Oramai lo sanno pure le pietre (nonostante non sia provato scientificamente che le pietre “sappiano”) che sogno da quarant’anni di tornare a vivere definitivamente a Noha, il mio paese. Non vi nascondo però che le ultime vicissitudini socio-ambientali mi stanno dando filo da torcere e qualche volta, perdonatemi se l’ho pensato, mi sono chiesto davvero se non sia meglio abbandonare l’idea dell’agognato ritorno.
Mi riferisco all’aria inquinata, alle denunce fatte dai media sull’alto livello di malattie tumorali nel triangolo compreso fra Lecce, Galatina e Maglie. Mi riferisco alla puzza di fogna che persiste da anni a Noha nella zona del Calvario, puzza che, a causa del malfunzionamento della neonata e non terminata fogna bianca (altra opera a metà), nel periodo estivo si diffonde oltre la via Aradeo.
Mi riferisco ad alcune aziende del circondario che sputano nottetempo fumi colorati, allo schifo delle distese di pannelli fotovoltaici nelle campagne, al menefreghismo o incapacità delle varie amministrazioni che lasciano anche a noi un’immagine di paese da sesto mondo, alla mentalità di sottomissione, alla mancanza di reciprocità, ai progetti contro-natura di inutili mega-porci, alle superstrade ed alle tangenziali che invece di tangere secano, a investimenti di milioni di euro in opere che in quattro e quattro otto ti diventano cattedrali nel deserto, a improponibili sistemi di pseudo-compostaggio di rifiuti imposti dall’alto in maniera truffaldina, sconclusionata, subdola.
Ahimè, che quadro nefasto. A volte credo che l’essere additati come “profeti di sventura” non sia una esagerazione, ma la verità.
Alcuni giorni addietro, un certo Ivano ha commentato una delle mie vignette pubblicate sul sito Noha.it, esattamente la n. 315. La vignetta tratta l’argomento “Patata DOP di Galatina (Denominazione di Origine Protetta)” che il Ministero alle Politiche agricole, ha accordato al nostro prodotto locale con un decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
L’importante riconoscimento dava a Galatina una specie di boccata d’ossigeno, una certa speranza. Però così scrive Ivano nel suo post:
“Proprio per motivi di inquinamento abbiamo dirottato a Sannicola il progetto della Patata DOP di Galatina. Un progetto ambizioso: oltre il biologico, oltre la tracciabilità. Un progetto in collaborazione con la facoltà di biologia dell'Unisalento, coop ACLI Racale che detiene la DOP e Spazi Popolari. Patata coltivata con le nostre tecniche dell'agricoltura organica rigenerativa. Tecniche agricole riconosciute dalla FAO, come migliori tecniche. Un progetto unico nel suo genere. Avevamo già preso contatti con l'assessore Russi di Galatina ed individuato i terreni, ma a causa della cementeria, abbiamo dirottato il progetto a Sannicola. Non potevamo rischiare di ritrovare tracce di inquinanti nei terreni galatinesi. Ci dispiace molto, con questo progetto, volevamo far ritornare la coltivazione della patata Sieglinde pasta gialla di Galatina, nel territorio di cui la DOP conserva il nome”.
A questo punto, se è vero quanto afferma Ivano, viene spontaneo chiedersi: se le nostre campagne non sono più adatte a ricevere il marchio DOP per la patata, sono ancora idonee alla coltivazione di altri prodotti alimentari? Oppure questo discorso vale solo per la patata, mentre per gli altri prodotti la diossina può considerarsi facilmente digeribile dai cittadini di Galatina e dintorni?
Non è che, a scanso di equivoci (e di danni irreparabili), converrebbe comunque spostare tutte le coltivazioni in quel di Sannicola?
Magari con i santi che abbiamo in paradiso, il Ministero alle Politiche agricole, continuerà a concederci la denominazione di origine protetta.
Anche se, temo, di questo passo e tra non molto, la vera specie protetta sarà quella dei galatinesi.