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Ciao, zio Santo (di Marcello D’Acquarica)
Di Marcello D'Acquarica (del 12/07/2016 @ 11:48:06, in Necrologi, linkato 3434 volte)

Ieri, lunedì 11 luglio 2016, a Galatina, il mio ultimo zio, per il secolo Santo Marti, nato il 16 febbraio del 1918, ha lasciato questo mondo di vivi apparenti.

Quest'anno sono 98 anni. A turno, figlie, generi, nuora e figlio non lo mollano nemmeno per un istante. Ora lo sta imboccando Lucetta. Mastica un pezzo di dolce secco. Più che masticare mi sembra che impasti mollica, come si faceva da bambini, per tappare il buco nei muri dove nascondevamo i denti da latte. 
Impasta e guarda nel vuoto. Gli chiedo come va, ma devo gridare forte perché ci sente molto poco. Mi risponde:

 "…ahi, Marcello miu, la vista! Senza la vista comu fazzu?"

Non vede. E come non capire la sua tristezza. Come si fa a pensare che quando fuori piove e si sente l'odore dell'erba bagnata, per esempio, non gli venga in mente  l'aria frizzantina che gli attraversava il camiciotto arrotolato sulla pancia, bloccato da quello stesso nodo con cui legava i sacchi pieni di grano, quando lavorava al Pindaro e la sua Maria stava a casa affaccendata a preparargli lo stufato e a governare casa e bestie. L’ultima volta che lo incontrai lassù, al Pindaro, già non ci vedeva quasi più,  ma gli faceva bene stare nella sua terra. Conosceva ogni anfratto, ogni pietra, ogni filo di vento che sibilava fra i tronchi degli ulivi secolari, dove, mi raccontava, si nascondevano i briganti. Alzava la testa e dirigendo il naso verso la vecchia carbonaia in direzione di Collemeto, mi diceva: “Osce è na bella aria, ede trhamuntana”. Ma nonostante fosse pieno giorno non ci vedeva per niente. Camminava nel campo piegato in due, sfiorando e accarezzando le foglie delle sue piante. Sembrava volesse dirgli che lui era ancora il comandante. Poi in un attimo lo vidi scomparire. Dileguato come uno spirito. Lo chiamai a voce alta: "Zio Santo... zio Santoooo!". Si era raggomitolato in terra e con le mani palpava i peperoni come usava fare con le mani delle signore che andavano a salutarlo. Con orgoglio mi chiamò urlando: "Na.... Marcellu.... Na na.. vidi visti cce  su belli!  Erano ancora verdi, povero zio mio. La scena è fra le più indimenticabili. Come il rapido cambio di scena che offre il sole nei pochi attimi prima di scomparire dietro l'orizzonte, come per esempio quello dietro la masseria Colabaldi. Trattengo un nodo in gola quando mi dice che vede solo un'ombra. Come fai a restare impassibile per un dolore così grande. Lo vedo ancora per l’ultima volta, nel suo grande letto, sembra un neonato. Lo chiamo gridando forte, come quella volta che mi cadeva addosso il suo traino e lui corse in mio soccorso consolandomi.

Lo chiamo gridando forte: Zio Santo! Zio Santo! Gli accarezzo la testa, gli prendo la mano. Non risponde e la sua stretta d’acciaio resta un ricordo.

Ora mi immagino la prima stanza, un tempo il salotto di casa, poi camera da letto per la prole e poi ancora sala da pranzo per le grandi occasioni, me la immagino per qualche ora chiesa.  Mi affaccio quasi timidamente. In un certo senso capisco che lì c'è Dio. Il Dio che nasce e muore. Muore e risorge, come il sole, le stagioni e i miliardi di stelle.  E qui lo zio vive. Perché la vita va colmata sempre di colori. Dio è vita.

Ora, come tu mi hai insegnato, in una mano teniamo alto  un bicchiere e nell'altra facciamo finta di avere un tralcio di vite, brindiamo insieme a te, zio:

Questo è un frutto che io tanto amo ed è coltivato su questo ramo.

Ecco perché lo vorrei ogni mattina specie quando tira quella bella tramontana che le orecchie ti raffina.

Mi vorrei chiudere dentro una cantina non per un'ora né per una settimana,

ma per stare con più allegria con la mia amante in buona compagnia.”             

Ciao Zio Santo.

Marcello D’Acquarica