lug032022
Intendo aprire solennemente la stagione lirica delle Fette di Mellone - Estate 2022 con un cenno alle motivazioni circa la mia Assoluzione nel processo intentato contro di me da un personaggio politico locale (tra le decine cui ho diciamo lisciato il pelo, incluso quello sullo stomaco), del quale è ormai giusto e pio far calare definitivamente il sipario. Eh sì, forse molti fra voi non sanno che una di codeste Fette fu portata in tribunale nel 2015 e - tra indagini, opposizioni all’archiviazione, torture a sintassi-grammatica-e-ortografia, giudizi sommari (o forse somari), e mille rinvii mai richiesti dal sottoscritto - fatta sedere sul banco degli imputati per un settennato, cioè fino al 24 marzo scorso, giorno del sentenziato proscioglimento “perché il fatto non costituisce reato”. A dire il vero, dopo una prima querela (alla fine rivelatasi di fatto temeraria) ne seguì un’altra, ma, purtroppo per il bi-querelante, pure la seconda accusa finì nel nulla, vale a dire da dove era partita.
Per esser ancora più chiari, stiamo parlando di tribunale penale, con un pizzico di “civile” che non guasta mai visto che in entrambi i casi la modica cifra richiestami a mo’ di risarcimento del danno (immagino morale o biologico, oppure emergente, se non proprio a titolo di lucro cessante) fu di 30.000 Euro. E devo riconoscere alla controparte una certa indulgenza nell’aver moderato la richiesta rispetto ai 100.000 Euro prospettati nella primissima denuncia sporta ai Carabinieri. Chissà poi se l’avvocato delle due cause perse sarà riuscito a ricondurre il suo assistito a più miti consigli, scongiurandolo, in nome del concetto di Difesa (soprattutto da se stessi), di lasciar perdere certi espedienti che talvolta, alla fine della fiera, rischiano di rivelarsi un tantino autolesionisti.
E insomma, uno come me mai avrebbe pensato che il suo nome, dopo i registri scolastici, potesse andare a finire anche nel registro degli indagati per un’ipotesi di reato più o meno corrispondente alla lesa maestà. Ma tant’è. L’arma dell’ipotizzato delitto? I polpastrelli. Quelli con i quali si battono i tasti del Pc lasciandoci, invero, un po’ di impronte digitali.
lug162022
Avevo in mente di aprire in pompa magna le Fette di Mellone - Estate 2022 con il primo canto del Purgatorio di Dante Alighieri girato nel mese di maggio scorso nella riserva del Porto Selvaggio di Nardò. Ma poi mi sono giunte su di un piatto d’argento le motivazioni dell’assoluzione nel processo alle invenzioni (a proposito di alta fantasia), intentato ai miei danni da un revanscista per caso, magistralmente redatte da una Giudice (un’altra toga rosso Mellone?): sicché non ho potuto fare a meno di esclamare anch’io con Bertolt Brecht: “C’è un giudice a Zollino” (e dunque rinviare di qualche settimana la suddetta pompa).
A pensarci bene, questo canto del Purgatorio (senza dubbio il più bello: come ognuno degli altri novantanove del Poema) non è poi così scollegato dal tema del diritto di Parola Antipatica che certi pseudo-satrapi locali sovente considerano codardo oltraggio: ché ormai proferire e vergare parole allineate, oggi addirittura resilienti, e ça a va sans dire politicamente corrette non è chissà quale forma di libertà, anzi è una mano di antiruggine a catene e guinzagli più o meno lunghi, l’ennesimo giro di vite alla presa di coscienza individuale e collettiva, il tiraggio del doppino al nodo scorsoio. Sì vabbè, mi volevano diciamo morto provando maldestramente a levarmi la penna di mano, ma facciamo che sarà per un’altra volta (la morte dico, ché la penna, a dispetto di ogni anatema di perbenisti e madamine, me la porterò nella tomba).
ago132022
Se non volete essere mandati al diavolo su due piedi risparmiatevi gli slogan del marketing buoni per chi si beve tutto [e vota di conseguenza, ndr.], tipo: “In questo luogo del cuore si è fermato il tempo”. Primo perché le chiacchiere dei pubblicitari [e quelle dei politicanti, ndr.] lasciano il tempo che trovano, e poi perché qui non si è fermato proprio un bel nulla, anzi questo tempo continua a scorrere inesorabile e ad essere pure scandito con una certa puntualità. E se proprio di cuore vogliamo parlare non sarà nel senso delle intenzioni, dei propositi o delle volontà, ma del marchingegno necessario al loro funzionamento, onde il signore de quo ne è il cardiologo e la sua bottega il pronto soccorso.
