Di Antonio Mellone (del 27/01/2024 @ 22:20:41, in NohaBlog, linkato 559 volte)

Nossignore, nel titolo di questo pezzo non c’è alcun refuso tipografico. La sostituzione di consonante ad “autonomia” che ha poi prodotto “autotomia” (la quale, come noto, è la capacità di alcuni animali di auto-mutilarsi - ma almeno loro lo fanno per scopi di sopravvivenza) è puramente causale, ed è riferita all’ennesimo siluro lanciato fresco fresco ai danni di quella che fu la nostra Carta Costituzionale, questa volta sotto forma di DDL (disegno di legge) che per caso porta il nome dell’odontoiatra bergamasco divenuto inopinatamente - e purtuttavia per la terza fiata nel corso del presente XXI secolo - ministro della Repubblica: a questo giro addirittura “Per gli Affari Regionali e le Autonomie”.

Del noto giureconsulto si ricordano, in ordine sparso, il suo primo matrimonio in rito celtico (immagino con la benedizione di Odino e i brindisi a sidro al posto dello spumante); una legge elettorale poi bocciata in più parti dalla Consulta e guarda un po’ definita Porcellum, chissà quanto in suo onore; la brillante uscita su una ex-ministra di colore (“Quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un orango” [sic]), per dire dell’apertura mentale del personaggio; il famoso lanciafiamme per “incenerire 375 mila leggi inutili” allorché ricopriva il ruolo di ministro “Per la Semplificazione”, a proposito di Numeri Immaginari e di sortite folkloristiche; e numerose ulteriori varie ed eventuali.

Ma stavolta il problema principale non è mica il soggetto, ma l’oggetto. E a onor del vero v’è da aggiungere il fatto che ogni “riforma” che ne abbia rimaneggiato il testo in vigore dal 1948 si è comportata di fatto da proiettile esplosivo in grado di annientarne uno o più principi fondamentali, dico sempre della Costituzione: inclusa per esempio la modifica del suo titolo V avvenuta nel 2001 per le mani – o per i piedi – della sedicente sinistra ovvero diversamente destra allora al governo, poi sigillata dal 64% circa di Sì al referendum costituzionale, al quale, per la cronaca, partecipò più o meno il 34% degli aventi diritto al voto. Non so perché a tal proposito mi viene in mente la monaca di Monza del Manzoni con i suoi ripetuti Sì, e il successivo inesorabile “la sventurata rispose” (ovviamente ancora una volta di Sì), per dire quanto forse sia ormai complicatissimo innescare la retromarcia, e quanto, paradosso per paradosso, sia purtroppo vera l’asserzione secondo la quale chi ora è contro l’Autonomia Differenziata è contro la Costituzione.

 

E non sembri una contraddizione o un’eresia. Anzi, credo che accanto agli economisti classici (dico Marx, Ricardo, Smith o mister Malthus) o ai neoclassici, ma aggiungiamoci pure i contemporanei Stiglitz o Piketty, e gli altrettanto a me cari Serge Latouche e Maurizio Pallante (con quest’ultimo, tempo fa, ebbi modo di discettare personalmente di decrescita felice), dicevo, accanto a tanti economisti non sfigurerebbe di certo Giacomo Leopardi.

Mo’ sarà pure una mia deformazione professionale ma credo che Giacomino nostro un messaggio in termini di sistema economico alternativo all’attuale l’abbia dato eccome. E sennò cos’altro potrebbe essere quel concetto di bellezza che non sta nell’avere o nel consumare, o quella felicità che non si può comprare non avendo in sé un valore di mercato, e quel tempo così limitato che vale incommensurabilmente di più di qualsiasi capitale per pronta cassa, e  quella ginestra che resiste nonostante il deserto e la crisi, e il bisogno di infinito che ti prende davanti a un limite, una barriera o una siepe. Per non parlare poi del pessimismo eroico, il quale non è altro che catena sociale, solidarietà tra esseri umani, comunità d’intenti.   

