giu052012
Quando scrissi il mio romanzo «Habemus papam. La leggenda del Papa che abolì il Vaticano» che esce in questi giorni nelle librerie, non potevo immaginare la concomitanza con quanto sta succedendo in quel lupanare che si chiama Vaticano, ma conoscendo alcuni restroscena, ho tenuto in conto il contesto di delinquenza semplice e organizzata che lo circonda e lo alimenta.
Il Vaticano è sempre stato un covo di vipere e di faccendieri senza scrupoli, uomini (le donne lì sono pleonastiche o funzionali solo in senso sessuale, per il resto non esistono) malati di carrierismo e mondanità che per riuscire nel loro intento sono disposti a vendersi anche gratis. Da quando c’è Bertone a capo della Segreteria di Stato, il livello della nefandezza si è abbassato fino a sprofondare negli inferi perché l’uomo è un senza Dio, pieno di sé e tronfio nella sua vuotezza.
Sono certo che a lui pensasse Sant’Antonio da Padova quando tuonava nel sec. XII con parole di fuoco contro la curia e i curiali corrotti che pretendono di rappresentare Dio, mentre invece rappresentano solo abiezione, delinquenza, misfatti, orrori, immoralità e prostituzione:
«Nelle curie dei vescovi i birboni fanno risuonare la legge di Giustiniano [leggi: Diritto Canonico, ndr] e non quella di Cristo: fanno grandi chiacchiere, ma non secondo la tua legge, o Signore, che ormai è abbandonata e presa in odio”. “Se un vescovo o un prelato della Chiesa fa qualcosa contro una decretale di Alessandro, o di Innocenzo, o di qualche altro papa, viene subito accusato, l’accusato viene convocato, il convocato viene convinto del suo crimine, e dopo essere stato convinto viene deposto. Se invece commette qualcosa di grave contro il vangelo di Gesù Cristo, che è tenuto ad osservare sopra tutte le cose, non c’è nessuno che lo accusi, nessuno che lo riprenda».
Il pomposo abbigliamento religioso con il quale gli ecclesiastici incedono «tronfi e impettiti, a pancia in fuori», per sottolineare la sacralità della propria persona e distinguersi dai comuni mortali, non impressiona il santo, che anzi così li ridicolizza:
«Che cosa dirò degli effeminati prelati del nostro tempo, che si agghindano come donne destinate alle nozze, si rivestono di pelli varie, e le cui intemperanze si consumano in lettighe variopinte, in bardature e sproni di cavalli, che rosseggiano del sangue di Cristo?».
Antonio è spietato nella sua denuncia. Non trova alcuna attenuante o virtù nei prelati: vescovi e preti non sono pastori, ma lupi rapaci che «predicano per denaro», mentre i chierici, «molli, effeminati e corrotti, si presentano per denaro nei tribunali e nelle curie, come le prostitute». Per Antonio prelati e chierici sono i «predoni del nostro tempo», che eccellono solo nella loro insaziabile ingordigia: «Non c’è in essi alcuna forma di virtù, non c’è onestà di costumi, ma solo marciume di peccati; fa eccezione la formazione delle unghie, con le quali arraffano i beni dei poveri… questi indegni prelati della Chiesa non hanno alcuna energia nella mente, non essendo capaci di resistere alle tentazioni del diavolo: ma tutta la forza l’hanno nelle braccia e nei fianchi, forza di rapina e di lussuria».
Mentre Cristo «da ricco che era si è fatto povero» [2Cor 8,9], i suoi immaginari rappresentanti si arricchiscono impoverendo il popolo: «Il prelato della Chiesa è un leone che rugge con la sua superbia, un orso affamato con le sue rapine, che spoglia il misero popolo». «Ecco a chi viene affidata oggi la sposa di Cristo, il quale fu avvolto in panni e adagiato in una mangiatoia, mentre essi si rivestono di pelli e si abbandonano alla lussuria in letti di avorio».
Quando lessi la lista degli ultimi cardinali, fatti da Benedetto XVI, un senso di frustrazione mi colpì al cuore perché mi resi subito conto che lo sfacelo aveva superato il livello di guardia e non si poteva più tornare indietro, ma si poteva solo andare verso l’abisso, come i fatti di oggi stanno dimostrando.
Il 24 ottobre 2010, su la Repubblica(edizione ligure, p. XIX) scrissi: «La nomina del genovese Mauro Piacenza a prefetto della congregazione vaticana del clero, nominato
cardinale fresco di giornata è un brutto segno espressione di un pontificato disperato.
Come prete dovrei dipendere dal nuovo prefetto, ma non ne ho alcuna intenzione e dichiaro pubblicamente che in quanto prete non riconosco a Mauro Piacenza alcuna autorità su di me né morale né dottrinale e sono pronto a renderne ragione in qualsiasi sede competente. Con Piacenza fa carriera anche il suo pupillo Marco Simeon, già indagato a Perugia per lo scandalo di Propaganda Fide. Dell’uno e dell’altro, purtroppo, sentiremo parlare ancora e presto».
