"Il reparto di ostetricia dell'ospedale di Galatina non chiuderà. Un risultato importante per la comunità, per cui il M5S si è battuto a tutti i livelli". Lo dichiarano il coordinatore regionale del M5S Leonardo Donno, il consigliere regionale Cristian Casili e il consigliere provinciale Antonio Tramacere.

"Siamo stati i primi  - continuano - a portare concretamente la questione all’attenzione del presidente Emiliano e a dire chiaramente al tavolo regionale, convocato su nostra richiesta, che avremmo messo in campo ogni strumento utile per opporsi a questa decisione della Asl. Abbiamo presentato una mozione in Consiglio regionale per impegnare la Giunta a non chiudere il reparto e a completare i lavori per la rianimazione Covid fermi da giugno 2022. Atti concreti, non passerelle e vuote polemiche. Sul tema per troppo tempo si è fatta polemica e propaganda politica, a questo abbiamo preferito il lavoro concreto per difendere l'interesse dei cittadini a salvaguardia di un diritto fondamentale e di un'eccellenza del territorio salentino. Oggi vogliamo ringraziare i cittadini, medici, infermieri, operatori del reparto e tutti coloro che non si sono arresi davanti a una battaglia che sembrava persa in partenza. Parliamo di una

 

Grande interesse per l’iniziativa organizzata da Pro Loco Galatina il 29 luglio a Palazzo Gorgoni per discutere sul Tarantismo visto sotto molteplici punti di vista, con relatori provenienti da ambiti diversi ed una platea attenta e partecipe nonostante le alte temperature.

Il caldo non ha spaventato i numerosi partecipanti che hanno potuto degustare le prelibatezze salentine proposte dal ristorante il Fienile.

L’organizzazione ha dato la possibilità di scegliere agli intervenuti di assistere sia all’interno comodamente seduti, sia di partecipare al dibattito, dal meraviglioso adiacente atrio di Palazzo Gorgoni, mediante proiezione su uno schermo gigante che mandava in onda la diretta streaming sulla pagina facebook dell’associazione e da cui si poteva partecipare direttamente in presenza.

Il tema “caldo” del Tarantismo, con i vari interventi spontanei nati dal pubblico, libero di esprimere a volte anche opinioni diverse, ha fatto sì che l’interesse crescesse nonostante, raggiungendo oltre ottomila condivisioni.

Una iniziativa ampiamente promossa, quindi, che ribadisce l’efficacia del percorso che Pro Loco Galatina, sta compiendo negli ultimi mesi, per valorizzare le ricchezze del territorio, anche attraverso il convegno che rappresenta una tappa del festival dell’aria consapevole che si svolgerà a Galatina il prossimo 21 agosto.

Il ruolo che le Pro Loco hanno nel nostro Paese grazie anche alla stretta sinergia e la capacità di dialogo con enti ed associazioni a tutti i livelli, ci sprona a dare il nostro contributo per la valorizzazione dei beni materiali ed immateriali, come il Tarantismo.

La vicesindaca Mariagrazia Anselmi, nel riconoscere il lavoro svolto dall’associazione galatinese, in perfetta unità d’intenti con l’amministrazione comunale, ha sottolineato l’importanza di momenti come questo ed ha anticipato come informazione l’affidamento dell’incarico ad una consulente esperta per la realizzazione del percorso di riconoscimento del Tarantismo come bene immateriale dell’Unesco.

 

Il Consiglio Comunale del 26 luglio scorso ha varato le nuove tariffe TARI.

Rispetto al 2023, è stato registrato un aumento del costo gestionale dei rifiuti  complessivamente pari a euro 259.000€.

Al fine di evitare un ulteriore sovraccarico a spese dei cittadini, l’Amministrazione comunale ha recuperato la somma di 260.000€ dal bilancio comunale per venire incontro il più possibile alle fasce più fragili.

“I galatinesi compiono costanti sacrifici e non era il caso di vessarli con un’ulteriore spesa. Per questo, ritrovato da bilancio comunale una somma importante da destinare soprattutto alle fasce più deboli”. Afferma Angelo Sambati, Consigliere Comunale di Maggioranza del movimento Galatina Spazio Aperto.  

“Chi ci ha preceduti, ha recuperato somme per un massimo di 50.000€, mentre noi in meno di due anni abbiamo ricavato una cifra quintuplicata per calmierare l’aumento TARI”. 

Nell’ultima Assise, il dibattito è stato molto acceso e, per questo, Sambati puntualizza: “Sono i fatti a smentire le falsità di parte dell’opposizione che esercita il proprio ruolo creando allarmismo e diffondendo coscientemente e costantemente menzogne. Abbiamo sottratto fondi da ciò che qualcuno chiama “festini”, mentre in passato i soldi dei cittadini venivano destinati a mostre fotografiche di dubbia utilità”.