Leopardi ci racconta la vita così com’è, non finge, non mente, non t’inganna mai, non edulcora la pillola, non dissimula, non è alla moda, e non è complice del verbo dominante. Se oggi tenesse un blog o scrivesse su un giornale cartaceo non prenderebbe in giro i suoi lettori con le usuali decrepite parole d’ordine (sport preferito, a quanto pare, dai “giornalisti” di gazzette e quotidiani padronali), anzi chiamerebbe crimini le bombe, e assassini i governi che le lanciano autodefinendosi democratici; si farebbe beffe del refrain “sviluppo & crescita” ridicolizzandoci con le sue esilaranti “magnifiche sorti e progressive”, satireggerebbe ferocemente contro l’attuale “Secol superbo e sciocco” nel corso del quale lo scollamento tra narrazione prioritaria e realtà fenomenica sembra aver raggiunto il culmine.

 
Di Redazione (del 27/12/2023 @ 08:34:15, in NohaBlog, linkato 748 volte)

Giovedì 28 dicembre 2023, alle ore 18.30, nella chiesa madre di San Michele Arcangelo di Noha avrà luogo un grandioso concerto di fiati e percussioni a cura degli allievi della scuola di musica dell'oratorio "Madonna delle Grazie", diretti dal M° Lory Calò.

Concerto di fine anno molto francescano, vale a dire povero di sponsor, patrocini, frizzi, lazzi e chiacchiere, ma ricchissimo di arte, passione e dignità.

Un'occasione unica di crescita culturale e di arricchimento spirituale.

I cittadini di Noha e dintorni, e i loro ospiti, sono invitati.
Ingresso libero.

Noha.it

 
Di Antonio Mellone (del 17/12/2023 @ 17:06:30, in NohaBlog, linkato 519 volte)

La Porsche s’è messa in testa (e non c’è verso di farla desistere) di imprimere un’accelerazione all’economia del Salento, innestare il turbo all’inossidabile trinomio “Sviluppo, Crescita & OccupaZione” (Z dolce alla leccese) e - con la complicità delle cosiddette istituzioni nonché degli eroici salentini incantati dal sogno demiurgico - trasformare quel che resta di questo lembo di terra in un parco a tema, un villaggio di babbo natale, il paese del bengodi.

Poi ci sono quelli come me, misoneisti, tecnofobi e un tantino gufi che non colgono le potenzialità delle novelle Disneyland nostrane, e parlano (per fortuna inascoltati) di rapporti di forza sbilanciati, di non-luoghi, di prepotenza e disprezzo del bene comune, di monopoli e profitto di pochi, e di una landa come la nostra che conta quanto uno zero posto a sinistra di un numero significativo.

Pare che per colare tutto il Ben Di Dio previsto dai piani di investimento della multinazionale dei bolidi rombanti non bastavano i 700 ettari del famigerato anello neritino: ne serve qualche altro centinaio abbondante anche fuori le mura, che se no le piste, a naso, non vengono bene. Ora, grazie all’ok degli enti pubblici territoriali, si potrà finalmente procedere senza alcun indugio all’esproprio dei terreni adiacenti all’ecomostro sacro per via della famosa “Pubblica Utilità” (ormai è rimasto soltanto il Quotidiano a scriverla senza virgolette). Anzi per essere più precisi: “Motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” [sic], li chiamano così: Imperativi. D’altronde siamo o no la periferia di un Impero, onde Sud è prefisso di Sudditanza?

Provvidenzialmente i lavori di sbancamento sono già iniziati di buona lena, alla faccia di noialtri cospirazionisti che sprechiamo il nostro tempo in studi, manifestazioni e dibattiti, mentre per sua indole e formazione il Capitale è pragmatico e non ha nemmeno un minuto da perdere.

Ora v’è da riconoscere che l’agguerrito studio associato di ingegneri, architetti, geometri, legulei, economisti, lobbisti e altri guastatori, senza escludere qualche ambientalista di bocca buona (voltagabbana direbbero i complottisti) al soldo della notoria teutonica efficienza ha riflettuto proprio su tutto. Pensate, la multinazionale ci offre sul vassoio d’argento, oltre a un bel po’ di piatti di lenticchie, ben altre “compensazioni” altrimenti dette “ristori” o alternativamente “misure di attenuazione”. Non ti dico, signora mia, l’attenzione all’ambiente e all’habitat naturale, alla fauna e alla flora, onde non sai più se il piano particolareggiato sia stato redatto dall’impresa proponente o direttamente dal WWF, mentre il sito neritino s’è colorato così tanto di green da fare invidia al parco nazionale d’Abruzzo e all’Amazzonia messi assieme. E pazienza se poi vorranno spostare il bosco d’Arneo col carroattrezzi. Ma a tutto questo ci vogliono aggiungere “un centro medico con eliporto e una nuova e più ampia stazione degli addetti alla lotta antincendio”. Wanna Marchi chioserebbe il tutto con bel: “D’accordooo?”

