Ci si sta avvicinando ai primi di agosto e, come vuole un’antica tradizione della Chiesa, si darà anche quest’anno ai fedeli più devoti la possibilità di acquistare il cosiddetto Perdono d’Assisi, ovvero la remissione di tutti i peccati (non vi dico in che consista, perché il meccanismo è complesso: bisognerebbe anzitutto capire a fondo la distinzione giuridica tra la colpa e la pena, altrimenti non si capirebbe neppure la trovata delle indulgenze) che, in poche parole, consiste nel prendersi l’indulgenza plenaria, osservando alcune pratiche religiose (il meccanismo ha il suo automatismo!): la visita di una chiesa parrocchiale (inizialmente era un privilegio della Porziuncula di Assisi, poi venne esteso a tutte le chiese parrocchiali: la generosità della Chiesa non ha limiti, naturalmente in modo poco gratuito), inoltre recitare alcune preghiere, confessarsi e comunicarsi. Un buon investimento per il paradiso per chi dovesse morire in quell’istante. Garantito il passaggio, comunque, per le anime del purgatorio: anima per anima, per la sempre magnanimità della Chiesa che moltiplica il Perdono “toties quoties”: ogniqualvolta entro in chiesa, recitando le preghiere stabilite, acquisto l’ indulgenza plenaria da estendere alla tal anima. Mia madre, quando ero piccolo, mi trascinava dentro e fuori la chiesa di Rovagnate per chissà quante volte. Dentro e fuori, dentro e fuori… Toties quoties!
Che nel passato i bravi cristiani credessero a queste cose, non sto qui a giudicare la loro buona fede. Ma che oggi si continui a tenere i credenti in simili menzogne, questo è insopportabile. Ognuno può vivere come vuole il proprio rapporto con il Padre Eterno, ma non accetto più che si educhi il popolo di Dio con simili panzane. Le indulgenze sono state la più grossa balla o blasfemia della Chiesa. Nulla hanno di fondamento teologico. E non mi si dica che tutto fa brodo, purché la gente si avvicini ai sacramenti. Ma che stiamo dicendo?
Casomai, cerchiamo di raccogliere il messaggio evangelico del Poverello d’ Assisi, snellendo le nostre strutture troppo ricche e impegnandoci gratuitamente al servizio del bene comune.
Don Giorgio De Capitani