È possibile richiedere lo sconto TARI e verificare l’idoneità per poterne usufruire, visitando il sito del Comune di Galatina - https://www.comune.galatina.le.it/novita/agevolazione-sulla-tassa-dei-rifiuti/ - o contattando l’ufficio Tari. 

Sarà possibile presentare la domanda entro il 30/09/2024.

Alessio Prastano

 
Di Antonio Mellone (del 03/08/2024 @ 13:19:51, in Fetta di Mellone, linkato 335 volte)

La mia ammirazione per il sindaco Fabio Vergine rasenta ormai l’idolatria. Il nostro Leader Nato (“nato” voce del verbo, e lui lo nacque con tanto di autocertificazione) sembra dare il meglio di sé nel corso dei mesi del solleone, con brevi ma intensi exploit anche tra Natale e Capodanno (e qualche chicca di raro acume perfino durante il triduo pasquale), e non saprei dire se per via dell’afa eccessiva o perché crede che io non abbia argomenti a sufficienza per le fette di Mellone: ergo vorrebbe fornirmene abbondante materia prima.

Non sto qui a ricordare i precedenti negramarognoli primavera/estate 2023 che trasformarono le celebrazioni per il Ventennio di una famosa band salentina in una figura di stallatico universale per Galatina e dintorni, con indelebili incolonnamenti di autoveicoli stile Il Cairo d’Egitto, bestemmie degli astanti da far paura ai morti e non poche allusioni (da parte delle vittime di quell’aristocratica sciatteria) circa la dubbia onorabilità delle nonne rispettivamente di organizzatori e trombettieri più o meno istituzionali dell’evento.

Qualche giorno fa il nostro sales manager nelle vesti di primo cittadino ha diramato a profili social unificati uno dei suoi proverbiali lieti annunci dotandolo di un video da pubblicità progresso, attraverso il quale – con tanto di musichetta acchiappa-gonzi di sottofondo, una parlantina micidiale e sottotitoli a caratteri cubitali per rimarcarne i passaggi reality più memorabili - fa sapere a noi altri che non capiamo una mazza di marketing territoriale; che le apparizioni televisive - tipo quella su Canile 5 di “Galatina mia” insieme ad Angelina Jolie Mango, costata quel che è costata (ma “non basta pagare, serve anche saperci fare”, proclamò a gran voce il nostro advertising guru qualunque cosa avesse voluto dire) - produrranno non so più quanto ritorno in termini di galatinese AT-TRAT-TI-VI-TÀ (lemma da scrivere e soprattutto proferire in maiuscolo e con la suddivisione in sillabe); che, insomma, il tempo di “festi e  festini” [sic] continuerà senza requie e fatevene una ragione una buona volta tutti quanti; che finalmente “è stato tolto il tappo a tutti coloro i quali la pensano come noi” (poverini, chissà quanto avranno sofferto tappati in casa appunto per via dei Dpcm); che “non ce la potete fare a capirlo” (‘ntorna); che “continueremo a dare la massima attenzione alle fasce deboli” (non osiamo chiedere come, e soprattutto se qui il concetto di debolezza si riferisca all’udito o al comprendonio di codeste fasce); e che insomma “la vecchia governance” (e ci può stare che una civica amministrazione venga ridenominata governance visto che la Basilica è già una location) altro non era che un’accozzaglia di “musi lunghi” fatta partito, oggi per fortuna dismesso, fermato, FI NI TO [sic].

Standing ovation ovviamente da parte dei fan più attivi, dei camerati estasiati, e dei caporali di giornata dell’adorante community, tutti pronti a vergare in calce al suddetto comunicato l’usuale sintesi epesegetica dell’incondizionata venerazione nei confronti del loro beniamino, compendiabile nella salmodiante locuzione: “Grande Fabio!!!” (tre o più punti esclamativi, mi raccomando).

Superata la paresi dei primi istanti mi son detto che boh, alla fin fine, tutto sommato il tipo non ha mica tutti i torti. Certo, l’unico aspetto negativo di tutta questa piazzata è stato quello di farci risultare simpatico perfino l’ex-sindaco Marcello Amante;

 
Di Redazione (del 05/08/2024 @ 10:11:50, in Comunicato Stampa, linkato 318 volte)

Nell’ambito del progetto “Periferie al centro”, promosso dalle Associazioni “Virtus Basket Galatina", #ballaperme e Comitato Festa "Cuore Immacolato di Maria" Galatina, si vogliono mettere in atto tutte quelle azioni di valorizzazione urbana per il miglioramento della qualità della vita, di riqualificazione urbana e di sicurezza delle periferie.

𝐈𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐢𝐟𝐢𝐜𝐨 𝐜𝐚𝐬𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐑𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚.

