Venerdì 25 gennaio 2013 si terrà presso la Sala Convegni dell’Oratorio Madonna delle Grazie di Noha alle ore 19.00 il Convegno organizzato dalla Scuola Diocesana di Pastorale della Salute sul tema: “DIRITTO ALLA VITA DIRITTO ALLA SALUTE”
Relatore la Dott.ssa Marina Casini docente presso l’Istituto di Bioetica-Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Introduce il Rev.mo Sac. Francesco Coluccia, Delegato Diocesano per la Pastorale della Salute. Modera il Dott. Antonio Palumbo, Presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani sez. di Otranto
Interverranno tutte le Associazioni, gli operatori sanitari e pastorali del settore:
Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI)/Associazione. Naz. “Le Sentinelle”/ Associazione Volontari Ospedalieri (A.V.O)/ Centro Aiuto alla Vita (CAV)/ Centro volontari della Sofferenza (CVS) / Movimento perla Vita (MPV)/ U.N.I.T.A.L.S.I.
« La libertà degli individui, rispetto alle scelte che riguardano la vicenda salute/malattia, subisce ancora delle limitazioni, che si possono ascrivere in parte all’interpretazione degli scopi più conosciuti e tradizionali della medicina: prevenire, diagnosticare, guarire, fare pronostici e quando non è possibile, curare, sollevare dalle sofferenze. Questi obiettivi, caricati come sono, di valenze etiche, hanno sempre fornito un alibi di ferro al medico per esercitare il suo potere, indipendentemente dalla soggettività del malato. Quello che di certo si può dire è che la medicina ha un privilegio ed una peculiarità: essere oggetto e soggetto di un approccio con la persona umana, dove contano in modo essenziale e singolare i rapporti, la comunicazione ed il contatto con le persone. Solo il medico ha il diritto di vedere dinanzi a sé nella sua nudità, fisica e metaforica (e psicologica), l’essere umano nascente, vivente, morente e morto. Solo la medicina può ridurre l'essere umano a semplice oggetto di osservazione, in ogni sua parte, ogni sua cellula e componente e far sì - allo stesso tempo - che questa osservazione produca gli effetti della cura delle mamme: guarire e mantenere la salute, quando può, far "sentire bene" e "consolare" quando non può. “Diritto alla Vita Diritto alla Salute” si propone di investigare per orientare a scelte etiche sia in riferimento alla vita nascente sia nella sua fase di malattia e di termine tenendo conto della dignità della persona e del valore non negoziabile della vita che va sempre tutelata, servita, rispettata e amata».
Don Francesco Coluccia
La peggiore mortificazione e umiliazione di una persona sta nel soggiogarla a tal punto da farla sentire in colpa per ciò che è: nella sua libertà di pensiero e nelle sue scelte. Non è questione di modo di essere, intendendo per modo il carattere, l’apparire, l’esprimersi, il porsi davanti agli altri e alle proprie responsabilità. Il modo perciò è soggettivo, variabile, mutevole. L’essere no. L’essere è anche cultura, ideale che si fa convinzione, libertà di pensiero che è ricerca della verità che non conosce la parola fine. L’essere è coscienza di valori universali. Apertura all’Umanità. L’essere è relazione cosmica in un dinamismo mai scontato, che sorprende per la sua profonda armonia.
È chiaro che, volere o no, si è tutti quanti dentro una struttura. Ma non bisogna far sentire a nessuno l’obbligo di una stretta appartenenza neppure nel caso in cui avessimo scelto liberamente una determinata struttura. Ma nessuno sceglie la struttura in sé: si sceglie l’ideale che va ben oltre la struttura che vorrebbe incarnarlo. E, tanto per essere chiari, neppure la Chiesa in quanto struttura è stata ed è oggetto di scelta da parte di chi è stato ordinato prete o ministro di Cristo. La mia scelta ha riguardato prima di tutto Cristo. La Chiesa non può avanzare diritti sui miei ideali, imponendomi dei freni. L’obbedienza al proprio vescovo non è rinuncia a ciò che si è in quanto ministri di Cristo. Non ho rinunciato al mio essere, ai miei pensieri, alle mie ricerche della verità, ai miei sogni, ai miei desideri di ideali su cui nessuno potrà mai porre i propri sigilli.
Certo, faccio parte della Chiesa cattolica, ma non vorrei mai sentirmi schiavo di una Chiesa che pretendesse di chiudere l’universo tra le quattro mura di una religione. Quando affermo e sostengo che sono ministro dell’Umanità, intendo dire questo: sono al servizio di una Chiesa che però si apre all’Umanità. Questo è il mio fine: servire l’Umanità. La Chiesa è solo un mezzo. Cristo del resto che cosa fatto? È venuto a liberare l’Umanità dalle strettoie di strutture anzitutto religiose che l’avevano bloccata, arrivando al punto di mettere tutto, anche l’Umanità, al servizio della legge religiosa. Cristo non ha fondato una Chiesa perché tradisse il suo progetto. Ed io mi sento ministro di Cristo che, per mezzo della Chiesa, vuole realizzare il suo intento: quello di liberare il mondo dal peccato, ovvero dal potere che vuole soggiogare l’Umanità.
In questa prospettiva evangelica, anche le nostre prospettive cambiano: cambia il modo con cui mi confronto con i punti di riferimento che da secoli, diciamo forse fin dagli inizi del cristianesimo, sono stati imposti dalla Chiesa, anche perché – siamo chiari – la struttura esige tali punti di riferimento con obblighi il cui scopo, con l’apporto dell’obbedienza resa sacra, consiste proprio nel proteggere e sostenere la struttura gerarchica. Quando non si hanno validi argomenti per frenare gli spiriti ribelli i superiori si appellano all’obbedienza.
E qui vorrei dire una cosa, e la dico con una certa sofferenza. Non sopporto più quel paternalismo degli organi gerarchici che agiscono sui dissidenti o spiriti liberi alla stregua di chi vorrebbe salvare l’anima di un traviato, destinato alla perdizione. Te lo dico per il tuo bene: ravvediti! Te lo dico perché ti voglio bene. Te lo dico in nome di tutti i confratelli che tu stai disonorando. Te lo dico… ecc. ecc.
La cosa assurda è questa: il paternalismo sembra la prerogativa di chi è investito di potere, che si sente perciò in diritto di porsi al di sopra anche di uno più anziano di lui, che magari ha più esperienza, magari all’esperienza ha saputo unire una grande apertura d’animo. Immaginate uno che ha fatto un certo percorso di vita, che ha fatto certe scelte dure e scomode, che finalmente si sente libero di percorrere la via della verità proprio perché non è frenato da una carica che per forza di cose rende prudente chi ne è stato investito, e costui si sente dire da un pivello: Caro, ti voglio aiutare a rientrare in riga. E se non lo fai, uso i mezzi del potere per frenarti.
Gli spiriti liberi, invece che creare paura, dovrebbero essere un esame di coscienza per l’autorità costituita dal potere della Chiesa. Gli spiriti liberi sono un pungolo anche per le stesse comunità cristiane, così passive e soggette agli ordini della gerarchia.
L’umiltà (parola che deriva da humus, terra) non è una virtù-qualità di essere che appartiene alla gerarchia, la quale invece la impone ai suoi sudditi, perché più dolcemente obbediscano agli ordini di scuderia. Nella Chiesa-struttura l’umiltà è una indegna umiliazione a cui è sottoposto l’essere umano. Tu sei nessuno, sei polvere. Neppure dovresti respirare. Questa non è la Chiesa di Cristo. Non è la mia Chiesa.
Don Giorgio De Capitani