Soffermiamoci soltanto sul primo punto (ché l’antiemetico che ho preso sta per terminare i suoi effetti). In pratica l’azienda, visto che lo stato sociale italiano (o welfare come direbbero i puristi della lingua) sembra essersi messo in aspettativa, ha sentenziato: “Mo’ vi faccio vedere io come vi sistemo per le feste”; e ha escogitato persino la “realizzazione di un centro di elisoccorso attrezzato con eliporto e annesse strutture sanitarie da integrare nel sistema sanitario regionale per fronteggiare le emergenze e garantire la sicurezza sanitaria con particolare riferimento al Salento. […] L’eliporto, così come configurato, oltre alla pista di atterraggio e decollo degli elicotteri con gli hangar, le officine ed i servizi di supporto, prevede anche un centro sanitario attrezzato per il primo soccorso, con attrezzature adeguate e con la presenza di personale medico e paramedico, h 24 per 365 giorni l’anno, disponibile sia per i  fruitori del Nardò Technical Center, sia per tutte le emergenze che necessiteranno di interventi immediati, come la cura delle malattie tempo dipendenti o derivanti da incidentalità”. In estrema sintesi, grazie a codesto Masterplan salveremo la sanità salentina, che dico, pugliese. E così grazie ai Porsche potremo procedere tranquillamente alla chiusura, pardon, al “piano di riordino” dei superstiti ospedali del Tacco, tanto nel novello paradiso terrestre vi sarà abbondanza di tutto quello che non si trova nei Pronto Soccorso nostrani (e del resto d’Italia). Per questa imperdibile opportunità la popolazione tutta dovrebbe essere grata anche alla Regione Puglia e al Comune di Nardò, salvo altri, che hanno firmato una convenzione o più precisamente una circonvenzione non dico senza fiatare, ma senza manco un colpo di tosse, un’alzata di ciglio, uno storcimento di muso.  

Infine, se caso mai non dovessimo accettare (ipotetica del terzo tipo) il pacco all-inclusive così gentilmente confezionato dai nostri magnati, filantropi e mecenati d’oltralpe, apriti cielo: scenari apocalittici, turismo annichilito, invasione di locuste e altre piaghe di Salento, ovvero d’Egitto, Pil sottoterra, “declino tecnologico e commerciale delle attuali piste” e, badate bene, “aumento del rischio di compromissione degli habitat” non disgiunto da “l’esaurimento del positivo indotto socio-economico sul territorio, derivante dalla presenza di clienti e visitatori da tutto il mondo”, [tutto nero su bianco eh, ndr.]. D’altronde lo sanno in tanti ormai che il sole bagna, l’acqua asciuga, la neve scalda, il fuoco raffredda, e il famoso anello (al naso) NTC porterà oro incenso e mirra.

Mentre leggevo tutto quel popò di materiale inviatomi dalla mia amica avvocato pensavo tra me e me: però è proprio vero che il cretino è sempre più ingegnoso delle precauzioni che si prendono per impedirgli di fare le più grandi porschate.

Ecco perché di tutta questa sagra del porsche a noi non rimarrà che la solita porsche de fiche.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 03/12/2023 @ 15:11:31, in NohaBlog, linkato 479 volte)

Tutta la mia solidarietà ai superstiti lettori del Quotidiano dei salentini, pardon volevo dire dei calatini (abitanti del comprensorio di Caltagirone) che, li mari, non immaginano che in loco possano esserci delle persone pronte a marciare contro ogni genere di violenza (e non soltanto – giustamente - contro la violenza di genere).

Purtroppo per certe istanze di civiltà diciamo poco ortodosse i manifestanti non sono mai stati numerosissimi [dai, consoliamoci con le code chilometriche davanti al Mc Donald’s, ndr.], chissà se non anche a causa della Stampa Corale, altrimenti detta Informazione Uniformata, affaccendata in tutt’altre faccende, tipo riportare fedelmente la voce dei padroni sbianchettando le notizie rognosette e dando così vita alla novella figura professionale del giornalista-imbianchino iscritto all’ordine.

