set282020
San Michele Arcangelo, patrono di Noha, è un guerriero, diremmo un partigiano di giustizia, salute, libertà ed equilibrio. Si parla di questo principe delle schiere celesti e più volte nell’Antico Testamento, in Daniele per la precisione e soprattutto, ma anche in altri libri benché non in maniera esplicita; ma il passo più affascinante è quello riportato nel Nuovo Testamento, nel capitolo 12 dell’Apocalisse, quello nel quale al verso 7 si legge: “Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago […]”.
Su Michele, Mi-ka-el, cioè Chi-come-Dio, s’è scritto tanto. Non poteva mancare nemmeno il Poeta che, nel canto VII dell’Inferno al verso 11-12, lo cita come colui che “fe’ la vendetta del superbo strupo”.
Nella Legenda Aurea, Iacopo da Varazze racconta del miracolo che salvò Roma dall’epidemia di peste nel 590 arrivata dall’Egitto, e che tra le vittime annoverava anche papa Pelagio II. Paga Gregorio (Magno), succeduto a Pelagio, fu il testimone della visione degli angeli e del prodigio della salvezza dell’Urbe. In memoria dell’accaduto, il Mausoleo di Adriano cambiò il nome in Castel Sant’Angelo. Sul fastigio di questa rocca nota in tutto il mondo, là dove era apparso l’Arcangelo, campeggia dal 1753 la grande statua (oltre 5 metri di altezza) che lo effigia, opera dello scultore Peter Anton von Verschaffelt. Questa scultura, che ne ha sostituite diverse di altro materiale e dimensioni, alcune distrutte dal tempo, altre conservate nei musei, simboleggia San Michele nell’atto di rinfoderare la spada, segno della fine della pandemia.
Il fatto dell’iconografia, in questo caso la rappresentazione di uno spirito con le fattezze umane, ci viene spiegato da Beatrice nel canto IV del Paradiso, la quale nel rispondere a uno dei mille dubbi di Dante disseminati per tutta la Commedia così si esprime nei versi 43-48:
Per questo la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio, e altro intende;
e Santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta,
e l’altro che Tobia rifece sano.
Cioè, dice l’Alighieri per bocca di Beatrice, siccome la vostra capacità di apprendimento passa attraverso i sensi, per poi magari diventare conoscenza intellettiva, la Scrittura si adegua alle vostre facoltà e attribuisce tratti fisici a Dio, intendendo altro; e dunque la Chiesa raffigura con aspetto umano gli arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele (che guarì Tobia).
I “tratti fisici” del San Michele di Noha sono molteplici. Un primo, forse il più antico, è una statua in pietra leccese che si conserva fuoriporta, nel museo Cavoti di Galatina. Una seconda scultura è quella che si staglia al centro dell’altare barocco, a sinistra del transetto della chiesa madre di Noha, guardando l’altare maggiore. C’è poi la bella statua in cartapesta del guerriero nohano, con tanto di pennacchio in piume di struzzo, posta nella sua nicchia personale per la maggior parte dell’anno, e intronato sul suo baldacchino in occasione della solennità dell’8 maggio e durante la novena di settembre, anticamera della festa patronale: è questo il simulacro portato in spalla durante le processioni. Per la cronaca, nel corso del 1976 questa immagine prese fuoco a causa di una candela piegata dal calore: per fortuna andò in fumo soltanto la base in legno della statua, il drago, piedi e gambe fino ai ginocchi dell’Arcangelo, e fu possibile recuperare tutto il resto grazie a un accurato restauro.
Abbiamo inoltre, in via Calvario, il bell’affresco di Michele D’Acquarica (1886-1971), e, infine, in un reliquiario argenteo, un pezzo di roccia estratto dalla grotta del santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano. Si dice che, a partire dalla quarta apparizione dell’Arcangelo avvenuta nel 1656, “Chiunque avesse devotamente tenuto con sé quelle pietre sarebbe stato immune dalla peste”. Speriamo.
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Proprio in questi giorni si festeggia solennemente il protettore di Noha. Ma in mancanza delle luminarie, della cassa armonica, e delle altre installazioni come tradizione vuole (ma come pare epidemia non voglia), la facciata della chiesa matrice di Noha è stata interessata da effetti speciali, meglio definiti come “sculture di luce”. La cosa - che può piacere o non piacere (sui gusti non si discute, punto) - ha però evidenziato ancora una volta quanto le due cavità poste ai lati della facciata monumentale della chiesa nohana manchino dei loro ospiti diciamo naturali. E questi ospiti, a nostro avviso, non potrebbero che essere San Michele Arcangelo e la Madonna delle Grazie, compatrona di Noha. In alto poi, sul piedistallo architettonico che emerge al centro appena poco sopra il rosone, si potrebbe issare il padrone del duomo nohano, cioè il Cristo. Il tutto ovviamente in pietra leccese, con fattura di altissima qualità, per il genio e le mani magari di artisti (più che artigiani) salentini, in grado di produrre opere, si spera, di rara bellezza.
È un’idea, questa, che lanciamo così, e che ci auguriamo sia presa in considerazione, discussa (magari in un gruppo di lavoro), studiata e progettata. Una volta disegnata, per quanto ovvio, bisognerebbe pensare a come finanziarla.
Le cose belle si fanno con qualche sacrificio, e sono ancora più belle se frutto di un dono che per definizione non vuole nulla in cambio. D’altronde sullo scudo di San Michele sta scritto: Quis ut Deus, e non Do ut Des.
Allora, buon onomastico a tutti i Michelini e le Micheline. E buona festa (sobria) ai nohani e ai loro ospiti di ogni dove, sempre benvenuti a Noha.
La Redazione di Noha.it
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