ago242022
Han provato in tutti i modi a farmi diventare un pochino Resiliente, con corsi di formazione ad hoc, lettura dei quotidiani a maggior tiratura nazionale e locale, visione di talk show trasmessi dalla tv generalista, qualche querela acefala e anura, il Pnrr, (e per la verità ci ho pure messo del mio frequentando amici per i quali va tutto bene dacché non vedono, non sentono e non parlano), ma io niente, tosto, con tutti i miei stereotipi intonsi, contro i quali, lo riconosco, è dura combattere.
Confesso che a un certo punto, stanco di fare il bastian contrario su un bel po’ di cose che mi danno intru le corne, dopo approfondite letture di manuali di life coaching (sì, talvolta indulgo al masochismo), proprio all’inizio delle correnti vacanze estive stavo quasi per gettare la spugna, stirare con l’appretto il mio elettroencefalogramma, mettermi nei panni del semplice voyeur dei superstiti compagni ribelli contro il fato ineluttabile, e pensare dunque che sì, non esistono alternative praticabili, e che ci puoi fare, così gira il mondo, guarda il lato positivo della cosa, non essere il solito oscurantista, pensa allo Sviluppo e alla Crescita (immagino del Pil), e smettila una buona volta con certe tue opinioni politiche decisamente giurassiche, per nulla progressiste e men che meno riformiste.
Insomma, apro la stagione lirica dei bagni al mare recandomi bel bello la mattina presto - come soglio da decenni con la mia ultraventicinquennale sediolina pieghevole - in quella zona di mare chiamata Santa Caterina di Nardò, in fondo alla discesa de Le Cenate, esattamente sulla scogliera di fronte all’isolotto controllato a vista dalla Torre dell’Alto, versante Frescura, il mastodontico stabilimento white e glamour che ha cambiato volto e nome al sito un tempo detto de Lu Chiapparu. Codesta permuta semantica avrà pure un suo perché: in effetti mo’ è tutta un’altra cosa, un luogo così discreto, estremamente va-lo-riz-za-to, di tendenza, una “location” ideale per gnocche e redivivi Casanova, vip gaudenti, medi e piccolo-borghesi, e in fondo in fondo anche gente come si dice comune, voglio dire i consumatori del mass-market che ogni tanto decidono di stringere la cinghia (avendone ancora una) per provare il fascino del reality - e vuoi mettere il tramonto sullo Ionio ascoltando il dolce suono del ghiaccio nel bicchiere del cocktail, magari con tanto di applauso finale in piena sindrome di Stendhal.
E così superata agilmente l’area riservata fatta di tubi, pali, fili, piattaforme, gradini, banconi, passamano, tettoie, ponticelli, tavoli, lampade, poltrone, sedie, gazebi, ombrelloni, casse acustiche, bandiera delle cinque vele garrente al vento, e altre amenità della specie, m’inoltro nell’ala per irriducibili (e impenitenti) nostalgici degli spazi ancora esentati dai canoni di noleggio, altrimenti classificati come beni comuni, e m’accorgo (capirai la novità rispetto allo scorso esercizio) che sulla bianca scogliera, pardon white cliffs, continuano a stazionare i cuscinoni, quelli larghi resistenti e morbidi in grado di assicurare alle terga di chi paghi un ticket per pronta cassa il comfort da sabbia del lido (sennò perché uno dovrebbe scegliere lo scoglio). Sempre rigorosamente white (vabbe’ un po’ ingialliti, mica si può star lì ogni santo giorno a sanificarli con spugna e amuchina come virologo comanda), i cuscinoni in tessuto sintetico te li ritrovi sparpagliati qua e là (ultimamente anche impilati) a mo’ di installazioni artistiche sulla fascia costiera ben oltre il recinto del bagno in concessione, dico nell’area spiaggia “libera” (sarà un nuovo metodo di esportazione della democrazia).
Son lì queste novelle chaise longue da cozzi sin dalle prime luci dell’alba, tipo quegli ombrelloni un tempo ‘mpizzati sulla riva pubblica dalla sera prima dai soliti “terroni” per assicurarsi la poltronissima per il giorno seguente.
