set182021
Il signore della foto si chiama Enzo Cerfeda, proviene da Galatone ed è un resistente. Nossignore, non ha mai fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale (oltretutto ha meno anni di quanti ne basterebbero per arrivare in retromarcia fino a una sua eventuale partecipazione attiva agli eventi della seconda guerra mondiale), ma è uno che va avanti per la sua strada e continua imperterrito ad allestire la sua bancarella al mercatino nohano da circa 35 anni. Lo fa nonostante tutto, nonostante molti suoi colleghi, anche per via di un virus, sembra abbiano preso un periodo sabbatico.
Sta di fatto che alle sette e mezzo di ogni lunedì mattina Enzo ha già bello e pronto il suo banchetto michelangiolesco (nel senso di via Michelangelo, la via della “chiazza”) con i suoi articoli, e lo fa anche se fosse l’unico (e non è la prima volta) ad aprir bottega.
La sua mercanzia è la biancheria intima uomo-donna e bambino. “Ma le mie clienti – dice - sono soprattutto, anzi esclusivamente donne, perché l’uomo di certe cose non capisce niente; e meno male che ci pensano le mogli, o le mamme o le zite, ché il maschio non saprebbe nemmeno cosa mettersi addosso”. Così continua Enzo nel suo ragionamento: “C’è un calo nelle vendite di noi ambulanti, è inutile che ci giriamo attorno, perché i grandi magazzini ci stanno facendo la guerra da anni e con due lire ti riempiono le borse di cose, per non parlare dei computer [nel senso che oggi si va al mercato restando seduti di fronte a uno schermo, ndr.]. Ma io qui ho le mie signore affezionate che da anni mi ordinano i capi che servono – hanno pure il mio numero di telefono - e io me li segno su questo libretto, e quando ritorno al mercatino la settimana successiva glieli porto”.
mar112022
Sto cercando di individuare una qualche differenza nei pensieri, parole e opere pubbliche dei quattro candidati in gara per la cadrega di sindaco della mia città. Ma finora nulla, solo similitudini: tipo che tutti costoro hanno studiato a Modena (per dire quanto la fuga di cervelli a volte funzioni al contrario).
Chissà se lo slang imperiale, così gradito alla Galatina progressista e gretina, tutto impregnato di smart city (anzi smart land: fa più figo), e quindi di valorizzazione, riqualificazione, attrattività, green, e soprattutto inclusione e sostenibilità (e forse forse pure resilienza) proverrà dalle sudate carte compulsate in quella benedetta Alma Mater Studiorum Mutinensis et Regiensis. A saperlo.
Sta di fatto che con gran senso di responsabilità (ma soprattutto dell’umorismo), oltre a un paio di novelli Carneade pronti a indossare la fascia tricolore, e a un altro che pare abbia intenzione di cucirsela addosso per almeno un’altra legislatura, s’è rifatta viva anche la Sandra (una “ca li coddhra”: l’ha detto lei, eh) confidando probabilmente nelle proverbiali amnesie dei suoi concittadini e ancor più nella loro stoica, tendente a storica, rassegnazione.
La Sindaco in pectore ha debuttato in campagna elettorale con la tecnica del branding (a proposito del gergo persuasivo di complemento) tappezzando Galatina e dintorni con manifesti 6x3 pieni zeppi di slogan anonimi, ma così anonimi che appena ne leggevi uno non potevi non esclamare immantinente (come nel Fantozzi contro tutti): “Sandra, è lei?”
Dopo qualche giorno di suspense il diciamo arcano viene dunque svelato e la criptocandidata appare al suo popolo in tutto il suo splendore nel corso di una memorabile conferenza stampa di due ore e passa, ripresa, a perenne anamnesi e per comune fortuna, dall’occhio e dall’orecchio indiscreti delle telecamere, quindi trasmessa urbi et soprattutto orbi. A dire il vero io me l’ero persa ‘sta cosa qua e non è che ne stessi facendo una tragedia esistenziale, se non che una carissima amica quasi m’implora: “Ma come puoi farne a meno: se non vedi e non senti non ci puoi credere”. E così, novello san Tommaso, mi fiondo ad abbeverarmi direttamente alla fonte dei famosi punti: dico i punti programmatici della politica rediviva.
