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L’alba del difensore degli uomini
Di Antonio Mellone (del 15/04/2017 @ 00:01:03, in Recensione libro, linkato 2165 volte)

Sei andato di corsa alla ricerca di questo libro, dopo averlo visto nascere sulla seguitissima bacheca face-book dell’autore che è Alessandro Romano. Non vedevi l’ora di leggere l’opera letteraria di un amico che conosci da oltre un lustro, e certamente da molto prima dell’iscrizione tua e sua al popolare social network.

Fu tuo ospite a Noha, e più volte, insieme alla stupenda Giuliana Coppola.

Girovaghi per il paese (tu come guida, Giuliana come cronista e Alex come cameraman – sì, l’ufficio ce l’ha praticamente in spalla) andaste insieme a zonzo a scoprir meraviglie. E ne rinveniste più d’una. Ma ora è d’uopo lasciar perdere questo filone, ché rischieresti di non finirla più e magari di uscire fuori dal seminato.

Dunque. Hai dovuto gironzolare non poco per librerie, dapprima alla Dante Alighieri di Casarano, successivamente alla Feltrinelli e poi alla Liberrima di Lecce, e finalmente alla Palmieri della stessa città dove con letizia, dopo le comunque piacevoli peripezie bibliofile, hai potuto recuperare una copia de “L’alba del difensore degli uomini” (Altromondo Editore, Fano, 2016): locuzione invero un po’ lunga e quasi ermetica che rievoca vagamente anche quelle che adopera la Lina Wertmüller per intitolare i suoi film. Ma alla fine della storia, come per “Il nome della rosa”, coglierai eccome il senso del tutto.

Le 270 pagine del volume alessandrino non si leggono, si divorano, e tu hai impiegato quattro giorni scarsi per arrivare al lieto fine (che poi è un lieto inizio), ma sol perché il tempo libero che ti rimane al termine della sempre troppo lunga giornata lavorativa sei costretto a dividerlo tra mille incombenze: come per esempio quella di provare a difendere la tua terra dalle novelle scorribande del capitalismo di rapina, o quella di scrivere cose per i tuoi venticinque lettori (il che ti capita quando ti prudono le mani: praticamente sempre).

All’inizio ti sembra un libro che ha per tema due rette parallele destinate a incontrarsi all’infinito, cioè mai; ovvero una storia sulla solitudine di due numeri primi, vale a dire quelli divisibili per se stessi o tutt’al più per uno. Pagina dopo pagina, oltre ad accorgerti che non si tratta di una storia inventata ma della vita effettivamente vissuta dai protagonisti, capisci invece che di fatto non sei di fronte a due rette parallele, ma a due retti (nel senso di giusti), Alex e Lindita, destinati a incrociarsi e a legarsi per l’eternità (benché arguisci subito quanto fossero ben incastrati, i tipi, ancor prima di conoscersi), e ti convinci vieppiù che non era solitudine quella, ma attesa dolce di una definitiva indivisibilità di un’anima in due corpi. 

Ti ha fatto viaggiare, questo libro, nel senso dei meridiani, ora di qua e ora al di là dell’Adriatico, tra alba e tramonto, tra le sponde del Salento e quelle della bella Albania (che tempo fa visitasti anche tu raggiungendola in barca a vela).

Leggi queste pagine con gli occhi e con i polpastrelli, e senti che molte cose ti appartengono per chi sa quale strampalato marchingegno: forse perché anche tu hai trascorso la tua adolescenza a dare una mano agli altri a scuola, e poi erano gli altri, mannaggia, ad aver successo con le ragazze mozzafiato (le quali ti adoravano, certo, ma sempre come “amico”); forse perché c’è sempre in qualche modo Sant’Antonio di mezzo, e tu per anni, da imberbe chierichetto, hai servito la messa della Tredicina nella cappella del tuo paese dedicata al taumaturgo di Padova; forse perché, come Alex, sei anche tu per la decrescita felice, e hai ormai capito che il ricco non è chi ha tanti soldi ma chi non ha bisogno di nulla; o forse perché sentivi che prima o poi l’autore ne avrebbe parlato, e, infatti, a un certo punto arrivano anche loro, le Casiceddhre di Noha (delle quali anche tu a suo tempo avevi avuto modo di raccontare).

Forse tutto questo insieme, o forse soprattutto perché senti che Alex sei un po’ anche tu, che, come lui, credi che l’amore più vero, forte e intramontabile sia quello che indugia e che si fa attendere.

Ma pur sempre entro certi limiti. Perché, come diceva quel tale, non ha senso che due rette parallele si incontrino dopo l’infinito, quando ormai non gliene frega più niente.  

Antonio Mellone

 

P.S.

Di recente ho beccato mio padre [ormai lo conoscete già: 94 anni, di poche parole, pensionato con 542 euro al mese – che per lui sono sempre troppi -, contadino, già internato dal 1943 al 1945 in un campo di concentramento a Berlino, accanito lettore di libri, ndr.] che ha iniziato a rileggere per la seconda volta il libro di Alex.

“Scusa – gli ho detto – ma questo libro non l’avevi già letto tempo fa?”. “Sì, – mi fa – ma una bella canzone, la senti una volta e poi basta? E un quadro che ti piace o, che so io, un tramonto in campagna, ti accontenti di vederli per una volta soltanto? E un piatto di piselli alla ‘pignata’ accompagnato dai peperoni fritti, che fai? Non chiedi a tua moglie di cucinarlo ancora?”.

Punto.     

 

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