Ebbene ultimamente (veramente qualche avvisaglia del fenomeno s’era registrata anche nella passata campagna turistica) abbiamo una novità di stagione fresca fresca: vale a dire i pallini di polistirolo che fanno pendant con il bianco dell’habitat naturale e artificiale dell’ameno loco. Come quali pallini? Ma quelli di cui sono imbottiti i suddetti cuscinoni. Sissignore, qualche volta fuoriescono, ora da un angolo, ora da una scucitura, ora da una crepa, e si sparpagliano sul litorale roccioso: talvolta parliamo di intere francate di minuscole sfere nivee che vanno a finire nei micro canyon dei massi santacateriniani, quando non prendono la direzione del vento.
Ma fanno tanto effetto neve del presepe. Roba da brividi proprio e pelle d’oca da freddo polare, anzi da frescura. Sicché d’ora in poi gli avventori del famoso impianto balneare extralusso potranno a scelta (e senza supplemento di prezzo) passare dall’ebbrezza del reality a quella del cine-panettone.
Eh sì, sono in tanti a credersi in Vacanze di Natale. Invece che sul Titanic.
Antonio Mellone
ago132022
Se non volete essere mandati al diavolo su due piedi risparmiatevi gli slogan del marketing buoni per chi si beve tutto [e vota di conseguenza, ndr.], tipo: “In questo luogo del cuore si è fermato il tempo”. Primo perché le chiacchiere dei pubblicitari [e quelle dei politicanti, ndr.] lasciano il tempo che trovano, e poi perché qui non si è fermato proprio un bel nulla, anzi questo tempo continua a scorrere inesorabile e ad essere pure scandito con una certa puntualità. E se proprio di cuore vogliamo parlare non sarà nel senso delle intenzioni, dei propositi o delle volontà, ma del marchingegno necessario al loro funzionamento, onde il signore de quo ne è il cardiologo e la sua bottega il pronto soccorso.
Sto parlando di Pantaleo Arturo Abaterusso che da una vita fa l’orologiaio a Galatina, in corso Garibaldi 12 per la precisione, a un fischio da piazza San Pietro, quasi dirimpetto alla cappella di San Paolo. Non cercatene l’insegna: non la troverete, essendo talorni del genere del tutto inutili a chiunque abbia clientela fedele e quindi tam-tam assicurato. Di poche parole - ché lui non ha tanto tempo da perdere, e men che meno noi di riscrivere Guerra e Pace -, Arturo a dodici anni inizia a smontare e rimontare le sveglie a corda (quando si dice un ragazzo sveglio): quelle che papà Fedele aveva da riparare dopo averle ricevute in affidamento con tante raccomandazioni dalle famiglie di tre quarti di Salento e anche oltre, fino a Brindisi dove si recava in missione a bordo della sua bicicletta presso quei centri multiservizi – financo di raccolta cronografi da rimettere in carreggiata - che erano i barbieri. È appena il caso di aggiungere che nel corso degli anni ’50 del Novecento papà Fedele aveva il suo piccolo laboratorio alla “discesa delle Anime”, la quale (combinazione) non è altro che la continuazione di via dell’Orologio.
Arturo ci tiene a precisare che non nasce orologiaio (anche se, come detto, ha avuto corrispondenza d’amorosi sensi con quadranti, lancette, bilancieri, guarnizioni, gabbie, rotori, molle, suonerie e tourbillon fin da quando era praticamente in fasce), bensì orafo: egli è infatti Maestro D’Arte dei Metalli e dell’Oreficeria con tanto di Qualifica prima, e Diploma di Maturità poi, conseguiti rispettivamente nel 1972 e nel 1974 all’Istituto Statale d’Arte di Galatina. Le sue creazioni erano (sono) preziose per materiali certamente, ma viepiù per gusto e stile. Se glielo chiedi e se ha qualche minuto libero ti mostrerà con orgoglio un album di disegni dei suoi gioielli, pensati, disegnati e realizzati con le sue mani e forgiati nel forno tuttora presente in negozio - altro che quelli prodotti in serie da Morellato, Cartier, Recarlo, Breil, o Amen. “Questo l’ho fatto tutto io dalla A alla Z – mi dice - e l’ho appena rilucidato ché dobbiamo andare a un matrimonio”: e da un astuccio tira fuori il bell’anello creato per la consorte qualche decennio addietro.
