mar022019
Non vi venga in mente di fare un salto a Gallipoli di questi tempi, in mezzo alla settimana, all’imbrunire. Dico nella città antica. Rischiereste di trovarvi da soli con voi stessi, in strade deserte, in compagnia del silenzio.
Anche il mare tace se il vento fa il suo turno di riposo. Si limita a brillare alla luna e a cullare barche in porto.
No, non venite a Gallipoli “fuori stagione”, i parcheggi sono vuoti, le discoteche spente.
Va bene, la cattedrale è tutta per voi, e a San Francesco potreste essere rapiti dal suono di un antico organo a canne testé restaurato, ma non troverete turisti e sarete costretti a rallentare il ritmo, scalare la marcia.
Ma chi ve lo fa fare poi di ascoltare per istrada storie di marinai, vite di pescatori, canti di monache di clausura al di là di una grata quando invece in alta stagione avrete musica a palla, lunghe file per un tavolo, happy hour a prezzi amplificati.
Questa sera il profumo di pane e mortadella della bottega di alimentari tuttora indenne dalle insegne al neon ti fa ripercorrere i decenni a ritroso. Così ti rivedi sbarbatello, con i soldi della mamma in pugno, in missione dal salumiere a due passi da casa.
Questa volta hai tutto il tempo di girovagare per la riviera panoramica: di qua i bastioni guardiani del faro, di là il castello che se ne lava i piedi; quinci il mar da lungi, e quindi il Canneto e le sue comari oranti e confabulanti sui banchi del santuario.
Nel bel mezzo, una fontana greca, dicono la più vecchia d’Italia, con i fantasmi del millennio assicurati alle aggettanti sculture dei suoi muri.
Sì, certo, tornate pure a Gallipoli; ma per favore fatelo più in là, al tempo dell’orda anomala, quando troverete tutti gli altri. Ma non me.
Antonio Mellone
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