apr162015
Fino a poche ore fa ne avevo solo sentito parlare qualche volta da Antonio Mellone. Adesso è un libro dal titolo: Vivere.
La prima cosa che mi colpisce di questo libro è il colore della carta, quel bianco caldo che mi ricorda la luce fievole di quando ero ragazzo e stavo a casa in via Aradeo, quando l’elettricità si interrompeva e si doveva ricorrere al tradizionale lume a petrolio. Anche al tatto delle dita la carta di queste pagine trasmette calore e serenità. Ma allora Michele è un libro? Non so ancora chi sia, ma sono bastate poche ore, forse meno di due, per entrare nel suo pensiero e carpirne la bontà d’animo, la semplicità e l’ardire. Leggo il suo raccontare e mi lascio trasportare nei posti che descrive. In un certo senso mi ritrovo come immerso nello stesso personaggio che è il fratello di una sorella che ha sofferto, come mio fratello guarda caso anche lui di nome Michele, mancato dopo due lunghi anni di cure. Molte sono le cose che ci accomunano: la passione per il passato, l’attenzione ai cambiamenti del presente, la fierezza per il suo lavoro, l’attaccamento alla propria terra, l’amore per la natura, la poesia, il suono delle campane e quell’osservare con orgoglio le compagne della sua vita, moglie e figlia.
Il suo narrare non ha la continuità di una storia unica, come dice Tiziana Montinari nella prefazione, ma è proprio per questo che in pochissime pagine riesce a farmi volare in modo continuativo sui tanti argomenti che appartengono a molte delle nostre vite, anche se non tutti sentiamo il bisogno di condividerli. Ora Michele non è più uno sconosciuto.
mar162015
Che tu sia un amante della lettura o che soffra di un’intolleranza particolare verso ogni forma di scrittura, arriva il momento nella vita in cui incontrerai il tuo libro. C’è gente che lo trova abbandonato su una panchina alla fermata dell’autobus; altri lo ricevono in dono da un amico, da un genitore, da un’amante; altri lo trovano per caso nascosto su uno scaffale di una libreria tra centinaia di altri volumi o relegato in un angolo di una disordinata bancarella di un mercatino dell’usato o dimenticato tra migliaia di cianfrusaglie nel ripostiglio di una nuova casa; altri ne leggono una recensione su un giornale o seguono il consiglio di qualcuno che prima di loro se ne è innamorato; ci sono persone che trovano il libro della loro vita perché incuriositi dalla piega inusuale del sopracciglio e dall’increspatura del labbro superiore di una donna che lo leggeva in treno.
Ci sono infinite circostanze che portano ad incontrare il proprio libro, strade traverse che incrociano più e più volte la via maestra e che talvolta scegliamo di ignorare. Così è stato per Il medico di corte di Per Olov Enquist, romanzo di cui voglio consigliarvi la lettura e che annovero tra i libri che, per vari motivi, hanno aggiunto qualcosa al mio modo di vedere e affrontare la vita.
feb112015
Giovedì 12 febbraio 2015 alle ore 18.30, presso la sala del bellissimo Caffè Cittadino sito in piazza S. Oronzo a Lecce avrà luogo la presentazione del libro di Michele Liguori "Vivere" (ed. Arti Grafiche Marino, Lecce, 2015).
Michele Liguori ha trascorso la sua infanzia a Noha, ai tempi del secondo dopoguerra. Sicché Noha in qualche modo è andata a finire in questo libro; anzi ne è uno dei "personaggi" principali.
Interverranno Antonio Mellone e l'autore del libro.
La cittadinanza è invitata a partecipare.
set112014
Riceviamo e volentieri pubblichiamo alcune note vergate da Cristian Carallo in merito al libro "In men che non si dica" di Marcello D'Acquarica (ed. L'Osservatore Nohano, Noha, 2012)
Carissimo Marcello,
è il tuo compaesano Cristian che ti scrive!
Innanzitutto ti saluto e ti ringrazio ancora per essere stato così gentile e disponibile da darmi l'opportunità di leggere il tuo libro "In men che non si dica". Per me ora è un piacere essere qui ad esprimere il mio parere e comincio col dirti che all'inizio ero un po' dubbioso. Sai Marcello i saggi autobiografici non sono proprio il mio genere...Amo i racconti d'avventura e di azione di cui spesso vedo i rispettivi film ma le autobiografie proprio no! Mi basta leggere qualche riga per annoiarmi e, diciamoci la verità, a me interessa davvero poco la vita di un autore. Ma il tuo libro partiva con una marcia diversa, con una marcia in più, con quel qualcosa di inspiegabile che ti fa subito dire: "Questo è il libro giusto per me". E infatti, a calcoli fatti, il tuo volume è stato il meglio che si potesse chiedere.
La parte iniziale della valigia secondo me è davvero azzeccata, mi ha fatto capire fin da subito il tono del libro e ho potuto "prepararmi" per quello che sarebbe stato poi lo sviluppo della vicenda. Leggendo la tua opera posso dire che ho notato nelle tue parole serietà, nostalgia ma anche un po' di critica, a volte condivisa e a volte no. Ad esempio trovo giusto il tuo pensiero in merito al lavoro nella parte in cui parli dell'industria paternalistica...anche secondo me ognuno deve essere libero di scegliere il proprio mestiere perchè a mio avviso non si può svolgere una qualsiasi professione senza amarla.
apr172013
Fontamara, oltre ad essere un piccolo centro situato sulla mezzacosta della montagna abruzzese, è anche il titolo di un libro che ho avuto in prestito dalla biblioteca di Rivoli e che ho letto in men che non si dica (Ignazio Silone, Fontamara, Mondadori, Milano, 1984).
