazione, ma è proprio per questo che in pochissime pagine riesce a farmi volare in modo continuativo sui tanti argomenti che appartengono a molte delle nostre vite, anche se non tutti sentiamo il bisogno di condividerli. Ora Michele non è più uno sconosciuto. Sento quasi un po’ d’invidia, o forse non è la parola esatta, quello che sento è piacere di scoprire come sia riuscito ad amare questa terra fantastica che è il nostro Salento pur non essendo costretto a staccarsene. Chi non prova sulla propria pelle il distacco forse non si rende conto della sua preziosità. Anche il suo parlare dell’età che è passata e del bisogno di lasciare il suo pensiero agli altri è segno di generosità e di amore. Non è invidia ma in un certo senso provo soddisfazione nel sentirlo, perché leggendo le sue parole mi sembra quasi di sentirne la voce. E provo soddisfazione nel sentirlo parlare di Dio. Di un Dio che non è solo relegato in chiesa, ma è per strada e nel mondo, dove aiuta l’uomo a difendersi dal demonio della finanza speculativa e senza più valori: “miscela distruttiva che nel breve volgere di pochi anni ha procurato danni irreparabili.” (pag.78)
Corre Michele, dice che gli anni sono tanti, ma sembra voglia costringerli in poche pagine, forse per paura di non riuscire a dirci tutto. Condisce le sue memorie come in una fiaba e pur passando da un paese ad un altro non sente l’amarezza per il cambiamento che spesso crea strappi interiori, anzi porta con sé tanti bei ricordi di tutti, compresa Noha, che lo ha visto negli anni della sua prima infanzia. In fondo quando una persona è capace di essere grata alla vita, come Michele, non può che seminare il bene.
dic312015
Abbiamo di recente rinvenuto questa omelia di don Donato Mellone, (1925 – 2015), fittamente dattiloscritta su tre facciate e mezza abbondanti di due fogli formato A4 incartapecoriti dal tempo di archiviazione in un vecchio quaderno a righe utilizzato quale brogliaccio di appunti per prediche. Il quaderno (e dunque anche questa omelia) risale con molta probabilità ai primi anni ’60 del secolo scorso, se non addirittura ancor prima. Si tratta di un discorso pronunciato nel corso di una messa solenne di capodanno di almeno mezzo secolo fa.
Si noterà quanto la mentalità e la visione delle cose sia cambiata. Sono le stesse istanze apostoliche che hanno cambiato rotta. Certe “priorità” o “urgenze” di catechesi, a cui allora si dava la precedenza assoluta, sono oggi diventate addirittura trascurabili; certi schemi pastorali sono considerati nell’epoca attuale non solo anacronistici, ma in certi casi addirittura ingenui e perfino risibili.
Tuttavia al di là di alcuni richiami ad una vita più costumata lontana “da certi ardori” e ovviamente “dai balli”, molte altre sollecitazioni e molti consigli da parte dell’antico parroco di Noha, per esempio sul giusto tempo da dedicare al lavoro o ad altre terrene preoccupazioni, sembrano quanto mai opportuni e attuali.
*
Cogliamo l’occasione, anche noi, per far giungere agli internauti di Noha.it il nostro fervido voto augurale per il 2016.
Albino Campa e Antonio Mellone
*
Queste due parole riassumono i sentimenti che in questo giorno gli uomini si scambiano gli uni con gli altri.
Ma perché l’anno possa essere buono l’augurio scambievole è che Dio tenga lontano il male e doni a tutti un po’ di bene, un po’ di felicità, un po’ della sua pace.
L’alba del nuovo anno ci fa guardare con una tenerezza insolita a tutte quelle persone che ci circondano, che ci son legate dai vincoli di sangue o dall’amicizia. Quasi istintivamente ci stringiamo a loro e vorremmo che non venisse mai il giorno del distacco.
Questo l’augurio.
Ma quale può essere in questo giorno l’augurio del parroco ai suoi fedeli? Poiché dinanzi a me son presenti tutte le età rivolgo la mia parola augurale a ciascuna.
All’infanzia.
