giu262021
Alla fine ho accettato di farmi effigiare da Papel, intanto perché mi fido degli amici e poi perché son così bravi da riuscire a trasformare un cesso in un’opera d’arte. Signori: il cesso non sono (non sarei) io, ma il set fotografico un po’ dadaista con le sue cinquanta e passa sfumature di grigio. Roba da fare invidia a Duchamp, Cattelan, Oldenburg, e chissà quanti altri ancora.
L’unico guiderdone per tale scatto in omaggio sarebbe stata la sua pubblicazione sulla mia bacheca sociale al momento dell’inaugurazione dello Studio, vale a dire le 13.30 in punto di martedì 8 giugno 2021. Secondo voi me lo son ricordato? Niente, o meglio nada: ma sì, cosa vuoi che siano due settimane abbondanti di amnesia.
Sia ben chiaro che il sottoscritto non è assolutamente il Ragazzo Immagine di codesto atelier delle visioni (sarebbe già morto e sepolto nella culla, l’atelier delle visioni dico), ma uno, anzi l’ultimo fra i circa cento figuranti che in un modo o nell’altro ci hanno messo (soprattutto) la faccia.
Papel, dallo spagnolo Carta (è inutile girarci attorno: tutto nasce su carta, anche il più virtuale dei progetti), non è un laboratorio etereo o incorporeo, è invece una bottega fisica al primo piano delle Gallerie Tartaro di Galatina dove Daniele Pignatelli, Alessio Prastano e Gianni Notaro – giovanotti ma esperti del mondo cinema-fotografico (e dintorni) - han posto le basi per sfornare immagini fisse o in movimento con dentro i più svariati annunci.
È vero che gruppi musicali, attori, modelli, dj, ballerini, pittori scultori e architetti, registi e scrittori, oratori, politici e scienziati (tipo i ritratti dell’8 giugno scorso), e a volte intere comunità hanno la necessità di lasciare un messaggio nella bottiglia, affidarlo al mare magnum universale per far conoscere in qualche modo arte e leggenda; ciò nondimeno da Papel potrebbe rivolgersi anche tutta una platea di piccole ma analogamente grandi imprese (dai profumi al design, dagli abiti al tris-bike, dalla masseria alla pescheria…), o di sposi promessi, o di chiunque pensi valga la pena di fissare su carta fotografica (antico e affascinante processo, finalmente redivivo) o su altri supporti le loro storie. Stiamo parlando di spezzoni di film che si chiamano clip, di album che si chiamano book, di manifesti che si chiamano poster, e di foto che vivaddio si chiamano ancora foto.
Secondo una presunta affermazione di Nietzsche non ci sono fatti ma solo interpretazioni. Il che calzerebbe a pennello con il lavoro di Papel. Ma diciamo che questi ragazzi non sono così come dire nichilisti, sicché (questo per la verità lo sapeva bene pure Nietzsche) per interpretare devi avere qualcosa da interpretare, un punto di partenza, se non proprio uno d’arrivo: dunque un fatto, un attimo, un volto, ecco un’occasione da immortalare, una cosa scritta o meglio sovrascritta dalla realtà. E là dove questo non dovesse essere sufficiente, per l’opera finita soccorre l’inventiva, l’alta fantasia, il talento: insomma di ciò di cui non si può riferire si deve raccontare (e qui Wittgenstein c’entra ben poco se non per l’assonanza con un suo celebre aforisma).
Questa in sostanza la possibile narrativa di un’inquadratura che vede un obiettivo puntato su di me nel luogo più democratico del mondo: una toilette.
Ora mi auguro veramente di non averla fatta fuori dal vaso.
Antonio Mellone
#eldiadepapel
@papelstudio.it
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