lug122016
Ieri, lunedì 11 luglio 2016, a Galatina, il mio ultimo zio, per il secolo Santo Marti, nato il 16 febbraio del 1918, ha lasciato questo mondo di vivi apparenti.
Quest'anno sono 98 anni. A turno, figlie, generi, nuora e figlio non lo mollano nemmeno per un istante. Ora lo sta imboccando Lucetta. Mastica un pezzo di dolce secco. Più che masticare mi sembra che impasti mollica, come si faceva da bambini, per tappare il buco nei muri dove nascondevamo i denti da latte.
Impasta e guarda nel vuoto. Gli chiedo come va, ma devo gridare forte perché ci sente molto poco. Mi risponde:
"…ahi, Marcello miu, la vista! Senza la vista comu fazzu?"
Non vede. E come non capire la sua tristezza. Come si fa a pensare che quando fuori piove e si sente l'odore dell'erba bagnata, per esempio, non gli venga in mente l'aria frizzantina che gli attraversava il camiciotto arrotolato sulla pancia, bloccato da quello stesso nodo con cui legava i sacchi pieni di grano, quando lavorava al Pindaro e la sua Maria stava a casa affaccendata a preparargli lo stufato e a governare casa e bestie. L’ultima volta che lo incontrai lassù, al Pindaro, già non ci vedeva quasi più, ma gli faceva bene stare nella sua terra. Conosceva ogni anfratto, ogni pietra, ogni filo di vento che sibilava fra i tronchi degli ulivi secolari, dove, mi raccontava, si nascondevano i briganti. Alzava la testa e dirigendo il naso verso la vecchia carbonaia in direzione di Collemeto, mi diceva: “Osce è na bella aria, ede trhamuntana”. Ma nonostante fosse pieno giorno non ci vedeva per niente. Camminava nel campo piegato in due, sfiorando e accarezzando le foglie delle sue piante. Sembrava volesse dirgli che lui era ancora il comandante. Poi in un attimo lo vidi scomparire. Dileguato come uno spirito. Lo chiamai a voce alta: "Zio Santo... zio Santoooo!". Si era raggomitolato in terra e con le mani palpava i peperoni come usava fare con le mani delle signore che andavano a salutarlo. Con orgoglio mi chiamò urlando: "Na.... Marcellu.... Na na.. vidi visti cce su belli! Erano ancora verdi, povero zio mio. La scena è fra le più indimenticabili. Come il rapido cambio di scena che offre il sole nei pochi attimi prima di scomparire dietro l'orizzonte, come per esempio quello dietro la masseria Colabaldi. Trattengo un nodo in gola quando mi dice che vede solo un'ombra. Come fai a restare impassibile per un dolore così grande. Lo vedo ancora per l’ultima volta, nel suo grande letto, sembra un neonato. Lo chiamo gridando forte, come quella volta che mi cadeva addosso il suo traino e lui corse in mio soccorso consolandomi.
Dopo breve inesorabile malattia, si è spento prematuramente a Noha il carissimo Gino Serra, bravo ragazzo e bravo lavoratore alle dipendenze del Supermac.
La redazione di questo sito porge sentite condoglianze al papà, alle sorelle, ai cognati e ai suoi nipoti.
Riposa in pace, Gino.
E scusaci se la nostra vita, qui nel Salento ma anche altrove in Italia, è diventata un terno al lotto. Scusaci se ci ricordiamo di parlare dei mali incurabili di questa terra martoriata quando è sempre troppo tardi. Scusaci se chiamiamo “progresso” l’asfalto e il cemento; “occupazione” i fumi delle ciminiere e le polveri sottili. Scusaci se chiamiamo “Pil (prodotto interno lordo)” la spazzatura abbandonata ovunque; “energia” il fotovoltaico selvaggio in mezzo alle campagne; “divertimento” la nostra stupida vanità; “risparmi” i tagli alla Sanità, quelli che ci fanno attendere sulle barelle per giorni, quelli dei viaggi della speranza nel nord della penisola, quelli degli esami che arrivano dopo che non ci siamo più, quelli del giro d’affari di medici che pensano solo al portafoglio e non alla salute dei malcapitati.