Sui bambini sono rivolti gli sguardi dei genitori. Non potrebbe essere diversamente, perché essi portano il loro nome, formano la poesia e la gioia della casa. I genitori sentono che senza di loro non sarebbero felici, che la loro vita è legata a quella dei figli con vincoli così stretti che se essi venissero a mancare, per loro la vita non avrebbe più un senso, diventerebbe inutile. L’augurio, dunque, è che essi possano crescere negli anni, ma ancor di più nella bontà e soprattutto in sapienza. Non dimentichiamo che i bambini sono delle piante molto delicate: hanno bisogno di molta vigilanza e molta cura. L’opera della Chiesa diventa sterile quando manca la collaborazione dei genitori. Purtroppo ho l’impressione che molti genitori si preoccupino più della salute fisica dei loro figli, che della loro formazione intellettuale e spirituale. E’ necessaria, invece, per l’avvenire una maggiore collaborazione tra il sacerdote educatore e i genitori. E i frutti si vedranno, e saranno abbondanti.
La gioventù.
E’ l’età più bella della vita, ma anche la più pericolosa. La gioventù è l’età in cui un sentimento nuovo, leggiadro, ma pericoloso, spunta nel cuore e, se non dominato, porta alla distruzione e alla rovina. E’ un’età privilegiata, la gioventù: con i suoi slanci, con i suoi entusiasmi, con le sue promesse, con i suoi ardori, traccia nella nostra vita, spesso monotona, una scia luminosa di bellezza e poesia.
Però è anche l’età più pericolosa.
Cari giovani che m’ascoltate, non abusate della vita esuberante che Dio vi ha donato. Non profanate nei vizi il vostro corpo, l’ardore, la forza, lo sviluppo che rallegra lo sguardo e apre alle migliori speranze. Custodite la fede che nutre gli entusiasmi più nobili, custodite la virtù che alla vostra età può sembrare difficile, ma non è impossibile. Dominate i sentimenti bizzarri del vostro cuore, frenate la smania oggi tanto diffusa di piacere, di comparire, di mettersi in mostra. Non siate assidui frequentatori dei balli, perché vi farebbero perdere la testa. Alle giovani raccomando che non si rendano schiave della moda scandalosa, con la quale perdono esse l’onestà cadendo nel peccato. Non dimenticatevi di Dio e dei doveri che ognuno di voi ha verso di Lui.
L’età adulta.
L’ardore nella conquista, l’accanimento nel lavoro, l’attaccamento agli affari sono le caratteristiche di questa età. Bisognerebbe invece richiamarla a pensieri più nobili, a pensieri più alti. Oh, uomini curvi sotto il peso enorme delle preoccupazioni materiali e familiari, fermatevi un po’ in questa vostra marcia affannosa, e mescolate un po’ di spirituale nella vostra vita laboriosa. Potrà anche aumentare la vostra ricchezza, ma potreste non raggiungere la felicità. Nei vostri affari non dovete dimenticare il grande unico affare che è la salvezza dell’anima vostra. Dovreste più spesso guardare in alto, pensare al fine per cui siete stati creati da Dio. Voi avete fondato una famiglia, volete ingrandirla, vi sacrificate per dare una posizione ai vostri figli: nulla di male. Ma non dimenticate che la forza, la salute, la fortuna, il benessere sono nelle mani di Dio. Dovete rendervi degni di questi beni con la vostra vita cristiana, con l’adempimento dei vostri doveri religiosi, tra i quali in primo luogo il precetto della messa festiva.
La vecchiaia.
Come si addice l’augurio di lunga vita a colui che ne è al termine? Nel suo viaggio lungo la vita il vecchio ha seminato fatiche, ambizioni, sogni, illusioni, e la natura, che tutto gli aveva dato, ora tutto gli va togliendo. L’età lo spinge ogni giorno di più verso l’abisso della morte. Nella grande foresta del mondo la scure del taglialegna colpisce talvolta i tronchi giovani, ma la fronte vacillante del vecchio ci avverte che è forse lui che cadrà per primo. Il vecchio reagisce, resiste con la sua energia, con la sua costituzione come la quercia dal tronco rugoso resiste all’uragano. Anche se ogni anno nuovo segna un avvicinamento verso la fine, sembra che il vecchio si aggrappi sempre più alla vita e alla terra.
Alla vecchiaia, i nostri auguri più cari e più rispettosi. Egli deve distaccarsi un po’ per volta da ciò che passa, da ciò che bisogna lasciare. Nel raccoglimento degli ultimi anni, l’anima è più disposta a sentire le verità eterne. Il vecchio, allora, ravvivi la sua fede. Se per disgrazia si fosse velata, torni a rischiarare il tramonto della vita. Sarebbe troppo triste avere il piede sull’orlo della tomba, senza la speranza, la certezza dell’immortalità e della risurrezione futura. Nella luce, la morte non è una fine ma un principio.
