Con questo capitolo siamo già al terzo appuntamento con la storia delle antiche congreghe di Noha. In questo brano P. Francesco D’Acquarica ci parlerà delle confraternite del Santissimo Sacramento e della Madonna del Rosario, evidenziando quanto la loro genesi sia stata frutto della pietà di alcuni uomini che fecero la storia, e quanto queste pie istituzioni abbiano inciso sulla cultura, l’arte e la fede della nostra Noha.
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Tra il 1570 e il 1600 l’arciprete di Noha era don Salvatore Colafilippi, mentre sedeva in cattedra a Nardò il vescovo Ambrogio Salvio. Questo presule era nato a Bagnolo (oggi Bagnolo Irpino) in provincia di Avellino nel 1491. Educato molto cristianamente, di indole buona e pia, fin da ragazzo abbandonò il mondo e si rinchiuse nel convento dei Domenicani di Bagnolo dove attese per molti anni alla sua formazione spirituale, morale ed intellettuale con molto profitto.
Appena i suoi superiori constatarono le capacità intellettuali del giovane Fra’ Ambrogio Salvio, pensarono che fosse opportuno inviarlo a Bologna (famosa già nel medioevo per la sua università) per permettergli di completare la sua formazione. Dopo pochi anni conseguì cum laude il dottorato in sacra Teologia. Mentre studiava a Bologna conobbe il domenicano Padre Michele Ghislieri, futuro Papa e Santo, S. Pio V, con il quale strinse un sodalizio culturale che durò nel tempo, anche quando le strade dei due santi uomini dovettero separarsi per via degli uffici che in seguito si trovarono a ricoprire.
Il Ghislieri, divenuto Pontefice nel 1566 con il nome di Pio V, in molte occasioni si valse dell’opera del suo coltissimo amico. Oltretutto fu questo Papa a nominarlo Vescovo di Nardò, concedendogli non pochi privilegi: e l’avrebbe certamente elevato in dignità ed onori, se la morte non gliene avesse tolta anzitempo la possibilità.
Conseguita la laurea, il Salvio fu inviato a Napoli come lettore di Teologia nel Monastero di S. Domenico. Da lì a pochi anni, crescendo la sua fama, fu nominato maestro degli studi alla Minerva di Roma, distinguendosi per dottrina, ingegno, zelo e umiltà. Pare che sia stato lui l’inventore del tabernacolo per la custodia della SS. Eucaristia.
Nel 1559 fu eletto provinciale del suo Ordine. Nel 1566 per arginare la corruzione e gli abusi che dilagavano tra i fedeli, Pio V inviò in tutta l’Italia vari predicatori apostolici. Fra essi c’era anche fra’ Ambrogio Salvio, il quale, con la propria predicazione e con l’esempio, contribuì alla devozione e alla recita del Rosario, ed eresse molte confraternite del Rosario, ottenendone dal Pontefice indulgenze e privilegi. Il 26 agosto 1569 fu nominato Vescovo di Nardò dallo stesso papa Pio V.
Il Salvio avrebbe preferito l’esonero da così arduo compito sia per l’età già avanzata, aveva ormai 78 anni, sia per le molte fatiche sopportate nei precedenti ministeri. Il Pontefice praticamente lo obbligò ad accettare, dispensandolo perfino dal pagare le bolle, ordinando che gli fossero spedite gratuitamente e gli procurò anche i fondi per affrontare le prime spese del suo nuovo impegno. Ambrogio Salvio accettò per obbedienza il ministero episcopale e venne a reggere la diocesi neritina. Suo primo intento fu quello di conservare in tutto il vigore e nell’antico splendore i grandi privilegi di cui trovò già insignita la diocesi di Nardò - immediatamente soggetta alla Santa Sede - ristabilendo la disciplina ecclesiastica gravemente decaduta, e risollevando i costumi e la moralità dei fedeli (da tempo trascurati). Si adoperò soprattutto di provvedere le parrocchie di ottimi parroci, che attendessero con zelo alla cura delle anime e con decoro alla dignità ecclesiastica.
Speciale attenzione dedicò alla riforma, alla correzione e al miglioramento dei costumi sia del clero che del popolo. Infatti, come del resto altrove, anche nella nostra diocesi si registravano episodi di corruzione, nonché vizi ed abusi da far spavento, nel clero, nei religiosi e tra le religiose.
