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Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
 
 
Articoli del 25/04/2013

Di Antonio Mellone (pubblicato @ 22:46:04 in NohaBlog, linkato 4034 volte)

C’era il sindaco, il vicesindaco, il suo assessore alla cultura, alcuni consiglieri della maggioranza (soprattutto quelli della minoranza della maggioranza), e poi i ragazzi delle terze medie di Noha (con gli striscioni, e, per protesta, il bavaglio sulla bocca), le insegnanti, alcuni cittadini, gli attivisti del “Movimento delle agende rosse”, organizzatori dell’evento (tra i quali spiccava la stupenda Anita Rossetti, e la sua forza d’animo), altri comitati per l’ambiente e la legalità, e la colonna sonora dell’ottima Banda Musicale di Noha, diretta dal M° Lory Calò, per il pomeriggio di sit-in Antimafia a sostegno del magistrato Nino Di Matteo, che ha avuto luogo a Galatina, nel pomeriggio del 24 aprile scorso, dapprima in piazza Alighieri e poi, a conclusione, a Palazzo della Cultura con gli interventi dei relatori (tra i quali, oltre all’Anita suddetta, il presidente della Commissione europea Antimafia, Sonia Alfano - in collegamento telefonico - ed il direttore de “Il Tacco d’Italia”, Marilù Mastrogiovanni).

Non vale nemmeno la pena di ricordare l’assenza delle altre “alte” (e soprattutto basse) cariche comunali, come gli esponenti dei partiti (participio passato del verbo) della cosiddetta opposizione, probabilmente in tutt’altre faccende affaccendati. Chissà che rivolgendosi a “Chi l’ha visto?” non si riesca a rinvenirne qualche esemplare semovente. Ma non ci curiam di loro in questa sede.

*   *   *

Ormai sanno anche i bambini dell’asilo (o almeno avrebbero dovuto saperlo se non ci fosse stata la congiura del silenzio da parte di politici bipartisan, televisione, giornali e salotti) che il giudice Di Matteo è il magistrato della Procura Antimafia che si sta occupando della famosa trattativa “Stato-mafia”, di cui molti vogliono negare l’esistenza. Di Matteo ha ricevuto minacce di morte, contenute in due lettere anonime (lettere che, tra l’altro, riportano fedelmente orari ed abitudini del magistrato) e recapitate al procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Messineo.

Ma come ci insegna la storia, la mafia uccide chi è solo, anzi chi è (stato) isolato.
Ora, non so se tutti, ma proprio tutti i partecipanti alla manifestazione (e non mi riferisco ai ragazzi, che forse sono i più perspicaci di tutti) avessero ben chiaro il fatto che i principali responsabili di questo pericoloso isolamento sono purtroppo proprio le Istituzioni, e addirittura i cinque dell’Apocalisse (Presidente della Repubblica – definito in diretta telefonica da Sonia Alfano come il “mandante morale” di questa situazione scabrosa – Avvocatura dello Stato, Procura della Cassazione, Consiglio Superiore della Magistratura e Governo).

Sì, il magistrato Di Matteo è stato incredibilmente sottoposto ad azione disciplinare da parte del CSM, senza aver compiuto alcun illecito (ha semplicemente spiegato a Repubblica la scelta di stralciare delle intercettazioni penalmente irrilevanti senza fare i nomi, cioè quelli di Mancino e Napolitano – sì, avete inteso bene, Napolitano il “nuovo” presidente della Repubblica, Re Giorgio II, eletto a suon di voti – o di vuoti di memoria – e Nicola Mancino, ex-presidente del Senato, rinviato a giudizio per falsa testimonianza, che chiamava in continuazione il Quirinale per ottenere il classico aiutino altolocato). E’ come se un tizio, Di Matteo in questo caso, dovesse venir processato perché ha attraversato la strada fuori dalle strisce pedonali (mentre il Codice Penale non punisce l’attraversamento fuori dalle strisce). Dunque un “reato” inventato, per mettere il bastone tra le ruote a Di Matteo, e per continuare a far finta di nulla, per negare la scellerata trattativa tra la mafia e alcuni pezzi dello Stato (che invece avrebbero dovuto combatterla, questa mafia, e non scenderne a patti, ed ora per fortuna sono alla sbarra). Un tentativo, per ora ben riuscito, di isolamento del magistrato.

