Sono nato nel 1935 e perciò ora ho 78 anni. Sono entrato in seminario quando avevo appena 11 anni, nel 1946. La data delle fine della terribile seconda guerra mondiale la conoscete tutti: 1945. Perciò gli anni migliori della mia infanzia, dal 1940 al 1945, quando io avevo da 5 a 10 anni, li ho trascorsi sotto l’incubo delle brutte notizie, che, anche senza radio e senza televisione, arrivavano lo stesso anche a Noha.
Di quegli anni non ho ricordi particolari che riguardino il Natale o la “Befana”.
Ricordo solo il bombardamento al campo di aviazione di Galatina del luglio 1943,
ricordo le lampadine dell’illuminazione pubblica che erano di colore blu scuro, perché di notte non bisognava dare troppo all’occhio del nemico,
ricordo la tessera per comprare il sale, il pane o l’olio, se non si voleva rischiare di comprare a contrabbando,
ricordo che mio papà non c’era, perché partito per difendere la patria,
ricordo la benedizione dei giovani soldati messi sotto la protezione di S. Michele, prima di partire per la guerra da cui forse non sarebbero più tornati,
ricordo la notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943 che la gente, piangendo per la commozione, accolse come una grazia ricevuta dalla Madonna, perché quando a Noha arrivò la notizia si stava concludendo la processione della Madonna delle Grazie.
Ricordo tutto questo, ma i presepi viventi, i negozi e i giocattoli, le recite natalizie … no !
Si andava in chiesa, certo, e più di adesso: in quel tempo la Messa era rigorosamente di mattino, non esisteva la Messa vespertina o pomeridiana, e chi voleva fare la comunione doveva stare a digiuno a partire dalla mezzanotte, a digiuno di tutto, anche dell’acqua. Sì, in chiesa c’era il presepio, ma non la Messa di mezzanotte.
La Befana era attesa e si appendeva la calza alla spalliera del letto, ma arrivava per i bambini buoni, che erano i figli dei ricchi. Per noi poveri, se andava bene, poteva portare un’arancia, due confetti (i candallini), qualche caramella e fave rrustute. Le nostre mamme e le nonne soprattutto ci insegnavano la via del bene, e Natale doveva essere la festa della bontà, anche se per noi bambini il momento più atteso era quello di gustare le ricette natalizie delle nostre nonne: carteddhrate, porceddhruzzi e le pittule.
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Vi ripropongo ancora una volta la lettura di una poesia sul Natale in dialetto: sicuramente è posteriore ai tempi della mia infanzia, ma fa sempre riflettere.
Non scoraggiamo il Signore che vuole ancora venire nella nostra vita e diamoGli spazio.
Ha detto Papa Francesco di non mettere sulla porta della nostra anima il cartello “non disturbare”, perché se viene Gesù viene solo per il meglio, non viene mai per disturbare.
Sta fiata
lu bambinu s’ave stizzatu,
e a Sirasa l’ave dittu chiaru e tundu
ca pe’ st’annu
nu’ bbole quai ccu scinda,
ca le dhroghe, li sequesthri e le vendette
suntu cose ca li fannu tantu orrore.
E iddhru ca canusce sulu amore
nu’ se throva
mmienzu a stu mare de dolore.
Lu Pathreternu
ca ede bbonu e ni perduna,
l’ave dittu senza tante discussioni:
“Nu fare lu scemu, Fijiu miu,
ca se faci lu tostu e lu puntusu,
dhri picchi picchi de cristiani ca su’ rimasti
prestu prestu ni torcianu lu musu
e a postu de amore e de bontà
semanamu puru a nui malvagità.
P. Francesco D’Acquarica