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Articoli del 25/09/2012

Di Antonio Mellone (pubblicato @ 00:00:00 in NohaBlog, linkato 3850 volte)

Carissimo Lino,
non buttarti giù in questo modo. Uno che scrive una lettera come la tua, tutt’altro che “striminzita nel testo di esposizione”, e infarcita di lemmi ed espressioni del tipo “malgrado non sia avvezzo”, “ [i testi] viscerali e sentiti”, “accezione etimologica”, “il modus vivendi”, “il mio compiacimento”, e ancora “eufemismo”, “PRAGMATISMO”, e mille altre amenità forbite e ricercate, è tutto men che affetto da “scarsa cultura”.
Che gli strafalcioni, tuttavia, siano sempre in agguato è ben risaputo e possono capitare a tutti: chi non scrive non incorre mai in errore, né di ortografia, né di grammatica, né di sintassi, né di altro tipo. Al massimo si macchia del peccato di omissione (che credo sia uno dei più gravi).

Se ho segnato con il [sic] e successivamente messo tra virgolette il tuo “soluzionare” è stato per evidenziare invece le tue doti di neologista. Guarda che “soluzionare” non è poi così ripugnante, tanto che l’ho utilizzato nel prosieguo del mio articoletto, pur sempre tra virgolette (ma solo per questioni di copyright).
“Soluzionare” rende l’idea, e non è peggio di mille altri verbi che ormai s’utilizzano correntemente, ma non sempre correttamente, come “implementare”, “monitorizzare”, “taggare”, “scannerizzare”. Ma tant’è.
Quanto al mio “linoleum”, sì, è l’olio di lino, il quale con opportuni processi non solo ossidativi, passando dallo stato liquido allo stato solido, diventa il linoleum (di cui sono composti i pavimenti). Lino-oleum = linoleum, c’est plus facile, come per il Sanbittèr.

*   *   *

Ma ora lasciamo perdere le questioni di lino lana caprina, per entrare nel merito della tua epistola. Che in qualche tratto ha tutta l’aria di una excusatio non petita.
Ovviamente qui non mi metterò a chiosare per filo e per segno ogni rigo della tua missiva con il pericolo di non finirla più (e con il rischio che la testa mi caschi sulla tastiera, ed un paio di attributi per terra), ma soprattutto perché, prima di ogni nostra batracomiomachia, viene la battaglia per la messa in funzione della vecchia scuola elementare di Noha, per la quale dovremmo essere tutti uniti, evitando possibilmente di fare la fine dei capponi di Renzo Tramaglino, mentre questi era diretto alla volta del dottor Azzeccagarbugli.

Tu, caro Lino, sei vittima come me, e come molti altri nohani inconsapevoli, della spesa pubblica di 1.300.000 euro effettuata per la ristrutturazione della vecchia scuola elementare; spesa che finora non ha portato a nulla se non ad un semilavorato inservibile. E forse non è chiaro nemmeno a noi quanto ci abbiano preso in giro (non voglio credere per dolo, ma sicuramente per colpa, cioè per negligenza, imperizia, superficialità, e soprattutto per sciatteria nei confronti di Noha). Dunque io non sono contro di te, in questa lotta, ci mancherebbe altro. Ma insieme a te vorrei trovare altri concittadini per fare fronte comune (ovviamente discutendone, anche animatamente, come stiamo facendo noi).  

Mi piacerebbe che su questo sito ci fossero altri interventi sul tema, pertinenti e perfino impertinenti, per mantenere alta la tensione nei confronti di tecnici e politici che dovrebbero mettere all’ordine del giorno, fino alla sua soluzione definitiva, il problema di questa benedetta vecchia scuola elementare di Noha.
Sarebbe ora che altri cittadini, degni di questo status, facessero le loro rimostranze per il fatto che tecnici e politici si siano fatti vivi a Noha solo dopo tre mesi e passa di suppliche, insistenze, video, inchieste, articoli e telefonate in merito. Se ci fossimo rivolti a Benedetto XVI avremmo sicuramente ottenuto udienza molto prima di quella gentilmente concessaci da questo stramaledetto (sedicesimo) apparato burocratico.

