gen102011
Per comodità cerco, e a volte ci riesco, d’arrivare in abbondante anticipo a lezione. Oggi però (7 gennaio per chi scrive) sembra proprio non sia la mia giornata fortunata: ho già sette minuti di ritardo e ancora non ho preso posto nella sala “C. Contaldo” del Palazzo della Cultura a Galatina, dove il Prof. Paolo Maria Mariano dovrebbe tenere la sua lezione. Mi ci vuole poco comunque a trovare una seggiola, a togliere fuori dal taschino carta e penna e attendere con pazienza l’inizio dell’esposizione.
Premetto che questa è la prima volta che prendo parte alle lezioni dell’Università Popolare “Aldo Vallone” – che non è l’Università della terza età, come il Prof. Virgilio ci tiene giustamente a ricordare porgendo il suo invito ai più giovani – e se mi si chiede di spiegare i motivi di questo ritardo (il secondo), sono sincero, dovrei inventarmene qualcuno di sana pianta. Di sicuro, però, sarei in grado, semmai fosse necessario, di legittimare la mia presenza alla lezione di oggi, e comincerei proprio commentando quello strano“Una casa lungo la Neva”, ora proiettato nella prima slide.
Capisco l’inarcamento delle sopracciglia, ma provate anche voi a porre accanto a questo titolo idilliaco il nome del relatore prof. Paolo Maria Mariano, docente di meccanica teorica presso l’Università di Firenze e la Scuola Superiore Normale di Pisa, e scienziato di fama internazionale: come si fa a non provare una certa curiosità, è inevitabile non essere abbagliati da questo inusuale accostamento. Se poi si continua a leggere, Fuga dei cervelli e senso dell’istruzione: un esempio settecentesco, ecco chequel filo di curiosità, che continuava imperterrito a punzecchiarti il naso, subisce una lenta metamorfosi sino a trasformarsi nell’ineluttabile bisogno di approfondimento.
Ed eccomi allora qui. La lezione è cominciata, appena qualche minuto fa, con uno scienziato, appunto, che dalla cattedra annunciava all’uditorio la sua intenzione di parlare di storia e attualità, ovvero di certe cose accadute nel passato, ma che ancora si ripetono, avvalendosi pertanto della massima di B. Croce, Non c’è storia che non sia contemporanea. Poche slide, quindi, per descrivere il luogo in cui si andrà ad ambientare la storia, cioè San Pietroburgo; poi viene presentato un documento, un libello di appena sedici pagine, che il professore riferisce essere la tesi con la quale un giovane diciannovenne concorre, nel 1727, all’abilitazione all’insegnamento nell’Università di Basilea, pro vacante professione physica.
Ma è proprio a questo punto che, prima nel titolo dell’opera Dissertatio Physica De Sono, e poi nel nome dell’autore Leonhard Eulerus, si riesce a intravedere uno spiraglio di luce. I frettolosi concluderebbero: bene, parleremo del famoso Eulero e della fisica del suono, ma sarebbero subito messi in difficoltà dai più riflessivi, i quali evidentemente chiederebbero cosa c’entrino i cervelli in fuga e l’istruzione in tutto ciò.
Chi conosce la biografia di Eulero ha già pronta la risposta, chi invece non è informato sui fatti dovrà attendere ancora un po’ e intanto incassare la notizia della perdita del concorso in questione e la vincita da parte di un certo Benedict Stachelin, laureato in medicina e proveniente da una famiglia con influenza sull’accademia svizzera. Solo dopo la morte di Eulero si saprà, infatti, che quel concorso era avvenuto, come da prassi, per estrazione di un gruppo di concorrenti e successiva valutazione. A questo punto la domanda è: quanto bisogna essere ingenui per credere che non vi siano stati favoritismi?
Abbastanza, se si pensa che Eulero avrà all’attivo ben 886 lavori senza coautori (opera omnia) e fornirà contributi storicamente cruciali in svariate aree dello scibile umano. Il tutto fuori da quella Svizzera che gli aveva dato i natali e lo aveva formato: Eulero accetterà, senza esitare, l’offerta di Daniel Bernoulli di ricoprire un posto di aggregato nella neonata Accademia di San Pietroburgo (ecco come si arriva alla famosa casa lungo la Neva!).
Ed eccoci anche giunti, con questo excursus storico, ai giorni nostri. Il prof. Mariano non esita a snocciolare alcuni numeri significati: si parla di 40.000 docenti universitari italiani in Italia e 20.000 all’estero. Si assiste con questo a un flusso unidirezionale – pochi sono, infatti, i professori stranieri in Italia – a un dannoso drenaggio che impoverisce sempre più l’Italia e allo stesso tempo contribuisce allo sviluppo della scienza, della tecnologia e dell’economia dei paesi ospiti.
Perché l’Italia acconsente a ciò? Perché s’è perso il senso dell’istruzione - tuona il giovane professore - che influenza la scelta dei docenti, quindi la qualità dell’istruzione stessa e pertanto il suo senso e il suo valore. Un serpente, quindi, che si morde da solo la coda e la morde ai giovani. Manca una visione culturale d’insieme dell’istruzione, che deve essere quanto più formativa, e non informativa, poiché è alla base delle competenze lavorative, della capacità di analisi critica, della cultura sociale e dell’etica del lavoro, tutte sempre più in deficit.
Che fare allora? Tanti sono i suggerimenti, tanti i consigli, tutti riassumibili, a mio parere, in quella frase che il prof. Paolo Maria Mariano pronuncia schiettamente e con forza, ma che occorrerebbe ripetere lentamente e all’infinito, tanto quanto basta per convincerci, una volta per tutte, che la cultura è un bene sociale.
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