Per questioni di spazio e soprattutto di pazienza del mio unico superstite lettore non posso star qui a parlare dei quattro giornalisti presenti e delle loro domande ficcanti, che dico, ostili proprio, pregne di anglosassone perfidia: tanto che a un paio viene offerta la candidatura (immagino nella coalizione della stessa intervistata), mentre un altro se ne esce con una elucubrazione tipo “il Pd è una delle poche realtà serie che sono rimaste nell’attuale scenario politico” (questa sì che è satira politica, altro che la mia all’acqua di rose, ndr.).
mar192022
Nella prima parte di queste note scombiccherate ho fatto cenno al contesto nel quale si è svolta la prima conferenza stampa di presentazione del Puntinismo, che stavolta non è il più o meno noto movimento pittorico di fine ‘800 ma il programma “puntuale” di diciamo governo della Sandra Sindaco da sottoporre al voto (o forse a referendum sulla sua figura), esposto sostanzialmente in quindici minuti scarsi di “domande”, seguiti da un’ora e cinquanta di chiamiamole risposte.
Ora, dopo il contesto, cercherò di dare una sbirciatina al testo provando a estrapolare qualcosina dalla famosa raccolta punti della rediviva candidata: non so se si tratterà di “idee” da rilegare in un novello tomo dei sogni oppure nel solito pamphlet degli incubi. Chi voterà vedrà.
Da un po’ di tempo a questa parte il tracollo economico dei comuni e la storia dei loro bilanci fallimentari sembrano passati in secondo piano: all’orizzonte la promessa pioggerellina di quattrini grazie a una fiammante forma di debito che va sotto il simpatico acronimo di Pnrr, onde tutti gli aspiranti al soglio comunale sono pronti a far vedere i muscoli, pretendendo più autonomia, indipendenza e libertà d’azione in modo da sbizzarrirsi nella fertile pratica di lasciare, ahinoi, un segno indelebile del loro passaggio.
A proposito di bi- e tricipiti brachiali da ostentare, la Sandra ci ha fatto sapere, tanto per dirne una, che per evitare la definitiva mortificazione dell’ospedale di Galatina, ergo per riaprire battenti, reparti, sale operatorie, terapie intensive, sub-intensive e via di seguito, e dunque far ritornare un bel po’ di Infermieri, Oss, Medici, Tecnici, e pure “Portantini” [sic] sarebbe bastato “battere i pugni sul tavolo”. E che ci vuole?
apr012022
Scusate tanto se ho dovuto sintetizzare tutto lo star system della prima uscita della Sandra in tre articoletti e mezzo in totale che divagano, è vero, come nel famoso punto a zig zag. Ma non potevo abusare oltremodo della pazienza dell’ultimo stremato mio lector in fabula.
Certo, la materia è così affascinante che ne verrebbe fuori un diciamo trattatello in laude della Rediviva, ma qui, per par condicio, incombono gli altri tre candidati, sempre della schiera dei Competenti, ovvio, su cui provare a riversare qualche goccia di quella quintessenza clandestina altrimenti chiamata critica, vista dai più come “sterile polemica”, quando - dio non voglia - di satira, considerata dagli stessi di prima come “immotivata acrimonia e meschino livore”, dunque da querelare senza indugio. Son fatti così i missionari del politically correct, sicché dovrei battermi il petto, provare “vergogna per le offese” inferte a destra e a estrema destra (dacché in queste contrade di centro e di sinistra manco un alone), e soprattutto nominare un avvocato.
Nell’attesa allora di una mia condanna definitiva alla frequenza di una scuola per corrispondenza di buone maniere, materia nella quale sono stato più volte rimandato a settembre (quando non a giudizio), torniamo ai punti di sutura del piano quinquennale della Rieccola; non senza, tuttavia, aver messo preventivamente le mani avanti per via dell’n-esima vignetta puntuta: questa, se possibile, ancor più sessista della precedente, in cui vengono ritratte due tizie, una delle quali vagamente somigliante a un’assessora ai lavori pubblici con tanto di telaio da ricamo niente-poco-di-meno che, immaginate, sulle sue ginocchia, ma soprattutto intenta a quei lavoretti così degradanti per “Una Donna, Una Madre E Una Seria Professionista” [sic] (e scusate se non sparpaglio qui, come pare si usi nelle nuove grammatiche, un bel po’ di punti di sospensione): roba da lapidazione immediata del vignettista da parte degli scribi nostrani, tutti senza peccato come da pericope giovannea.