Sarebbe ora che i nohani si agitassero per il fatto che non ci abbiano ancora inviato la lista degli arredamenti previsti per la struttura de quo, che ci avrebbero fatto avere “subito subito”, come da promessa (da marinaio) fatta nel corso dell’ultima visita guidata nella struttura. Sarebbe ora che anche gli altri concittadini alzassero la testa e si interrogassero sul perché i nostri rappresentanti non si siano mai degnati di farsi vivi  per iscritto. Ovviamente nemmeno quelli di opposizione (che non si oppongono) hanno fatto capolino dal loro rifugio segreto. Qualcuno m’ha pure riferito che se noi altri avessimo “presentato domanda come previsto dalla legge”, sicuramente avremmo ottenuto risposta. Sì, come no. Magari in carta da bollo.
Converrai con me, caro Lino Mariano, che quando tutte queste “autorità” cominceranno a capire che la massima carica istituzionale è quella del cittadino sarà sempre troppo tardi.

*   *   *

Congratulazioni per il tuo curriculum professionale, per i titoli, i galloni, i pennacchi e le “gratificazioni a non finire” ricevute dalla tua azienda. A saperlo prima ne avrei fatto oggetto di uno degli articoli della rubrica “Curriculum Vitae” che tenevo sul defunto Osservatore Nohano, del quale, se non erro, eri uno dei nostri 25 affezionati lettori.
Tu hai scritto che hai fatto tutto questo senza chiedere niente a nessuno. Molto bene. Ma perché considerare eroico quel che dovrebbe essere normale? Perché vedere come straordinario quello che dovrebbe essere ordinario? Se uno ha conquistato il suo posto di lavoro grazie alla sua bravura, o come si dice oggi per “meritocrazia”, ha fatto semplicemente il suo dovere. Non vedo dove sia la notizia. Così come non dovrebbe esser notizia il fatto che uno paghi le tasse, rispetti la legge, non rubi, e rispetti l’ambiente. Insomma, se è vero che la notizia non è il cane che morde l’uomo, semmai quella dell’uomo che morde il cane, qui mi pare che ci troviamo nel caso topico in cui il cane che non abbia morso proprio nessuno.

Continuando a scorrere la tua lettera, leggo la seguente espressione: “Per quell’assunzione [in Fiat] non devo dire grazie a NESSUNO se non (come tanti di Noha) a qualche membro della MIA FAMIGLIA”. E qui qualche “domanda sorge spontanea” anche a me, della serie: cosa avrà mai voluto dire il nostro Lino?
Io mi sono dato questa risposta. Questo qualcuno altri non potrà che essere il padre, o la madre (che ricordo entrambi con affetto) o anche gli altri famigliari, ed il grazie è soltanto per la vita, per l’educazione ricevuta, per la scuola di formazione ai valori dell’onestà, dell’intraprendenza, della voglia di lavorare, dello spirito di servizio, di abnegazione e di sacrificio. Per questa roba e non per altra! Altre forme di “aiuto”, diverse da quelle testé enunciate, non credo siano permesse.
Io penso che quel NESSUNO - che tu scrivi a caratteri cubitali - debba significare nessuno, sic et simpliciter, nessuno punto e basta, e non “nessuno tranne uno però famigliare”. Mi chiedo, nella mia ingenuità: forse che chiedere “un aiutino” a qualcuno della propria famiglia sia meno grave che chiederlo ad un estraneo? E dunque se mi raccomanda un parente va bene, se invece dovesse essere un terzo, no? Ma che ragionamento è codesto? Se fosse vero questo saremmo fermi ancora ai tempi del quarantennio di monossido di democrazia cristiana. Ma non voglio proprio pensarlo. E certamente avrò male interpretato le tue parole.

