ott172016
Non so voi, ma io sono seriamente preoccupato per l’esito del reverendum del 4 dicembre prossimo.
Nossignore. Non credo ai sondaggi di opinione che danno il NO in vantaggio: stupidaggini pure. E se anche fosse, in nove settimane e mezzo Cetto Superman, grazie all’occupazione di ogni canale televisivo (incluse le reti Mediaset dell’amico Silvio) è in grado di ribaltare ogni più pessimistica (per lui) e ogni più ottimistica (per noi) previsione.
Pur di raggiungere il suo personale risultato il presidente del Consiglio dei Sinistri sarebbe addirittura capace di promettere il ponte sullo stretto di Messina e la riduzione delle tasse. Anche se non credo che possa arrivare fino a questo livello. Voglio dire che non penso si metta a scavare subito dopo aver toccato il fondo con una riforma vergata con i glutei.
La macchina da guerra governativa (ma un governo veramente democratico non dovrebbe astenersi da una competizione del genere?) non bada a spesa pubblica pur di raccontare le serial corbellerie che convinceranno la maggioranza degli italioti che “alla fin fine una costituzione vale l’altra”, che “non cambia sostanzialmente nulla”, che “le leggi saranno approvate più velocemente”, che “questa riforma si attendeva da 70 anni”, che “avremo più governabilità”, che “vengono assicurate più autonomie locali”, che “la riforma farà risparmiare miliardi”, che “la prima parte non viene toccata”, che “la nuova carta non è perfetta, ma è meglio di niente”, che “la Costituzione è vecchia”, che “se non si fa questa riforma, passeranno altri trent’anni prima di potervi di nuovo metter mano”. E altre scemenze del genere imparate a memoria e ripetute a pappagallo dagli affiliati al clan governativo. Le ho sentite tutte con le mie orecchie, giuro.
A parte il fatto che, mutatis mutandis, questa schizzoforma viene periodicamente riproposta dalla P2 sotto mentite spoglie, con il solito piano di rinascita “democratica” che prevede la trasformazione del nostro Stato in un ossimoro, vale a dire la “repubblica autoritaria”, state pur certi che all’indomani dell’eventuale esito negativo del referendum (ipotetica del terzo tipo, purtroppo) ci sarà il Napolitano di turno che, o con bicamerali o con i saggi o con altre porcate del genere pseudo-istituzionale, proverà di nuovo a trasformare la Costituzione più bella del mondo (non fosse altro che per lo stile letterario, la sobrietà e l’eleganza) in un cesso immondo e pericoloso, scritto più che con penna e calamaio, vista sostanza e morfologia, con pena e culomaio.
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A pag. 23, del bel volume di Michele Ainis e Vittorio Sgarbi dal titolo “La Costituzione e la Bellezza” (La nave di Teseo, Milano, 2016, pagg. 347, 22 Euro) così scrive Sgarbi – e raramente, come stavolta, convengo con lui: “La Costituzione è un monumento. E, come ogni monumento, è minacciata dall’incuria, e perfino dai restauri. Il restauro di un monumento può essere sbagliato, e alcuni interventi di adattamento – quelli che chiamano “ristrutturazione” o “riqualificazione” – in realtà alterano il monumento, che ha la sua forza nell’integrità. L’integrità costituzionale è ciò che rende il monumento degno di questo nome; appena qualcuno vuole adattare una porta o una finestra, creare situazioni che riportano quegli spazi alle necessità pratiche, si rischia di perdere la forza del monumento.”
Ecco quel che accade quando qualcuno, guidato dal vegliardo della situazione (in genere più anziano della Costituzione stessa), si mette in testa di “ristrutturare” o “riqualificare” la nostra Magna Carta. Supponendo che ‘magna’ sia voce del verbo.
[continua]
p.s. Grazie a Marcello D’Acquarica che finalmente è ritornato a far riflettere con la sua satira.
Antonio Mellone
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