Di Albino Campa (del 16/12/2006 @ 21:56:32, in Racconti, linkato 4335 volte)

"Eccovi di seguito la seconda parte della storia del Tabacchino di Noha, tratta dal -il Galatino-, anno XXXIX, n. 21, dell'8 dicembre 2006. La terza ed ultima puntata di questa mini-serie verrà trasmessa su questi stessi schermi la prossima settimana"

IL TABACCHINO DI NOHA

(seconda parte)

di

Antonio Mellone

Il tabacchino di Cici si trovava proprio di fronte alla Chiesa Piccinna, la Congrega della Madonna delle Grazie, il Pantheon della Nohe de’ Greci, abbattuto nel corso degli anni ’60 (Cici e consorte ospiteranno poi nella propria casa la statua della Madonna delle Grazie per molti anni – nel 2001 la statua ritornerà nella nuova grande Chiesa a Lei dedicata – riservando alla loro illustre “Ospite” il posto d’onore, la cura e l’attenzione che meritava).

*   *   *

Accanto ai beni di Monopolio (sale, tabacchi, fiammiferi, accendini e valori bollati) nel tabacchino di Noha s’iniziano a vendere altri prodotti come i fogli di protocollo (che da ragazzi acquistavamo, a righe o a quadretti, in occasione del compito in classe, sul quale rimanevano impressi i nostri elaborati nelle più disparate discipline scolastiche), le buste per le lettere, la carta copiativa o carta-carbone (scomparsa dalla circolazione) e altri articoli di cartoleria, e poi ancora lamette per i rasoi (un tempo non c’era ancora “il radi e getta”, ma lamette, da riutilizzare più volte nei rasoi eterni), l’ottima crema dopobarba Proraso, introvabile altrove, e poi ancora man mano che il tempo passava, caramelle alla menta o alla liquirizia (le Golìa), gomme da masticare, altri prodotti per l’igiene personale.
Da Cici c’erano anche le cartoline, oggi introvabili, che ritraevano in bianco e nero scorci della Noha del tempo che fu (una loro riedizione o la stampa di nuove cartoline della nostra cittadina oggi non sarebbero poi così fuor di luogo).
Nel tabacchino di Noha si distribuivano anche gratuitamente i libri di testo della scuola dell’obbligo, sussidiari freschi di stampa, abbecedari intonsi, testi bellissimi che hanno introdotto intere generazioni ai piaceri della lettura.
Cici si occupava anche della prevendita dei biglietti per il cinema di Noha, il “Cinema dei Fiori” (chiuso nella seconda metà degli anni ’70), i cui film western, mitologici, fantascientifici, comici, venivano pubblicizzati proprio all’ingresso del tabacchino, con dei cartelloni o manifesti enormi esposti in una bacheca in legno protetta da una rete metallica molto simile a quella della gabbie per le galline.

*   *   *


Da adolescenti ci capitava spesso di frequentare il tabacchino di Cici almeno un paio di volte al dì. Questo non perché necessitavamo delle lamette per la barba (non eravamo che ragazzini imberbi), o perché, bambini viziati, acquistavamo le figurine Panini dei calciatori (erano lussi che solo in pochi potevano permettersi, e noi non eravamo tra questi), e nemmeno perché eravamo fumatori precoci (non lo siamo tuttora). Ma perché non passava giorno senza che almeno un paio di persone adulte ci chiamassero per strada (era sufficiente essere di passaggio), in piazza, o soprattutto al Circolo Cittadino, per incaricarci di acquistare uno o più pacchetti di sigarette e fiammiferi. Si passava dalle Nazionali, alle Esportazioni senza filtro e alle MS, dalle Diana, alle Marlboro, dalle Rotmans, alle Dunhill, o ad altre marche straniere light o strong che non sapevamo nemmeno pronunciare correttamente. I fiammiferi più richiesti erano per lo più i Minerva e soprattutto i cerini (oggi rarissimi).
Cici (invalido di guerra) un signore distinto, elegante, sempre con la cravatta, anche durante la calda stagione, sapeva che sigarette e fiammiferi non erano per noi. E ci serviva tranquillo.
Gli adulti un tempo “te cumandavanu a bacchetta!”. Ci chiamavano: “Vane e ccattami nu pacchettu de Milde Sorte dure e nu pacchettu de pospari…”. E noi di corsa ad eseguire “l’ordine” ed a riportare tutto all’ordinante: sigarette e, soprattutto, il resto: la mancia non rientrava punto nell’ordine delle idee. Si aveva soggezione, quasi timore reverenziale nei confronti dei grandi, quello che oggi (grandi noi; ahinoi!) non ci sembra nutra la novella progenie nei confronti della generazione che la precede.

