Scopo di un articolo, come di ogni scritto, è sempre quello di far riflettere, e dunque possibilmente di cambiare il mondo. Fosse anche solo marginalmente, ma è pur sempre un cambiamento (si spera in meglio).
Stavolta si parlerà della morte, dalla quale, come diceva Francesco d’Assisi, “nessuno può scappare”.
Non è nostro obiettivo (né saremmo in grado) di discettare di escatologia (che è quella parte della teologia avente per oggetto l’indagine sui destini ultimi dell’uomo e dell’universo), bensì più prosaicamente dell’opzione della cremazione delle salme (che saremo).
Come tutti certamente sapranno la cremazione è “la pratica di ridurre, tramite il fuoco, un cadavere nei suoi elementi di base. Si tratta di una pratica molto antica: in Asia tale consuetudine si è mantenuta pressoché inalterata da millenni” (fonte: Wikipedia).
Con la cremazione il corpo umano (ormai esanime), composto principalmente di acqua, si trasforma in gas, vapore acqueo, carbonio e frammenti ossei. Il cadavere inserito in un forno crematorio a 1000/1200 gradi, in circa 20/30 minuti, si riduce non in cenere ma in frammenti ossei friabili che, in un secondo momento, verranno sminuzzati fino a formare quella che chiamiamo cenere. Questa “cenere” sarà poi a seconda delle usanze (o di quanto disposto dal de cuius) o custodita in un’urna o sepolta, ovvero sparsa in natura.
Per molti secoli la Chiesa cattolica ha bandito questa soluzione che pensava in contraddizione con la fede nella resurrezione dei morti. C’è voluta la rivoluzione del Concilio Vaticano II per sconvolgere anche questa “verità” - che molti teologi già ammettevano, in quanto, di fatto, la cremazione non fa altro che accelerare il processo naturale di ossidazione (sicché la “risurrezione della carne” era salva).
Dal 1963 dunque la Chiesa non considera più come un peccato anzi ammette la cremazione dei cari estinti a condizione che non sia in odium fidei, se non è decisa cioè in disprezzo della fede cristiana. Nel 2012 s’è finanche rieditato il libro liturgico del “Rito delle esequie”, completandolo con le preghiere in caso di cremazione. Oggi è addirittura possibile che le esequie avvengano in presenza dell’urna cineraria, ma la Chiesa preferisce che i funerali avvengano in presenza del corpo, e dunque prima dell’eventuale cremazione.
Per chiudere questo capitolo, diciamo infine che la stessa Chiesa, che promuove il culto dei defunti, è tuttavia contraria allo spargimento delle ceneri o la loro conservazione in luoghi diversi dai cimiteri (per esempio in casa o in giardino), e questo anche per scongiurare o contrastare concezioni panteistiche o naturalistiche o, peggio ancora, forme di feticismo o idolatria verso i morti.
La cremazione molto diffusa nel resto d’Europa (si pensi che a Bruxelles viene cremato circa il 65% delle persone decedute), in Italia, pur in crescita, si attesta in media intorno al 10% dei casi.
Una pratica, dunque, sempre più comune altrove ma non nel nostro Comune: tanto è vero che sembrano esauriti i loculi sia nel cimitero di Galatina e sia in quello di Collemeto (mentre a Noha ne avremo ancora per poco).
Perché tutto questo? Ma ovviamente perché ancora la cremazione non è entrata nell’ordine delle nostre idee e, dunque, viene praticata ancora in percentuali da prefisso telefonico.
Eppure se ci ragionassimo un po’ su capiremmo che la scelta della cremazione ha un suo valore etico e un suo rilievo morale, permette il risparmio dello spazio per chi resta, non ha risvolti negativi dal punto di vista igienico, contribuisce alla razionalizzazione degli esborsi economico-finanziari per le famiglie e per il Comune (si pensi al costo di un cimitero, al suo mantenimento, alle difficoltà di trovare nuovi spazi, e, non ultimo, alle spregevoli e mai debellate mafie che ruotano attorno al “business” dei camposanti). E si consideri, infine, il fatto che ci verrebbero risparmiati gli ineffabili (e a tratti ridicoli) manifesti di lotta politica di bassa lega sul “divieto di morire a Galatina” per mancanza di loculi al cimitero.
Il ricordo dei defunti non sta nel portare un mazzo di fiori ad un mucchio di ossa custodite in un’urna ingombrante da ostentare, magari all’interno di una sontuosa cappella funeraria, e dunque nella crescita senza limiti dei nostri cimiteri, ma nel ricordo che i nostri cari hanno lasciato nella nostra mente e nel nostro cuore.
Allora non sarebbe meglio, più saggio, economico ed ecologico lasciare la terra ai vivi, sperando che ne sappiano fare buon uso finché sono ancora in tempo?
Antonio Mellone
Fonte. il Titano, supplemento economico de il Galatino, n. 12, anno XLVI, del 26-06-2013
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