Vero è che non si può mica pretendere che su certe testate ci scriva Julian Assange, il quale, per aver documentato dei crimini di guerra, è in prigione da un bel po’ e chissà per quanto altro ancora (mi sa che han gettato via la chiavetta); ma tant’è.    

Dunque, salvo errori e omissioni, la news scomparsa questa volta dai radar, certamente per una dimenticanza (lungi da noi il sospetto di malafede), è quella del corteo contro le punizioni collettive inflitte da uno stato a milioni di cittadini inermi a suon di missili a vernice democratica in quel lager chiamato striscia di Gaza. A Lecce, domenica pomeriggio 26 novembre 2023, a sfilare da Porta Rudiae a Piazza Sant’Oronzo eravamo un migliaio di eretici (qualche centinaio per la Questura; zero virgola qualcosa per il resto delle mezze calzette locali) per dire ancora una volta di No all’ennesima guerra di cui questo secol superbo e sciocco e forse un tantino delinquente sembra non poter fare a meno. Questa volta, per appurare la prematura dipartita della notizia ho dovuto sfogliare ben tre numeri consecutivi del suddetto Quotidiano, quelli del 27, 28 e 29 novembre, dalla prima all’ultima pagina, senza saltare i necrologi: ma niente. Però vivaddio grande spazio alle magnifiche sorti e progressive dei numeri del Pnrr decantati dal Fitto nostrano, ospite niente poco di meno che del programma vespasiano “Cinque minuti”, nonché alle lunghe imperdibili interviste a Paolo Crepet su come vivere e, ça va sans dire, sull’argomento della violenza di genere, e soprattutto tanta enfasi agli approfondimenti sul “pensiero” del braccio destro del presidente Giorgia, tale Alfredo Mantovano, oltre alle previsioni del tempo, e a cose un po’ più serie, sopra tutte l’oroscopo. Perché ho dovuto compulsare tre numeri del Quotidiano e non uno soltanto? Per mere questioni di rigore scientifico: del resto lo diceva pure Agatha Christie che “un indizio è un indizio, due indici sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”.

Ebbene sì, c’è chi sfila e chi si defila; chi fa resistenza e chi si beve la resilienza; chi prova a spiegare che il popolo palestinese ha diritto a una patria e chi tifa per i bombardamenti ‘ndo cojo coio, e non sai più tra le parti in causa chi sia il più terrorista, mentre le vittime son sempre le stesse [“Alla fine dell’ultima guerra c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente”, così l’eterno Bertold Brecht, ndr.]; chi denuncia violazioni dei diritti umani e chi giustifica occupazioni e colonialismi e  blocchi di aiuti umanitari e apartheid; chi è pacifista di piazza e chi bellicista da divano.

Insomma, c’è chi prova a dare informazioni a 360°, e chi soltanto a 90°.

Antonio Mellone

 

In questi giorni ho avuto l’opportunità di visitare la nostra chiesetta dedicata alla Madonna di Costantinopoli. Era da un bel  po’ di lustri che non vi entravo.

Vi dirò: sono rimasto favorevolmente colpitodalla trasformazione, l’ampliamento e l’interesse manifestato dai numerosi benefattori succedutisi nel tempo. Ho notato con soddisfazione la lapide posta a destra dell’entrata a perenne memoria della benedizione della campana, avvenuta il 16 marzo 1975 dal vescovo Antonio Rosario Mennonna (Muro Lucano 1906 – Muro Lucano 2009) nel piazzale antistante la chiesa tra due ali di popolo, e della benefattrice Angiolina Capani di Galatina.

Bella l’unica navata rettangolare, cui si è aggiunto a lato il vano pure esso rettangolare dove sono collocati degli stipi contenenti alcune statue in dotazione della parrocchia, dal Cristo morto che fin dal 1880 era nella chiesa ottagonale greco bizantina dedicata alla Madonna delle Grazie, al busto di San Pio da Pietrelcina al Cristo risorto. Le statue di Sant'Antonio da Padova e dell'Immacolata Concezione invece sono poste all’entrata del tempietto, mentre il grande Crocifisso dell’altare è attualmente in restauro. Ho notato ancora le stazioni della Via Crucis offerte dalla Fam. Antonio Vincenti e Anna Miglietta il 19 aprile 1981, il Tabernacolo offerto da Domenico Masciullo nel 1980, e i banchi in legno della navata offerti da diversi benefattori con la relativa targhetta.