 
Di Albino Campa (del 11/12/2006 @ 21:55:45, in Racconti, linkato 4925 volte)

Il nostro amico Marcello D'Acquarica che si trova a vivere nel grande freddo del Nord - stamane alle 8.00 a Torino, la sua città d'adozione, la temperatura era di 2 gradi sotto lo zero - ci ha inviato la bella leggenda che proponiamo ai nostri affezionati ospiti. Le leggende, si sa, sono parte essenziale della storia e dell'arte di una comunità. E Noha non è da meno! -Gigetto e Tonio-, i fratellini della novella che ha per titolo "Tra sogno e realtà", come capirete, sono i -Romolo e Remo- di Noha. D'altronde ognun sa che tutte le strade portano a Noha!

TRA SOGNO E REALTA’

(come e prima di Roma)

di
MARCELLO D’ACQUARICA

Sembrava uno dei soliti temporali di mezza estate. Quelli che all’improvviso inondano le vie scoscese di  NOHA (le scise) e, come torrenti in piena, apportano un “mare” d’acqua a valle, trasformando, a volte, la campagna in un grande lago.
Come ogni pomeriggio, dopo l’ora del pranzo (allu schiaccu), ai bambini, veniva “comandato” di mettersi a dormire (“cu dafriscanu nu pocu”).
 
D’estate, l’ora della “canicola” era ed è consigliabile trascorrerla riposando al fresco delle case.
Così, essendo tempo rubato al gioco, i due fratellini, Gigetto e Tonio sgattaiolavano in strada a divertirsi.
Il  temporale era finito ma l’acqua scorreva ancora veloce lungo gli angoli dei marciapiedi: agli occhi dei bambini,  sembravano i flutti di un mare in tempesta.

Costruirono delle barche di carta e delle zattere con  dei  pezzi di corteccia di pino.  Con queste simularono battaglie navali e gare di velieri.  Giocarono per molte ore rincorrendo i loro giochi  nell’acqua a  piedi nudi fino alla periferia del paese.
Così  stanchi e sazi di gioia sedettero a ridosso  dell’uscio  di una casa a riposare e ad  osservare  le loro barche che filavano lontano trascinate dalla corrente. Sempre più lontano…

Quando finalmente si svegliarono si accorsero di essere naufragati su di una spiaggia deserta e costellata  da dune verdi e rigogliose, profumate dall’incenso dei  cespugli di pini marittimi.
Alle loro  spalle, della piccola flotta, vi era l’unica barca rimasta integra, incagliata sul fondale sabbioso e trasparente come lo smeraldo.

Le dune risalivano dolcemente dalla  spiaggia  verso l’interno e sullo sfondo scuro si parava una grande foresta di  antiche querce.
Lo sciabordio del mare e lo stridio incessante dei gabbiani, creavano tutto intorno un’atmosfera quasi surreale, magica. Perfino il vento della tempesta si era ammutolito ed aveva trasformato l’aria tutto intorno in una soave e materna carezza.

Ripresisi dal torpore causato dal lungo sonno e dal naufragio, decisero di inoltrarsi verso l’interno di quell’incantevole angolo per scoprirne ogni possibile nuova meraviglia.
Attraversarono campi infiniti e dolci e basse colline, e quando il sole fu finalmente alto, giunsero in prossimità di un altura. Da qui, voltandosi indietro,  poterono scorgere le cime montuose di una terra lontana, e tutto intorno con lo sguardo, poterono spaziare verso l’infinito.
Desiderosi di vivere in quel posto scelto loro dal Destino, vi costruirono le case e, sul punto più alto delle mura eressero il loro vessillo: uno scudo con  tre torri.
Quando il loro tempo giunse al tramonto, vennero sepolti all’interno delle mura del villaggio che da allora si chiamò Noha (cioè semplicità e gioia).
Ed i Nohani delle nuove generazioni per millenni vissero il sogno dei loro antenati.

