giu302014
Nel pomeriggio di giovedì scorso, in quella bella sala del palazzo della Cultura [sic], non so se per un attacco di dislessia acuta o in quanto poco avvezzo alla carta stampata (probabilmente la seconda delle due), il poveretto delegato dal comitato festa dei santi Pietro e Paolo di Galatina non riusciva a leggere con scioltezza il comunicato stampa, vergato senz’altro da un sadico, tanto che quando è giunto alla locuzione “pubblico ludibrio” (cui “la parrocchia e la comunità di fede” sarebbero state esposte per aver accettato caramelle dagli sconosciuti), nonostante il fervore, lo zelo, il sudore, il Nostro, con uno sforzo sovrumano e un serio rischio di ernia al cervelletto, in un paio di tentativi è riuscito finalmente a declamare questo cacofonico lemma. Ma santo cielo, avrei voluto dire all’estensore di quelle note, ci vuol tanto a sostituire l’ostico “ludibrio” con vocaboli ben più agevoli come “biasimo”, “vergogna”, “riprovazione”?
Ma fosse solo questo il problema.
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Il fatto è che purtroppo in quel pomeriggio d’inizio estate tutti gli astanti si son guardati bene dal proferire il vocabolo più difficile in assoluto da pronunciare in presenza di una o più persone vive: scusa. Evidentemente questo termine è ignoto, bandito, di più, censurato nella città di Galatina e nel suo circondario. Pare che il mea-culpa si debba recitare esclusivamente in chiesa battendosi il petto tre volte, ma guai ad ammettere fuori dalle mura del tempio le proprie colpe in pensieri, parole, opere e soprattutto omissioni. Sotto le volte della bella sala Celestino Contaldo si è assistito invece alla solita excusatio non petita (che, come saprà perfino il portavoce del comitato, è accusatio manifesta) e nulla di più.
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Date un’occhiata a quest’altro brano del famoso comunicato-stampa: “Abbiamo accettato il contributo senza fare domande, questo è vero. Ma siamo ancora convinti che certe domande, anche quelle giuste, appartengono alla politica e alla ideologia non a NOI!!! [notare il NOI a caratteri cubitali e ben tre punti esclamativi, ndr]”.
Ma davvero il cristiano si comporta come un allocco qualsiasi, come fosse incapace d’intendere e di volere, non ponendosi “certe domande”, facendo finta di non vedere e non sentire?
E poi ancora “Rispettiamo tutte le battaglie ambientali che il Salento e Galatina vorranno fare per il nostro territorio. Ma ribadiamo la nostra lontananza dalla politica!!! [altri tre punti esclamativi, caso mai non avessimo capito bene la prima volta, ndr]”.
Cosa? “Le battaglie ambientali che il Salento e Galatina vorranno fare”? Ho letto bene: “Vorranno fare”?
Perché, voi e i vostri figli, cari signori, non siete forse di Galatina e del Salento? Non respirate la stessa aria, non frequentate lo stesso mare, non vivete della stessa terra? Perché dovrebbero sempre essere gli altri a “fare le battaglie” per l’ambiente?
E quando papa Francesco parla di “custodire il creato”, non si riferisce per caso alla lotta per salvaguardare la natura (residua o superstite) che ci circonda? Non è forse anche questa “Politica”, nel senso più alto e nobile del termine?
Chi l’ha detto che “solo la politica, le istituzioni e i comitati ambientali possono e debbono occuparsi del merito”? Perché tirarsene fuori? Il credente non è un Cittadino come un altro che ha il diritto-dovere di intervenire, di informarsi e di essere informato? Oppure il cosiddetto fedele dovrebbe occuparsi soltanto di “processioni”, “luminarie”, “luci e bande”, candele e giaculatorie, rispondendo sempre “amen”, e non solo nel corso delle liturgie?
Caro papa Francesco, parli ai sordi.
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Ciliegina sulla torta, come al solito, l’intervento del mio sindaco.
Poteva mancare, signore e signori, l’intervento di Mimino Montagna, che, a quanto pare, a tempo perso, smette i panni del medico per indossare la toga di avvocato difensore dei comitati-festa cittadini? Ovviamente no.
Infatti, Mimino nostro ha ribadito più volte la storia della buona fede (che, tra l’altro, nessuno ha mai messo in dubbio). Figuratevi se gli è saltato in mente di dire che forse lui ed i suoi compari di merende a palazzo Orsini avrebbero dovuto vigilare un tantino di più, visto che il Comune ha cofinanziato la festa con 16.000 euro di soldi pubblici, e vedere il logo del Comune di Galatina accanto a quello TAP non è, diciamo così, il massimo dell’eleganza.
Pensate che l’ineffabile sindaco di Galatina in un altro intervento, a proposito di alcune scritte sui muri lasciate da qualche idiota, ha (o avrebbe: fonte galatina.it) detto quanto segue: “Dopo il pacifico e chiarificatore incontro avuto con i ‘No Tap’ nella serata di giovedì non ci aspettavamo questo gesto esecrabile. [A quell’incontro] erano presenti, oltre all’Amministrazione comunale, anche i rappresentanti del Comitato festa. Un ingegnere dei ‘No Tap’ ha illustrato i motivi giuridici e tecnici della loro contrarietà al passaggio nei pressi di San Foca del tubo che porta il gas dal Mar Caspio. D’altra parte il Consiglio Comunale ha già votato un documento di sostegno alle posizioni del Comune di Melendugno”.
Chiaro? Loro, i NO-TAP, hanno illustrato i motivi giuridici e tecnici della loro contrarietà.
Come della loro contrarietà? Visto che il Consiglio Comunale “ha già votato un documento di sostegno alle posizioni del Comune di Melendugno”, non dovremmo parlare all together, sindaco in testa, di nostra contrarietà?
Mistero della buona fede.
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Alla fine della fiera (“fine della fiera” ormai in tutti i sensi) nessuno ha osato parlare di restituzione dei soldi (figuriamoci); nessuno ha osato azzardare l’ipotesi della revoca del patrocinio (manco per sogno); nessuno si è assunto l’onere di spiegare, magari dal pulpito, i danni e le beffe del TAP (posto che siano stati compresi gli uni e le altre).
Tutto si è concluso invece come previsto dal copione: a tarallucci e vino.
Sicché la stragrande maggioranza dei galatinesi potrà continuare a credere che l’acronimo TAP stia per “Ti Amo Pietro”, ovvero, a seconda della devozione, “Tanti Auguri Paolo”.
Antonio Mellone
Commenti
In realtà, secondo Vittorio Mathieu (filosofo e politico italiano e autore di un breve e denso saggio il cui titolo è tutto un programma: "Le malefatte della buona fede"),
la "buona fede" vive la condizione tutta edipica di un "connubio incestuoso" con la "finzione".
(Enzo Sardellaro)
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