Sto parlando di Pantaleo Arturo Abaterusso che da una vita fa l’orologiaio a Galatina, in corso Garibaldi 12 per la precisione, a un fischio da piazza San Pietro, quasi dirimpetto alla cappella di San Paolo. Non cercatene l’insegna: non la troverete, essendo talorni del genere del tutto inutili a chiunque abbia clientela fedele e quindi tam-tam assicurato. Di poche parole - ché lui non ha tanto tempo da perdere, e men che meno noi di riscrivere Guerra e Pace -, Arturo a dodici anni inizia a smontare e rimontare le sveglie a corda (quando si dice un ragazzo sveglio): quelle che papà Fedele aveva da riparare dopo averle ricevute in affidamento con tante raccomandazioni dalle famiglie di tre quarti di Salento e anche oltre, fino a Brindisi dove si recava in missione a bordo della sua bicicletta presso quei centri multiservizi – financo di raccolta cronografi da rimettere in carreggiata - che erano i barbieri. È appena il caso di aggiungere che nel corso degli anni ’50 del Novecento papà Fedele aveva il suo piccolo laboratorio alla “discesa delle Anime”, la quale (combinazione) non è altro che la continuazione di via dell’Orologio.
Arturo ci tiene a precisare che non nasce orologiaio (anche se, come detto, ha avuto corrispondenza d’amorosi sensi con quadranti, lancette, bilancieri, guarnizioni, gabbie, rotori, molle, suonerie e tourbillon fin da quando era praticamente in fasce), bensì orafo: egli è infatti Maestro D’Arte dei Metalli e dell’Oreficeria con tanto di Qualifica prima, e Diploma di Maturità poi, conseguiti rispettivamente nel 1972 e nel 1974 all’Istituto Statale d’Arte di Galatina. Le sue creazioni erano (sono) preziose per materiali certamente, ma viepiù per gusto e stile. Se glielo chiedi e se ha qualche minuto libero ti mostrerà con orgoglio un album di disegni dei suoi gioielli, pensati, disegnati e realizzati con le sue mani e forgiati nel forno tuttora presente in negozio - altro che quelli prodotti in serie da Morellato, Cartier, Recarlo, Breil, o Amen. “Questo l’ho fatto tutto io dalla A alla Z – mi dice - e l’ho appena rilucidato ché dobbiamo andare a un matrimonio”: e da un astuccio tira fuori il bell’anello creato per la consorte qualche decennio addietro.
Ora, inforcata la sua visiera di ingrandimento con luce a led (la volta precedente aveva un monocolo), mi congeda e si rimette sulle sudate casse, e con mano ferma, bisturi, micropinze, presse e alesatori, calibri e cacciaviti è pronto all’n-esimo intervento chirurgico della giornata: ché gli orologi, dal più costoso al più vile, dal Patek alla patacca, han bisogno di camminare.
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Appena fuori da questo presidio di biodiversità ancora immune dal virus della moda edonistico/godereccia s’apre il Borgo Antico Galatinese, instradato sulla via della lunaparkizzazzione (meglio nota come Valorizzazione) tutta movida, tavolini, spritz & food più o meno fast, in ossequio alla borgomania (variante piccoloborghismo) così cara ai forzati dello svago nonché ai pubblici amministratori con la vocazione dell’animatore di un villaggio vacanze.
ago242022
Han provato in tutti i modi a farmi diventare un pochino Resiliente, con corsi di formazione ad hoc, lettura dei quotidiani a maggior tiratura nazionale e locale, visione di talk show trasmessi dalla tv generalista, qualche querela acefala e anura, il Pnrr, (e per la verità ci ho pure messo del mio frequentando amici per i quali va tutto bene dacché non vedono, non sentono e non parlano), ma io niente, tosto, con tutti i miei stereotipi intonsi, contro i quali, lo riconosco, è dura combattere.