 

 
Di Albino Campa (del 10/12/2006 @ 20:17:23, in Racconti, linkato 4236 volte)

Da 'il Galatino', anno XXXIX, n. 21, dell'8 dicembre 2006, per la solita penna di Antonio Mellone, leggiamo la storia del tabacchino di Noha. Ve la proponiamo in tre parti, o, se preferite, in tre puntate settimanali. Anche questo è un contributo per la conoscenza della nostra bella cittadina e della sua storia economica.

IL TABACCHINO DI NOHA
(prima parte)

Abbiamo già detto, e qui lo ribadiamo ancora una volta, che nel nostro recente libro “Noha. Storia, arte, leggenda” (Infolito Group, Milano, 2006; scritto a quattro mani con il P. Francesco D’Acquarica), benché voluminoso, per ovvie considerazioni non abbiamo potuto esporre e citare, rispetto a quanto già fatto, numerose altre storie, esaminare mille altre aziende, parlare di tutti i personaggi di Noha (posto che sia possibile conoscere tutti i personaggi di un luogo, per quanto piccolo questo possa essere)…
Qualcuno ancora oggi ci ferma per strada e ci ricorda le nostre “omissioni”.
Ma eravamo ben consapevoli di questo sin dal principio del lavoro (ed in alcuni brani del testo lo abbiamo anche ripetuto): chissà quante altre cose o accadimenti o soggetti o artisti sono rimasti nelle nostre penne (o nei tasti dei nostri computer). E chissà quanto ancora ci sarà da scoprire, studiare, riscrivere, ripensare, confutare (anche!), gli argomenti o i temi che nel suddetto libro s’è trattato soltanto superficialmente o non s’è trattato affatto. 
In questo intervento tratteremo, dunque, di uno di codesti “omissis”, che, volendo, potrà essere conservato come foglio volante, da inserire tra le pagine del summenzionato tomo: stiamo parlando del “tabacchino di Noha”.
Il tabacchino era ed è forse il negozio più diffuso in Italia. Già sin dagli inizi del secolo scorso, anche a Noha, proprio in piazza San Michele ce n’era uno condotto da tale Ciccio Liguori, ma molti non lo ricordano quasi più… 
L’altro invece che affiora nella memoria di più di un giovanotto dalla manifesta canizie era il tabacchino ubicato all’angolo tra la piazza San Michele e la via Castello, là dove oggi è situata la sede dei Democratici di Sinistra (già sezione del Partito Comunista Italiano).
In quell’angolo c’era un negozietto: il tabacchino di don Lisandro (Alessandro) e di donna Elvira. Don Lisandro e consorte, che abitavano in una stanza al piano superiore della loro bottega, vendevano i prodotti dei Monopoli di Stato come sale da cucina, e tabacco: tabacco da pizzico (da fiuto), sicàri (sigari), tabacco trinciato per la pipa e finanche tabacco da masticazione e le prime sigarette confezionate, che però rappresentavano solo l’eccezione: la maggior parte dei tabagisti, infatti, fumava sigarette autoprodotte artigianalmente, attraverso l’uso delle cartine contenenti tabacco sfuso, tagliuzzato e non lavorato.
In quel tabacchino trovavi anche capisciòle, bottoni e bucàte, bavette per i piccinni, spolette di cotone bianco o colorato. In un lato del negozietto, don Lisandro, per arrotondare, esponeva per la vendita anche coppole, cappelli, berretti e copricapo di ogni taglia (ma senza troppa scelta di forme o colori: non c’erano ancora le sfilate di moda e le griffes dei giorni nostri).
Poi (gli anni pesano a tutti) don Lisandro lasciò; sua figlia Edda “sposò a Gallipoli”, andò a vivere nell’amena città ionica ed il negozio fu chiuso.
Fu riaperto subito dopo, sempre nel cuore di Noha, da Luigi Mazzotta (Cici), originario di Galatina e da sua moglie Antonietta (Tetta): e fu così inizio di tre generazioni di tabaccai, come diremo.

