set142012
All’incontro del 7 settembre scorso, oltre all’assessore ing. Andrea Coccioli, a farci da Cicerone c’era anche l’ing. Marcello Memmi, consulente e direttore dei lavori.
L’ing. Memmi, orgoglioso della sua creatura, in maniera garbata e puntuale, ri-portandoci negli spazi e negli ambienti di quella che ormai un’era geologica fa fu la nostra scuola elementare ci ha spiegato in dettaglio tempi e modi della ricostruzione quasi ab imis del manufatto, e poi ancora lavori eseguiti, accortezze, volumetrie, impiantistica, sistemi di sicurezza, qualità dei materiali, differenze tra il “prima” e il “dopo”.
Noi abbiamo ascoltato il tutto con molta attenzione, ponendo delle domande e ricevendo risposte più che adeguate.
L’opera ci è parsa molto bella, non c’è che dire. Sembra ci sia tutto l’occorrente (tranne un piccolo particolare di cui diremo), e sembra che davvero i lavori siano stati eseguiti a regola d’arte. Ma a ben guardare e a dirla tutta, ci sono alcuni piccoli dettagli – inezie se rapportate all’economia dell’intero edificium - che difficilmente sfuggono all’osservatore, pur distratto ma dai riflessi appena un poco più vivaci di quelli di un bradipo sedato.
Non sapendo da dove cominciare per prima, partiamo dall’alto. Ci riferiamo ai chiamenti del solaio, in particolare alle civature tra le chianche che ricoprono il lastrico solare. Questa copertura nuova di zecca sembra già bisognosa di un rifacimento, se non altro con spatola e pennello. Ma sì, anche i lastricati dei solai delle nostre case necessitano di un ripristino ogni due anni circa, e considerato che i lavori alla vecchia scuola elementare sono terminati da oltre un anno e mezzo, ci siamo quasi. Cosa sarà mai il dover provvedere ad un nuovo restauro prima ancora che la struttura venga inaugurata? Volete mettere l’ebbrezza di inaugurare, proprio qui da noi, la nuovissima tipologia di intervento in edilizia pubblica, il cosiddetto restauro del restauro, o restauro al quadrato? Che ci volete fare: a Noha siamo abituati a queste e a ben altre novità.
Sempre rimanendo sulla terrazza della vecchia scuola, si notano in tutto il loro splendore dei pannelli fotovoltaici (che, come diremo meglio nella quarta parte di queste note, per ora stanno riflettendo; nel senso che si sono presi una pausa di riflessione). Anche in questo caso ci pare che francamente si sarebbe potuto fare un piccolo sforzo in più, come per esempio sfruttare al meglio tutta la terrazza (e non una parte soltanto, tra l’altro utilizzata forse in maniera poco efficiente con tutti quegli spazi vuoti che certamente sarebbe stato meglio riempire con altre lastre fotovoltaiche, come ci pare che fosse previsto nel progetto).
Scendendo a valle del fabbricato, abbiamo osservato altre bazzecole qua e là sparpagliate. Una di queste è la zoccolatura in pietra leccese che per tre lati circonda in funzione protettiva la parte inferiore della parete perimetrale della scuola, per un’altezza pari a poco più o poco meno di mezzo metro. Non ci crederete ma questa zoccolatura, tanto per cambiare, è stata dipinta non si sa bene se a tempera o con altra pittura sintetica. Cos’è che non va? Semplice: la vernice di questo battiscopa esterno sta scoppulandu anzitempo. Chissà chi sia quello scienziato che si fa pure chiamare mesciu che anziché star fermo con le mani s’è munito di secchio di vernice e pennello (rimane il dubbio se si tratti di un pennello grande o di un grande pennello) per dare una mano di tinta. Ma come si fa a far capire una buona volta, anche e soprattutto agli addetti ai lavori, che la fisionomia autentica delle opere in pietra leccese è quella che è data dalla pietra stessa, senza alcuna tinteggiatura di qualsiasi genere (e men che meno monocromatica)?
Questo fatto c’induce ad una breve digressione. Qualche annetto fa, anche la facciata di uno dei più importanti monumenti nohani, nonché le colonne tortili di seicentesche are ivi contenute, in nome di un “restauro a tempi da record” portato avanti dagli “uomini del fare” (quello che gli pare), furono ricoperti da una mano (sacrilega) di vernice, “però color pietra leccese”. Per il bene di tutti, e senza peli sulla lingua com’è nostr’uso, facemmo presente a committenti e maestranze che non era il caso…
A dire il vero, per fortuna si corse ai ripari in tempi ragionevoli, ed alla fin fine fu pure fatto un buon lavoro. In compenso, anziché essere lodati e ringraziati ogni momento per aver fatto notare quello che stava per diventare uno scempio (errare humanum est, perseverare ovest) fummo scomunicati per lesa maestà secondo il più classico dei processi sommari (o somari?). Ma questa è un’altra storia.
Antonio Mellone
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