Ora, inforcata la sua visiera di ingrandimento con luce a led (la volta precedente aveva un monocolo), mi congeda e si rimette sulle sudate casse, e con mano ferma, bisturi, micropinze, presse e alesatori, calibri e cacciaviti è pronto all’n-esimo intervento chirurgico della giornata: ché gli orologi, dal più costoso al più vile, dal Patek alla patacca, han bisogno di camminare.
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Appena fuori da questo presidio di biodiversità ancora immune dal virus della moda edonistico/godereccia s’apre il Borgo Antico Galatinese, instradato sulla via della lunaparkizzazzione (meglio nota come Valorizzazione) tutta movida, tavolini, spritz & food più o meno fast, in ossequio alla borgomania (variante piccoloborghismo) così cara ai forzati dello svago nonché ai pubblici amministratori con la vocazione dell’animatore di un villaggio vacanze.
lug162022
Avevo in mente di aprire in pompa magna le Fette di Mellone - Estate 2022 con il primo canto del Purgatorio di Dante Alighieri girato nel mese di maggio scorso nella riserva del Porto Selvaggio di Nardò. Ma poi mi sono giunte su di un piatto d’argento le motivazioni dell’assoluzione nel processo alle invenzioni (a proposito di alta fantasia), intentato ai miei danni da un revanscista per caso, magistralmente redatte da una Giudice (un’altra toga rosso Mellone?): sicché non ho potuto fare a meno di esclamare anch’io con Bertolt Brecht: “C’è un giudice a Zollino” (e dunque rinviare di qualche settimana la suddetta pompa).
A pensarci bene, questo canto del Purgatorio (senza dubbio il più bello: come ognuno degli altri novantanove del Poema) non è poi così scollegato dal tema del diritto di Parola Antipatica che certi pseudo-satrapi locali sovente considerano codardo oltraggio: ché ormai proferire e vergare parole allineate, oggi addirittura resilienti, e ça a va sans dire politicamente corrette non è chissà quale forma di libertà, anzi è una mano di antiruggine a catene e guinzagli più o meno lunghi, l’ennesimo giro di vite alla presa di coscienza individuale e collettiva, il tiraggio del doppino al nodo scorsoio. Sì vabbè, mi volevano diciamo morto provando maldestramente a levarmi la penna di mano, ma facciamo che sarà per un’altra volta (la morte dico, ché la penna, a dispetto di ogni anatema di perbenisti e madamine, me la porterò nella tomba).
lug032022
Intendo aprire solennemente la stagione lirica delle Fette di Mellone - Estate 2022 con un cenno alle motivazioni circa la mia Assoluzione nel processo intentato contro di me da un personaggio politico locale (tra le decine cui ho diciamo lisciato il pelo, incluso quello sullo stomaco), del quale è ormai giusto e pio far calare definitivamente il sipario. Eh sì, forse molti fra voi non sanno che una di codeste Fette fu portata in tribunale nel 2015 e - tra indagini, opposizioni all’archiviazione, torture a sintassi-grammatica-e-ortografia, giudizi sommari (o forse somari), e mille rinvii mai richiesti dal sottoscritto - fatta sedere sul banco degli imputati per un settennato, cioè fino al 24 marzo scorso, giorno del sentenziato proscioglimento “perché il fatto non costituisce reato”. A dire il vero, dopo una prima querela (alla fine rivelatasi di fatto temeraria) ne seguì un’altra, ma, purtroppo per il bi-querelante, pure la seconda accusa finì nel nulla, vale a dire da dove era partita.
Per esser ancora più chiari, stiamo parlando di tribunale penale, con un pizzico di “civile” che non guasta mai visto che in entrambi i casi la modica cifra richiestami a mo’ di risarcimento del danno (immagino morale o biologico, oppure emergente, se non proprio a titolo di lucro cessante) fu di 30.000 Euro. E devo riconoscere alla controparte una certa indulgenza nell’aver moderato la richiesta rispetto ai 100.000 Euro prospettati nella primissima denuncia sporta ai Carabinieri. Chissà poi se l’avvocato delle due cause perse sarà riuscito a ricondurre il suo assistito a più miti consigli, scongiurandolo, in nome del concetto di Difesa (soprattutto da se stessi), di lasciar perdere certi espedienti che talvolta, alla fine della fiera, rischiano di rivelarsi un tantino autolesionisti.