Una società aveva organizzato una grandiosa festa da ballo. Era stato affisso un manifesto: “Il ballo avrà inizio alle ore otto e non avrà fine”. Strana combinazione: dopo qualche ora veniva affisso un secondo manifesto, un contro-avviso: “Poiché è morta la moglie del capo-orchestra, il ballo è stato sospeso”. E così la grande serata da ballo che non doveva avere fine non ebbe neppure inizio.
Anche la nostra vita avrà una fine. Non sciupiamola, la nostra vita. Non comportiamoci come quel viandante che camminava lungo la riva del mare. Cammin facendo, ad un tratto, trovò un sacchetto pieno di pietre e senza pensarci, ad una ad una, le gettava nel mare. Prima di gettar via l’ultima pietra si accorse che erano vere pietre preziose. Quale non fu la sua sorpresa e il suo dolore.
I giorni della vita sono anche per noi delle vere e proprie pietre preziose. Non gettiamole via: non viviamoli inutilmente. Ma ogni giorno che passa sia per tutti una pietra preziosa, una sorgente di vita, e un altro gradino superato per raggiungere il cielo. Questo il mio augurio e la mia preghiera per il nuovo anno.
Sac. Donato Mellone
Immagine: scuola materna, primi anni ‘80 – Archivio fotografico Pignatelli - Noha
apr292015
Con la poesia, “La Vita è…”, un’alunna di Noha si aggiudica un concorso nazionale di poesia. Chiara Serra, è questo il nome della studentessa, della III B della secondaria di primo grado dell’Istituto Comprensivo “Polo 2”, di Galatina - Noha, si è aggiudicata il primo premio al primo concorso nazionale di poesia “La vita è…”, organizzato dall’associazione culturale “Filippo e Panuru” di Lecce. Il 23 aprile 2015, presso il teatro “Paisiello”, in seno allo spettacolo di beneficenza “Canto, musica e poesia….. per un sorriso in più”, Chiara è stata premiata con una targa ricordo e un assegno di 250 euro.
Chiara dividerà l’assegno con i compagni e sarà usato per la festa di fine anno e… per una sorpresa.
Il testo della poesia "Vita":
Amata, odiata,
a volte rifiutata,
altre desiderata.
Al centro del mondo
o ai bordi di una strada,
ogni vita va rispettata.
F.Dur.
(fonte Nuovo Quotidiano di Puglia )
lug112015
Finale del Barocco Talent domenica 12 luglio 2015, nella Piazza di Noha, precisamente in via Castello (Palazzo Ducale), si terrà la finale de il Barocco Talent Terza Edizione 2015. Un nutrito cartellone di concorrenti e di ospiti riempiranno la serata, che avrà inizio alle ore 21,00 e sarà trasmessa in diretta streaming su www.inondazioni.it. La serata avrà come madrina l'artista Claudia Casciaro, che sarà la presidentessa della Giuria Tecnica e di Qualità.
Come nostra abitudine, in giuria, ci saranno professionisti del mondo dello spettacolo che valuteranno le esibizioni dei concorrenti che hanno superato le fasi di selezione. Ci fa molto piacere avere con noi nelle file della giuria le nostre amiche Daniela Cataldi e Raffaella Roccasecca de “Il Peccato di EVA”, che hanno risposto al nostro invito.
I concorrenti selezionati nelle fasi precedenti, approdati in semifinale e selezionati dalla giuria e dal web, che si esibiranno e gareggeranno nella finale sono:
Anna Maria Carcagnì, Marco Centonze, Sara Distante, Simone D'Elia, Mattia Festa (ThewJ), Cristina Manca, Sharon Manca, Giulia Margiotta, Alberto Marzo e Francesca Pisanello.
Ma non finisce qui. La serata sarà ricca di ospiti, non ci saranno solo i cantanti in gara ma anche tanti ospiti che avranno il compito di allietare e spezzare la tensione della gara con intermezzi musicali, cabarettistici e fashion.
Sul palco si alterneranno il cabarettista Andrea Baccassino, il balletto della Palestra Family Sport, un saggio della Scuola di Formazione Antares, la musica dei T. Garage, il gruppo di animatori di Corigliano, Max & Vince. Insomma una serata in cui ridere e rilassarsi all'aperto.
Quest'anno durante la finale del "Barocco Talent", saranno consegnati dei riconoscimenti a tre personaggi salentini che si sono particolarmente distinti nel corso degli anni nel campo della comunicazione e spettacolo. Saranno premiati con l'Ondina, trofeo ideato per l'evento: Carolina Bubbico, Raffaele Casarano e Don Salvatore Bello.
