set252024
L’accorrere dei pellegrini
Dalla fine del V secolo in poi una folla incalcolabile di pellegrini, desiderosi di vedere e toccare la sacra grotta per pregare in essa Dio e san Michele, non ha mai smesso di salire al monte dell’Angelo. Nella grotta del Gargano i pellegrini ivi giunti hanno sperimentato la gioia dell’in-contro con la misericordia di Dio e il conforto della protezione angelica: di questo essi erano fermamente convinti. Nell’alto Medioevo poi, fatti prodigiosi avvenuti su quel monte diventarono celebri in tutto il mondo occidentale e il santuario si impose come modello per tutti gli altri santuari micaelici.
“Fra VIII e X secolo - scrive il Petrucci* - il pellegrinaggio alla grotta garganica si era trasformato da fenomeno locale, quale era alle origini, in fenomeno di ampiezza europea; in Francia, in Germania, nelle isole britanniche era giunta, insieme con la devozione per l’arcangelo, che aveva seguito le vie più diverse di diffusione, anche la fama del suo più importante santuario d’Occidente”.
(*Armando Petrucci nato a Roma 1° maggio 1932 e morto a Pisa il 23 aprile 2018, diplomatista e dodicologo italiano, da un suo libro del 1963: Aspetti del culto e del pellegrinaggio di S. Michele Arcangelo sul monte Gargano).
La visita alla grotta scelta dall’Arcangelo divenne tappa obbligatoria nei grandi pellegrinaggi, così come divenne consuetudine, per i pellegrini che giungevano d’oltralpe, fermarsi non solo a Roma, sulla tomba degli apostoli, ma prolungare il viaggio fino al Monte dell’Angelo.
La grotta di S. Michele fu frequentata da pellegrini provenienti da ogni strato sociale: papi, imperatori, vescovi, abati e monaci e semplici fedeli: tutti, con la loro devota presenza, testimoniano la celebrità e notorietà del santuario.
Molte e svariate sono state le vie attraverso le quali il culto ha raggiunto i diversi paesi europei, ma per gran parte è stata opera dei pellegrini stessi. Mettersi in cammino verso il Gargano era una vera scelta di fede, capace di sfidare tutti i pericoli che il faticoso viaggio comportava.
Questi, percorrendo la via Francigena, si recavano alla grotta mettendo a rischio la propria vita per i più svariati pericoli. Molti, lungo la strada, a causa delle fatiche, andarono incontro alla morte. Spesso dovevano difendersi dai briganti o da altri filibustieri, come accadde nell’anno 869, quando i Saraceni, senza alcun rispetto del luogo sacro, profanarono il santuario e depredarono chierici e pellegrini lì convenuti.
Ritornando alle loro case i pellegrini “pubblicizzavano” i prodigi del Gargano raccontando delle grazie concesse loro da Dio tramite l’intercessione di san Michele. Il loro racconto catturava la curiosità di molti, suscitava interesse, ma soprattutto accendeva nel cuore di tanti il desiderio di ascendere al monte dell’Angelo. Così sempre nuovi anelli si aggiungevano alla catena che, partendo dal Gargano, poteva allungarsi nelle zone più diverse dell’Europa.
Non mancarono poi quelli che, in ricordo del loro pellegrinaggio, fecero edificare chiese, conventi o cappelle o altre costruzioni in onore del Santo. Furono tanti coloro che nel testamento lasciarono agli eredi il compito di compiere un pellegrinaggio in suffragio della loro anima presso la grotta di san Michele.
E Noha?
In questo contesto bisogna inserire la devozione dei nostri antenati per San Michele. A Noha il primo documento scritto, quindi sicuro, dove si parla della chiesa dedicata a San Michele è del 1452. Così comincia il documento della Visita Pastorale del Vescovo di Nardò alla chiesa di Noha: Inventario dei beni mobili e immobili della chiesa maggiore (Ecclesia maior) del casale di Noha che è intitolata a Sant’Angelo, fatto e ordinato dal reverendo in Cristo padre e signore, Mons. Ludovico de Pennis (1393-1484) di Napoli, dottore dei decreti, Vescovo di Nardò.
Ma Noha, come tutto il Salento ha conosciuto i Longobardi, i Normanni, gli Angioini, i Bizantini, i Monaci Basiliani e i Benedettini con tutto quello che la storia del Medioevo ci ha trasmesso.
E’ lecito immaginare che qualcuno dei nostri antenati, o forse un ipotetico Arciprete, abbia percorso il pellegrinaggio fino al Gargano micaelico e abbia voluto portarne il culto anche a Noha.
Nella chiesa madre di Noha, dedicata all’Arcangelo, dal 1600 si conserva ancora un altare in stile barocco che ricorda la devozione del popolo a San Michele. Infatti don Stefano Sergio, arciprete dal 1602 al 1612, ci assicura che nel 1602 la chiesa fu rifatta completamente e viene eretto l’attuale altare barocco di San Michele.