*   *   *

Tralascio il discorso sul primo (e per fortuna ultimo) consiglio circoscrizionale di Noha, che se non sbaglio aveva soltanto “poteri” di proposta. Chissà perché lo avranno abolito. Non sarà stato forse perché considerato come l’ennesimo organismo inutile per l’organizzazione del nostro comune? Probabile. E senza dubbio meglio così se uno dei suoi membri migliori (figuriamoci gli altri) ancora oggi è costretto ad utilizzare espressioni altamente “politiche” come la seguente: “Chi avrebbe dovuto darmi una mano per quanto gli ho dato, ha appoggiato altri e non me”.  

*   *   *

Ancora onore a te ed alla tua onestà per aver rifiutato al “compianto amico preside e presidente di una sessione di esami di maturità il conferimento di un diploma magistrale, che [ti] avrebbe sempre con il suo aiuto (allora si poteva) [sic] fatto vincere il concorso per l’insegnamento”. Hai fatto benissimo ad opporgli il gran rifiuto. Non so come fosse possibile una cosa del genere (sempre se ho ben capito) e cioè il regalo di un diploma. Se avessi accettato avresti fatto la figura del Trota (ma di Trota basta e avanza l’originale).

Ma anche in questo caso, non mi è chiaro quel tuo successivo inciso tra parentesi: “allora si poteva”. Si poteva cosa? Ottenere una cattedra grazie all’interessamento di un amico preside? Io non credo proprio che si potesse. Mi rifiuto di crederlo. Penso che anche allora, come ora e come sempre, fosse illegale, anzi di più, disonesto, un abuso, una vigliaccheria, un’ingiustizia nei confronti di chi invece non poteva permettersi il lusso di qualche santo in terra (più che in paradiso) e si trovasse, poveretto, a partecipare, ignaro di tutte le magagne ordite contro di lui, in un rito di ipocrisia chiamato “concorso pubblico”. Concorso di cosa? O forse che anche questo sarebbe “pragmatismo”?
Invece, a mio avviso, quel preside si sarebbe dovuto denunciare alla magistratura su due piedi; senza se e senza ma, anche per il fatto di aver solo pensato al più classico dei favoritismi (o clientelismi, o parassitismi, o altra tipologia di ismi, che hanno ridotto il nostro Stato in un colabrodo).

E bene hanno fatto i tuoi figli (amici che saluto tutti cordialmente) a non chiedere aiuto a nessuno, e a farsi in quattro svolgendo ogni tipo di lavoro (dopo la laurea mi misi anch’io a lavare bicchieri in un ristorante, quindi so di cosa si parla), e sopportando la croce dell’emigrazione, che sovente per chi parte e per chi resta è così pesante che chi è credente potrebbe trovarne una di maggior gravezza soltanto in quella che portò il Cristo.

*   *   *

E veniamo al pragmatismo, anzi al PRAGMATISMO, ripetuto come il ritornello di un novello salmo responsoriale.
In cosa consisterebbe questo pragmatismo? Nell’incensare con il turibolo sindaco, giunta e tutto il cucuzzaro (pur senza aspettarsi nulla in cambio in quanto mai fatto, anzi mai “unto e leccato nessuno in passato, anche quando ce ne sarebbe stato il bisogno”)? Ed in cosa sarebbe “cambiato sensibilmente questo vento”? Nel fatto che questi nuovi rappresentanti siano meno peggio degli altri (e cioè che l’indecenza di quegli altri toccasse livelli così elevati da risultare fuori concorso)?

Caro Lino, io credo che pragmatismo sia attendere i risultati prima di cantar vittoria e non lodare e ringraziare ogni momento i compagni di partito a priori e a prescindere. Credo significhi stare con i piedi per terra (per esempio con 10 kwh non penso proprio che potrà entrare in funzione l’impianto di condizionamento dell’aria - se mai si dovesse ottenere questo allacciamento per gentile concessione o per grazia ricevuta), e non assumere, come mi pare abbiano fatto i nostri ingegneri, l’atteggiamento tipico dei praticoni e degli affaristi.

