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RAGAZZI, VI DOBBIAMO DELLE SCUSE (di Antonio Mellone)
Di Antonio Mellone (del 31/12/2021 @ 08:39:18, in NohaBlog, linkato 750 volte)

L’avrei fatto di persona se avessi potuto incontrarvi ancora una volta a scuola, come si dice, in presenza: ma è da un bel po’ che questo è sostanzialmente vietato. È vero, qualche mese addietro ho avuto l’opportunità di conferire con alcuni fra voi: ma è stato a distanza, ed è tutta un’altra cosa.

La prendo un po’ alla larga (ché è letteratura divagare), per dirvi che noi tutti, dico lo stato, vi dobbiamo delle scuse. Sì certo, per come abbiamo ridotto la scuola a colpi di “riforme”.

Se siamo arrivati fino a questo punto, cioè a “ragionare” come un sol gregge, e sovente a non saper scrivere o intrattenere una conversazione di senso compiuto, e forse anche a non cogliere il senso (profondo, sfumato, metaforico, satirico, eccetera) di quel che si legge o si ascolta, a non intendere i dati, le grandezze, le loro relazioni, e a confondere cose all’apparenza simili ovvero a non riconoscere la consonanza di quelle dissimili, e infine a farci convincere in massa dagli imbonitori televisivi ultimamente travestiti pure da scienziati, ergo a considerare ormai la scienza come una religione da professare con atti di fede, è anche (soprattutto) per via della scuola diventata facile, con la scusa che debba essere “democratica e progressista” (temo che ai più sfugga quanto abbassare il livello degli studi sia l’atto più antidemocratico in assoluto: onde i rampolli dei ceti padronali frequentano scuole difficili, altroché).

È che alle classi spesso è associato il lemma “pollaio”; han sostituito molte ore di lezione con i corsi di orientamento; i professori non stanno più alle calcagna degli studenti e non possono chiedere più di tanto (sicché dal dizionario del corpo docente sono stati banditi i verbi esigere e pretendere); i genitori sono diventati sindacalisti della prole quando non avvocati difensori. In definitiva la bocciatura è stata bocciata, le interrogazioni sono diventate “programmate”, e i voti (soprattutto i cattivi voti un tempo dispensati senza pietà) del tutto scomparsi dalla circolazione.

Scusateci se non vi facciamo più trascorrere interi pomeriggi sui libri e sui quaderni a scrivere i temi (al più un articolo breve, quando non un pugno di crocette da sparpagliare su risposte multiple), a spremervi le meningi nelle analisi grammaticale, logica e del periodo, a svolgere gli esercizi, decine, che dico, centinaia di esercizi nelle materie più disparate (dalla matematica alle lingue straniere), e finalmente a imparare a memoria Dante e Leopardi e il Foscolo, immiseriti oggigiorno dalle parafrasi prêt-à-porter, con conseguente detrimento del fascino sottile del suono dei versi.

Chiediamo perdono se abbiamo trasformato la scuola in un’azienda quando non in un parco divertimenti, i presidi in manager, e i docenti in personal trainer. Dobbiamo cospargerci il capo di cenere se vi abbiamo fatto gareggiare nelle più svariate discipline, e se alle conoscenze abbiamo sostituito le competenze, con le aggravanti dell’alternanza scuola-lavoro e della spinta verso le lauree “utili” (tipo le Stem come da indicazioni ministeriali), mentre il sapere, non più fine a se stesso, ha acquisito addirittura l’attributo di “spendibile” e finanche la funzione di attrezzo per profitti immediati.

Dicono che a scuola si impari a non fidarsi dell’uomo della provvidenza, e dunque ad assumersi le proprie responsabilità. Dipende. Dipende da come è fatta la scuola nel suo complesso, e certe cose, tipo il pensiero critico e la libertà, si insegnano senza dirlo, magari assegnando lo studio approfondito di pagine su pagine di classici.

In conclusione, ragazzi, vi dobbiamo delle scuse se una volta c’impegnavamo a farvi diventare grandi; mentre oggi soltanto vaccinati.

Antonio Mellone

 

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