Carolina Bubbico giovane pianista, cantante, compositrice, musicista dalla formazione versatile, nel 2015 riceve il prestigioso incarico di arrangiatrice e direttrice d’orchestra al Sanremo per Il Volo vincitori del Festival tra i Big e per Serena Brancale tra le giovani proposte.
Raffaele Casarano è considerato tra i più talentuosi e noti interpreti della New Jazz Generation italiana, fiore all’occhiello della creativa fucina della Tùk Music diretta da Paolo Fresu. Ideatore e direttore del Locomotive Jazz Festival.
Don Salvatore Bello, personaggio di alto spessore culturale, impegnato da sempre nella ricerca e analisi intellettuale e nella poesia con al suo attivo la pubblicazione di tre volumi. Attivo anche nel campo dei media e della comunicazione, fondatore di Radio Orizzonti Activity è stato la mente e il motore per alcuni decenni.
Appuntamento quindi a Noha per la Finale del Barocco Talent 3 edizione 2015.
La finale verrà trasmessa in diretta streaming su www.inondazioni.it partire dalle ore 21,00. Tutti sintonizzati con i vostri computer tablet e smartphone per seguire l'evento.
nov082011
apr262012
L’Associazione artistico – culturale InGenio_la forma delle idee, che ha sede a Galatina, in via Umberto I, n. 3, promuove PrimaverArte. Il 29 aprile, dalle 16.00 alle 22.00, il centro storico di Galatina si accenderà di colori, vestendosi di arte e primavera. Il ricchissimo programma dell’evento è patrocinato dal Comune di Galatina e coinvolgerà gran parte del centro storico galatinese, permettendo alla cittadinanza, ai turisti e, più ingenerale, a tutti coloro che accorreranno, di riappropriarsi di un bene artistico-storico-
Grande attenzione ai bambini, nella fantastica cornice della basilica trecentesca di Santa Caterina d’Alessandria, dove l’Associazione Teste di Legno presenterà lo spettacolo C’era una volta un pezzo di legno..un burattino!, corredato da un laboratorio didattico-artistico, durante il quale i bambini potranno dar libero sfogo alla loro creatività interagendo con burattini e marionette e, ancora, con il laboratorio tattile di Adalgisa Romano (Art and Ars Gallery), e la ludoteca Perle e Pirati, che allestirà uno spazio per i bambini, dove potranno giocare e disegnare con colori e supporti forniti in loco.
Lo IAT (Ufficio Informazione ed Accoglienza Turistica), si occuperà di coloro che avranno voglia di scoprire Galatina, con una visita guidata gratuita nel centro storico, cui si potrà prendere parte presentandosi alle 17.00, presso la sede, in Via Vittorio Emanuele n. 35 (Torre dell'Orologio). In questa riscoperta sarà possibile visitare un gioiello appena ritrovato, fresco di restauro: la Chiesa di S. Maria della Misericordia, nota ai più come “Chiesa dei Battenti”.
Ammirevole l’iniziativa dei giovani artisti di InGenio, che senza alcun tipo di sostegno (né economico, né organizzativo) si sono prodigati, coinvolgendo e collaborando con altre Associazioni presenti sul territorio, (Agorà, Pro Loco, Città Nostra, A. & A., Teste di Legno, Cuamj Onlus…)per realizzare l’evento: una giornata primaverile, un momento di partecipazione civica e di condivisione, per riscoprire insieme il centro storico, dimenticato e trascurato.
Soci fondatori dell’Associazione artistico – culturale InGenio_ la forma delle idee sono Francesca Marra, Ermanno Scarcia, Vittorio Carratta, Georgia Romano, Pierpaolo Briatico-Vangosa e Mariangela Cucco.
Chi sa che l’esempio e l’invito, rivolto da molti giovani galatinesi dall’inizio del 2012 nel tentativo di riappropriarsi e promuovere la propria Galatina, i propri spazi, renda consapevoli le generazioni precedenti che, tacciandoci di inoperosità e inettitudine, contribuiscono a rendere statico e in-mutevole il nostro magnifico patrimonio, quasi volessero celarlo ai più.
Per maggiori dettagli, consultare il programma di PrimaverArte.
apr012010
mar212011
Il 21 marzo, primo giorno di primavera, è stata istituita nel 1999 dalla Conferenza Generale dell’UNESCO la Giornata mondiale della poesia.
