Il 26 febbraio del 2010, in un vile attentato ad opera dai talebani, veniva colpito a morte Pierantonio Colazzo, funzionario dell’AISE - Agenzia informazioni e sicurezza estera -.
Il "Park Residence Guesthouse» di Kabul ospitava Pierantonio ed una delegazione trattante pachistana ed indiana. L 'attacco, durato diverse ore, forzò le misure di sicurezza scatenando una caccia all'uomo all'interno di ogni singola camera d'albergo.
Pierantonio, in quel drammatico tempo, si prodigò per mettere in salvo molte persone tra cui suoi connazionali e fu in continuo contatto telefonico con la polizia afghana, contribuendo a rallentare l'azione dei terroristi.
Furono colpite a morte 17 persone tra cui 10 medici indiani ed un documentarista francese. Pierantonio Colazzo morì nella sua camera, consapevole che la scelta di restare all'interno dell'hotel gli sarebbe stata fatale.
Era un uomo dalle straordinarie qualità umane, colto, con una passione per il teatro, la poesia, la musica classica e pop. Aveva frequentato il Liceo Classico "Pietro Colonna" e si era laureato in lingua e letteratura araba, presso l'università orientale di Torino. Parlava correttamente il Dari, il dialetto persiano diffuso in Afghanistan, e prima di mettere a disposizione le sue competenze nell’AISE, fino a giungere a ruoli di altissima responsabilità, aveva lavorato presso il ministero della Difesa. I suoi incarichi all’estero lo hanno visto operare tra gli altri paesi anche in Oman.
Pierantonio era a Kabul a protezione del contingente italiano, forte della sua capacità di ispirare fiducia, della conoscenza della cultura del luogo, della capacità di ricondurre ogni possibile azione violenta in una logica di mediazione e di scambio.
I suoi occhi avevano visto, la sua penna aveva appuntato troppi orrori e la sua formazione culturale lo portava ad operare solo nella direzione della costruzione di ponti.
Era quindi diventato il cardine di un sistema di relazioni che avrebbe potuto creare dei nuovi e diversi equilibri in quell’area. Un lavoro evidentemente impossibile da portare a compimento, come poi la storia ci ha insegnato devesse essere.
Riprendo un suo scritto, vergato a Kabul nel 2008, che meglio di ogni altra parola ne traccia le qualità di uomo e di professionista e lo consegna come esempio alle nuove generazioni.
Scriveva Pierantonio Colazzo:
“Avere coraggio non può essere un fatto d’onore o di dignità. Bisogna decidere: combattere tutti i mulini a vento è più saggio che prendere per mano l’amore della propria vita e dare sguardi rassicuranti ai figli che ami e vuoi vivano in pace?
E se invece, ti caricassi nel cuore il rischio di perdere la tua vita per cercare, in un inferno meno buono del tuo, di salvare chi resta dal contagio di una follia immorale, sterile, suicida, per niente ironica per niente simpatica e improvvisa?
Una follia meditata forse, non si può vincere, va solo curata con l’anima”.
La Città di Galatina onora la memoria di un suo figlio, esempio alto di valori imperituri.