E insomma, uno come me mai avrebbe pensato che il suo nome, dopo i registri scolastici, potesse andare a finire anche nel registro degli indagati per un’ipotesi di reato più o meno corrispondente alla lesa maestà. Ma tant’è. L’arma dell’ipotizzato delitto? I polpastrelli. Quelli con i quali si battono i tasti del Pc lasciandoci, invero, un po’ di impronte digitali.
giu192022
Nell’ultima recente campagna elettorale per le amministrative del nostro povero comune ne abbiamo viste di tutti i colori. A partire dalle smanie plebiscitarie di un aspirante Sindaco dell’ultim’ora, del quale, prima di qualche mese addietro, non si conosceva neppure l’esistenza, anche perché, salvo errori e omissioni, negli annali della storia patria o nelle cronache del Dibattito Galatinese del soggetto non v’è traccia né di proposte, né di critiche, né di istanze rinvenibili in qualche articolo/convegno/intervista/riunione/comitato, ma nemmeno di un sussurro, un’alzata di ciglio, una presa di posizione, un video nei pressi del solito cespuglio di erba riottosa, non una fluttuazione neuronale in questa o in quell’altra direzione benché post-ideologica, ma soltanto battage martellanti (mancherebbero all’appello giusto l’advertising interstiziale e le chiamate dei call center a ogni ora), insomma un candidato tutto Marketing e Distintivo: sicché quando dici Vergine intendi il significato proprio del termine, benché nel suo slogan campeggi l’asserzione “Lo Sappiamo Fare” (tipico della classe manageriale buona per ogni stagione, e dei leader nati – “Leader si nasce, non si diventa”, l’ha detto davvero eh, e lui modestamente lo nacque - e devi fidarti sulla parola). Fortunatamente a dargli man forte un bel po’ di personaggi politici ma anche diversamente politici di città e dintorni, e qualche immancabile meteora della politica locale (il famoso meteorismo politico), nonché pezzi d’antiquariato e piazzisti dell’epoca che fu usciti e subito dopo rientrati nell’urna, vale a dire il sacello.
Commovente invece l’avventura della lista appellata Attiva, con più competitori che suffragi. In pratica un ossimoro. Due voti in totale da dividere tra i sedici diciamo contendenti il seggio. E qui entrano in ballo le frazioni, non nel senso di Noha, Collemeto o Santa Barbara, ma di numeri razionali (tipo 2/16 = 1/8), anzi facciamo irrazionali e chiudiamola qui. Certo se l’è vista brutta: rischiava addirittura di essere superata in retromarcia da quell’altro gruppo umoristicamente intitolato Nuovi Orizzonti per l’Italia, distintosi per la media di un voto a candidato, quantunque il 90% circa dei concorrenti non abbia nemmeno osato designare se stesso con una x. Forse sarebbe stato meglio completare la denominazione di quel collettivo con un più eloquente: Nuovi Orizzonti per l’Italia Viva.
giu072022
Pareva brutto, dopo aver discettato degli altri tre candidati alla carica di sindaco del comune di Galatina, non “scettare” qualcosa anche del quarto, cioè del nostro Marcello Amante, sindaco uscente e chissà se non anche entrante. A dirla tutta non è soltanto questione di bon ton, ovvero come dicono i latinisti di par condicio, ma di pericolo querela: oggi ne rischi di tremende per omissione di discorso, vale a dire se osi ad esempio seppellire nel dimenticatoio certi fossili redivivi – in queste contrade se ne annoverano a bizzeffe – considerandoli come inconsistenti, anzi mai esistiti (politicamente s’intende), non solo ex-nunc, ma ex-tunc proprio.
Non è il caso di Marcello che è di bocca buona e senza alcuna puzza sotto il naso, se è vero come è vero che ha dovuto per cinque anni consecutivi tirare avanti la carretta, fare buon viso a cattivo gioco, e sopportare non tanto reprobi, fedifraghi, e supporters a iosa diventati d’un tratto supposters, quanto l’assessore Nico Mauro e le sue raccolte di poesie, queste sì da codice penale.
