E non sembri una contraddizione o un’eresia. Anzi, credo che accanto agli economisti classici (dico Marx, Ricardo, Smith o mister Malthus) o ai neoclassici, ma aggiungiamoci pure i contemporanei Stiglitz o Piketty, e gli altrettanto a me cari Serge Latouche e Maurizio Pallante (con quest’ultimo, tempo fa, ebbi modo di discettare personalmente di decrescita felice), dicevo, accanto a tanti economisti non sfigurerebbe di certo Giacomo Leopardi.
Mo’ sarà pure una mia deformazione professionale ma credo che Giacomino nostro un messaggio in termini di sistema economico alternativo all’attuale l’abbia dato eccome. E sennò cos’altro potrebbe essere quel concetto di bellezza che non sta nell’avere o nel consumare, o quella felicità che non si può comprare non avendo in sé un valore di mercato, e quel tempo così limitato che vale incommensurabilmente di più di qualsiasi capitale per pronta cassa, e quella ginestra che resiste nonostante il deserto e la crisi, e il bisogno di infinito che ti prende davanti a un limite, una barriera o una siepe. Per non parlare poi del pessimismo eroico, il quale non è altro che catena sociale, solidarietà tra esseri umani, comunità d’intenti.
Leopardi ci racconta la vita così com’è, non finge, non mente, non t’inganna mai, non edulcora la pillola, non dissimula, non è alla moda, e non è complice del verbo dominante. Se oggi tenesse un blog o scrivesse su un giornale cartaceo non prenderebbe in giro i suoi lettori con le usuali decrepite parole d’ordine (sport preferito, a quanto pare, dai “giornalisti” di gazzette e quotidiani padronali), anzi chiamerebbe crimini le bombe, e assassini i governi che le lanciano autodefinendosi democratici; si farebbe beffe del refrain “sviluppo & crescita” ridicolizzandoci con le sue esilaranti “magnifiche sorti e progressive”, satireggerebbe ferocemente contro l’attuale “Secol superbo e sciocco” nel corso del quale lo scollamento tra narrazione prioritaria e realtà fenomenica sembra aver raggiunto il culmine.
Qui siamo al cospetto del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, all’apice del pessimismo cosmico leopardiano: ma penetrando a fondo nei suoi versi, oltre a godere del fascino sottile del loro suono, possiamo arguire quanto quest’uomo non si sia mai lasciato spezzare né dalla malattia, né dalle delusioni, né dalla cecità, né dalle chiacchiere. E quindi noi con lui.
Quanto a me, cosa volete: io prediligo il pessimismo cosmico del Leopardi all’ottimismo comico del gregge.
Antonio Mellone