Una cara corrispondente mi chiede cosa ne penso dell'ICI sugli immobili commerciali del Vaticano.
Le ho inviato questa risposta:
«Se parliamo di Vaticano, non mi interessa. E' uno stato estero come il Principato di Monaco o la Repubblica di San Marino. Non mi appartiene e non gli appartengo! Se parliamo di Chiesa non la si può non condannare. Cosa ha a che fare questa Chiesa più preoccupata a difendere i propri privilegi che ad assolvere ai propri doveri, con quel Dio che in questi giorni ricordiamo aver scelto di farsi uomo per amore, rinunciando al privilegio, tutto suo, della divinità?
Un chiesa imbavagliata dall'interesse ed un Dio liberato dall'amore non possono convivere in nessun matrimonio».
Siamo di fronte ad una improntitudine immorale e, ancor prima, ad un malcostume da delinquenti.
L'Italia è piena di Istituti Religiosi che non solo non pagano l'ICI, ma non pagano nemmeno l'IRPEG e l'IVA su attività alberghiere mai denunciate al fisco.
Ospitano gruppi o singole persone in camere con servizi a mezza pensione o a pensione intera, facendo concorrenza scorretta agli alberghi e ai ristoranti.
I vari Governi, naturalmente, se ne guardano bene dell'intervenire: lo scambio di reciproche convenienze ottunde ogni senso di giustizia, riciclando come normale prassi ciò che è furto reiterato.
Politici e Monsignori sono ormai gemelli siamesi, figli illegittimi di convivenze illegali tra sacro e profano, tra benedizioni e genuflessioni, tra solenni Pontificali e cene luculliane. Non si sa, tra di loro, chi sia più miscredente: il politico che si inginocchia e adula o il monsignore che benedice e intasca.
Se i primi li chiamano "atei devoti", i secondi come li dobbiamo chiamare?