Si sa che Marcello (non dategli del democristiano che s’incavola a bestia), dicevo Marcello, da buon democristiano, è il mago delle maggioranze elastiche. È riuscito a cambiarne una al volo giusto un paio di mesi fa, proprio a ridosso di questa campagna elettorale trasformandola d’emblée in campagna acquisti, o meglio a saldi di fine stagione. Non so bene come siano andate le cose (e chi è che lo sa), sta di fatto che qualche innominabile (innominabile solo perché – giuro - non ne ho mai conosciuto il nome, e non mi va ora di andare a compulsare Galatina.it per scoprirlo) ha fatto il salto in lungo, pensando di andare oltre per “correr miglior acque”, e ritrovandosi invece nell’arcinota “nuova” coalizione che, più che liquida (alla Zygmunt Bauman), sta diventando viepiù gassosa (e giacché persino saltata preventivamente in padella, cioè fritta). Pare che addirittura la vice Sindaco in persona, per sottrarsi a una “candidatura imposta” dall’ormai ex principale [e io – che scemo – pensavo che uno se la prendesse nel caso opposto, cioè di esclusione da una candidatura, ndr.], abbia sbattuto la porta in faccia a tutti, ma guarda un po’, giusto agli sgoccioli, cioè verso la fine della fiera, mica all’inizio.
giu052022
Non mi divertivo così tanto - dico passando in rassegna o forse in rassegnazione i candidati alla poltrona di sindaco di Galatina - da chissà quanto tempo: probabilmente dalla precedente campagna elettorale in cui si toccò l’acme con alcune macchiette spassosissime che stavano alla Politica come Erode agli innocenti.
Ebbene questa tornata non è assolutamente da meno: ché qui abbiamo il fior fiore dei personaggi pOLITICI rinati dalle ceneri di quella, tipo i noti serial killer di sintassi, grammatica e giacché pure Diritto, intruppati nelle coalizioni del membro dell’aristocrazia nostrana rinomato per il pensiero del tutto assente benché espresso con eloquio forbito e quasi quasi suadente; spacciatori di un “plastico” della povera fiera di Galatina, ribattezzata AT-TRAT-TORE, e mai sia Trattore, tutta di verde pittata, evidentemente per non urtare la suscettibilità degli speculatori evergreen i quali, grazie allo strombazzato “project financing”, sono tutti in dolce attesa dei gettoni d’oro del Pnrr (onde ‘sto plastico sarebbe degno delle migliori trasmissioni vespasiane, nel senso di Bruno Vespa); foglie di fico pur sempre striminzite per occultare pudenda fuori scala (pudenda nel senso etimologico del termine): il riferimento è a un’accozzaglia post-ideologica di partiti, liste cosiddette civiche, listini e movimenti che vanno dalla Lega ai sedicenti socialisti, da Madre Teresa a Che Guevara, da Pippi a Mellone (che non sono io eh), dallo spazio aperto al vuoto pneumatico; concorrenti alla carica di primo cittadino sostenuti da vecchie cariatidi alla spasmodica quanto vana ricerca di una qualche forma di Rivergination (nomina sunt omina); futuribili sindaci immortalati in sella a una bicicletta (chissà se a proposito di piste ciclabili) che denotano con lo specifico mezzo di locomozione una dimestichezza simile a quella di chi, ormai ultracinquantenne, ebbe a pedalare l’ultima volta a bordo di un triciclo di plastica colorata all’asilo infantile; followers e personaggi al crepuscolo con velleità da influencer ripresi in esilaranti video virali - topici quelli nei pressi delle solite “erbacce” cittadine (chiamano così le superstiti forme di vita urbana, non ci posso far nulla), promoter subliminali di decespugliatori e falci senza ormai alcun martello.
Accanto a codesti campioni di coerenza, coraggio e teatralità, attori degni della Paramount Pictures, non poteva mancare il nostro dottor Antonio Antonaci, del quale, dopo il mio primo “Scritti in onore di Antonio Antonaci” del 2007, non potevo non darne alle stampe (virtuali questa volta) un secondo: questo.
