giu182017
“Padre, ascolta la nostra preghiera: guarda con bontà questo tuo figlio, che noi consacriamo come diacono perché serva al tuo altare nella santa Chiesa. Sia pieno di ogni virtù: sincero nella carità, premuroso verso i poveri e i deboli, umile nel suo servizio, retto e puro di cuore, vigilante e fedele nello spirito”.
Sabato 24 giugno, con queste parole, l’arcivescovo di Otranto, con l’imposizione delle mani, ordinerà il nostro Giuseppe diacono. L’aggettivo possessivo qui è d’obbligo. Il fatto che nella comunità cristiana di Noha nascano e maturino vocazioni alla vita consacrata, senza soluzione di continuità generazionale, non è mera coincidenza. Che uomini e donne consacrino la loro vita a Dio a servizio della Chiesa, dimostra anche una certa sensibilità all’uomo da parte dell’intera nostra comunità, e non solo del singolo individuo.
Ho usato l’aggettivo possessivo nostro, dunque, poiché Giuseppe oggi sarà chiamato ad essere diacono, e domani presbitero, a servizio di una comunità, perché un’altra comunità, con l’aiuto di Dio, lo ha generato, ed è la comunità di Noha. Nessuno, infatti, si forma da solo.
Il nostro Giuseppone (qui l’aggettivo lo uniamo ad un affettuoso accrescitivo non solo per la sua stazza, ma anche per la sua bontà d’animo, la potenza vocale, la paziente disponibilità e il suo sorriso) non porta davanti all’altare soltanto se stesso, ma anche la sua storia, e in quella ci siamo, chi più e chi meno, tutti noi.
Quando Giuseppe ha incontrato il Papa, è come se ci fossimo stati tutti noi lì con lui, così come eravamo lì, se non con il corpo ma con lo spirito sì, insieme alla sua mamma, al suo papà e a suo fratello, quando ha conseguito il baccellierato.
Ed è con immenso affetto che lo ricordiamo, il nostro Giuseppe, quando, ancora incerto, muoveva i suoi primi passi sul presbiterio. A giorni, invece, indosserà la stola diaconale.
Il fatto che l’ordinazione presbiterale sia preceduta da quella diaconale non è soltanto prassi sacramentaria.
Come scrisse Paolo VI in una lettera apostolica in forma di motu proprio “il diacono è animatore del servizio, ossia della diaconia della Chiesa, segno e sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale non venne per essere servito, ma per servire”. Oggi infatti diciamo, al nostro caro Giuseppe, che non abbiamo mai avuto così tanto bisogno di diaconi non solo nella Chiesa, ma anche nella comunità civile. Diacono, senza nascondercelo e senza scandalizzarci, vuol dire servo, servo di Dio e della Chiesa che sono gli uomini e le donne del nostro tempo. Non capi e tiranni, ma servi: questo dovremmo essere gli uni per gli altri. L’ordinazione diaconale di Giuseppe è un monito per noi tutti a ritrovare unità come comunità, ad accrescere in noi lo spirito di servizio, avendo una visione comune d’intenti, dando più spazio alla comunione che alla disgregazione.
Ora, per risparmiare a Giuseppe la solita mole di domande, diciamo cosa fa un diacono. I suoi compiti sono elencati nella Lumen Gentium: amministra il battesimo, conserva e distribuisce l’eucaristia, in nome della Chiesa assiste e benedice il matrimonio, porta il viatico ai moribondi, legge la sacra scrittura ai fedeli, istruisce ed esorta il popolo, presiede al culto e alla preghiera dei fedeli, amministra i sacramentali, dirige il rito funebre e della sepoltura. Poi, come dice San Policarpo, i diaconi siano misericordiosi, attivi, camminanti nella verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti.
Tutta la comunità di Noha, dunque, è chiamata a partecipare al rito di ordinazione, perché una chiamata di Dio è una chiamata per la comunità che siamo noi.
Caro Giuseppe, permettendomi di ricordare per quest’evento don Donato, probabilmente lui sabato ti avrebbe salutato così: “sì, però moi vane bellu bellu”. Accompagnandoti nel cammino, ci stringiamo a te, e con l’augurio con cui il vescovo ti ordinerà diacono, anche noi preghiamo dicendo: Dio che ha iniziato in te la sua opera la porti a compimento.
Auguri ἀδελφὸς!
Fabrizio Vincenti
Commenti
Don Giuseppe diacono, auguri.
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