Dopo il grandissimo successo dell'iniziativa “La notte bianca dei Bambini - Rione Italia in festa” dello scorso 05 luglio arriva un'altra fantastica sorpresa:

"𝐈𝐥 𝐜𝐢𝐧𝐞𝐦𝐚 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐞𝐥𝐥𝐞... 𝐝𝐞𝐥 𝐑𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚".

Trasmetteremo, tramite retro proiettore, un film su Piazzetta "G. Fedele" via Soleto - Galatina. Un film che siamo sicuri attirerà l'attenzione dei bambini, ma anche dei genitori. Il tutto gratuitamente.

Info: Gianni de Matteis: 329-8566837;

Sandro Argentieri: 333-4368532;

Piero Luigi Russo: 349-8471729.

𝐈𝐥 𝐑𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐯𝐞 𝐭𝐨𝐫𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐥 "𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐨" 𝐝𝐢 𝐆𝐚𝐥𝐚𝐭𝐢𝐧𝐚.

 

Martedì 30.07.2024 si è concluso il primo ciclo di tre incontri dei cinque previsti dal Piano Locale degli Interventi del progetto “Galattica” nodo di Galatina, la nuova iniziativa della Regione Puglia dal grande valore sociale e che punta a soddisfare la richiesta di partecipazione dei giovani e delle giovani pugliesi.

Gli incontri hanno riscosso un notevole successo in termini di gradimento e presenze, come dimostrano le foto pubblicate sui social. Sono stati numerosi i ragazzi che, spinti dalla curiosità di conoscere le esperienze dei giovani imprenditori galatinesi, hanno partecipato attivamente al dibattito, proponendo domande e concedendo riflessioni. 

Il primo incontro, presentato dalla dott.ssa Concetta Strafella e dal dott. Giampaolo Bernardi, ha visto ospite l’imprenditore Dario Perrone, AD di Eurofood Service, il quale, attraverso una storia di grande coraggio, è riuscito a coltivare la sua passione fino a realizzare il suo sogno: diventare leader nel settore della distribuzione di prodotti alimentari all'ingrosso per bar, pub, pizzerie e ristoranti, sia a livello nazionale che internazionale. Eurofood nasce, infatti, vent'anni fa con la distribuzione a livello locale e pian piano ha ampliato gli orizzonti imprenditoriali e territoriali, offrendo una ampia gamma di prodotti. L'azienda è dotata di sistemi informatici avanzati, i quali consentono di mantenere un alto livello di scorte e tempi ridotti di evasione degli ordini.

Il secondo incontro ha visto ospite Gloria Colazzo, laureata in Interior Design con specializzazione in scenografia degli eventi presso lo IED di Roma e ideatrice del progetto CanUdis, (contrazione di “Can you do this”) uno spazio dove arte, design e sostenibilità si fondono in un'armoniosa sinergia. Appassionata di viaggi e di nuovi orizzonti, ha ampliato la sua formazione a Madrid, con corsi di specializzazione e master in design del paesaggio e in design per hotel, ristoranti, vetrine, esposizioni effimere ed aziende. I suoi racconti hanno catturato l’attenzione del pubblico che ha viaggiato, insieme alla protagonista, tra luoghi lontani e pieni di fascino.

Il terzo incontro, che chiude il laboratorio prima della pausa estiva, ha visto protagonista Piero Surdo, architetto nell’azienda familiare Kubico srl, azienda leader nel settore delle installazioni “chiavi in mano” di arredamenti su misura, dalle residenze private agli uffici, fino ai ristoranti e alle attività ricettive e commerciali.

 
Di Marcello D'Acquarica (del 08/08/2024 @ 00:50:38, in NohaBlog, linkato 1373 volte)

Finita la guerra, l’Italia era in macerie e la popolazione in estrema sofferenza. Era prevedibile che i nuovi governanti dovessero chiedere ulteriori sacrifici agli italiani per avviare la cosiddetta “ricostruzione”, questo c’era da aspettarselo, ma non certo con l’inganno. Non lo meritava nessuno, tantomeno la povera gente che aveva già vissuto cinque anni di tragedie.

Il 2 Giugno 1946, gli italiani furono chiamati al voto, e per la prima volta nella storia l’Italia divenne una Repubblica.

Il 25 giugno 1946, pochi giorni dopo, fra le macerie lasciate dalla guerra, si riuniva a Montecitorio l’Assemblea costituente, composta da 556 deputati, e per la prima volta in Parlamento vennero elette 21 donne. Con la Costituzione saranno garantiti i principi che affermeranno i valori fondamentali di Libertà, Uguaglianza, Solidarietà che sono ancora oggi vitali.

La Costituzione entrò in vigore il primo gennaio del 1948, ma occorrevano ancora molti anni prima che tutti gli articoli trovassero applicazione nella vita reale degli italiani.

