gen242021
La telefonata giuntaci qualche giorno fa dal locale comando di polizia municipale ci mise subito sull’attenti: “Oddio, cos’abbiamo combinato questa volta a Noha.it? Pestato i calli a qualcuno? Una multa? Qualche politico frignante che ce le manda a dire manu militari? La solita querela auto-caricaturale?”
Fortunatamente nulla di tutto questo, soltanto un garbato invito alla festa dei vigili urbani di Galatina per mercoledì 20 gennaio, solennità di San Sebastiano, protettore della categoria (come da breve di Pio XII del ‘57), da tenersi nell’omonima chiesa sorta a suo tempo sull’omonimo, diciamo, colle cittadino.
Senza alcuna illusione di eventuali Superbonus Contravvenzione a mo’ di adeguato guiderdone per la partecipazione, e in assenza di personali “improrogabili impegni” (dichiarazione sovente addotta con una certa prosopopea), al fronte fu inviato il sottoscritto. Che poi, diciamocelo francamente, intervenire a una siffatta celebrazione, tanto sobria per contenuto e durata, non è mai così defatigante come, per dire, ricoprire il ruolo di commensale in un matrimonio (il cui impegno continuativo è contenuto nella locuzione “finché morte non vi separi”). Oltretutto una festa è per definizione un’infrazione al divieto di sosta imposto dall’universale frenesia delle giornate, e perciò un’occasione per fermarsi a riflettere.
E la prima cosa che non può non venirti in mente in questi frangenti è la solidarietà nei confronti di questi lavoratori, un tempo chiamati semplicemente guardie ovvero cuardie nello slang salentino (da cui Michelino-cuardia, Vito-cuardia…), che nella nostra comunità s’aggirano intorno alla ventina di unità (esclusi i quattro ausiliari a tempo determinato, cioè i precari a tutele decrescenti): troppo pochi invero per riuscire a fronteggiare serenamente la miriade di incombenze che il ponderoso manuale del poliziotto urbano contempla tra scartoffie d’ufficio, le più gravose, e i pattugliamenti in strada, gli interventi domiciliari, i controlli, le notifiche, i rilevamenti negli incidenti d’auto, i piantonamenti istituzionali, eccetera, e questo sotto ogni cielo e bollettino meteo.
Se a tutto ciò aggiungiamo l’interpretazione degli ultimi Dpcm sventagliati a raffica, l’indisciplinatezza annidata fin dentro la cavità midollare di certi concittadini, il tasso di litigiosità paesana corroborata da un’infinità di legulei pronti all’uso, si capirà quanto, per ricoprire certi incarichi, non sia sufficiente né il master in diritto privato penale e amministrativo, né la magistrale in sociologia con indirizzo in psichiatria comunitaria.
È inutile qui dilungarci sull’inciviltà domestica, tipo lo sport del lancio dal finestrino del sacchetto della spazzatura a guisa di giavellotto, roba da medagliere olimpico, o tipo gli scambisti da marciapiede, dico di certi proprietari di cani al guinzaglio usi a scambiare i transiti pedonali per vespasiani cinofili.
Quanto al tasso di litigiosità temeraria meglio non infierire. Tutti risoluti a chiedere telecamere in ogni angolo di Galatina e dintorni in nome della sicurezza; ma quando finalmente codeste telecamere, sempre in nome della sicurezza, diventano implacabili autovelox apriti cielo: tutti pronti a contestare in giudizio l’accertamento dell’infrazione in quanto “il marchingegno non fu opportunamente segnalato” [ma, di grazia, non sarebbe già sufficiente il limite di velocità? Ndr.].
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Due anni fa a Noha, economizzando sulla precedenza in un incrocio di uguale importanza, provocai un incidente: la vettura concorrente centrò in pieno lo sportello destro della mia (anzi entrò risoluta nello sportello destro della mia). Me ne accollai la colpa, anche al cospetto dei vigili intervenuti per i rilievi. Quel pomeriggio inoltrato avevo premura, in quanto invitato in quel di Melendugno a presentare un libro, e chiesi se fosse possibile velocizzare i tempi e includere l’eventualità di farmi vivo all’indomani per la multa di rito. La vigilessa, invero molto cordiale, si fidò di me: “Vada tranquillo, e vada piano. Ci vediamo domani”.
Il giorno seguente, dunque, mi presentai al Sedile di via Vittorio Emanuele II, la sede storica dei VV.UU., quella con gli stemmi civici scolpiti sulla facciata (il quattrocentesco con le sole chiavi decussate, e il settecentesco con chiavi, civetta e corona), ritirai il verbale, e chiesi l’Iban per il pagamento del dovuto. La medesima vigilessa della sera precedente mi chiese se per caso avessi intenzione di contestare quella sanzione pecuniaria. Le risposi: “ E perché mai? Ho sbagliato e quindi pago”.
Mi guardò come fossi atterrato da Marte.
Antonio Mellone
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