Sì vabbè, il primo era un monsignore, un insegnante, uno storico, uno scrittore, ma quest’altro Antonaci non è mica da meno (benché, fra i Fantastici Quattro, quello a quanto pare degno del Don davanti al nome, alla stessa stregua di un ecclesiastico, sia il nobiluomo della provvidenza, figlio del secolo e di ben altro lignaggio).
apr192022
Mentre impazzano i cortometraggi pubblicitari della Sandra (io però preferisco i lungometraggi, quelli in cui la Nostra dà il meglio di sé diciamo spontaneamente, ora in un caffè con parterre di giornalisti di grido, ora sulla pubblica piazza insieme ai noti sottoscrittori di contratti con tutti, vale a dire gli emissari del Movimento Cinque Penne), altri candidati, per non essere da meno, ne hanno commissionati di ineffabili alle rispettive Bestie, con rispetto parlando (il termine deriva da the Beast, la struttura creata da Obama per arrivare alla Casa Bianca).
Non può passare inosservato per esempio quello fatto confezionare da tal Fabio Vergine, il Carneade tra i quattro aspiranti alla tiara di sindaco (non ci quereli pure lui eh, ché abbiam detto Carneade e non ancora Carnevale: e chiedo venia se mi sfuggono tutti i notabili imprenditori che, come probabilmente anche il suddetto, mietono successi in loco e può darsi parimenti altrove), nel ruolo di eroe protagonista, interprete di se stesso, cogitabondo in una Galatina centro desertificata, quasi insonnolita, pronta a destarsi al suono di una voce di sottofondo, immagino la sua, flautata, calda anzichenò, e soprattutto nostalgica, onde la tattica dell’advertising è stata applicata al meglio, ergo l’elettorato “attivo” sedotto sin dalle prime battute (ché in queste contrade è da un bel po’ maggioranza qualificata chi presta attenzione a credito). Comunque, a maggior enfasi io ci avrei aggiunto la più persuasiva delle asserzioni da prologo pensata per la meglio imprenditoria nazionale così incline a scendere in campo per un nuovo miracolo italiano, ovverosia: “Galatina è la città che amo”.
Ho provato a seguire i quattro dell’Ave Mare nel cosiddetto dibattito tenutosi qualche giorno fa nella sede di un circolo cittadino: sì, è stata dura, ma se riesci ad arrivare sino in fondo capisci che, pur volendo spaccare il capello in quattro, è estremamente arduo scindere il “pensiero” “politico” (virgolette a entrambi i lemmi) delle quattro persone uguali e distinte. La dimostrazione indiretta ma scientifica sta nel fatto che il Pd e i suoi liquami, sotto cangianti spoglie, sembrano essersi in qualche modo infiltrati in ognuna delle coalizioni galatinesi diciamo contendenti, onde il segretario di quel partito, che ultimamente si fa ritrarre in mimetica ed elmetto (chissà quando con uno scolapasta in testa), non potrà che gongolarne soddisfatto.
apr052022
Arriviamo alla fine di questo percorso a ostacoli con il cenno fatto dalla probabile ri-novella Sindaco al famoso comparto D7 o quel che è, vale a dire quella trentina scarsa di ettari di campagna da adibire a Mega-porco commerciale, voluto anche, soprattutto direi, da quel Pd che “è la mia casa, la mia famiglia” [l’ha detto lei, eh].
Pare che vogliano farlo partire in qualche modo, ‘sto comparto con coordinate da battaglia navale (insieme agli altri s’intende), ma stavolta non come Centro Commerciale (che avrebbe prodotto secondo gli scienziati locali del tempo, primi fra tutti dunque i “compagni”, non meno di 200 posti di lavoro, anzi 300, mi voglio rovinare), ma come “qualcosa d’altro” (immagino che lo verremo a sapere a breve grazie ai succitati muri parlanti che, visto il livello, molto probabilmente si esprimeranno in termini di Galatinaland). Lasciarla intonsa quell’area, dico quel suolo agricolo, manco a parlarne. Tanto ora che l’Ucraina vincerà finalmente la guerra grazie alle armi italiane esenti da Iva il grano e gli altri cereali li riceveremo in abbondanza direttamente da Kiev, sicuramente a prezzo di favore, e magari scortati dal battaglione Azov.