A pochi giorni dalla nascita dell’Assemblea costituente, il 20 giugno del 1946, il governo italiano e quello belga, siglarono un accordo cosiddetto “uomo-carbone”. Esattamente 2 mila e 500 tonnellate di carbone ogni mille minatori. Il carbone doveva servire ad avviare la macchina industriale, che avrebbe portato lavoro e benessere alla nazione. Invece si rivelò un vero raggiro.

La propaganda avviata dai due governi per attirare l’attenzione di chi cercava un lavoro fu subdola, faceva leva su promesse di grossi salari, di una sanità gratuita e di case per tutti. Invece il lavoro si rivelò in tutta la sua pericolosità, in quanto alle case i nostri emigranti, una volta in Belgio, trovarono baracche di lamiera o di legno, residui dei campi di concentramento adoperati durante la guerra. E non per ultimo, ci fu l’obbligo perentorio di non poter fare altri lavori se non dopo almeno 5 anni di miniera. “La mina” la chiamavano nel gergo popolare.

Cinque anni era il tempo previsto da uno studio sanitario eseguito dal governo belga, in cui veniva appurato che il rischio di ammalarsi di silicosi per i minatori sarebbe avvenuto quasi con assoluta certezza, appunto entro un massimo di 5 anni, il tempo necessario quindi per sfruttare la manodopera fino all’ultimo respiro. Un lavoro sporco in tutti i sensi.

Per chi si rifiutava c’era la prigione per almeno un anno, in attesa di essere rispedito indietro con il divieto incondizionato di ritornare. Tra questi “imprevisti” dissimulati dalla propaganda dal “manifesto rosa”, così era chiamato il comunicato affisso in tutti i Comuni d’Italia, il peggiore inganno è stato il mancato riconoscimento della silicosi come malattia professionale, una malattia che si sapeva essere mortale. Esistono sul tema decine di libri e articoli che hanno sviscerato quasi ogni aspetto della vicenda dei circa 300mila italiani che dal 20 giugno del 1946 presero la via del Belgio, al ritmo di duemila a settimana, per gettare i propri corpi nelle miniere di carbone. Oggi nessuno di noi si sognerebbe di mandare i propri figli a fare un lavoro così gravoso, tanto meno a mille metri sottoterra, a sputare carbone senza l’ausilio di protezioni, con pochissime norme di sicurezza e con la certezza di morire prematuramente.

All’ombra di quel trattato, quindi, si aprirà il dramma di migliaia di lavoratori, che si troveranno ad affrontare durissime condizioni di vita e di lavoro, e queste saliranno drammaticamente alla ribalta alcuni anni dopo, quando la mattina dell'8 agosto del 1956, in un incendio scoppiato nella miniera del Bois du Cazier di Marcinelle, a mille metri sottoterra, perderanno la vita 262 persone, tra cui 136 immigrati italiani, di cui ben 16 salentini. Nessuno di quei 16 era di Noha, ma alcuni dei nostri concittadini ci andarono molto vicini.

Le testimonianze di tante sofferenze e dei sacrifici che hanno dovuto fare anche le famiglie dei nostri compaesani, sono tantissime. Ne abbiamo raccolte alcune di Noha. Il valore che può scaturire dalla lettura di quei vissuti, seppur velato dal tempo, è talmente prezioso per il nostro quotidiano e per il futuro delle nuove generazioni che vale la pena considerare con impegno. Un insegnamento quello del sacrificio e del dono della propria vita pari ad un martirio. E con mia grande sorpresa scopro che dall’altra parte, dalla parte di chi è custode di quei preziosissimi segreti, c’è un forte desiderio di condivisione, quasi una liberazione.

Angelo Chezzi

E’ grazie al mio amico Roberto, che incontro Angelo in uno dei miei tanti andirivieni a Noha. Lo incontriamo nella sua casa di campagna, verso Sirgole. Dove, dopo 27 anni di miniera, va a godersi il suo giardino. E’ in questa occasione che ritrovo Aldo, figlio di Angelo e mio vecchio compagno di scuola.

Non vedevo Aldo Chezzi dai primi anni delle elementari, quasi una sessantina di anni fa, eppure è viva l’immagine di quei due bambini che uscendo da scuola si lanciavano in una corsa folle giù per la discesa di via Fabio Filzi con attorno al collo il grembiule a mo’ di mantello da super eroi, sognavano di librarsi in volo nel cielo. E Siamo volati

davvero, lui in un cielo un po’ diverso dal mio, e me lo racconta.

Suo papà Angelo si “arruola” per il Belgio nel 1946. Dopo appena un paio di anni, ritorna a Noha per sposare Lucia Congedo.

