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Terza fetta di Mellone – Estate 2017 - Dubbi amorosi (di Antonio Mellone)
Di Antonio Mellone (del 22/07/2017 @ 17:47:02, in Fetta di Mellone, linkato 2149 volte)

Non me ne voglia Pietro Aretino (1492 – 1556) - al quale osai paragonarmi un dì, ma soltanto per l’epitaffio vergato dal vescovo Paolo Giovio, onde lo scrittore d’Arezzo pare avesse trascorso la sua vita parlando male di tutti, eccezion fatta per Cristo, ma sol perché asseriva di non conoscerlo. Gli chiedo scusa, dicevo, se intitolo questa terza fetta di Mellone estiva come una delle sue raccolte di ottave e quartine più licenziose, e tuttavia più castigate degli invece ben più spinti “Sonetti lussuriosi”.

Non c’è, dunque, in questa terza fetta di Mellone, nulla di scostumato o lascivo o triviale che rievochi qualcuno dei dubbi ardenti del nostro poeta  rinascimentale (che comunque vi consiglierei di leggere, se non altro per trovare sollievo dalla calura del solleone salentino).      

E’ che a volte son preso anch’io da un dubbio amoroso (molti di meno, dunque, dei trentuno dell’Aretino) e talvolta mi vien la tentazione di uscire a comprare un teschio con cui discutere su chi dei due aveva ragione: se Dante Alighieri (1265 – 1321) o, a quattro secoli di distanza, suor Juana Inés de la Crux (1648 – 1695), a proposito d’amore (malattia endemica contro la quale non esistono vaccini ministeriali).

Premesso che non fa niente se ignoriamo i classici (il bello è invece che sono loro che conoscono noi), Dante e suor Juana in fatto d’amore la pensano in maniera diametralmente opposta.

L’Alighieri nel V canto dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca, al famosissimo verso 103 fa un’affermazione sconvolgente. Che è questa: “Amor che a nullo amato amar perdona”. Chi altri avrebbe mai potuto formularla con tal perfezione se non il Poeta [ecco perché m’incavolo come una iena: perché non io? E lo stronzo sì? Ndr.].

Ebbene, per Dante l’amore non esonera nessuna persona amata dall’amare a sua volta.

Secondo questo diciamo teorema si può affermare che sempre, fulmineamente, senza appello, chiunque s’innamori di una persona automaticamente non può che esserne corrisposto, ricambiato così su due piedi, con pari intensità. Non solo la reciprocità d’amore esiste eccome, ma essa è oltretutto istantanea e perfetta.

C’è chi afferma che questo funzioni solo con l’amore di Dio, per cui amare Dio ed essere amati è un’unica cosa. Ma a me non interessa ora approfondire questi concetti sconfinando in altri campi, come il teologico o il morale. A me interessa ora rimanere sulla terra (ovvero terra terra) e capire invece – magari mi ci darete una mano voi – se questa corrispondenza d’amorosi sensi è vera sempre, o se viceversa è più frequente il fatto che amiamo chi non ci ama e siamo amati da chi noi non amiamo, come se l’amore fosse, diciamo così, asimmetrico.

Guardate un po’ come esprime questi concetti la stupenda suor Juana Inés de la Crux:

L’ingrato che mi lascia, cerco amante

L’amante che mi segue, lascio ingrata;

costante adoro chi il mio amor maltratta

maltratto chi il mio amor cerca costante.

 

Chi tratto con amor, per me è diamante,

e son diamante a chi in amor mi tratta;

voglio veder trionfante chi mi ammazza,

e ammazzo chi mi vuol veder trionfante.

 

Soffre il mio desiderio, se ad uno cedo;

se l’altro imploro, il mio puntiglio oltraggio:

in ambi i modi infelice io mi vedo.

 

Ma per mio buon profitto ognor m’ingaggio

A esser, di chi non amo, schivo arredo

E mai, di chi non mi ama, vile ostaggio.

 

Chiaro come la luce del sole. Non necessita di alcun commento, questa che non è una poesia ma una vera e propria figata.

Una cosa è certa (e converrete con me): l’amore è il movente del mondo. La causa efficiente della vita. Sicché senza amore non c’è vita. Ovviamente molto meglio del sottoscritto (e non ci vuol mica tanto) sa esprimere questo concetto un’altra grande poetessa francese, Louise Labé (1525 – 1566) che scrisse il componimento che suona così:

Finché i miei occhi potran lacrimare

sulla gioia che un dì teco ho goduta,

finché la bocca mia non sarà muta

per i troppi sospiri e il singhiozzare,

finché la man mi potrà accompagnare

mentre canto il mio amor sull’arpa arguta,

finché il mio cuor d’accogliere rifiuta

ogni altra cura fuorché a te pensare,

io non domando ancora di morire.

Ma quando io senta inariditi gli occhi,

rotta la voce e la mano languire,

e quando il mio cuor mostri d’aver caro

che in questa vita amor più non lo tocchi

venga allor morte e anneri il giorno chiaro”.

*

Perché si ama, l’abbiamo appena visto: l’amore è, dunque, il pretesto della vita. Punto.

Ora vediamo per cosa e come si ama. Per chiarirlo chiedo una mano alla mia amica inglese Elizabeth Barrett Browning (1806-1861). Elisabeth ci spiega che non deve esserci per forza un motivo per amare: si ama per lo stesso amore e basta. Infatti:  

 

Se devi amarmi, per null’altro sia

se non che per amore.

Mai non dire: “L’amo per il sorriso,

per lo sguardo, la gentilezza del parlare,

il modo di pensare così conforme al mio,

che mi rese sereno un giorno”.

Queste son tutte cose

che possono mutare.

Amato, in sé o per te, un amore

così sorto potrebbe poi morire.

E non amarmi per pietà di lacrime

che bagnino il mio volto.

Può scordare il pianto

chi ebbe a lungo il tuo conforto

e perderti.

Soltanto per amore

amami sempre

per l’eternità.

*

Dove è nato tutto codesto amletico dilemma e dunque questa terza fetta di Mellone?

Ma ovviamente lungo il litorale, nei pressi del mio solito scoglio (che credo di avere ormai usucapito). Sedevo colà al calar del sole, e nel sovrumano silenzio miravo gli interminati spazi di là da quello, allorché, bella come l’aurora, fulgida come il sole e terribile come un esercito schierato in battaglia, si presenta davanti a me una donna, che dico, una Madonna. Solo che il portamento, le movenze e le curve di codesta apparizione mariana stimolavano certamente negli astanti (compreso dunque il sottoscritto) pensieri tutt’altro che religiosi, direi pure diversamente casti e pii.

La creatura, guarda un po’, si mette a conversare amabilmente con me, non con altri. Ride. Mi guarda negli occhi. Si tocca i capelli. E dopo un po’ mi fa: “Che tipo da spiaggia che sei. Anzi d’amare”. Penso di non aver affatto frainteso: sennò perché mai avrebbe fissato (lei!) un rendez-vous con me in altro orario e il altro loco?

*   

“All’alta fantasia qui mancò possa;/ ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,/ sì come rota ch’igualmente è mossa,/ l’amor che move il sole e l’altre stelle”. (Dante, Paradiso, XXXIII, 142-145).

Ebbene sì, ha ragione Dante. Da vendere. Ma talvolta anche suor Juana.

Antonio Mellone