Nel 1621 sulla facciata della chiesa viene posta la statua di San Michele scolpita in pietra leccese. Quel manufatto ora si trova nel museo “Cavoti” di Galatina.
Nel 1652 all’altare di San Michele viene posta una lapide, leggibile ancora oggi.
L’arciprete Alessandrelli (natoa Seclì 1812 e morto a Noha nel 1882) nella sua relazione del 1850 attesta che ogni sera durante la novena si cantava l’Inno davanti all’Altare di San Michele.
E camminando più oltre verso la man destra vi sta l'Altare di San Michele Arcangelo protettore di Noha, e Titolare della Chiesa, costruito di pietra leccese in scoltura in ordine Dorico indorato col suo nicchio in mezzo, sopra del quale vi è la statua del glorioso San Michele Arcangelo in forma di guerriero, e tiene ai piedi il Dragone infernale in alto ferito, quale statua è di pietra leccese indorata e colorita nei lati del quale vi sono due colonne intagliate, e colorite colle loro basi e capitelli, in uno dei quali vi sono scolpiti Adamo ed Eva tentati dal serpente. E nell'altro lato gli stessi discacciati dal Paradiso terrestre dall'Angelo. Nelli lati di dette colonne vi sono due statue, una di S. Francesco d'Assisi, e l'altra di S. Antonio di Padoa colorite. Sopra li capitelli delle soprascritte colonne vi sono li corrispondenti cartocci coloriti, ed un baldacchino di tavola pitturato in oglio colli cornici corrispondenti fatto a spese del Rev.do Arciprete di detta Chiesa D.Nicola Soli.
Sta pure l'obbligo di cantare la Messa nel dì 29 settembre, e dare all'arciprete grana 30 per detta Messa, ed un carlino agli assistenti per catauno, cioè Diacono e Suddiacono ed a tutti quelli sacerdoti che intervengono a cantare in coro a detta Messa grana cinque per catauno, ed altri Chierici grana due e mezza.
Deve il Sindaco dare la cera necessaria per la detta sollennità e di quella che rimane ne resti in elezione dell'Arciprete prendersi sei candele da dove gli piace.
Deve dare le candele per l’Inno, che si canta in ogni sera in detto altare di S. Michele, ed in tutte l'altre litanie votive come appare per decreto della Curia Vescovile di Nardò, e all’oggetto della surriferita sollennità per corrispondere ancora a tutte le funzioni che in essa occorrono, si danno dalla Comune di Galatina, dove questo Paese è aggregato docati quindici, e l'Arciprete deve certificare dettagliatamente l'esito.
Oltre alla Piazza San Michele, dietro la chiesa madre, svoltando a sinistra appena usciti dalla sagrestia c’è ancora il Vico San Michele. In fondo a questo vicolo che termina con una piccola piazzola si trova un locale che oggi è adibito a deposito di attrezzature varie, con molta probabilità anticamente era una chiesetta dedicata a San Michele. Sopra la porta c’è una piccola nicchia, anche gradevole dal punto di vista estetico-architettonico, su cui appare un affresco, ormai quasi del tutto scomparso. Ma si vede ancora bene che l’immagine è di S. Michele. Sulla trave (in pietra leccese) che forma il sostegno per la porta, è scolpita una scritta in latino, molto chiara nella prima parte: Laus Deo - A.D. 1779. Il che significa: Lode a Dio. Anno del Signore 1779.
A due passi dalle nostre case, alle spalle del cimitero, in aperta campagna, c’è ancora un immobile volgarmente chiamato Casinu de luRumanu. Anche qui vi è una cappellina con tanto di campanile (la campana ormai è scomparsa). L’interno, un tempo arredato, come tutte le chiese, di altare per la celebrazione, oggi è ridotto a nulla. A stento si vedono sul muro i segni dove era fissato l’altare e sulla parete i residui di tre ovali, uno più grande al centro e due più piccoli ai lati: è tutto quello che resta dei tre affreschi di immagini di Santi, oggi non più riconoscibili. Solo nell’ovale di destra si intravede S. Michele.
In Via Calvario si può ancora ammirare l’affresco a San Michele realizzato da Michele D’Acquarica nel corso del 1920.
Ancora oggi la data della festa liturgica di San Michele è il 29 settembre, giorno in cui nel V secolo gli fu consacrata una basilica sulla via Salaria a Roma. A Noha la celebrazione del 29 settembre è particolarmente solenne da ogni punto di vista perché l’Arcangelo San Michele ab immemorabili è il suo Protettore.
Il resto è cronaca dei nostri tempi.
P. Francesco D’Acquarica imc
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