gen162014
Camminando per le strade di questa grande città che è Torino, fino a una ventina di anni orsono, mi imbattevo spesso in grandi cassoni pieni di rifiuti di ogni genere, a volte anche di oggetti ancora in buono stato. Nel mentre, pensavo al mio paese dove mai avrebbero gettato nulla che non fosse stato riutilizzabile. Mi sbagliavo di grosso.
Il malcostume del “buttare” e “comprare” cose inutili, ahimè, è dilagato ovunque. Adesso leggo, perfino su quotidiani galatinesi, che i cinesi fanno grandi affari con i materiali di riciclaggio di opere dismesse. Perdiamo la saggezza perché dimentichiamo il passato, ma ora finalmente ci accorgiamo che i rifiuti ci costano un occhio della testa. Meglio tardi che mai.
La stessa cosa vale per il cimitero. Nei camposanti di Torino e cintura, dove tuttora risiedo, le sepolture hanno un contratto decennale. Dopo dieci anni, quel che resta delle salme, viene rimosso e, pagando il giusto, ricollocato in cellette piccolissime, oppure conferite nell’ossario comune. Prova concreta di come finisce la storia materiale di ognuno di noi.
Certo è edificante pensare che ognuno di noi valga quanto un sovrano, e quindi degno di sepolture monumentali, ma di fatto sovrani dovremmo esserlo in vita e nel rispetto del prossimo. Il vero monumento dovrebbe essere ciò che gli altri ricorderanno di noi. Punto.
Al mio paese non si muore mai, pensavo, perché anche dopo morti tutti restano là, marmorei nel tempo e nella memoria. Invece, devo constatare che la realtà è ben diversa. Come d'altronde già dettavano gli antichi testi sacri: "Ricordati uomo, che polvere sei e polvere ritornerai". (Genesi 3,19)
L’aumento del numero degli abitanti innesca automaticamente la necessità di adeguare i servizi, come per esempio: scuole, strade, impianti fognari, consumi e a raccolta dei rifiuti, spazi di verde pubblico, spazi formativi, culturali e non per ultimo, lo spazio adibito alla cura della memoria di chi lascia questo mondo.
Il consumo del territorio, di cui cominciano a farsi portavoce molti sindaci, va considerato in funzione del reale fabbisogno. A che serve togliere alla terra, che è sempre la prima fonte di vita per l’uomo, anche solo un centimetro quadrato, se da quel sacrificio non tornano benefici per le attuali e future generazioni?
Quale beneficio abbiamo occupando un metro cubo (tale è la dimensione standard di un loculo; Circolare del Ministero della Sanità 24/06/1993 n. 24) per decenni e secoli, se di fatto all’interno di questo spazio, ciò che resta occuperebbe sì e no una ventesima parte di quello stesso spazio?
In sostanza da tempo mi preoccupavo di questo cimitero che nel giro di pochi decenni ha raddoppiato l’estensione, ma ha anche conservato usanze non più sostenibili per ovvie ragioni.
L’usanza metropolitana di elevare in altezza le tumulazioni va presa in considerazione seriamente (anche da parte dell’assessore Andrea Coccioli) perché permette di non consumare altra terra. Questo tipo di ragionamento è presente nel nostro cimitero dal 1951, lo testimonia la struttura dedicata alla Confraternità della Madonna delle Grazie. Perché non ripetere l’operazione nell’edificio di fronte adibito a Chiesa, che di fatto non è più utilizzato nonostante sia stato “restaurato”? Non sarebbero solo 20 i nuovi loculi disponibili, ma oltre 200. Inoltre rimarrebbe anche lo spazio per pregare.
Le soluzioni non mancano, quello che manca, mi sa, è sempre la buona volontà di ognuno.
Speriamo che a nessuno dei nostri amministratori venga in mente di ampliare ancora il cimitero di Noha a spese di altra campagna, né di far costruire altre cappelle private che tolgono spazio a tutti, erette in nome di una discutibile vanagloria.
Marcello D’Acquarica
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