 

La struttura della facciata odierna della chiesetta dedicata in Noha alla Madonna di Costantinopoli è molto semplice. Presenta un’unica porta d'accesso con cornice in pietra leccese. Lateralmente vi sono due paraste lisce sempre in pietra leccese e al di sopra della porta vi è un rosone. La parte superiore del prospetto si chiude a capanna con elementi decorativi nel medesimo materiale lapideo.

L’interno si sviluppa in un’unica navata. La costruzione ha un piccolo campanile con una sola campana. Anche nella relazione della visita pastorale del 1452, nella chiesa “S.Maria de…” di cui ho detto più sopra, si dice che la chiesa ha una sola campana. Negli anni della mia infanzia quando anch’io dimoravo a Noha, ricordo molto bene che nella stanza che oggi funge da sacrestia, separata dalla cappella da una parete, vi abitava una famigliola molto modesta.

Nella nostra chiesetta di via Collepasso oggi vi è un quadro di 134 cm di altezza per 105 di larghezza raffigurante la Madonna di Costantinopoli. Il dipinto è a olio su tavole di legno. Una mano maldestra ha tentato di restaurarlo credo purtroppo non nel migliore dei modi. La bellissima Madonna col Bambino un tempo era sulla parete centrale dell’abside. La Madre di Dio è assisa sulle nubi, indossa un abito rosso mentre un manto azzurro l’avvolge tutta, scendendole fino ai piedi. Un’aureola di luce rischiara il suo volto con le 12 stelle (4 non visibili) secondo l’iconografia tratta dal libro dell’Apocalisse.

La Madonna regge il Bambin Gesù con la sinistra, tenendolo stretto a sé. Il Bambino è vestito di bianco (simbolo di luce) e regge il mondo nella mano sinistra mentre con la destra sembra benedirlo. Ai due lati, uno per parte, sono collocati due Santi: Santa Lucia (Siracusa 283 – Siracusa 304) e San Gaetano de Thiene (Vicenza 1480 - Napoli 1547). In basso, sullo sfondo, ancora una volta la città di Costantinopoli che brucia. Sarebbe bello che questo quadro venisse ripreso da un’equipe di restauratori, e dopo opportuni restauri, rimesso al suo posto, vale a dire al centro dell’abside.

 

L’attuale arciprete don Francesco Coluccia nel 2008 ha fatto restaurare la tela dell’altare del 1717 dedicato alla Madonna di Costantinopoli. Grazie a questo restauro sono apparse con grande evidenza le lettere COD, iniziali del committente: il Chierico Orazio Donno. Orazio Donno era un cittadino di Noha, molto pio e devoto, visto che nei registri parrocchiali è classificato come chierico “selvaggio” o “cresto”, facoltoso e “sagrestano”.

Per quanto riguarda la cappella di via Collepasso dedicata alla Madonna di Costantinopoli possiamo aggiungere quanto segue.

C’è un altro atto notarile molto interessante tra i protocolli del notaio Marc’Antonio Cesari di Galatina datato 23 febbraio 1720, stipulato tra “OratiaPaglialonga vedova del fu Donat’Antonio Donno Doctoris Jure Romano, et Natalitia Donno sua figlia e Oratio Donno dello stesso Casale di Noha, Procuratore della Venerabile Cappella o Chiesa di Santa Maria de Costantinopoli sempre di Noha”. Con molta evidenza qui si parla di una “chiesa” e il riferimento alla nostra attuale chiesetta è indubbio. Madre e figlia vendono un terreno con “arbori sedici di olive sito nel feudo di Noha loco detto Sozzurella vicino li beni di Pietro Mastria da levante, li beni dell’heredi di D. Angelo Vonghia da borea, li beni di Ramondo Capano da gerocco, et altri confini il cui valore, secondo quanto stabilito da esperti comunemente eletti, è di ducati trenta. Ma essendo la proprietà pignorata per quindici ducati da parte di Angelo Antonazzo, Orazio Donno [si tratta sempre del nostro Orazio Donno, ndr.] si impegna a versare i quindici ducati all’Antonazzo per estinguere il debito, e con li restanti ducati quindici alle dette madre e filia in moneta argenti. Il detto Orazio “per sua devotione delega alla detta Venerabile Cappella li detti trenta ducati col peso di celebrarsi lì una Messa l’anno in perpetuum secondo la sua intentione nel giorno della festività del Corpus Domini all’Altare di detta Cappella”.