Scusaci tanto. Gino.
La redazione di Noha
Lucia Masciullo Notaro ha sempre fatto tanto (e gratuitamente) per Noha.
Ricordiamo che nel corso degli anni ’80 del secolo scorso, sempre a Noha, ebbe luogo una (ma forse più d’una) meravigliosa sfilata di costumi carnascialeschi che avrebbe fatto invidia alle più belle e costosissime maschere veneziane, visitate nella città lagunare durante il carnevale e ritratte dai flash dei visitatori di tutto il mondo.
In quella parata, dame e cavalieri nohani, imparruccati, elegantissimi, facevano sfoggio di sontuosi abiti, manufatti da questa sarta straordinaria. Pizzi, merletti ricercati e ricami di finissima fattura si alternavano a morbide sete, velluti multicolori e stoffe damascate di magnifica lucentezza. Una sfilata di solo un paio d’ore aveva richiesto il lavoro indefesso di mesi interi. Ma la Lucia non se ne curava: quando si fa una cosa con il cuore, non si bada all’impegno, alla fatica, e tanto meno agli attestati di benemerenza o alle medaglie al valore (che seppur fossero arrivati – il che non è - sarebbero stati comunque una ricompensa da tre soldi).
La Lucia poi ha sempre allestito l’altarino per il Corpus, che a Noha (ma anche altrove) era, fino a poco tempo fa, una forma molto seguita di devozione popolare. Infatti, un tempo nella processione del Corpus Domini a Noha per tradizione venivano addobbate, con fiori, striscioni, stoffe e tappeti, sette o otto “soste” che quasi gareggiavano fra loro per bellezza e cura. Queste soste servivano, tra l’altro, anche a far riposare le braccia del parroco, impegnate a reggere per tutta la durata del lungo corteo l’ostensorio con l’Ostia consacrata. E’ inutile dire che l’altarino di via Cadorna preparato dalla Lucia era uno tra i più belli ed accurati… Nell’intorno di quegli anni, sempre a Noha (la nostra città a pensarci bene è ricca di energie che, quando espresse, danno spettacolo), la Lucia si occupò dei costumi degli attori che realizzarono la rappresentazione della Via Crucis, che si snodò, con tanti figuranti - alcuni a cavallo - per le vie del paese. Vestì dal Centurione alla Veronica, dalle pie donne al Cireneo, dai soldati allo stesso Gesù (che in una di quelle edizioni fu suo figlio Fernando). Quella costumista in quell’occasione fece di Noha una novella Palestina. Dietro le quinte di questa ennesima manifestazione, c’era ancora una volta l’estro, la creatività ed il lavoro della Lucia e quello della sua macchina da cucire.
In occasione del Natale, poi, la Lucia (già qualche giorno prima del suo onomastico, così come si suole) con l’aiuto dei suoi allestisce da anni un grande presepe nell’ampia (e affrescata) veranda della sua casa di via Cadorna angolo via Giotto, protetta da pannelli di vetro. Un presepe non chiuso tra le mura di una dimora privata, ma visibile al passante che non può non ammirare il frutto di tanto lavoro. Un presepe unico nella scenografia, ricercato nei particolari, un’opera d’arte che incanta ancor oggi. Un presepe da far invidia ai più bei presepi napoletani.
mar272018
L’avevo vista e salutata pochi giorni fa. Passava davanti casa mia quando usciva per le compere o per andare a messa (abitavamo entrambi – io da un anno a questa parte – nel centro storico di Noha, all’ombra della chiesa madre).
La conoscevo praticamente da sempre. Uno scricciolo di donna: piccolina, capelli brizzolati (che io ricordi, sono sempre stati così), passo svelto, e battuta e sorriso a portata di mano. Dev’essere l’aria della parte antica del mio paese. Magari lo fosse anche della nuova.
