Scritto in memoria di Zeffirino Rizzelli
Ho incontrato il prof. Zeffirino Rizzelli per l’ultima volta il 14 luglio scorso. Conobbi di persona il professore nel corso dei primi anni ’90 del novecento (di fama però lo conoscevo da sempre). E negli ultimi, diciamo, quindici anni, mi incontravo volentieri con lui e con una certa continuità. Soprattutto per consegnargli brevi manu (prima dell’avvento nella mia vita della posta elettronica) i miei articoli che (tranne uno, come dirò) il direttore pubblicava sempre integralmente sul suo il Galatino. Ci incontravamo di sabato al Convitto Colonna presso il distretto scolastico, prima che questa istituzione chiudesse definitivamente i battenti; qualche volta nella sede del giornale in largo Bianchini; negli ultimissimi anni invece più frequentemente a casa sua, in un salottino, quando non nella sua bella biblioteca, in un altro lato dell’abitazione. Era sempre gentile con me il professore, come credo lo fosse con tutti quelli con i quali aveva commercio di pensieri e parole.
Parlavamo di tutto. Ma non era uno scambio alla pari; la partita doppia non poteva essere applicata a quegli incontri: tra i due chi si arricchiva era il sottoscritto. Ero al cospetto di un gigante della scrittura (e non solo della scrittura), eppure quel titano ti metteva a tuo agio non facendoti sentire un pigmeo.
L’ultima volta, dunque, nel luglio di quest’anno andai pimpante per consegnargli, fresco di stampa e di tornio, il mio libello di “Scritti in Onore di Antonio Antonaci” per il quale il professore aveva steso un bel saggio introduttivo (saggio che mi aveva consegnato verso la fine del mese di febbraio di quest’anno 2007, allorché mi invitò anche a tenere – come tenni - una lezione sulla Storia di Noha all’Università Popolare “A. Vallone” di Galatina presso il Palazzo della Cultura: il che per me era, ancora una volta, un inaspettato onore).
Ebbene, Zeffirino Rizzelli mi ha onorato molte volte: con il pubblicarmi sul suo giornale, con lo scrivere saggi introduttivi ai miei scritti, con l’invitarmi a tenere una lezione all’Università Popolare, con il recensire sul suo giornale qualche mio libercolo. Un paio di volte mi onorò ancora invitandomi anche a “scendere in politica”; ma declinai questo invito preferendo essere a tutt’altre faccende affaccendato. Mi onorò della sua presenza allorché lo invitai presso il circolo culturale “Tre Torri” di Noha, dove tenne una magistrale lezione sulla antica e nobile famiglia “De Noha”, e quando venne a casa mia nel maggio del 2006 allorché in forma privata ed in maniera molto semplice si festeggiò, insieme ad altri, la nuova edizione del mio libro “Noha, storia arte e leggenda”, scritto a quattro mani con il p. Francesco D’Acquarica (libro del quale il professore aveva pure stilato una generosa presentazione). Insomma: il prof. Rizzelli mi onorava della sua amicizia.
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Una volta, era il 1996, il professore si rifiutò di pubblicare un mio articolo, l’unico che venne, diciamo, “censurato” dal direttore: era un articolo che decantava le opere del Rizzelli, sindaco di Galatina. Così mi scrisse in una sua garbata lettera di spiegazioni: “… Non posso pubblicare sul mio giornale il tuo articolo. Questo non perché falsa modestia mi induce a rigorose valutazioni, ma perché siamo in campagna elettorale, tempo in cui si arriva a strumentalizzare anche ciò che strumentalizzabile non è. […] Chi lo ha scritto è, certamente, lontano le mille miglia da sentimenti di riverenza o peggio ancora di servilismo…”.
C’era in quelle parole anche e soprattutto ritrosia ed umiltà. Chiunque altro, trovandosi nella sua stessa posizione, e non solo per mania di protagonismo, avrebbe pubblicato in grassetto o a caratteri cubitali quelle considerazioni!
Scritto in onore: quell’articolo era redatto ad honorem.
Ho, in effetti, il pallino degli scritti in onore, che mi sembra abbiano un valore incommensurabilmente più grande degli scritti in memoria. Non è questione di consecutio temporum: è che tra una strada facile ed una difficile mi hanno insegnato a percorrere quella più difficile ed impervia (non fosse altro che per allenamento). Lo scritto in memoria è di gran lunga il più facile da redigere, ma quello che forse ha minor valore.
Si scrivano allora dieci, cento, mille “Scritti in Onore” (in onore di chi è ancora fra noi e lo meriti, s’intende), si riempiano le biblioteche e le librerie, ma non siano scritti di circostanza, o peggio ancora di celebrazioni servili.
E’ molto più difficile scrivere in onore, cercando di essere comunque liberi da “servo encomio” come pure servi “di codardo oltraggio”, che scritti in memoria.
Gli scritti in memoria li sanno fare più o meno tutti. Dopo, però.
Sicché dedicai al professore un articolo intitolato appunto: “Scritto in Onore di Zeffirino Rizzelli”. L’articolo con qualche piccola variante era proprio quello nato dieci anni prima, e rimasto per volontà del direttore pro-tempore nel cassetto. Quell’articolo attese così 10 anni al buio, ma vide finalmente la luce sul numero de il Galatino del 15 settembre 2006, il primissimo a direzione piena di Rossano Marra che stavolta non indugiò nemmeno un attimo a pubblicarlo. Quell’articolo certamente è nulla in confronto all’onore che Rizzelli mi aveva riservato in più occasioni. Era ed è quel brano - ed in fondo anche il presente, steso questa volta purtroppo in memoria - solo un tassello che dimostrasse (se mai ce ne fosse stato il bisogno) la grandezza dell’Uomo ed il lustro dato dalla persona e dall’opera di Zeffirino Rizzelli alla città di Galatina e a tutto il Salento.
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Come dicevo, ho incontrato il prof. Zeffirino Rizzelli per l’ultima volta la mattina di sabato del 14 luglio scorso. Era a casa sua, seduto sulla sua poltrona; in ordine, sul tavolino del soggiorno, i suoi giornali, freschi di stampa, pronti per esser letti per filo e per segno.
Era consapevole della sua malattia e dell’ora alla quale andava incontro.
Io cercai di dirgli: “Ma professore, non dica così: noi tutti abbiamo ancora e sempre bisogno di Lei”. Mi rispose con uno sguardo sereno che non dimenticherò mai più. Fu un’altra lezione di dignità.
Ci salutammo, dopo un po’. Ma non mi accompagnò all’uscita come aveva sempre fatto. I dolori glielo impedivano. Mi strinse ancora una volta con vigore la mano. La sua mano; quella mano di scrittore! Sembrava mi dicesse in quel saluto: “tutto è compiuto”.
Mi voltai per vederlo un’altra volta ancora, e poi me ne andai. Il mio spirito era greve…
La notizia della sua morte, giuntami a Putignano, dove lavoro, per il tramite di un amico, la mattina del 29 agosto scorso, non mi colse di sorpresa. In un certo qual modo ero preparato. E sereno. Di quella serenità d’animo che solo il professore sapeva trasmetterti.
Antonio Mellone