Conosco Piacenza, conosco Bertone e le loro carriere. Mauro Piacenza ha impiegato 25 anni di leccaggine e di asservimento a uno o più padroni e di padrone in padrone, finalmente è arrivato al club esclusivo che può eleggere il papa. Egli è il padrino di Marco Simeon, la cui figura è semplicemente orripilante. Egli andò via da Genova nel 1987, pochi giorni dopo l’arrivo del card. Giovanni Canestri che egli giudicava «di sinistra» (risate e applausi convinti!). Si trasferì a Roma e qui cominciò il lento pellegrinaggio di tessitura silenziosa e proficua: un giorno ti vendi a questo, un giorno fai il servo a quello, fai vedere che sei affidabile, offri i tuoi servigi senza riserva, metti da parte la coscienza, proteggi gli uomini giusti come Marco Simeon, stai a cuccia sulla soglia delle porte giuste, se necessario in quell’ambiente non si disdice neanche il letto profumato d’incenso, e alla fine ti ritrovi cardinale senza nemmeno accorgerti come ci sei arrivato.
Come possono costoro condannare gli omosessuali se poi li custodiscono e li usano nel segreto delle mura vaticane che esonda di travestiti? Almeno stessero zitti! Se, però, condannano, devono guardarsi prima allo specchio e solo dopo avere tolto la trave dal loro occhio, solo dopo, potrebbero pretendere, chiedendo permesso, di togliere la pagliuzza nell’occhio degli altri. Come possono presumere di dettare legge in campo sessuale, se poi sono loro stessi gli utilizzatori concomitanti e finali della pederastia, della devianza e di ogni perversione? La via sessuale è una via maestra per fare carriera e dentro il Vaticano vi è il mercato delle vacche con buona pace per la dignità della persona.
Una Chiesa sana e discepola di Cristo non avrebbe nemmeno preso in considerazione un individuo scellerato come Piacenza, così come avrebbe mandato alla Caienna il Tarcisio Bertone, uomo che non doveva nemmeno diventare prete perché è solo l’incarnazione della vacuità e del potere fine a se stesso. I cardinali Tarcisio Bertone e Mauro Piacenza con i loro affiliati e scherani, vere bande di malaffare, sono una sciagura per la Chiesa sia da un punto di vista teologico che umano. La colpa esclusiva ricade sul papa che li ha scelti o se li è lasciarti imporre da una cricca che vuole condizionare anche lo Spirito Santo.
Oggi il cardinale Mauro Piacenza, l’uomo più retrivo che io conosca, più fondamentalista dei lefebvriani, nemico acerrimo del Vaticano II, che egli ha subito come un oltraggio alla Chiesa e a cui non si è mai rassegnato. Quest’uomo, insieme a Bertone, è al centro dello scandalo che colpisce il Vaticano. Sua creatura e discepolo è il neo patriarca di Venezia: la tela del ragno clericale nefasto avanza, ma si frantumerà davanti alla Chiesa del popolo di Dio e del Vaticnao II che non cederà.
Questa Chiesa, quella delle manovre e della corruzione, può stare allegra: con questa gente non andrà lontana, ma toccherà il fondo della sentina come stiamo vedendo in questi giorni.
Si dice che il papa non governi. Per forza! Gli uomini di cui si è circondato li ha scelti lui e non un altro. Ha voluto contro la Chiesa del Vaticano II togliere la scomunica ai lefebvriani e fargli ponti d’oro? Ha voluto minimizzare le orrende immoralità dei Legionari di Cristo? Ha voluto tacere omertosamente la piaga purulenta della pedofilia? Ora non pianga e non si triste, perché è lui il vero colpevole di questo disfacimento ecclesiale. E’ lui che ha lasciato spazio alle bande, colpendo chi difendeva il Concilio e innalzando e onorando chi lo denigrava e ostacolava.
Ha voluto circondarsi di uomini sicuri, di servi attenti e premurosi e questi fanno sul serio: si cercano lo spazio per realizzare la «loro» Chiesa che non è di certo quella di Cristo, il quale in questo frangente se n’è andato alle isole Cayman per avere un alibi di ferro: non essere stato presente sulla scena del crimine nella notte del pontificato del Pastore Tedesco.
Lo yacht lo mise a disposizione il Celeste Formigoni, a cui lo ha prestato Daccò che paga di tasca sua, ma ad insaputa di tutti.
A costoro non riconosco alcuna autorità. Insegnano che lo Spirito Santo guida la Chiesa e che anche il papa è eletto per ispirazione dello Spirito Santo.
Se fosse vero quello che insegnano non si darebbero così da fare per manovrare a fare eleggere questo o quello o per condizionare il conclave a «papa ancora vivo». Costoro sono miscredenti che usano Dio e lo Spirito come un elastico per adattarlo alle loro nefandezze che ha un solo Dio: il potere, cioè la frenesia di volere imporre una chiesa a loro immagine e somiglianza di uomini falliti e per questo presuntuosi: si credono Gesù Cristo e ne sono anche convinti.
Essi sono solo la banda della Magliana con cittadinanza vaticana, ma le loro colpe non verranno mai alla luce direttamente, perché il loro ambiente naturale è il buio. Quando Giuda pensava di tradire il Maestro per appena 30 denari, l’evangelista Giovanni annota la tragedia con sole tre parole: «Ed era notte!» (Gv 13,30).
Don Paolo Farinella - parrocchia San Torpete – Genova, 31 maggio 2012
Note-
* Cfr. ALBERTO MAGGI, Le cipolle di Marta (profili evangelici), Cittadella Editrice, Assisi (2002)
* Le citazioni sono tratte da SANT’ANTONIO DI PADOVA, Sermones Dominicales (I Sermoni, edizione italiana a cura di G.Tollardo), Padova, EMP, 1996
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