Tanto lo slogan Je suis Charlie Ebdo chi se lo ricorda più, defunto ormai come certi avi da imprecazione.
apr052022
Arriviamo alla fine di questo percorso a ostacoli con il cenno fatto dalla probabile ri-novella Sindaco al famoso comparto D7 o quel che è, vale a dire quella trentina scarsa di ettari di campagna da adibire a Mega-porco commerciale, voluto anche, soprattutto direi, da quel Pd che “è la mia casa, la mia famiglia” [l’ha detto lei, eh].
Pare che vogliano farlo partire in qualche modo, ‘sto comparto con coordinate da battaglia navale (insieme agli altri s’intende), ma stavolta non come Centro Commerciale (che avrebbe prodotto secondo gli scienziati locali del tempo, primi fra tutti dunque i “compagni”, non meno di 200 posti di lavoro, anzi 300, mi voglio rovinare), ma come “qualcosa d’altro” (immagino che lo verremo a sapere a breve grazie ai succitati muri parlanti che, visto il livello, molto probabilmente si esprimeranno in termini di Galatinaland). Lasciarla intonsa quell’area, dico quel suolo agricolo, manco a parlarne. Tanto ora che l’Ucraina vincerà finalmente la guerra grazie alle armi italiane esenti da Iva il grano e gli altri cereali li riceveremo in abbondanza direttamente da Kiev, sicuramente a prezzo di favore, e magari scortati dal battaglione Azov.
apr192022
Mentre impazzano i cortometraggi pubblicitari della Sandra (io però preferisco i lungometraggi, quelli in cui la Nostra dà il meglio di sé diciamo spontaneamente, ora in un caffè con parterre di giornalisti di grido, ora sulla pubblica piazza insieme ai noti sottoscrittori di contratti con tutti, vale a dire gli emissari del Movimento Cinque Penne), altri candidati, per non essere da meno, ne hanno commissionati di ineffabili alle rispettive Bestie, con rispetto parlando (il termine deriva da the Beast, la struttura creata da Obama per arrivare alla Casa Bianca).
Non può passare inosservato per esempio quello fatto confezionare da tal Fabio Vergine, il Carneade tra i quattro aspiranti alla tiara di sindaco (non ci quereli pure lui eh, ché abbiam detto Carneade e non ancora Carnevale: e chiedo venia se mi sfuggono tutti i notabili imprenditori che, come probabilmente anche il suddetto, mietono successi in loco e può darsi parimenti altrove), nel ruolo di eroe protagonista, interprete di se stesso, cogitabondo in una Galatina centro desertificata, quasi insonnolita, pronta a destarsi al suono di una voce di sottofondo, immagino la sua, flautata, calda anzichenò, e soprattutto nostalgica, onde la tattica dell’advertising è stata applicata al meglio, ergo l’elettorato “attivo” sedotto sin dalle prime battute (ché in queste contrade è da un bel po’ maggioranza qualificata chi presta attenzione a credito). Comunque, a maggior enfasi io ci avrei aggiunto la più persuasiva delle asserzioni da prologo pensata per la meglio imprenditoria nazionale così incline a scendere in campo per un nuovo miracolo italiano, ovverosia: “Galatina è la città che amo”.