Ambrogio Salvio s’impegnò in una serie di riforme, con la parola e soprattutto con l’esempio, precedendo tutti, indicando la retta via da percorrere per una vita veramente cristiana. Prendeva parte immancabilmente al coro, insieme con i suoi canonici, e ogni giorno festivo teneva al popolo la sua fervida lectio divina, biasimando fortemente i vizi, spianando la via al rinnovamento dei costumi, amministrando personalmente i sacramenti. Non era infrequente trovarlo in confessionale, dando così a tutti la possibilità di conferire con lui (anche senza chiederne preventiva udienza), non solo per il sacramento della confessione, ma anche per dispensare i suoi preziosi consigli di Padre. Attese all’insegnamento della dottrina cristiana, non solo nelle chiese, ma anche nelle strade, nelle piazze, nelle case e nelle botteghe, ai fanciulli, ai ragazzi, agli adulti. Per evidenziare la “modernità” di questo Presule del ‘500, diciamo che non si chiuse mai in episcopio, ma spesso e volentieri, uscendo in strada, con l’uso di un campanello, riusciva a radunare i fanciulli in chiesa per istruirli nelle verità della fede.
Dopo aver gettato le basi di una completa riforma morale, nel 1570 intraprese la visita pastorale della diocesi, che condusse minuziosa, laboriosa e rigeneratrice, senza badare a disagi e a sacrifici, nonostante la sua “ingravescente aetate”. Lasciò ovunque ordini rigorosi per la fedele osservanza della legge divina e delle costituzioni ecclesiastiche. Di tale visita si conserva tuttora una breve relazione, anche se in molti punti illeggibile in quanto logorata dal tempo e dall’umidità. Grande dolore provò quando scorse che, in qualche luogo, alcuni eretici venivano dai paesi vicini, seminando false dottrine ed eresie contro i sacramenti, in particolare contro la Santissima Eucaristia. Non si concesse riposo, ma con la parola, l’autorità e, quando fu necessario, con minacce e pene, riuscì a ridurre ai minimi termini (se non proprio a estirpare) ogni traccia di abusi ed errori dottrinali: e la fede cristiana, integra ed inalterata, rifiorì in ogni angolo della diocesi. Fu lui che introdusse a Nardò e nel resto della sua area pastorale l’esposizione del Santissimo Sacramento in forma di Quarantore: pratica pia che ancora oggi ha luogo durante il tempo del carnevale in tutte le chiese.
Si può ragionevolmente pensare che con un Papa domenicano (S. Pio V) e con il carisma del suo confratello mons. Salvio, Vescovo di Nardò, anche per la chiesa di Noha fosse arrivato il vento del rinnovamento. Con molta probabilità dobbiamo considerare di questo periodo l’origine sia della Confraternita della Madonna del Rosario e sia di quella del Santissimo Sacramento.
Anche a Noha la devozione delle Quarantore risale ai tempi del Vescovo Salvio, come pure la devozione per il domenicano San Vincenzo Ferreri. Qualcuno ricorderà che nella chiesa “piccinna” vi era una grande pala d’altare della Madonna delle Grazie con ai lati San Vincenzo Ferreri e San Vito.
L’arciprete Alessandrelli nella sua relazione del 1850 specifica anche quale fosse il compito della Confraternita del Santissimo Sacramento: Nella mano sinistra del Coro vi è uno stipo, nello quale il Priore della Confraternita del Sagramento tiene riposta la cera che abbisogna per le funzioni del Corpus, della terza domenica, e del S. Sepolcro.
È chiaro che questa confraternita si occupava esplicitamente della diffusione del culto eucaristico e perciò anche dell’organizzazione della solennità del Corpus Domini, nonché dei riti relativi alla celebrazioni del Triduo della settimana santa, specialmente quelli del Giovedì Santo (giornata eucaristica per definizione), e poi l’organizzazione del ‘Sepolcro’ e la partecipazione alle funzioni della terza domenica del mese, domenica che faceva parte dei programmi di questa confraternita (per inciso, aggiungiamo, che per statuto ogni confraternita stabiliva una domenica al mese di partecipazione comunitaria e obbligatoria alle pratiche di pietà e alla formazione religiosa dei confratelli. Come vedremo in seguito, la confraternita della Madonna delle Grazie fisserà la prima domenica del mese).
Scomparsa la confraternita, rimase la devozione all’Eucaristia. Io ricordo molto bene quando, durante la mia infanzia (ero chierichetto), per tutta la settimana che seguiva la festa del Corpus Domini, ogni sera, per otto giorni di seguito, aveva luogo una breve processione con il Santissimo Sacramento in piazza San Michele, un tempo, quando non c'erano veicoli, sempre gremita di popolo, soprattutto uomini. All’uscita della processione tutti si toglievano il cappello, e sostavano in adorazione. Anche quando si portava la Santa Comunione agli infermi, lo si faceva in maniera pubblica e solenne. Nel giorno stabilito il parroco portava il Santissimo Sacramento, come in processione, procedendo con tanto di baldacchino e ombrello liturgico. Chierichetti e laici addetti alla liturgia attendevano poi in strada l’uscita del Celebrante dalla casa dell’ammalato al quale era stato portato il pane eucaristico.