Confesso che a un certo punto, stanco di fare il bastian contrario su un bel po’ di cose che mi danno intru le corne, dopo approfondite letture di manuali di life coaching (sì, talvolta indulgo al masochismo), proprio all’inizio delle correnti vacanze estive stavo quasi per gettare la spugna, stirare con l’appretto il mio elettroencefalogramma, mettermi nei panni del semplice voyeur dei superstiti compagni ribelli contro il fato ineluttabile, e pensare dunque che sì, non esistono alternative praticabili, e che ci puoi fare, così gira il mondo, guarda il lato positivo della cosa, non essere il solito oscurantista, pensa allo Sviluppo e alla Crescita (immagino del Pil), e smettila una buona volta con certe tue opinioni politiche decisamente giurassiche, per nulla progressiste e men che meno riformiste.
Insomma, apro la stagione lirica dei bagni al mare recandomi bel bello la mattina presto - come soglio da decenni con la mia ultraventicinquennale sediolina pieghevole - in quella zona di mare chiamata Santa Caterina di Nardò, in fondo alla discesa de Le Cenate, esattamente sulla scogliera di fronte all’isolotto controllato a vista dalla Torre dell’Alto, versante Frescura, il mastodontico stabilimento white e glamour che ha cambiato volto e nome al sito un tempo detto de Lu Chiapparu. Codesta permuta semantica avrà pure un suo perché: in effetti mo’ è tutta un’altra cosa, un luogo così discreto, estremamente va-lo-riz-za-to, di tendenza, una “location” ideale per gnocche e redivivi Casanova, vip gaudenti, medi e piccolo-borghesi, e in fondo in fondo anche gente come si dice comune, voglio dire i consumatori del mass-market che ogni tanto decidono di stringere la cinghia (avendone ancora una) per provare il fascino del reality - e vuoi mettere il tramonto sullo Ionio ascoltando il dolce suono del ghiaccio nel bicchiere del cocktail, magari con tanto di applauso finale in piena sindrome di Stendhal.
E così superata agilmente l’area riservata fatta di tubi, pali, fili, piattaforme, gradini, banconi, passamano, tettoie, ponticelli, tavoli, lampade, poltrone, sedie, gazebi, ombrelloni, casse acustiche, bandiera delle cinque vele garrente al vento, e altre amenità della specie, m’inoltro nell’ala per irriducibili (e impenitenti) nostalgici degli spazi ancora esentati dai canoni di noleggio, altrimenti classificati come beni comuni, e m’accorgo (capirai la novità rispetto allo scorso esercizio) che sulla bianca scogliera, pardon white cliffs, continuano a stazionare i cuscinoni, quelli larghi resistenti e morbidi in grado di assicurare alle terga di chi paghi un ticket per pronta cassa il comfort da sabbia del lido (sennò perché uno dovrebbe scegliere lo scoglio). Sempre rigorosamente white (vabbe’ un po’ ingialliti, mica si può star lì ogni santo giorno a sanificarli con spugna e amuchina come virologo comanda), i cuscinoni in tessuto sintetico te li ritrovi sparpagliati qua e là (ultimamente anche impilati) a mo’ di installazioni artistiche sulla fascia costiera ben oltre il recinto del bagno in concessione, dico nell’area spiaggia “libera” (sarà un nuovo metodo di esportazione della democrazia).
Son lì queste novelle chaise longue da cozzi sin dalle prime luci dell’alba, tipo quegli ombrelloni un tempo ‘mpizzati sulla riva pubblica dalla sera prima dai soliti “terroni” per assicurarsi la poltronissima per il giorno seguente.
Ebbene ultimamente (veramente qualche avvisaglia del fenomeno s’era registrata anche nella passata campagna turistica) abbiamo una novità di stagione fresca fresca: vale a dire i pallini di polistirolo che fanno pendant con il bianco dell’habitat naturale e artificiale dell’ameno loco. Come quali pallini? Ma quelli di cui sono imbottiti i suddetti cuscinoni. Sissignore, qualche volta fuoriescono, ora da un angolo, ora da una scucitura, ora da una crepa, e si sparpagliano sul litorale roccioso: talvolta parliamo di intere francate di minuscole sfere nivee che vanno a finire nei micro canyon dei massi santacateriniani, quando non prendono la direzione del vento.