Michelina aveva 87 anni, ma stava benone. Poi a un certo punto ti arriva il telegramma di convocazione. Devi lasciare tutto e partire. Funziona così. Non ti pare vero. Non ti ci abituerai mai all’idea. Ma è ineluttabile che un bel giorno la cronaca lasci il passo alla memoria.
E la mente vola indietro nel tempo. Lustri, che dico, decenni fa. Quando eri ragazzino, e frequentavi la parrocchia (che prima si chiamava più facilmente Chiesa, mentre il parroco si chiamava Arciprete). Eri insieme a un nugolo di altri chierichetti, come i figli della Michelina, Tommaso e Fabrizio, sempre presenti. E c’era anche Anna, la sorella Cacciapaglia: che cantava nel coro e non poteva mica fare la ministrante lei (le bambine sull’altare verranno ammesse con l’avvento del nuovo millennio).
mag012018
Se n’è andata la Rita Gentile. In questo caso nome e cognome li devi proferire all’unisono, senza iato. Il secondo, più che altro, è un aggettivo qualificativo. E questo lo può testimoniare chiunque l’abbia conosciuta, e sono in tanti - non soltanto il sottoscritto che, cresciuto praticamente a casa sua, è in “conflitto di interessi”.
La malattia, lunga, inesorabile, l’aveva quasi immobilizzata, povera Donna, resa come una bambina, incapace di badare a se stessa: lei, buona come il pane, che aveva fatto tanto lavoro, di notte e di giorno, china su quel telaio di ricamatrice, quasi iperattiva, e poi pronta a non far mancare nulla alle sorelle, al fratello, agli amati nipoti, e a chiunque le avesse chiesto una mano. Negli ultimi tempi crescevano i suoi silenzi, la voce più fioca, il bel volto sempre curato ridotto all’essenziale. Poi quelle parole indecifrate che recavano visioni a noi precluse. E la mia mano sinistra nella sua destra.
mag192018
Michelino è ormai un’altra bella pagina della Storia di Noha, scritta finalmente con la maiuscola.
Certo, la sua, durata 92 anni, non è una delle storie tipiche di questo mondo enfatico e competitivo fatte di successi, paillettes o vicende detonanti, ma quella di una persona semplice, da sempre costretta a fare i conti con una malattia che gli aveva procurato visibili e dolorosi postumi alle gambe.
Mai vinto, Michelino aveva aderito naturalmente al Partito Comunista alla ricerca di una nuova legge di gravità, dove le cose gravi sono le ingiustizie, le maledette povertà e le prepotenze di stato, mentre le meno gravi sono la resistenza e le violenze che vi si oppongono.
Quando a Noha cercavamo di lottare contro le multinazionali senza scrupoli pronte a riempirci la campagna di pannelli fotovoltaici, nell’indifferenza generale e nella connivenza delle cosiddette istituzioni di ogni colore politico, eravamo in quattro gatti: non sufficienti per fermare lo scempio economico ed ecologico che oggi è sotto gli occhi di tutti.
Ma Michelino era insieme a noi. E ci esortava: “Se dobbiamo raccogliere firme, o se dobbiamo andare a Galatina o a Lecce per manifestare o scioperare, io sono il primo a venire con voi”. E questo, va riconosciuto, in più di una battaglia, spesso condotta in solitudine insieme ai soliti rompicoglioni allergici al divano.
Il suo terrore era in effetti quello di fare la fine di molti suoi ex-compagni di partito: cioè morire democristiano, avvolto nella bandiera del capitalismo e del neo-liberismo di rapina piuttosto che in quella rossa del lavoro defraudato.
No, Michelino non è morto da democristiano. Ma da lottatore, sognatore e resistente. E ha dimostrato che la forza e la fragilità a volte sono due modi diversi per chiamare la stessa cosa.
Ora, liberato dal peso del corpo e dai suoi limiti, senza più l’ausilio di bastoni stampelle o sedia a rotelle, Michelino è pronto a correre verso il paradiso laico (se ne esiste uno non può che esser laico) e a brillare come il più francescano dei santi: Santu Nuddhru, appunto.
giu042018
Annarita non c’è più. Il suo grande cuore ha cessato di battere improvvisamente venerdì notte, a casa sua, a Bologna. Aveva 56 anni.
