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Articoli del 17/05/2011

Di Albino Campa (pubblicato @ 22:51:33 in NohaBlog, linkato 2806 volte)

"Grande dolore come per qualunque padre che vede un figlio - come ogni sacerdote - che non è fedele alla propria vocazione. Naturalmente, lasciando che la giustizia, la magistratura faccia il suo corso per appurare le accuse, evidentemente, è giusto, insieme al dolore grande, rincuorare la gente, le persone, le comunità a guardare Cristo, Pastore dei pastori, e a non perdere assolutamente la fiducia verso tutti gli altri sacerdoti che anche a Genova, come ovunque, si dedicano con fedeltà e generosità al bene delle anime". Questo ha detto il cardinale Bagnasco riguardo lo scandalo del prete accusato di spaccio di droga e pedofilia della diocesi di Genova.

 Don Riccardo Seppia era conosciuto come “don Ricchiardo” dai ragazzini della parrocchia, che da sempre avevano il sospetto della sua omosessualità. Per telefono parlava apertamente: "Non li voglio di sedici anni, ma più giovani. Quattordici anni vanno bene e, mi raccomando, che abbiano dei problemi di famiglia". E ancora: "Portami un bambino, mi raccomando l'età, meglio un moretto, un negretto" dice. E l'amico risponde: "Vado nella zona della Fiumara e vedo di trovarti qualcosa". Oppure: "Mandami quel ragazzo, ho tanta roba". La roba è la droga di cui Don Seppia sempre disponeva e che avrebbe dato in cambio degli incontri. E quando la cocaina mancava, a quel punto scattavano 50 euro, "il solito regalino". E c'è un'altro scambio di messaggi che la dice lunga sul comportamento del sacerdote. "Vieni da me, sono solo", scrive don Seppia a un quindicenne che risponde: "Non posso sono a scuola". Risponde il prete: "Sono solo anche domani mattina. Di' alla mamma che sei a scuola e vieni da me".

 Mi chiedo come mai in un paese tutti sapevano o sospettavano delle deviazioni pervertite e infami di questo essere squallido e schifoso, mentre la nostra Madre Chiesa, con la sua santa gerarchia, non si sia mai accorta di nulla. Forse il nostro carissimo cardinale Bagnasco dovrebbe essere più presente nelle parrocchie della sua diocesi, o forse dovrebbe sforzarsi di conoscere almeno a quali elementi affida il suo stesso gregge. La colpa di un reato così infame è sì personale di fronte al codice penale, ma moralmente chi avrebbe dovuto vigilare dovrebbe farsi almeno un esame di coscienza nel capire come mai dei ragazzi sanno delle deviazioni di un adulto e un vescovo o un cardinale non sappiano delle orrende perversioni di un loro confratello sacerdote. Il dolore nel vedere un figlio infedele dovrebbe essere accompagnato dalla presa di responsabilità nel non aver vigilato sul comportamento di un proprio figlio. Forse, se i vescovi visitassero più volte le loro parrocchie in un anno, e non soltanto nel giorno delle cresime, e non soltanto dopo aver annunciato il loro arrivo per poi essere accolti in “pompa magna”, queste cose non succederebbero. Dove sono i vescovi in questa Chiesa? Nei concili? O solo nei seminari diocesani? O soltanto nei ritiri di sacerdoti dove si inizia e si finisce con un baciamano un po’ ipocrita? Preti, parlate con i vostri vescovi? Vi confidate? Cosa sanno loro di voi? Forse troppo poco o niente. Una famiglia che non conosce se stessa ed è divisa nel suo interno non fa tanta strada. Forse quel demonio che tanti sacerdoti faticano a riconoscere (tanti addirittura non credono neanche alla sua esistenza) esiste davvero, ed è talmente vicino che riesce a nascondersi tra le pieghe delle loro sottane. Per fortuna la fede non necessita obbligatoriamente della presenza delle loro figure; guai se fosse così, staremmo già sull’orlo del baratro.

 Caro don Riccardo, non proverei alcuna pietà per te se queste accuse nei tuoi confronti venissero confermate. E con te farei un’eccezione. Ti concederei la facoltà di non rispondere, ma ad ogni mia domanda e a ogni tuo rifiuto di risposta, ti percuoterei fino a farti dimenticare il tuo stesso nome. Non che io sia migliore di te e dunque possa giudicarti. Lo farei per prestare la mia forza e le mie mani a chi è debole e indifeso e da te ha ricevuto violenza. Sarei non come “una matita nelle mani di Dio” come fanno i santi, ma come un bastone nelle mani del più feroce e incazzato dei delinquenti. Forse hai interpretato male il significato dell’espressione cristiana “lasciate che i bambini vengano a me”. Se hai bisogno di una spiegazione del testo e la tua gerarchia non ti da abbastanza spiegazioni, vieni pure da me che mi offro io volontario a darti dovute delucidazioni. Ma forse un bel ritiro spirituale in carcere, tra tanti fedeli ergastolani e muscolosi, farà bene al tuo discernimento vocazionale. Aspettando la tua conversione, che sono sicuro ci sarà, ti auguro un bel pernottamento tra le sante grate di quel carcere. E visto che di tempo ora ne avrai tanto, se ti ricordi, fai anche una preghiera per noi poveri peccatori.

Fabrizio Vincenti

 

 In compagnia di Paola, a "Quello che le donne non dicono" il cantautore aradeino Luigi Giaracuni in arte Gigi Cinto.

 

 

Fotografie del 17/05/2011

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