Ma fanno tanto effetto neve del presepe. Roba da brividi proprio e pelle d’oca da freddo polare, anzi da frescura. Sicché d’ora in poi gli avventori del famoso impianto balneare extralusso potranno a scelta (e senza supplemento di prezzo) passare dall’ebbrezza del reality a quella del cine-panettone.
Eh sì, sono in tanti a credersi in Vacanze di Natale. Invece che sul Titanic.
Antonio Mellone
set102022
Nell'immagine è assente P. Francesco D'Acquarica
Mamma mia come passano i secoli. Sembra ieri, e invece sono trascorsi ben due decenni (era il mese di settembre del 2002) dalla nascita di Noha.it, il blog geofilosofico di questo angolo di terra che nella sua denominazione vanta niente poco di meno che la lettera H: come quella (su, illudiamoci un po’) di Honeste vivere (uno dei tre precetti del diritto), o di Harmonium (che oltre a evocare l’idea dell’armonia è uno strumento musicale francese molto simile all’armonium), o di Habitat (quella cosa che si riuscirebbe forse a custodire un po’ senza il sistema tutto chiacchiere, sviluppo e crescita), ovvero di Humus (addirittura culturale), ma anche di Home sweet Home e di Hallo (per chi alle medie ha studiato inglese).
A tal proposito v’è da puntualizzare il fatto che, come diremo, in questi venti anni quell’H - per la fortuna di chi ne capisce e l’ira funesta di chi no – è stata tutt’altro che muta.
È ora il caso di chiarire anche che Noha.it non fu né inventato né creato dal sottoscritto, che dunque non ne è assolutamente l’azionista di maggioranza (anche perché codesto blog non ha né quote, né azioni, e per fortuna nemmeno obbligazioni), ma soltanto un intermittente benché sostanzialmente fedele collaboratore. Invece l’artefice di tutto l’ambaradan è sempre stato l’Albino Campa, esperto informatico, ideatore, e quindi patron ma decisamente non il “padron” di codesto diario elettronico comunitario, se non altro per via della diciamo usucapione ventennale da parte dei suoi venticinque lettori vicini e lontani: onde il sito de nohantri rientra ormai nel novero dei beni comuni, se non proprio demaniali.
Vero è che qualcuno vedendo che numerose fra le migliaia delle sue pagine sono inguacchiate dal risultato delle mie battute (intendo quelle su questa benedetta tastiera, non quelle di spirito) ha creduto che insomma io ne fossi il titolare effettivo, tanto che poco tempo fa, proprio nel corso della recente campagna elettorale per le amministrative galatinesi (quelle, come dicono, vinte da Pippi Calzelunghe, ora naturalizzato Pippi Carzilarghi), un signore mi chiese se per caso io fossi di “Noha-punto-it”: gli risposi laconicamente che sì, sono di Noha: ma senza punto. Punto.
Ma, detto per inciso, questo 2022 non è soltanto il ventennale di una nascita, ma anche il decennale di un trapasso, quello de “L’Osservatore Nohano”, il mensile cartaceo e on-line (o forse borderline) del sito, una rivista senza interessi (solo conflitti), dai temi anacronistici (dico con il futuro incorporato), vergato talvolta con inchiostro antipatico da un gruppo di ragazzi allora come ora capaci di sognare. Requiescat in pace (quel rotocalco, non i suoi redattori).
set242022
Qualcuno m’ha posto la domanda retorica su cosa pensassi della propaganda pOLITICA in corso, e qualcun altro, più temerario del primo, a chi “eventualmente” (avverbio azzeccatissimo) avrei potuto attribuire il mio suffragio in quest’epoca di disagio universale diretto.
Apprezzo il coraggio dei miei interlocutori che hanno rischiato un’attaccatura di bottone della durata non inferiore al lasso temporale che va da qui alle urne (intese nel senso foscoliano del termine): e dunque non posso esimermi dall’abborracciare una risposta, evitando in tal modo di farmi fotografare nei pressi della cabina elettorale – ove mai fosse - con la mia scheda appena segnata da una X, magari mandando baci al vento, cioè ai miei followers, come pare usi fare l’osceno del villaggio di turno.
