11 settembre di 10 anni fa. Ero ancora un ragazzino al primo anno di liceo. Ero ancora alquanto ingenuo e il mondo aveva a sua disposizione una mente sgombra e morbida, facile da maneggiare e plasmare, da scalfire e modellare a piacimento. Mi offrivo nella mia innocenza a tutto ciò che era in grado di meravigliarmi, di interrogarmi, e mi aggrappavo ai fatti, agli oggetti e ad ogni nuova sensazione capace di scuotermi e distrarmi. Basta poco quando si è così giovani e forse per questa ragione non riesco a dimenticare, non riesco a cancellare dalla mente quelle orribili immagini, quelle urla, quei pianti, e nonostante il tempo invecchi e degradi il mondo e le sue idee, ancora oggi rimane vivo in me il ricordo di quella serata passata dinanzi alla TV, di quei giorni trascorsi a sfogliare meccanicamente giornali e riveste, a scorazzare a bocca aperta, incredulo, tra le pagine di Internet.
Oggi 11 settembre 2011 le cose non sono poi tanto cambiate. O almeno è quello che vogliono farci credere. Per i media sembra quasi inevitabile, sacrosanto affiancare alla commemorazione di quella fatidica data immagini già viste, riviste e ampiamente commentate, gli scatti di due torri che si frantumano tra le fiamme sotto il peso dell’odio umano mascherato da terrorismo. Sembra blasfemo non tirare in ballo quelle macerie miste a carne umana che piovono giù dal cielo, direi quasi incivile, da insensibili ed egoisti. E ancora oggi ci fanno soffrire e piangere insieme ai parenti delle vittime, come se il tempo si fosse fermato, come se la vita non fosse andata avanti, come se avessimo delle colpe da espiare. Non riesco a trattenermi e piango, con il dubbio però che qualcuno ne approfitti cercando di svegliare in me questi vecchi ricordi che hanno scandito una tappa fondamentale della mia adolescenza, della mia vita. Ho come la sensazione che tutto questo sforzarsi di ricordare non sia tanto a scopo commemorativo, come è giusto che sia, ma piuttosto per mantenere alto il livello di paura.
Paura, insicurezza e incertezza nel domani. Non siamo mai troppo al sicuro, sembra essere ancora oggi il messaggio che passa dai media. E noi ci guardiamo intorno e soffochiamo nella morsa della paura. In queste occasioni è inevitabile non pensare: “non siamo più liberi con queste catene che ci hanno messo al piede, non siamo più liberi”. Apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che siamo precipitati in basso, in un mondo in cui la storia non fa più da maestra, ma da padrona. Un mondo in cui forse si gioca troppo spesso con la vita delle persone, perché questa non ha più alcun valore. Contano i fatti, e che ci sia sangue, odio, grida e urla, altrimenti il gioco non vale la candela.
Michele Stursi