dic042014
La festa di S. Martino, che nel Salento è una delle feste più popolari e amate, perché si beve e si mangia per il vero piacere di farlo, in un certo senso introduceva nel clima festaiolo delle tradizioni natalizie. Ma era la festa dell’Immacolata, posta in pieno tempo di Avvento che faceva pensare al Natale ormai vicino.
A Noha la festa dell’Immacolata si celebrava e si celebra ab immemorabili in chiesa, con relativa novena di preparazione, appunto, di nove giorni.
L’Immacolata Concezione è un dogma di fede dichiarato ufficialmente solo nel 1854 da papa Pio IX. Ma a Noha la festa si celebrava non so dirvi da quando, ma sicuramente da molto, molto prima.
Infatti, negli antichi registri dei matrimoni, nel 1698 per esempio, si trova la pubblicazione di un matrimonio officiato proprio l’8 dicembre, nel giorno della festa dell’Immacolata. Anche nella chiesa piccinna fin dal 1850 si conservava in una nicchia a muro la statua dell’Immacolata. E poi ancora oggi nella chiesa madre c’è la bellissima tela con relativo altare dell’Immacolata, sicuramente d’inizio Seicento, ora lodevolmente restaurato.
Quando io ero chierichetto (e bisogna andare indietro di un po’ di anni, oltre 70 anni fa) non c’era ancora la messa vespertina. La sera c’era solo una funzione detta “serotina”, con rosario e benedizione eucaristica. Le due grandi feste, quelle del Natale e dell’Immacolata, erano precedute da una solenne novena che si celebrava la mattina, molto presto, prima che sorgesse il sole.
L’impostazione della vita aveva dei ritmi diversi da quelli di oggi. La gente, la maggior parte composta da contadini e anche molto praticanti, prima di cominciare la giornata nei campi si riuniva in chiesa per la novena dell’Immacolata. E allora davanti all’antico altare dell’Immacolata, si partecipava con canti e preghiere in latino, mentre l’organo a canne con mantici a manovella, posto in alto sull’altare maggiore, accompagnava le sacre melodie. Si finiva con la Messa cantata, giusto in tempo per fare una frugale colazione e partire per il lavoro o per la scuola. Si partecipava anche alla S. Comunione, se si rispettava il digiuno non di un’ora, come oggi, ma a partire dalla mezzanotte.
La vigilia della festa dell’Immacolata era giornata di digiuno. Mamma per invogliarci ad amare la Madonna ci faceva fare un fioretto, quello di mangiare panettu mpudhrinasciatu, dicendoci che ci sarebbe spuntato un dente d’oro. Ma gli abitanti di Noha, come tutti i salentini, capaci di addentare senza problemi le durissime frise e le fin troppo croccanti fave rrustute, hanno sempre dimostrato talento e capacità nel mangiare le tondissime pucce. E sì! Le pucce erano e sono ancora oggi una bella tradizione della festa dell’Immacolata. La vigilia, invece, era la giornata dedicata alle bocche capaci di mordere pucce alte più o meno dieci centimetri, le quali si potevano imbottire con ogni ben di Dio.
Per chi rispettava la tradizione la puccia era imbottita con tonno casareccio, sarde sott'olio e pomodori. C'è chi la tradizione la rispetta ancora, magari modificando il condimento, con l’aggiunta di melanzane e carciofini sott'olio, alla faccia del digiuno; ma c’è anche chi oggi arriva a farcire la puccia con tutto ciò che gli capita sottomano, impastando il tutto con tomato e maionese, proclamando così la candida Immacolata come la dea protettrice delle paninoteche!
La vigilia dell'Immacolata un tempo era giornata di digiuno: oggi non più. Ma dopo la "parca mensa" della vigilia, la sera si festeggiava "ulteriormente" a tavola con i cibi della festa: pittule, viermiceddhri cu lu baccalà e rape.
Pensate alla mia delusione, quando nel mio curriculum di preparazione alla vita missionaria, a soli 15 anni dovetti lasciare il Salento e trasferirmi in Piemonte per continuare gli studi nel seminario missionario: rimase solo la festa religiosa. Peggio ancora quando fui inviato in missione in Canada, dove l’8 dicembre non era neanche festa di precetto.
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