Anche la tela della Madonna del Rosario, ancora esistente nella chiesa madre di Noha, testimonia l’esistenza dell’omonima Confraternita. La fonte delle informazioni è sempre la relazione dell’Alessandrelli che così si esprime:
Più avanti sta fissato nel muro e propriamente sulla porta piccola della detta Chiesa, l'immagine della Vergine del Rosario, che tiene il Bambino Gesù: in giù di detta immagine sta dipinto S. Domenico e S. Caterina da Siena con li quindici misteri attorno.
La tela, restaurata nel corso del 2008, è opera di un artista di Nardò, Antonio Donato d’Orlando (Nardò 1562 - Racale 1636) che la dipinse certamente nel primo decennio del 1600, forse il 1602. Il quadro è di grandi dimensioni (3x2 metri) con cornice in legno a tratti dorato.
Vi è impressa l'immagine della SS. Vergine del Rosario che tiene il Bambino Gesù in piedi sulle sue gambe, retto dal suo braccio destro. Entrambi mostrano - quasi a volerla consegnare - la corona del Rosario: il Bambino Gesù a S. Domenico e la Madonna a S. Caterina da Siena, inginocchiati e adoranti. Sopra la Vergine due angeli in volo reggono con una mano una corona sul capo aureolato della Madonna, e con l’altra mostrano un’altra corona del Rosario.
Tutt'intorno in alto sono dipinti i quindici misteri del Rosario. In basso è scritto a chiare lettere “per devozione dei fratelli Rosario e Vitantonio”. Probabilmente questi due fratelli si sono impegnati per il restauro della tela che nel 1850 già esisteva da circa 250 anni. I due fratelli erano molto conosciuti nella comunità nohana, tanto che si tace il cognome “Benedetto”. Vitantonio era il cassiere della Congrega della Madonna delle Grazie che a sue spese donò il tabernacolo alla “Chiesa Piccinna”. Rosario era invece “deputato” (così lo definisce l’Alessandrelli) della confraternita del Rosario.
Nella mano sinistra del Coro vi è uno stipo, nello quale il Priore della Confraternita del Sagramento tiene riposta la cera che abbisogna per le funzioni del Corpus, della terza domenica, e del S. Sepolcro.
Questa è la testimonianza scritta più sicura circa l’esistenza della Confraternita del Santissimo Sacramento. Accanto a questa, un’altra opera d’arte: la tela che ornava l’altare con le raffigurazioni di S. Vito e di S. Pasquale.
La tela ripropone San Pasquale in adorazione eucaristica, mentre S. Vito indica l’ostensorio effigiato in alto in tutto il suo splendore. Ai suoi piedi la corona simbolo del suo martirio.
Sullo sfondo si può osservare anche l’immagine di una chiesa che potrebbe essere la fabbrica dell’antica parrocchiale di Noha, prima del suo rifacimento avvenuto nel 1901. E comunque, in una tela dedicata al Santissimo, ci starebbe bene il disegno di qualsiasi tempio, basilica, duomo, cattedrale, pieve o perfino piccola cappella: in quanto non esiste Chiesa senza Eucarestia, e non esiste Eucarestia senza chiesa.
Nota bene.
I due grandi quadri, che oggi campeggiano sulle pareti laterali destra e sinistra della “moderna” chiesa parrocchiale, sono ciò che resta degli antichi altari dedicati, rispettivamente, alla Madonna del Rosario e al Santissimo Sacramento, ubicati nella vecchia chiesa di San Michele Arcangelo.
[continua]
P. Francesco D’Acquarica
“Mettici la faccia 2018”. Questo il titolo dello spot multiculturale realizzato dalle volontarie del progetto “In Reading 2018” del Servizio Civile Universale con lo scopo di promuovere una corretta comunicazione sociale, stimolando azioni rivolte al bene comune, e la biblioteca comunale “P. Siciliani” come patrimonio della cittadinanza, luogo di incontro e crescita personale.
Altro fondamentale proposito dello spot è quello di promuovere il pluralismo e la diversità culturale, mirando all’integrazione e al coinvolgimento di un pubblico multietnico alle iniziative e ai servizi offerti dall’ente.
Seppur non sia possibile attuare tutte le iniziative previste dal progetto, visto il momento delicato in cui ci troviamo, lo spot mostra alcune delle attività realizzate fin’ora, nel rispetto delle norme anti-Covid19, al fine di stimolare l’interesse per la lettura e allargare il gruppo dei lettori.
Con l’augurio che la situazione migliori al più presto e che la Biblioteca “Pietro Siciliani” possa tornare ad accogliere e coinvolgere tutti i suoi utenti, vi invitiamo a prendere visione del nostro spot.
Le volontarie del progetto “In Reading 2018”
Giorgia, Giulia, Silvia, Simona