Dunque, ricapitolando, e andando avanti verso l’ultima parte della surreale intervista di cui sto discettando (o scettando) nel corso di questa novena, tra gli alti concetti proferiti dal mio sindaco, sempre se non ho capito male, c’è anche il seguente: “[l’agricoltura e la pastorizia] potrebbero essere uno dei pilastri sui quali si potrebbe poggiare la nostra economia”, PERO’…
Sì, non lo vedete chiaro e tondo come l’ho scritto io a caratteri cubitali (o non lo sentite nella registrazione del video) ma c’è un “però” sottinteso grande quanto un centro commerciale. C’è, non si sente, ma si arguisce chiaramente dall’espressione sindacale.
Infatti, oltre al condizionale “si potrebbe”, il sindaco Montagna subito afferma “[ma] io penso che la nostra vocazione, soprattutto nelle nostre zone, oltre che pastorizia [sic] e agricola è turistico-culturale; ormai si è consolidato questo orientamento”. Finalmente è saltato fuori il famoso “volano dello sviluppo” con tante belle “ricadute occupazionali”. Ci voleva tanto?
Ma certo, il turismo e la cultura. Come non averci pensato prima? Così il turista per caso viene qui nel Salento, non per assaggiare i prodotti della nostra terra, o per rallentare il suo ritmo, non sia mai, o per degustare le prelibatezze dei nostri campi, dunque a chilometri zero, ma per andare a finire in un centro commerciale (magari a chilometri zero da Collemeto), o magari per visitare il borgo antico trasformato in una sequenza interminabile di bar, pub, pizzerie e ristoranti (con cibi importati da chissà dove), frastornato da spettacolini la sera organizzati dagli animatori da villaggio.
Chissà se il mio sindaco ed i suoi sodali pensano davvero a questo colpo di grazia per Galatina, città bella da trasformare, evento dopo evento, in divertimentificio, pronta ad ospitare un turismo grasso, sudato, inebetito, fatto da masse di pecoroni che percorrono strade e centri antichi e meravigliosi di cui non sanno né hanno intenzione di conoscer nulla.
Probabilmente a questo tipo di turisti interesseranno, più che le leccornie dei nostri campi, le corne che abbiamo.