Ho provato a seguire i quattro dell’Ave Mare nel cosiddetto dibattito tenutosi qualche giorno fa nella sede di un circolo cittadino: sì, è stata dura, ma se riesci ad arrivare sino in fondo capisci che, pur volendo spaccare il capello in quattro, è estremamente arduo scindere il “pensiero” “politico” (virgolette a entrambi i lemmi) delle quattro persone uguali e distinte. La dimostrazione indiretta ma scientifica sta nel fatto che il Pd e i suoi liquami, sotto cangianti spoglie, sembrano essersi in qualche modo infiltrati in ognuna delle coalizioni galatinesi diciamo contendenti, onde il segretario di quel partito, che ultimamente si fa ritrarre in mimetica ed elmetto (chissà quando con uno scolapasta in testa), non potrà che gongolarne soddisfatto.
giu052022
Non mi divertivo così tanto - dico passando in rassegna o forse in rassegnazione i candidati alla poltrona di sindaco di Galatina - da chissà quanto tempo: probabilmente dalla precedente campagna elettorale in cui si toccò l’acme con alcune macchiette spassosissime che stavano alla Politica come Erode agli innocenti.
Ebbene questa tornata non è assolutamente da meno: ché qui abbiamo il fior fiore dei personaggi pOLITICI rinati dalle ceneri di quella, tipo i noti serial killer di sintassi, grammatica e giacché pure Diritto, intruppati nelle coalizioni del membro dell’aristocrazia nostrana rinomato per il pensiero del tutto assente benché espresso con eloquio forbito e quasi quasi suadente; spacciatori di un “plastico” della povera fiera di Galatina, ribattezzata AT-TRAT-TORE, e mai sia Trattore, tutta di verde pittata, evidentemente per non urtare la suscettibilità degli speculatori evergreen i quali, grazie allo strombazzato “project financing”, sono tutti in dolce attesa dei gettoni d’oro del Pnrr (onde ‘sto plastico sarebbe degno delle migliori trasmissioni vespasiane, nel senso di Bruno Vespa); foglie di fico pur sempre striminzite per occultare pudenda fuori scala (pudenda nel senso etimologico del termine): il riferimento è a un’accozzaglia post-ideologica di partiti, liste cosiddette civiche, listini e movimenti che vanno dalla Lega ai sedicenti socialisti, da Madre Teresa a Che Guevara, da Pippi a Mellone (che non sono io eh), dallo spazio aperto al vuoto pneumatico; concorrenti alla carica di primo cittadino sostenuti da vecchie cariatidi alla spasmodica quanto vana ricerca di una qualche forma di Rivergination (nomina sunt omina); futuribili sindaci immortalati in sella a una bicicletta (chissà se a proposito di piste ciclabili) che denotano con lo specifico mezzo di locomozione una dimestichezza simile a quella di chi, ormai ultracinquantenne, ebbe a pedalare l’ultima volta a bordo di un triciclo di plastica colorata all’asilo infantile; followers e personaggi al crepuscolo con velleità da influencer ripresi in esilaranti video virali - topici quelli nei pressi delle solite “erbacce” cittadine (chiamano così le superstiti forme di vita urbana, non ci posso far nulla), promoter subliminali di decespugliatori e falci senza ormai alcun martello.
Accanto a codesti campioni di coerenza, coraggio e teatralità, attori degni della Paramount Pictures, non poteva mancare il nostro dottor Antonio Antonaci, del quale, dopo il mio primo “Scritti in onore di Antonio Antonaci” del 2007, non potevo non darne alle stampe (virtuali questa volta) un secondo: questo.
Sì vabbè, il primo era un monsignore, un insegnante, uno storico, uno scrittore, ma quest’altro Antonaci non è mica da meno (benché, fra i Fantastici Quattro, quello a quanto pare degno del Don davanti al nome, alla stessa stregua di un ecclesiastico, sia il nobiluomo della provvidenza, figlio del secolo e di ben altro lignaggio).
giu072022
Pareva brutto, dopo aver discettato degli altri tre candidati alla carica di sindaco del comune di Galatina, non “scettare” qualcosa anche del quarto, cioè del nostro Marcello Amante, sindaco uscente e chissà se non anche entrante. A dirla tutta non è soltanto questione di bon ton, ovvero come dicono i latinisti di par condicio, ma di pericolo querela: oggi ne rischi di tremende per omissione di discorso, vale a dire se osi ad esempio seppellire nel dimenticatoio certi fossili redivivi – in queste contrade se ne annoverano a bizzeffe – considerandoli come inconsistenti, anzi mai esistiti (politicamente s’intende), non solo ex-nunc, ma ex-tunc proprio.