Ma cos’è la poesia? Non è semplice dare una risposta a questa domanda, forse perché non esiste una risposta. A scuola ci insegnano che la poesia è un genere letterario, come il teatro e la prosa; i nostri professori ci invitano a studiare i poeti e a leggerne le poesie, a fermarci a riflettere sui contenuti e ad analizzare la struttura del testo.
È solo allora che ci rendiamo conto che occorrono fiumi di parole per provare a interpretare il pensiero di un poeta; giriamo intorno alle parole, le scuotiamo come fossero rami di mandorlo e ce ne stiamo in basso, a bocca aperta, ad aspettare che qualcosa cada giù, ai nostri piedi.
Quei versi ci sembrano innocenti, musicalmente incantevoli, ma soffermandosi un attimo a riflettere, provando magari a rileggerli più volte, è inevitabile non essere turbati da una qualche visione sconvolgente, controcorrente e inusuale allo stesso tempo, del mondo. Quello che fino ad un attimo prima ci circondava, l’universo intero, assume un nuovo aspetto, un nuovo significato, una nuova veste, grazie appunto al suggerimento del poeta.
poesia, quindi, potrebbe essere a mio dire, la visione interiore del mondo che ognuno di noi si porta a spasso nella vita e che solo in pochi riescono ad esprimere. Le parole esistono perché noi le abbiamo messe al loro posto e dovremmo essere noi a sceglierle: poeta, quindi, è l’uomo in grado di addomesticare le parole.
Il primo è tratto dal film “La tigre e la neve” del 2005, diretto e interpretato da Roberto Benigni; nel secondo video invece, tratto dal programma “In cerca della poesia” di Giuseppe Bertolucci, Mario Soldati pone la fatidica domanda a Giuseppe Ungaretti, Giorgio Caproni, Sandro Penna e Andrea Zanzotto.
Michele Stursi
dic212012
Riceviamo e pubblichiamo il testo manipolato ad opera d'arte della poesia di Gianni Rodari "Il mago di Natale", da parte dagli alunni della 5ª B Scuola Primaria Noha.
Il mago di Natale
S’io fossi il mago di Natale
farei spuntare un albero di Natale
in ogni casa, in ogni appartamento
dalle piastrelle del pavimento,
ma non l’alberello finto
di plastica, dipinto
che vendono adesso all’happy casa
un vero abete, un pino di montagna
con sui rami magici frutti: regali per tutti.
Poi con la mia bacchetta me ne andrei
a fare magie
per tutte le vie.
In via Luigi Viola
farei comparire una bellissima aiuola
con dei fiori colorati
e anche profumati
dove i bambini radunati
mangerebbero biscotti appena sfornati.
Per i grandi assai ghiottoni
farei crescere l’albero dei panettoni
li mangerebbero senza dir parola
anche questo, in via Luigi Viola.
Io in via Bellini
farei crescere l’albero dei trenini
con vagoni grandi e piccolini
e finti passeggeri affacciati ai finestrini.
In via Collepasso
agli studenti regalerei un bel compasso
e ai più bravi donerei righello e pennello
per dipingere un castello.
Un albero di farciti pancarrè
lo farei crescere in contrada Magnarè
li coglieremo assai felici
io, insieme ai miei amici.
Continuiamo la passeggiata?
La magia è appena cominciata:
dobbiamo scegliere ancora il posto
all’albero delle carteddhrate cu lu mele
va bene in piazza San Michele?
In contrada Roncella
farei crescere un albero di barattoli di nutella
da spalmare sulle dolci frittelle
e gustare con amici, fratelli e sorelle.
Anch’io in contrada Roncella
farei spuntare una cosa bella
un albero con deliziose caramelle
e su, in cima, delle piccole e luminose stelle.
Io in via Santa Rita
costruirei una grande gabbia fiorita
per la mia cocorita
con biscotti, dolcetti, cioccolata e confetti
farei tanti piccoli e colorati pacchetti
da regalare a tutti i miei amici
per augurare giorni felici.
In via Maddalena
innalzerei un cartello con su scritto: “Frena!”
E dietro l’angolo per adulti e bambini
farei trovare una slitta di doni e regalini.
Insomma, in ogni contrada, in ogni via di Noha
tutti potranno avere, il giorno di Natale
un dono veramente speciale!
Però un mago io non sono
Che posso fare?
Ho solo auguri da regalare
per vedere sui vostri visi
magici sorrisi!
Gli alunni della 5ª B Scuola Primaria Noha
Istituto Comprensivo Polo 2 Galatina