ANTONIO MELLONE

 
Di Albino Campa (del 07/12/2006 @ 16:18:52, in Racconti, linkato 2404 volte)
"Continuano a pervenirci i contributi del nostro amico Marcello D'Acquarica che con grande piacere proponiamo ai nostri visitatori. Ora è la volta di un componimento breve di estrazione popolare, una filastrocca da leggere con ritmo rapido e cadenzato, e un quadro che riproduce il cassetto dei ricordi. Restiamo in attesa di altri interventi e collaborazioni: tessere che ci permettano di ricostruire il mosaico delle nostre radici".
 
 

Ricordo di una filastrocca 

 

Alla una se dissciata u caddrhu (quiddrhu ca mi prepari pe Natale).

Alle doi lu cavaddhru.

Alle tre lu cavaliere.

Alle quattrhu lu furnaru (ca ave fare lu pane pe tuttu lu paese)

Alle cinque lu studente (ca ave studiare… se vole).

Alle sei tutta la gente.

Alle sette lu fallitu (quiddrhu ca nu tene nienti).

Alle ottu propriu, se azza… lu bon curnutu!

 

 

 

 

 
Di Albino Campa (del 22/11/2006 @ 20:51:19, in Racconti, linkato 3264 volte)

" Cari amici il nostro sito va arricchendosi giorno dopo giorno di articoli, racconti, 'cunti', opere d'arte... Come queste di Marcello D'Acquarica, un nostro amico nohano, cittadino del sole, ma dimorante nell'Italia del Nord, al quale inviamo ringraziamenti e tanti complimenti per i suoi geniali contributi. Che sono sempre benvenuti ".

Anime

 Si raccontava, fra l’altro, che una sera lo zio Teodoro, dopo aver trascorso la serata in paese con gli amici, alla “putea” , tornava  a casa in campagna.

Ad un certo punto  cominciò a sentire un lieve battere sulla spalla.

Preso dallo spavento, non ebbe il coraggio di voltarsi e  prese  a pedalare con più grinta.  Il battito però non diminuiva, anzi  aumentava con la stessa velocità della bici.

Giunto finalmente davanti a casa, spalancò la porticina e dopo essere entrato in casa sprangò l’ingresso dall’interno.

Qualcuno sostiene che lo zio  al mattino seguente trovò dietro la porta le orme di chi lo aveva inseguito fino all’uscio. Qualcun altro racconta che era stata la cravatta a battergli sulla spalla. Qualcun altro ancora afferma che quel battito fosse uno degli effetti della serata trascorsa alla “putea” in compagnia degli amici e di un buon bicchiere di negramaro.

Povero zio Teodoro.

 

 

 
Di Albino Campa (del 08/11/2006 @ 12:36:40, in Racconti, linkato 3095 volte)
Nel proporvi questo "Racconto pre-natalizio" di Marcello D'Acquarica e l'immagine dell'interno di una casa della Noha del tempo che fu (dello stesso autore), invitiamo tutti gli artisti: scrittori (o scriventi), poeti, pittori... a farci pervenire le loro opere (sempre via Internet s'intende). Il comitato di redazione del nostro sito non mancherà di pubblicarle per la gioia dei nostri visitatori.


"Cuntu picciccu"

Qualche anno fa, quando la sera faceva buio presto e spesso la corrente
elettrica  saltava e non era colpa della Germania (avevamo i fusibili fatti
in casa: si attorcigliava un pezzo di filo di rame alla "tabacchera"),
prima di andare a dormire, la zia ci drogava con un pò di "cunti".

Si diceva, tra le altre cose,  che alla masseria Colabaldi c'èra
un'"acchiatura" e che se uno la voleva trovare doveva sacrificare  un neonato
buttandolo giù dalla "lammia".
 
Pare che uno degli ultimi abitanti della
masseria abbia tentato di farlo con un raggiro, e cioè buttando giù un
fantoccio di pezza...
A questo punto, raccontava zia, una voce esordì: "e mo' scindi ca ti la pijj".
Cose d'altri tempi.



MARCELLO D'ACQUARICA
 

Canto notturno di un pastore ...

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