Partiamo dalle batracomiomachie all’interno del Partito Unanime (del quale, per quanto ovvio, fa parte pure l’opposizione di complemento), presentate dai giornali dell’ortodossia e dalla tv del dolore e delle emergenze come “espressione massima della nostra democrazia”, quando altro non sono che una messinscena funzionale a un sistema nel quale la Politica è un pelo superfluo e gli interessi conto terzi il convitato di pietra. Dico che i sedicenti avversari appaiono così simili tra loro che se parli male di uno si offende l’altro.
Le imminenti elezioni, come molte precedenti, sono poco più, anzi molto meno, di una farsa dozzinale (adoro gli eufemismi), e quindi l’n-esima vidimazione di uno status quo ante. Sarà anche per questo che in codesto pirandelliano giuoco delle parti, grazie agli strumenti del moderno Istituto Luce, i grafici degli elettroencefalogrammi di un campione significativo di fiancheggiatori di questo o quel partito e quelli di un medesimo prototipo di tifosi di una curva da stadio di calcio tendono a coincidere aderendo perfettamente alla retta delle ascisse, sicché se non tutti in tanti continueranno a credere agli asini vaganti nell’aere, nonostante codesti mammiferi perissodattili siano stramazzati al suolo da un bel po’.
lug122023
A inizio primavera dello scorso anno venivo assolto dal tribunale di Lecce nel processo durato un lustro abbondante – rito abbreviato, eh - scaturito dall’ennesima querela un tantino temeraria vergata da un personaggio politico di non so più quale partito (probabilmente un emulo del maestro matteo renzi), per via di una delle mie Fette di Mellone andatagli di traverso. Si conoscono pure le motivazioni di codesta assoluzione (in pratica il giudice sentenziò che il reato di satira non esiste né in dottrina né in giurisprudenza), ma molti ignorano il drammatico dibattimento avvenuto in aula tra le parti in causa. Soltanto di recente ho rinvenuto (invero fortuitamente) il resoconto stenografico di quell’udienza della quale, ai sensi del combinato disposto della riforma Cartabia e del decretino Nordio, sono costretto a riportare qui di seguito solo qualche stralcio preventivamente approvato dal Minculpop: pensieri, parole, papere e omissis che forse ci consentiranno di cogliere il succo di quel giudizio, passato ormai agli annali della giustizia come Processo alle Invenzioni, o più semplicemente Pro Cesso.
Giudice togato: “La parola dunque alla parte offesa”.
Parte Offesa, inscenando un attacco alla Filomena Marturano: “Signor giudice ho dovuto denunciare più volte questo deficiente, nonché stupido, perché è una persona povera, dico io, misera di contenuti, non è nessuno, ha stancato tutti, e si permette di coglionare la gente [chiedo venia per gente, ndr.]. Statti a casa tua! E poi dice che io o probblemi con la grammatica è la sintassi è pure con l’orografia. Insomma ha cercato di farmi passare per un utile idiota della politica”. Imputato: “Mea culpa, signor giudice, temo di aver esagerato con l’utile”.
Giudice: “Al di là del lessico impressionistico e di codeste comprensibili reazioni da racconto picaresco, così su due piedi darei il 41bis al qui presente imputato, non tanto per il vizio di schernire tutti, dalla A di avvocato alla Z di zampognaro passando per la S di sindaco, quanto per la prolissità del pezzo, benché a tratti addirittura erudito”. Un testimone dell’accusa: “Sissignore giudice, se io sarei in lei glielo tagliassi proprio quel dito”.
lug232023
Codesta seconda Fetta di Mellone 2023, complementare alla precedente, vuole trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha. Si sta dunque riportando qualche brano trafugato dai verbali del famoso processo boomerang, altrimenti detto farsa, trasformatosi poi, senza il volere esplicito del denunciante, in un processo di canonizzazione (previa beatificazione) dei miei scritti corsari finiti sul banco degli imputati.
Siamo ora perlopiù alle prese con l’arringa del mio difensore. All’inizio, a sentirlo blaterare così a favore del mio (invero dilettante) aguzzino, mi sorgevano spontanee, benché represse, risolute imprecazioni da anatema pontificio contro i suoi meglio avi defunti oltremodo putrefatti. Da alcune asserzioni proferite al cospetto del tribunale, il mio avvocato di diciamo fiducia appariva così d’accordo con il bi-querelante che sembrava quasi averne controfirmato la richiesta di incriminazione. Ma vedi tu che vado a pensare.