Beringen è a nord est, verso il confine con l’Olanda. La destinazione della miniera in cui andare a  lavorare la sceglieva il Governo belga al momento della selezione. Questa di fatto era una visita molto approfondita, così raccontava Angelo: “ci visitavano anche nella bocca, come se fossimo dei cavalli”. Sotto la stazione di Milano avevano organizzato un grande centro per le selezioni, dove due medici italiani e due belga, si occupavano delle visite che erano talmente meticolose da durare anche tre giorni.  Per essere considerati idonei occorreva essere in perfetta

salute, alcuni li rispedivano indietro solo perché avevano lievi difetti fisici, bastava anche solo una venuzza più evidente, e venivano respinti. Angelo nella miniera di Beringen fa il carpentiere, in pratica è addetto alle armature delle gallerie che i suoi compagni di lavoro scavano man mano. Dopo solo 5 anni compra casa a Noha. La sua vita procede in minera con una breve pausa per malattia che trascorre al paese, fino al 1974 anno in cui va finalmente in pensione.

Aldo invece, fa parte della generazione che ha vissuto la miniera con molti meno rischi degli anni ’50 e ’60, si scavava ancora, certo, ma con l’ausilio di mezzi meccanici e asserviti dalla tecnologia più moderna. Ha studiato nelle scuole belga ed è diventato un tecnico di impianti elettrici. Dopo 26 anni di lavoro e di vita in Belgio, non dimentica Noha, ma deve restare in Belgio dove crescono i suoi figli, e appena può vola giù a Noha anche per pochi giorni, a continuare il sogno di Angelo, rifugiandosi nel suo meraviglioso giardino di Sirgole, fra la vigna e gli alberi da frutta e gli ortaggi ed ogni ben di Dio che la nostra Terra se trattata bene sa dare.

Raffaele Rizzo, nasce a Noha il 22 gennaio 1919 in Vico Congedo, la sua è l’ultima casa del vico, dopo ci sono solo prati e fichi d’India. Raffaele è uno dei tanti braccianti senza terra. Insieme ad altri si raccolgono la mattina presto in piazza dove il possidente di turno seleziona la forza lavoro, a giornata.

Noha in quel tempo contava poco più di mille abitanti e offriva pochissime possibilità di lavoro, i braccianti erano numerosi e venivano sfruttati senza un adeguato salario.

Raffaele ha un sogno, quello di costruire un forno per continuare l’attività di sua mamma Maria, che al paese era conosciuta come “a Maria Furnara”.

Nel 1948 si sposa con Maria Annunziata Congedo, una bella ragazza di Aradeo. Intanto di nascosto da Maria, con la complicità di suo fratello Narduccio che lavorava già a Marcinelle insieme al cognato Mario Mangia di Galatina, organizza il suo trasferimento in Belgio. Vuole andarci solo per lavorare qualche anno e realizzare il suo sogno. Maria quando viene a saperlo non è contenta, ma sapendo che sarebbe stato in compagnia del fratello e della sorella Donata, stringe i denti e dopo appena due anni, nel 1950 acquistano la casa davanti  all’edificio  scolastico,  oggi piazza Ciro Menotti. Ma il sogno di Raffaele è sempre quello di comprare la zona attigua alla nuova casa per costruire il forno.

La vita in miniera è dura, soprattutto quella di Bois du Cazier di Marcinelle, è una delle miniere più vecchie, risale alla fine del 1800. Vi sono già accaduti molti incidenti gravi. Una volta morirono 40 persone a causa di una esplosione di gas. La proprietà non intende investire denaro per la ristrutturazione di quella miniera già così sfruttata e bisognosa di alti costi di ammodernamento. I pozzi sono profondi oltre mille metri e le sue gallerie sono lunghe anche decine di chilometri. Lì sotto scarseggia l’aria, e la bocca si impasta di carbone, ma la cosa peggiore è la polvere di silicio, quella è talmente sottile che penetra nei polmoni fino a farli indurire e ahimè, scoppiare.

Poi vi era anche il pericolo del grisù, il gas inodore e incolore che a volte si sprigionava sotto i colpi dei picconi, e faceva addormentare gli sfortunati che, se non se ne accorgevano in tempo per fuggire via, ci lasciavano la pelle.

Intanto sta per nascere Antonio, il terzo figlio di Raffaele, è il mese di maggio del 1953. Raffaele purtroppo non riuscirà a vedere il suo piccolo. Manca solo un mese al rientro a casa ma durante gli scavi in galleria, viene travolto da un crollo ed un masso lo colpisce in testa ferendolo mortalmente. Stranamente in quel momento è solo e nessuno gli presta soccorso. Raffaele muore così, solitario, in una galleria profonda e buia in un incidente mortale a Marcinelle nel 1953. I suoi resti saranno trasferiti nel cimitero di Noha, all’incirca un anno dopo, accompagnati dal fratello Narduccio, che dopo la tragedia in famiglia, non ne vuole più sapere di miniere in Belgio, tant’è che dopo qualche anno va a lavorare in Germania. Ma siamo già negli anni ’60, e le cose non sono più come nel 1946.

