Ci sono persone che il Destino mette sulla tua strada e per delle ragioni incomprensibili ci restano per sempre.
Non me lo ricordo neanche più quando, ma sapevo a malapena leggere, e mi trovavo in un ripostiglio della sua casa paterna in via Cadorna, a leggere giornalini di Tex Willer. Nel vano scale di quella vecchia casa, Pietro, il padre di Roberto, aveva sistemato dei lunghi pali di legno, di quelli che teneva per il suo lavoro da mastro costruttore. Da un lato poggiavano sui gradini e dall’altro sul ripiano in alto (u menzanu) quasi a toccare il soffitto. I pali fungevano da passerella e quello era uno dei nostri nascondigli preferiti. Me ne stavo lassù a leggere per ore e ore, fino a che un giorno mi ci addormentai e tutti si dimenticarono di me. E’ facile immaginare cosa accadde dopo, allorquando i miei misero sottosopra tutto il paese per cercarmi. Da quel giorno le nostre strade, le mie e quelle di Roberto Serafini, non si sono mai più allontanate. Quei Tex Willer li ho ancora perché Roberto me li ha conservati per tanti anni. Che cosa aveva speciale Roberto? Amava la natura, l’aria aperta e le cose semplici. Come me, non sopportava i luoghi al chiuso e ogni occasione era buona per scoprire posti nuovi e ammirare le bellezze della nostra terra.
Poi da allora è stato un turbinio di belle esperienze che hanno rafforzato la nostra amicizia, con l’aiuto e con il merito delle nostre compagne di vita: Angela e Lucia. Niente avviene per caso ed era scontato che il loro rapporto, pur provenendo da due mondi completamente opposti, si ritrovassero in sintonia. Questi tre giorni, in cui abbiamo accompagnato Roberto alla sua ultima dimora, mi hanno lasciato dentro un vuoto pressante. Ci diciamo che con il tempo passerà e il vuoto si colmerà di tanti bellissimi ricordi: delle passeggiate nei boschi, lungo la costa, e nelle vie addobbate a festa dei paesi che Roberto con orgoglio ci portava a visitare sempre, d’estate e d’inverno. Non serve avvilirsi, né tanto meno serbare rancore o rabbia, contro chi o che cosa poi? Forse colpevoli di questo dramma che ci sta portando via tanti amici, lo siamo tutti. Roberto, mi ha detto di dirvi che lui amava la vita, e che era felice anche di vivere così, come lo era ultimamente martoriato dai continui esami, dai cicli di radio e dalle febbri frequenti che lo spossavano.
Così diceva: “Stau bbonu! Se u Signore me lassa”. Roberto credeva nel Signore e nelle preghiera. Lo so che l’invidia è una brutta cosa, ma io lo invidiavo per questa sua Fede e per la sua grande capacità di convivere con quel dramma che lui conosceva appieno. E non si arrabbiava nemmeno quando, poche settimane addietro, passeggiando per Noha mi disse: “Marcellu, quandu nnu rrivi cu ti ttacchi le scarpe de sulu, è bruttu segnu”. Roberto non aveva segreti, noi ci dicevamo tutto e di più. Il suo argomento preferito, guarda caso, era proprio la cura dell’ambiente. Non l’ho mai visto bruciare né un pezzettino di plastica, né altro. Riciclava e differenziava tutto. Amava i prodotti buoni della terra, che produceva in quantità. Nella sua casa c’è sempre stata l’abbondanza di tutto ciò che portava dalla campagna, e poi conservava nella sua cantina scavata sottoterra. Non è mai successo, dico mai, che io sia uscito da casa sua a mani vuote. Non era raro vederlo girare per il paese con il cofano della sua gloriosa Opel Kadett grigio argento, stracolmo di verdure che scaricava a turno a casa di amici e amiche. Da lui ho imparato che non conta la bellezza esteriore di una melanzana o di un qualsiasi altro prodotto, ma la genuinità e la fragranza. Da Roberto ho imparato il senso vero della generosità, perché quando ti dava qualcosa non si aspettava niente in cambio, ma era semplicemente felice di farlo. Se dovessi scrivere qui tutte le cose che ha fatto per me e per la mia famiglia, credo non basterebbero mille pagine. Cose semplici come lo era lui stesso, come il farci trovare sul tavolo di casa un cesto di frutta e ortaggi appena raccolti, quando sapeva che noi stavamo arrivando da Torino per passare le vacanze a Noha. Oppure quando mi chiamava al cellulare per dirmi di passare da lui che c’era una cosa per me Che cosa?: meloni, pomodori, insalata, zucchine, pupuneddrhe e una bottiglia di vino. “Quest’anno- mi disse l’altro Natale- se vuoi le patate te le devi seminare tu, io non ce la posso fare”. E invece ebbe il coraggio di regalarmi una cassetta piena di bellissime patate, selezionate nella misura e coperte con un foglio di carta su cui aveva scritto: “al mio compare”.
Non ho bisogno di testimonianze per ricordare cosa mi ha regalato, ovunque io volga lo sguardo: nei campi, in casa, in macchina, fra le mie cose, in mezzo ai libri, ecc. in ogni anfratto c’è la sua mano. Temeva perfino per la mia incolumità fisica, fino al punto da aiutarmi a “guadare” le antiche mura della masseria Colabaldi come un novello traghettatore.
E questo, di Roberto, è solo un piccolo assaggio.