Giudice: “Posto che i follower, pardon, i testimoni della parte offesa (categoria fedeli abbonati) non possono testimoniare per via del “rido abbreviato”, sentiamo ora il cosiddetto difensore dell’imputato. Mena meh, ché la prescrizione incombe”.
Avvocato dell’imputato, compulsando le carte: “Ehm, cioè, io non saprei cosa dire. È che tutte le volte che parlo peggioro la situazione del condannato, scusi, volevo dire indagato, anzi imputato… Ah ecco qua, signori della coorte, cosa preferite voi: le Fette di Mellone o il condizionatore acceso?”. Imputato afflitto: “Minchia, ho scelto proprio il Migliore”.
Avvocato dell’imputato imperterrito nella sua arringa sempre più aringa: “A noi non rimane che ringraziare la parte offesa per queste querele: se non le avesse sporte, il mio patrocinato non avrebbe mai saputo che quello che scrive è legittimo, e magari avrebbe continuato a usare gli stessi toni con il timore di esagerare un po’”. Imputato tachicardico: “Quasi quasi gli portiamo un presente per sdebitarci”.
Avvocato dell’imputato, imperturbabile: “Lo so che un tempo si parlava di ‘Spada di Damocle’, mentre oggi per antonomasia di ‘Penna di Mellone’ penzolante sulla testa di chi osi affacciarsi sulla scena pOLITICA locale: una penna capitale, dico, feroce e ruvida contro il digiuno di metafore, iperboli, noir e autoironia. È che talvolta il mio assistito crede che i suoi scritti possano competere con gli epigrammi di Marziale o le invettive di Pietro Aretino. Ma non ha intuito una beneamata, visto che oggi la satira non ha più bisogno nemmeno di un Aristofane o di un Giovenale (figurarsi dunque di un Mellone qualsiasi), e che i testi migliori sono quelli auto-prodotti dai bersagli stessi della caricatura, sicché l’unico reale rischio giudiziario è il copyright”. Imputato sorpreso: “Questa è così sottile che rischiamo una strage di analfabeti funzionali per ictus da sforzo. Però, però questo avvocato…”.
ago152023
Un tempo per provare un po’ di sollievo dal solleone (o canicola, o afa, o arsura, o semplicemente grande caldo) era sufficiente una fetta di Mellone fresco; ora pare non bastino più nemmeno i condizionatori (cui abbiam dovuto rinunciare per aver scelto la pace, come da diktat del Migliore), e dunque si debba ricorrere alle cure di uno psicologo, quando non a quelle di uno psichiatra. Eh sì, perché a fobie, tic, dipendenze e mille altre nevrosi della vita contemporanea oggi possiamo finalmente aggiungere pure l’eco-ansia.
All’inizio governi, televisioni, intellighenzia, maître-à-penser, finanza e mercati unificati parlavano esclusivamente di surriscaldamento; ultimamente, onde evitare di sbagliar segno (positivo o negativo), le stesse reti, circonfuse dalla consueta inconfondibile aura di prestigio, si accontentano di dibattere di un più generico mutamento climatico, forse per meglio corroborare la loro infallibilità oracolare.
Orbene, lungi da me il voler confutare la Scienza (e la eventuale dogmatica di complemento), o sfidare a singolar tenzone i novelli inquisitori, non essendo un climatologo non metterò in discussione il concetto di cambiamento (tutto cambia sempre, ci mancherebbe altro), ma vorrei sommessamente far presente due o tre cosette.
La prima è che non so cosa possa succedere al macroclima (o grande clima, o clima della nostra era geologica), ma il microclima (cioè quella microscopica, minuscola, trascurabile parte del macroclima terracqueo) registrerà sicuramente sensibili aumenti nei suoi gradi centigradi ogni qualvolta si procederà, per esempio, all’abbattimento degli alberi più o meno cittadini, in quanto molesti al traffico, all’asfalto, al cemento, e al piano regolatore; oppure alla loro eradicazione per via della vulgata secondo cui “Stassiccatuttu causa batterio” anche se sono vivi e vegeti, e quindi meglio non contraddire decretini e ricercatori dal verbo incarnato. Certo è che qui si sta segando alla grande, a partire dai rami su cui stiamo seduti.