Torquato Carallo

Ho avuto l’onore di incontrare una persona davvero esemplare, d’altri tempi: Carmelina Patera, moglie di Torquato Carallo morto nel '96. Carmelina ha un carattere meraviglioso,  nonostante  le sue sofferenze, mi accoglie con un sorriso dolcissimo, mi aspettava e tra una frase e l’altra non finisce mai di dire: “…bei figli, belle persone, molto educate”. Si ricorda dei D’Acquarica  che  abitavano  in via Aradeo all’angolo con via Messina. Lei stava con la sua famiglia nella casa in via Benevento, a due passi dalla casa di Raffaele Rizzo e di Cesare Lisi, in fondo Noha è tutta lì. Sembrava che li unisse il destino.

Si ricorda di tutti i suoi vicini, e me li elenca uno per uno, di ogni casa e di ogni famiglia, nome per nome perfino in ordine di età. Carmelina ha una memoria di ferro.

Canta, mentre racconta canta canzoni dei suoi tempi. E piange, si, ogni tanto piange per i dolori che ha ai piedi. È sofferente Carmelina, dobbiamo fare presto perché la sua resistenza richiede sostentamento e riposo.

Carmelina nasce nella casa di via Benevento nel 1928, a 20 anni lei dice di essere “donna da marito” e mi racconta che sapeva cucire perché era andata alla scuola di taglio da Toma a Galatina. Grazie ad un suo cugino incontrò Torquato che veniva da Aradeo, se ne innamorò subito. Torquato aveva già un lavoro in Belgio, anche lui è stato uno dei primi a rispondere alla seconda chiamata della Patria. Torquato e Carmelina si sposarono nel 1954 senza tanti preamboli, una “fuitina”. Racconta Carmelina che a portarla via da casa fu suo cugino, con la macchina andarono in una campagna, e subito dopo il matrimonio in chiesa, a Noha ovviamente.

Don Paolo che conosceva bene i suoi parrocchiani e sapeva a cosa sarebbero andati incontro quelli che partivano per il Belgio, come forma di incoraggiamento, diede loro la benedizione dicendo testuali parole: “ …e così finalmente vedremo i soldi del Belgio”.  Il viaggio, racconta Carmelina, cominciò in corriera fino a Lecce, si partiva presto, alle 4 del mattino. Il treno era brutto, duro, di legno. Ma nella valigia oltre alla farina, c’era una bottiglia di vino, e il pane e pomodoro e le sarde, e pure una bottiglia di olio. Il viaggio durava quasi tre giorni. Tre lunghissimi giorni. Era il mese di maggio e per fortuna non faceva freddo.

Giunti a destinazione, a Beringen, nel cantone Fiammingo, lo stesso posto dove stavano i Chezzi, il treno si fermò in una stazione di scarico merci, la stessa dove insisteva il campo di lavoro, lontano dal paese. Ai nuovi arrivati non era concesso scendere in stazione, per evitare di farli incontrare con gli altri operai belga. Gli immigrati non erano ben visti dai cittadini belga, perché a causa loro, il costo del lavoro diminuiva. La solita lotta fra poveri, insomma. Una volta arrivati al campo, “la femme”, così la chiama Carmelina, la signora addetta all’accoglienza, li accompagnò ognuno nella sua baracca. Case di legno e di lamiera, le stesse adoperate per i campi di concentramento durante la guerra. In pratica si ritrovarono in un campo di concentramento. Case normali, quelle fatte con i mattoni, in Belgio non c’erano ancora per i minatori stranieri.

Fra i suoi ricordi, Carmelina lamenta le frequenti visite dietro la porta della baracca di ragazzi marocchini e turchi che la corteggiavano, operai della loro stessa miniera, ma senza famiglia. Aveva paura Carmelina, perché lei era bella e allora lo diceva alla Femme che aveva paura. Poi finalmente, i datori di lavoro gli diedero una casa di mattoni. Da quel momento in poi nella vita di Carmelina e di Torquato c’è un solo desiderio: tornare a casa. A Noha, dove l’accoglienza ha un solo calore, quello del nostro sole e della nostra aria mite.

Sembrava tutto calcolato, il 24 maggio di quest’anno, dopo poche settimane dal nostro incontro, Carmelina decide di non soffrire più e sicuramente torna dal suo Torquato a riprendere quell’altro viaggio che li renderà entrambi felici per sempre.

E’ stato un grande onore per me incontrarti e salutarti. Grazie Carmelina.