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Ma senza perderci troppo in dettagli, e ritornando alla manifestazione, si son visti nel parterre del palazzo della cultura dei battimani, anche da parte delle “istituzioni locali”. E questo non può che farci piacere. Evidentemente tra il centro (Roma) e la periferia (Galatina) finalmente c’è uno scollamento, una differenza di vedute di non poco conto. Finalmente qui non ci si nasconde dietro il dito della disciplina di partito che ordina di non pensare, non parlare, non presenziare, non esporsi, non proferir verbo, ma sfuggire di fronte alle responsabilità, di fronte alle domande, alle denunce, alle istanze legittime dei superstiti cittadini con la schiena dritta. A meno che non si fosse trattato di applausi di circostanza. Non sentiti. Il che sarebbe preoccupante. Ma non voglio crederlo: non voglio pensare che la maggioranza degli astanti avesse voluto in quel momento trovarsi sull’altra faccia della terra (se non addirittura all’altro mondo). Assolutamente, no. Non voglio nemmeno ipotizzarlo per sbaglio.

*   *   *

Però al contempo mi chiedo che cosa avranno pensato quelle stesse istituzioni cittadine di fronte a quel cartello appeso al collo di un attivista, un uomo dai capelli canuti, su cui c’era scritto: “Là dove si deturpa il territorio lì c’è mafia”. Chissà se sono riusciti a fare qualche collegamento neuronale tra questo fatto e quella politica scellerata che distrugge il territorio e danneggia la salute pubblica (il riferimento al mega-parco di Collemeto, approvato non più tardi di ventiquattro ore prima, da quello stesso parterre plaudente, nel più assoluto silenzio dei “compagni di merende”, è puramente casuale).

Sorge il dubbio se oggi dire o fare qualcosa di sinistra si sia trasformato invece in un far qualcosa di sinistro (come per esempio accogliere a braccia aperte le istanze della pantomatica Fantacom). Come mai nessuna tra quelle autorità, dopo gli incarichi istituzionali (non prima!) ha mai insistito “fino alla morte”, come fanno i duri e puri, nel dire ad alta voce: “Lì dove si deturpa il territorio, proprio lì c’è mafia” (o una parafrasi di questo slogan)? Come mai, chi avesse proferito queste parole prima viene colpito poi da una sorta di amnesia fulminante cronica?
Mistero doloroso.
Non so come facessero alcuni fra questi personaggi a sentirsi (o a fingere di sentirsi con la solita faccia di bronzo) a proprio agio, e non minimamente in imbarazzo, di fronte alle accuse precise e puntuali a loro rivolte in quel contesto, in maniera diretta o indiretta, da tutti i partecipanti, gli organizzatori, i relatori, il contesto, la stessa atmosfera di quella che tutto è stata men che una manifestazione folkloristica.

*   *   *

C’è pure qualcuno che volendo fare dell’ironia, o forse era sarcasmo, chissà, facendo riferimento a qualche mio articoletto che ha il sapore dello sputtanamento altrui, mi ha pure definito “il vocione di Noha” (sminuendo dunque il frutto delle mie quattro osservazioni circa la natura mentulomorfa di certi pensieri, parole, opere od  omissioni). Liberissimo di farlo, per carità.

Vorrei sommessamente comunicare al mio interlocutore-amministratore, anzi statista, che se fosse stato lui per primo a proferir verbo, anche senza tanti decibel, sul tema della delibera-betoniera della sua giunta, io non avrei neppure aperto bocca.

Invece, sul tema, non dico un vocione, ma nemmeno una vocina, pur flebile, pur afona, ma nemmeno un suono, fosse anche gutturale, bisbetico, cacofonico sembra essere uscito dalla boccuccia arrotondata a cul di gallina dei nostri scandalizzati eroi. Né sui siti galatinesi, né su di un manifesto, non in una mail-catena-di-sant’Antonio s’è potuto leggere un dissenso vero da parte di chi un tempo pontificava contro il cemento, mentre oggi, peccando di omissioni, sembra voler costruir ponti (e strade e centri commerciali).

*   *   *

Concludo dicendo che finché non ci sarà nessuno in grado di far sentire la sua di voce, “il vocione di Noha” continuerà ad urlare, anche se ascoltato o letto soltanto dai suoi venticinque (tendenti a ventiquattro) lettori.
E continuerà a farlo anche se il lettore superstite dovesse essere l’ultimo dei nohani (o dei mohicani).
Non c’è, anche in questo caso, bavaglio che tenga; anche se il mio interlocutore m’ha lasciato intendere che lui ed i suoi amici con la carta virtuale su cui vengono vergati i miei articoli si puliscono la faccia. O quel che più le somiglia.

Antonio Mellone

 

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