Mi ha attratto molto la descrizione degli usi e costumi dei protagonisti; dai mestieri al modo di affrontare le incombenze. E’ descritta la tipica comunità di piccole dimensioni come lo può essere stata, o è ancora oggi, Noha, con le sue tradizioni e regole affidate, o trattenute, dalle solite figure di rappresentanza: il podestà, l’avvocato, il medico, il parroco e qualche nobildonna.
Gli abitanti di Fontamara sono contadini, cafoni, come vengono chiamati i braccianti della terra in quegli anni. Pochi sono quelli che sanno leggere, ma in molti prolifera lo sforzo di farsi giustizia contro tutti i soprusi che il sistema genera, sopratutto contro i deboli.
mag222012
Mi fido del vento. Soprattutto quando sono fuori dal mio Salento e poi è maggio, il cielo è terso e il sole impotente. Mi fido del vento perché ho scoperto che dietro ai suoi sbuffi, all’apparenza casuali, tende quasi sempre a nascondere qualcosa. Per poco, però, perché so anche che non riesce a mantenere a lungo i segreti.
C’è vento, appunto, un vento pungente, quando Giorgio mi avverte che è arrivato un pacco per me. “Ecco, sarà stato il vento”, penso io allora, rincorrendolo all’interno della portineria. In realtà mi consegna un sacchetto giallo ocra del quale decido di non conoscere subito contenuto e mittente. Non lo apro, quindi: ho intenzione di godermi sino in fondo questa strana sensazione che mi fa vibrare come una corda di violino, emettendo di continuo delle mute onde di curiosità che mi solleticano il palato. Lo abbandono sul letto e vado a fare una passeggiata, convinto che ci sia troppo vento per restarsene chiusi in casa.
È ancora giorno quando rientro deluso dalla magra pesca: il sacchetto dal contenuto ignoto mi guarda ansioso, lo afferro di scatto e non posso fare a meno di vedere sul lato corto nome, cognome e indirizzo del mittente, che mi affretto a coprire con il palmo della mano illudendomi forse di aver fatto in tempo a non leggere. Apro col sorriso e tiro fuori un libro, anzi il libro, quello che Raffaella Verdesca qualche giorno prima aveva promesso di farmi avere.
gen072012
Pindinguli, Zaranguli e Scisciariculi è il titolo della raccolta di poesie postuma di Uccio Giannini, edita da Edit Santoro, curata dal professor Gianluca Virgilio e fortemente voluta da famigliari e amici dell’autore, scomparso il 4 dicembre del 2010 all’età di ottantadue anni. Un profano della lingua dialettale leccese caduta in disuso, come il sottoscritto, si chiederebbe: ce suntu ‘sti Pindinguli, Zaranguli e Scisciariculi? A tal proposito viene fortunatamente in nostro aiuto la nota introduttiva di Virgilio: credo che dal significato dei titoli che Giannini volle dare alle sue poesie – afferma il curatore della raccolta - emerga chiaramente la volontà del poeta di presentare il suo lavoro in modo semplice e dismesso, come un corpus di composizioni di poco conto e senza valore.
nov082011
set212011
Se c’è una cosa in libreria che mi dà il voltastomaco e mi fa stringere i pugni e digrignare i denti e che inevitabilmente a priori mi porta a non acquistare un libro è vedere quelle maledette fascette colorate avvinghiate alle copertine, come sanguisughe che ne azzoppano il fascino decimandone la capacità seduttiva. Scelte editoriali alquanto discutibili perché, diciamocelo francamente, bisogna essere alquanto sempliciotti per scegliere un libro solo per il fatto che milioni di persone l’abbiano già letto, o perlomeno acquistato, prima di noi oppure che l’autore abbia già scritto quel tale romanzo.
Detto ciò, il libro che intendo presentarvi mi è stato regalato e come tale non poteva non avere un’orrenda fascetta gialla, che tra l’altro stona tantissimo con la copertina, che già di per sé non è il massimo. Io non l’avrei acquistato per i motivi di cui sopra, ma per fortuna esistono gli amici che a Natale non si dimenticano di noi. Potete quindi immaginare la faccia che ho fatto quando l’ho tirato fuori dalla carta regalo e orgoglioso me lo sono portato sotto il naso: era come se si ostinassero a gettare secchiate di rabbia e tristezza sul mio volto al solo scopo di distorcerne i lineamenti in una smorfia di disgusto. Fatica inutile però: vi sareste aspettati come minimo un urlo, un lancio fuori dalla finestra o in pasto a qualche cane o gatto, e invece ho riso di gusto leggendo le tre righe stampate su quella odiosa fascetta gialla: “I milanesi sono tosti come i rovi negli anfratti ed hanno ben donde d’esserne fieri, ma un salentino a Milano è un girasole in cantina”.