Antonio Martella, classe 1923.

Nasce a Monteroni il 2 marzo.

A Monteroni lavora insieme al padre in una cava di pietre di proprietà della famiglia. Ma si guadagna poco e come la maggior parte dei salentini si muove per cercare fortuna altrove. Anche lui, terminata la guerra, a poco più di vent’anni aderisce alla chiamata per le miniere del Belgio. Il primo libretto di lavoro lo ottiene a Chatelineau, un villaggio belga situato nella provincia dell'Hainaut. Lavora in miniera dal 17 luglio 1946 fino al 6 giugno 1950, allorquando si trasferisce a JUMET. Città del Belgio nella provincia del Hainaut, circondario di Charleroi. Forma, con altri centri, quasi un solo abitato con Charleroi, sita 5 km. più a sud in piena zona carbonifera, è un centro estrattivo, e possiede

varie industrie metallurgiche, soprattutto fabbriche di caldaie.

Antonio, dopo aver soddisfatto i 5 anni obbligatori di miniera può finalmente  lavorare in una fabbrica di bottiglie. È il 5 settembre del 1950. Da qui esce per l’ultima volta il

16 dicembre del 1955. Entra nella S.A. des charbonnages du Nord de Gilly. E’ una vecchia miniera e quindi pericolosa quanto quella di Marcinelle. Dopo l’incidente di Marcinelle, spaventati per l’accaduto, non riuscendo a vivere con quell’incubo terribile che incombeva su di loro, insieme alla moglie Brigida Bolognese di Noha, e la figlia Ada che era nata in Belgio nel loro primo anno di matrimonio, fanno finalmente ritorno a Noha.

Cesare Lisi, classe 1930,  vive  con  la sua famiglia nella vecchia casa paterna di via Benevento, angolo con vico Scotti.

Nel 1953 si sposa con Maria Concetta Bray di Neviano. Nel 1964, consigliato da alcuni suoi parenti che sono già in Belgio, nelle miniere di Corso, sempre dalle parti di Beringen, per guadagnare qualche soldo in più, anche Cesare parte per andare a fare il minatore e per stare insieme alla famiglia porta tutti con sé.

Ma sentono fortemente il distacco della terra natia, la casa è piccola e mancano i servizi necessari. Così decide di far tornare al paese la moglie e le due bambine. Si sacrifica restando solo in Belgio a lavorare nelle miniere. Il viaggio è lungo e costoso; quindi, torna a casa una volta l’anno a passare qualche giorno con la sua famigliola.

Anche Cesare, dopo qualche anno di sacrifici, riesce a comprare una casa più grande a Noha, la nuova casa ha tre camere ed un garage. Qui fa crescere tutta la sua famiglia che con il passare degli anni diventa numerosa. Cesare è una persona determinata, va avanti così fino al 1980, quando finalmente in pensione, ritorna a Noha definitivamente. Purtroppo, i sacrifici fatti durante tutta la vita incidono gravemente sulla sua salute. Muore fra le braccia del figlio Gianni a soli 53 anni di vita.

Per concludere possiamo dire che è vero che per la salvezza del Paese, nel 1945 a fine guerra, ci son voluti grandi uomini, ma chi ha realizzato i fatti invece, chi ci ha rimesso del suo, anche la vita, è stata la gente comune, e sono loro i veri grandi uomini.

Oggi noi dobbiamo molto a questi partigiani del lavoro che, pur avendolo fatto perché costretti dalla necessità, è anche vero che con il loro sacrificio si sono prestati al gioco di quel drammatico momento storico e hanno concesso all’Italia il tempo di consegnare ai posteri la Costituzione, quella carta gloriosa che è nostro dovere difendere a denti stretti, oggi più che mai, dalle malversazioni di politici senza scrupoli. Un motivo in più per continuare a difendere i nostri diritti, gli stessi per cui i nostri concittadini hanno sacrificato la loro giovinezza in un paese straniero, affrontando enormi sacrifici, a volte rischiando la vita, e altre rimettendocela. Per lasciare a noi una condizione sociale più dignitosa.

Ringrazio gli amici, figli dei protagonisti di questa importante storia, per avermi aiutato a ricordare:

Aldo e Manola, Gina, Salvatore, Luigina, Gianni e Vito.