Era mia cugina, medico, veniva spesso a Noha, e ci eravamo visti meno di un mese fa. Sì, stava benone.
Non è stata per niente facile la sua vita. Da giovane, forse non aveva ancora diciotto anni, i suoi reni avevano iniziato a non voler far più il loro dovere costringendola per anni alla dialisi a giorni alterni. Ma mai l’abbiamo sentita lamentarsi e mai si è data per vinta, questa piccola grande donna. Ha sempre lottato, dando (lei!) il coraggio agli altri.
Poi finalmente arrivò il trapianto del rene. Che tutto fu men che una passeggiata. Ma poi per fortuna tutto andò per il meglio.
E così terminò i suoi studi al Magistrale; si iscrisse a Medicina a Bologna dove finalmente si laureò con ottimi voti. Molti pensavano fosse una psicologa per le sue capacità di capire gli altri, di tirar su il morale a tutti, e per il suo sorriso contagioso. Invece no, era un Medico Chirurgo che più di una volta aveva vestito i panni della sofferenza (e credo che anche per questo, oltre che per la sua indole buona, fosse empatica e ricca di umanità con tutti i suoi pazienti).
Sapevo che era uno dei responsabili nazionali del servizio PICC della ANT (la fondazione nazionale dei tumori), cioè dell’impianto del catetere venoso centrale (lei che per anni ne aveva avuto uno nel suo povero braccio) per i pazienti oncologici. Questa “trovata” sembra sia una forma di sollievo notevole per l’ammalato, in quanto azzera la frequenza della venopuntura per l’infusione delle terapie, e soprattutto riduce lo stress del trasporto in ambulanza e del ricovero, potendo il paziente usufruire del servizio direttamente a casa propria. Per questo era sempre in giro in Italia, da un ospedale all’altro, da un paziente all’altro.
Io voglio ricordarla così, mentre scoppia in una fragorosa risata al racconto romanzato dei tempi che furono e alle mie battute sulle allegre comari (senza tralasciare i compari) di Noha.
Lucido fino all'ultimo, attorniato dai suoi amori più grandi, si è spento a Bologna Umberto Tundo che tutti conoscevamo con il simpatico diminutivo di Bertino, titolare della storica macelleria ubicata alle spalle della chiesa madre di Noha.
Sempre gentile e garbato, tra la sua clientela annoverava non solo i nohani (quasi tutti), ma anche molti abitanti di Galatina e dintorni. Non c'erano un tempo i codometri, ma la fila che a volte arrivava fino alla sagrestia ne faceva sentire l'esigenza ante-litteram. E questo era segno non solo dell'ottimo rapporto qualità/prezzo dei suoi prodotti, ma anche dell'accoglienza che Bertino riservava a tutti, dal primo fino all'ultimo dei suoi clienti. Quante volte ha fatto credito, e quante volte, pur non strombazzandolo a destra e a manca, faceva giungere in dono a chi ne aveva bisogno la sua "busta" con i pezzi scelti di carne.
Noi lo ricorderemo così: calmo, disponibile, amabile, sempre pronto a scambiare una parola gentile e a salutarti cordialmente anche da lontano.
Condoglianze alla moglie Lidia Berino, alle figlie Amalia e Alessandra e ai rispettivi consorti e al nipotino.
Noha.it si stringe con affetto anche attorno al fratello Italo, alle sorelle Lina, Vera e Concettina, ai nipoti e a quanti lo conobbero e gli vollero bene.
La redazione
p.s. I funerali di Bertino si svolgeranno a Noha domani, 6 giugno 2018 alle ore 17 presso la Cappella della Madonna del Buon Consiglio.
gen022019
La redazione di Noha.it porge sentite condoglianze a Marcello Amante, sindaco di Galatina, e ai suoi famigliari, per la dipartita della cara Mamma.
Noha.it