Si può dunque con certezza concludere che nel 1720 (non con la struttura attuale) esisteva la chiesa della “Madonna di Costantinopoli” sulla via Collepasso.

 

A Noha, appena fuori del paese, direzione Collepasso, s’incontra la bella chiesetta dedicata alla “Madonna di Costantinopoli”.

Quando è stata costruita quella chiesa o una prima di quella?

Grazie alla collaborazione dell’Ingegner Giovanni Vincenti ho potuto consultare un documento di tre secoli fa composto da due atti rinvenuti presso l’Archivio di Stato di Lecce, nei Protocolli del Notaio Marcantonio Cesari che parlano appunto di questa chiesetta.

Intanto è bene ricordare che già nella visita pastorale del 1452 del Vescovo di Nardò Ludovico de Pennis alla sua diocesi si dice che nel territorio di Noha erano elencate 13 chiese, oltre alla chiesa di Sant’Angelo, la più importante e la più ricca di beni immobili.  Due di quelle chiese avevano il titolo di “Santa Maria”, anzi una di queste era detta “S. Maria de…” (non essendo leggibile il titolo completo si può pensare a “de Costantinopoli”: ma questa del 1452 è soltanto un’ipotesi).

Il tipo iconografico di S. Maria di Costantinopoli ritrae, tra l’altro, la città cinta di mura in preda alle fiamme che alcuni storici descrivono come un imponente incendio; altri spiegano quel fuoco, più realisticamente dal punto di vista storico, come conseguenza di un assedio di saraceni.

Sappiamo inoltre con ragionevole certezza che nel 1700 nella chiesa madre di Noha c’era un altare dedicato alla medesima Madonna. La pala di questo altare esiste tuttora, ed è appesa sulla parete a destra di chi entra dalla bussola principale. La tela di autore ignoto è di dimensioni tre metri per due, e ritrae la Madre di Dio in alto con tanti angioletti intorno. In basso sono effigiati, oranti, San Nicola di Bari (Patara di Licia 270 – Myra 343) e San Francesco da Paola (Paola 1416 – Tours 1507).

San Nicola è uno dei santi più popolari del cristianesimo. Il suo emblema è il bastone pastorale e tre sacchetti di monete (o anche tre palle d’oro), perché secondo la tradizione il vescovo Nicola aiutò tre ragazze che non potevano convolare a nozze per la mancanza di dote gettando nelle loro stanze, attraverso una finestra, dei sacchetti di denaro per tre notti consecutive. Ma è facile identificare anche San Francesco di Paola, in quanto i puttini svolazzanti intorno a lui indicano il motto “Charitas”. Tra i due santi, ancora una volta, si intravede Costantinopoli in fiamme.

L’altare nella chiesa madre fu eretto nel 1717 per devozione del Sig. Orazio Donno (1659 - 1729), come risulta nei Protocolli dell’archivio di Stato di Lecce del notaio Marc’Antonio Cesari. L’atto notarile è del 28 gennaio 1717 redatto dal notaio Domenic’Antonio Palamà della Terra di S. Pietro in Galatina e il Chierico Orazio Donno Rettore della Venerabile Cappella di S. Maria di Costantinopoli Casalis Noha come per sua devotione, e per accrescersi il culto de’ fedeli alla Cappella di Santa Maria di Costantinopoli, e per appicciarsi in quella la lampada, e per altri suoi giusti motivi, e perché così li pare e piace, intende donare come che da oggi dona […]alla detta Cappella una curte con una capanda sgarrata sita fuori il Casale di Noha vicino li beni della Baronal Corte da levante e borea, li beni della Parrocchial Chiesa di Santo Angelo, et altri confini”.

 

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