Marcello D’Acquarica

 
Di Antonio Mellone (del 09/08/2024 @ 08:51:45, in Necrologi, linkato 1291 volte)

Una decina d’anni fa, in uno dei miei numerosi trasferimenti di sede lavorativa, una cliente, di professione imprenditrice, si presenta davanti a me per “conoscere il nuovo responsabile di filiale”. Nell’udire il mio cognome, la signora si blocca, sgrana gli occhi e mi fa: “Ma per caso lei è di Noha?”. Alla mia risposta affermativa, di rincalzo, aggiunge: “Allora conosce la maestra Bruna Mellone?”. “Certo, – replico – è mia cugina”. E mi racconta che Bruna fu la sua indimenticabile insegnante delle elementari di Supersano, che è stata fondamentale per la sua formazione umana e anche professionale (“dacché le scuole primarie sono forse più importanti di qualsiasi corso di laurea o addirittura master postuniversitario”, mi disse), e che al di là di tutto, della preparazione, dei metodi educativi all’avanguardia per il periodo (siamo a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80 del Novecento) “la Maestra Mellone è una Grande Donna”, parole testuali.

Qualche giorno dopo, compiaciuto, portai a mia cugina i saluti e il giudizio postumo della sua alunna del tempo che fu. Non ci crederete: Bruna, schermendosi da ogni lusinga, ricordava non soltanto i tratti di quella bambina (ormai cinquantenne), ma mi raccontò per filo e per segno alcuni aneddoti riferibili a quella allieva, le particolarità della sua classe bisognosa oltretutto di dedizione straordinaria, nonché i susseguenti tentativi della direttrice della scuola di trattenere Bruna in quell’istituto il più a lungo possibile, rifiutandone ogni richiesta di trasferimento verso altri collegi più vicini al paese di residenza della sua collaboratrice. Cambiamento di sede che comunque avvenne qualche tempo dopo, prima a Collemeto, poi a Galatina e finalmente a Noha. Cambia la geografia, ma la valutazione da parte di colleghi e discenti sul conto di Bruna rimane sempre quello.

Certamente non c’era bisogno di quell’ex-studentessa perché io venissi a sapere che Bruna era una Grande Donna: per me lo è sempre stata. Le mie prime Costruzioni (che oggi si chiamano Lego), il libri di favole, l’esortazione a lasciar perdere la volgare insolenza del quotidiano, i consigli su come scrivere (e soprattutto non scrivere) sono tutti suoi. Veramente ho ricevuto correzioni su grammatica e sintassi dei miei elaborati si può dire fino all’altro giorno, tipo quelle relative alle storie rilegate a libro (il mio “Don Paolo”, per esempio, fu revisionato da lei da cima a fondo), e incluse quelle altre cucite a mo’ di mensile cartaceo, dico de “L’Osservatore Nohano”, del quale Bruna fu generosa collaboratrice.

 
Di Antonio Mellone (del 16/08/2024 @ 08:10:50, in Fetta di Mellone, linkato 484 volte)

Non vorrei urtare la suscettibilità del sindaco di Galatina e soprattutto dei suoi vassalli, assessori e valvassini, e senza tralasciare i selfie della gleba, se oso evidenziare due o tre cosette che m’appaiono di una certa rilevanza. Avverto però a mo’ di premessa che, salvo clamorosi accadimenti degni di minzione, ogni eventuale successiva fetta di Mellone 2024 proverà a discettare di ben altri temi magari più terra terra, provando a mantenersi pur sempre Vergine di servo encomio.

A proposito di terra, un cenno va all’erba voglio ai bordi delle strade e delle piazze comunali ribattezzata dai supporters ante-elezioni “erba non voglio”. Ebbene, mi permetto di far notare che in molti casi il prato inglese, tedesco e italiano (come nelle barzellette) adorna ancora imperterrito e rigoglioso cospicui lembi dello stradario urbano e inurbano nohano, probabilmente per concretizzare l’antico motto vernacolare che suona così: “Tienimi la samente [semenza] ”. Ora, in base al nuovo verbo incarnito scodellato nel classico comunicato stampa, l’erba incriminata verrebbe tagliata ogni mese e mezzo, e va bene. Ma a noi altri sarebbe bastato un pizzico di onestà in più se non politica perlomeno intellettuale espressa verosimilmente nei seguenti termini: << Cari Nohani, la lotta è impari, non riusciamo davvero a star dietro a tutto: l’erba non è un prodotto finito ma un processo continuo, e non si può vivere una vita intera con il decespugliatore spianato. Certamente noi faremo del nostro meglio, ma voi altri, e non vi sia per comando, dateci una mano, e cercate là dove possibile di fare la vostra parte per il decoro cittadino, tentando di mettere in pratica il celebre adagio secondo il quale se tutti pulissero davanti alla propria porta, il mondo intero sarebbe più pulito >>. Questo avrebbe oltretutto reso giustizia a chi, poveretto, durante la campagna elettorale ha battuto il marciapiede alla ricerca dei ciuffi di verdure ribelli un tempo definiti “erbacce” - oggi invece diventati oggetto di culto, sicché alla loro vista in tanti si scappellano ed esclamano in estasi: evviva la Maria!

 

Canto notturno di un pastore ...

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