Pragmatismo è non accontentarsi delle stupidaggini che ci raccontano dalla mattina alla sera, ma pretendere quanto meno il rispetto della parola data. E se si fosse davvero pragmatici non ci si esalterebbe per il vuoto pneumatico (qui infatti non si vedono “né ove né caddhrine”, manco con il binocolo), ma si richiederebbe a tutti il minimo esistenziale di serietà, e soprattutto il rispetto dei progetti (costati un sacco di soldi alla collettività).

Infine pragmatismo non è chiudere gli occhi di fronte alle responsabilità, non è far finta di nulla, non è “chi ha avuto avuto chi ha dato ha dato scurdammoce ‘o passato simmo ‘è Nove paisà”. E’ pragmatismo, invece, e per di più scientifico, evidenziare la storia e i fatti, e far capire alle persone (quelle che vogliono capire, per gli altri invece “è  inutile ca li fischi”), chi ha fatto chi, e dove, e come, e quando, e perché si sarebbe potuto fare e non s’è fatto, e non invece far finta di nulla, mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi (qui una z potrebbe essere sostituita con una n), e ripetere a pappagallo “u fattu è fattu e l’arciprevate è mortu”. Altro che dietrologia. Questa è “avantilogia”, e le cose migliorerebbero infinitamente se si riuscisse a bilanciare il sapere ed il credere (oggi, per comodità, molto sbilanciato, anzi assolutamente squilibrato a favore del secondo).
Con questa storia “del fatto è fatto” non si sa più chi debba rispondere delle proprie azioni o inazioni, sicché a pagare rimane il solito Pantalone.

Il “fatto è fatto e l’arciprevate è mortu” rievoca molto l’istituto giuridico della prescrizione. Quella prescrizione che ha ammazzato tanti processi, e che ha fatto cantare vittoria a tanti personaggi, uno meglio dell’altro, a partire da Giulio Andreotti (colpevole per concorso esterno in associazione mafiosa, ma non condannato per intervenuta  prescrizione), per finire al piccolo cesare arcoriano (il minuscolo non è casuale) per una serie di altri reati, che non sto qui ad elencare. Certo, noi non siamo giudici, ma cittadini. Ed in quanto tali abbiamo il diritto-dovere di sapere, conoscere, intendere e volere.
Ah dimenticavo: anche nei famosi condoni (fiscali, edilizi, tombali, ecc.) è come se venisse recitato con salmodiante ottusità “il preziosissimo proverbio”: u fattu è fattu e l’arciprevate è mortu. Vogliamo accodarci anche noi a codesto coro belante, sapientemente sfruttato dai paraculi di professione?       

*   *   *

Caro Lino, scusami se non mi dilungo oltre su questi e su altri interessanti punti della tua letterina, ma rischierei di non finirla più.
Sono certo che continuerai anche tu, insieme a me (ormai non puoi più tirarti indietro) a lottare per l’apertura di quel nuovo centro sociale nohano, che ci auguriamo avvenga nel migliore dei modi, senza ripieghi, espedienti e rimedi abborracciati di secondo ordine (il famoso “uovo oggi”, che quasi sempre è anticamera della “gallina mai”).

Vedrai che alla fine, magari ad obiettivi raggiunti, festeggeremo insieme. E vedrai anche che in quell’occasione anche io mi esibirò in lunghi e sperticati elogi, plausi, complimenti, e lustrate nei confronti dei nostri preparatissimi amministratori e tecnici. Naturalmente con un’abbondante dose di olio di lino (o linoleum, c’est plus facile).
Con altrettanta simpatia, e anch’io ovviamente senza rancore,

Antonio Mellone

 

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