Non è il caso di Marcello che è di bocca buona e senza alcuna puzza sotto il naso, se è vero come è vero che ha dovuto per cinque anni consecutivi tirare avanti la carretta, fare buon viso a cattivo gioco, e sopportare non tanto reprobi, fedifraghi, e supporters a iosa diventati d’un tratto supposters, quanto l’assessore Nico Mauro e le sue raccolte di poesie, queste sì da codice penale.
Si sa che Marcello (non dategli del democristiano che s’incavola a bestia), dicevo Marcello, da buon democristiano, è il mago delle maggioranze elastiche. È riuscito a cambiarne una al volo giusto un paio di mesi fa, proprio a ridosso di questa campagna elettorale trasformandola d’emblée in campagna acquisti, o meglio a saldi di fine stagione. Non so bene come siano andate le cose (e chi è che lo sa), sta di fatto che qualche innominabile (innominabile solo perché – giuro - non ne ho mai conosciuto il nome, e non mi va ora di andare a compulsare Galatina.it per scoprirlo) ha fatto il salto in lungo, pensando di andare oltre per “correr miglior acque”, e ritrovandosi invece nell’arcinota “nuova” coalizione che, più che liquida (alla Zygmunt Bauman), sta diventando viepiù gassosa (e giacché persino saltata preventivamente in padella, cioè fritta). Pare che addirittura la vice Sindaco in persona, per sottrarsi a una “candidatura imposta” dall’ormai ex principale [e io – che scemo – pensavo che uno se la prendesse nel caso opposto, cioè di esclusione da una candidatura, ndr.], abbia sbattuto la porta in faccia a tutti, ma guarda un po’, giusto agli sgoccioli, cioè verso la fine della fiera, mica all’inizio.
giu192022
Nell’ultima recente campagna elettorale per le amministrative del nostro povero comune ne abbiamo viste di tutti i colori. A partire dalle smanie plebiscitarie di un aspirante Sindaco dell’ultim’ora, del quale, prima di qualche mese addietro, non si conosceva neppure l’esistenza, anche perché, salvo errori e omissioni, negli annali della storia patria o nelle cronache del Dibattito Galatinese del soggetto non v’è traccia né di proposte, né di critiche, né di istanze rinvenibili in qualche articolo/convegno/intervista/riunione/comitato, ma nemmeno di un sussurro, un’alzata di ciglio, una presa di posizione, un video nei pressi del solito cespuglio di erba riottosa, non una fluttuazione neuronale in questa o in quell’altra direzione benché post-ideologica, ma soltanto battage martellanti (mancherebbero all’appello giusto l’advertising interstiziale e le chiamate dei call center a ogni ora), insomma un candidato tutto Marketing e Distintivo: sicché quando dici Vergine intendi il significato proprio del termine, benché nel suo slogan campeggi l’asserzione “Lo Sappiamo Fare” (tipico della classe manageriale buona per ogni stagione, e dei leader nati – “Leader si nasce, non si diventa”, l’ha detto davvero eh, e lui modestamente lo nacque - e devi fidarti sulla parola). Fortunatamente a dargli man forte un bel po’ di personaggi politici ma anche diversamente politici di città e dintorni, e qualche immancabile meteora della politica locale (il famoso meteorismo politico), nonché pezzi d’antiquariato e piazzisti dell’epoca che fu usciti e subito dopo rientrati nell’urna, vale a dire il sacello.
Commovente invece l’avventura della lista appellata Attiva, con più competitori che suffragi. In pratica un ossimoro. Due voti in totale da dividere tra i sedici diciamo contendenti il seggio. E qui entrano in ballo le frazioni, non nel senso di Noha, Collemeto o Santa Barbara, ma di numeri razionali (tipo 2/16 = 1/8), anzi facciamo irrazionali e chiudiamola qui. Certo se l’è vista brutta: rischiava addirittura di essere superata in retromarcia da quell’altro gruppo umoristicamente intitolato Nuovi Orizzonti per l’Italia, distintosi per la media di un voto a candidato, quantunque il 90% circa dei concorrenti non abbia nemmeno osato designare se stesso con una x. Forse sarebbe stato meglio completare la denominazione di quel collettivo con un più eloquente: Nuovi Orizzonti per l’Italia Viva.