ago272015
Continuando nelle note a margine della bella recente enciclica di papa Francesco, intitolata “Laudato sì”, che, come detto altrove, in molti non toccheranno nemmeno con una canna (l’enciclica, s’intende, mica le nostre considerazioni: figurarsi), riprendiamo di buona lena con questo brano molto significativo: “La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata […] Su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale” (tratto dal punto 93, pag. 80 - 81, “Laudato sì’” di papa Francesco, Ancora, Milano, 2015). E su questo ormai non ci piove più: ne abbiamo già parlato nella terza parte di questa recensione, invero un po’ lunga, che, viste alcune reazioni piccate, sembra stia dando l’orticaria a qualche cosiddetto politico e a qualche cosiddetto giornalista.
Ancora: “La cultura ecologica dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico […] La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico.” (punto 111, pag. 96 – 97, ibidem, la sottolineatura è nostra). Ma come ci piace ‘sto papa. Siamo convinti che anche su codesta cultura ecologica per cambiare, appunto, il volto di una comunità basterebbe che i parroci pro-loco e pro-tempore facessero proprie le parole del capo della loro chiesa, e non facessero orecchio da mercante (ovvero, in certi casi, i mercanti nel tempio) di fronte a certe istanze non più oltre differibili. Basterebbe davvero poco.
“In molte zone si constata una concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi, dovuta alla progressiva scomparsa dei piccoli produttori, che, in conseguenza della perdita delle terre coltivate, si sono visti obbligati a ritirarsi dalla produzione diretta. I più fragili tra questi diventano lavoratori precari e molti salariati agricoli finiscono per migrare in miserabili insediamenti urbani. L’estendersi di queste coltivazioni [transgeniche, ndr.] distrugge la complessa trama di ecosistemi, diminuisce la diversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie regionali. In diversi paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltivazione, e la dipendenza aggrava se si considera la produzione di semi sterili, che finirebbe per obbligare i contadini a comprarne dalle imprese produttrici. (punto 134, pag. 114 -115, ibidem). Forse il papa si riferisce alla multinazionale Monsanto, che di santo ha solo il nome.
Per favore, leggete anche questo pezzo: “C’è bisogno di un’attenzione costante, che porti a considerare tutti gli aspetti etici implicati. A tal fine occorre assicurare un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome. A volte non si mette sul tavolo l’informazione completa, ma la si seleziona secondo i propri interessi, siano essi politici, economici o ideologici. […] E’ necessario disporre di luoghi di dibattito in cui tutti quelli che in qualche modo si potrebbero vedere direttamente o indirettamente coinvolti (agricoltori, consumatori, autorità, scienziati, produttori di sementi, popolazioni vicine ai campi trattati e altri) possano esporre le loro problematiche o accedere ad un’informazione estesa e affidabile per adottare decisioni orientate al bene comune presente e futuro. (punto 135, pag. 115, ibidem, la sottolineatura è nostra).
Come non essere d’accordo? Nel nostro piccolo abbiamo avuto modo di parlare anche di questo, denunciato quasi in solitudine, scritto articoli, stampato volantini, partecipato a manifestazioni, e, con “I dialoghi di Noha”, organizzato convegni, e raccolto firme, fatto controinformazione. Invero con diversi sognatori ma con pochissimi “fedeli” al seguito (alcuni pragmaticamente in tutt’altre faccende affaccendati).
Sarebbe bello, invece, avere a che fare con tanti sognatori resistenti piuttosto che con tanti, troppi resistenti al sogno. Ma siamo fiduciosi nel cambiamento, tanto che nutriamo la certezza del fatto che “un giorno questa terra sarà bellissima”. Ah dimenticavamo: i veri sognatori dormono poco o niente
“Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. E’ parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. […] Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio. (punto 143, pag. 122, ibidem). Toh, guarda. E noi, con i nostri libri e con i nostri articoli, con le nostre battaglie di sensibilizzazione sul tema dei beni culturali, che pensavamo di essere affetti dal peccato mortale dell’archeologismo: quando si dice “corsi e ricorsi e storici”.
“Nelle città circolano molte automobili utilizzate da una o due persone, per cui il traffico diventa intenso, si alza il livello di inquinamento, si consumano enormi quantità di energia non rinnovabile e diventa necessaria la costruzione di più strade e parcheggi, che danneggiano il tessuto urbano. (tratto dal punto 153, pag. 129, ibidem). Pare scritto per Galatina (o per Noha), dove si vogliono costruire ancora parcheggi e circonvallazioni, e, ove fosse stato possibile, un po’ di rotonde in contrada Cascioni prima di inaugurare un bel Mega-porco commerciale.
Quanto a Noha, ne scrivemmo su questi stessi schermi. Si trattò dell’ennesimo articolo passato sottogamba, o appunto messo sotto i piedi, non preso in considerazione nemmeno di striscio (cfr. il nostro Piedibus, del 30/5/2012, pubblicato su questo stesso sito). Secondo voi, ora, i devoti di Noha daranno retta almeno un pochino al papa di Roma e lasceranno finalmente in garage la loro auto o continueranno nelle loro abitudini in saecula saeculorum? Mistero annoso.
Nell’attesa che si compia la beata speranza, temiamo che, per indole e formazione, faranno finta di non aver sentito, e, come al solito, nelle feste comandate, riempiranno di lamiere su quattro ruote tutte le strade perimetrali dei luoghi di culto, trasformando i centri parrocchiali in novelli centri commerciali. In tutti i sensi. E così sia.
Antonio Mellone
Commenti
Caro Antonio, poiché apprezzo quanto scrivi, ti confermo quanto ti ho già comunicato telefonicamente un paio di mesi fa. Non hai bisogno di "usare" i "cosidetti politici" e i "cosidetti giornalisti" per rafforzare i tuoi argomenti. Hai Papa Francesco che ti sostiene a che ti serve dileggiare le persone che tu ritieni non essere d'accordo con te? Critica i loro atti ma lascia stare gli uomini! Avevo stampato la 'Laudato si' appena fu pubblicata ma non l'avevo ancora letta. Il dialogo con te mi ha piacevolmente costretto a farlo. Per questo ti ringrazio e ti saluto. Dino Valente
Caro Dino Valente,
non vorrai, spero, togliermi il gusto di ironizzare su certi personaggi pubblici che tutto sono men che poveri sprovveduti.
Guarda che, detto tra noi, in giro è pieno zeppo di “cosiddetti giornalisti” (non parliamo poi di “cosiddetti politici”), mica ci sei solo tu. Non è che per caso l’ordine dei giornalisti ti ha nominato difensore d’ufficio della categoria? No, sai, certe volte mi sorge il dubbio.
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Detto questo, aggiungo che io non “dileggio” punto le persone (e poi - come direbbe il papa Francesco - chi sono io per giudicare?), ma “i loro atti”, vale a dire i loro pensieri, le loro parole, le loro opere e soprattutto le loro omissioni. Certo, lo faccio con la satira, il cui obiettivo è esprimere un punto di vista in modo divertente (divertente per chi la fa, s’intende – mica per tutti: se poi il pubblico ride tanto meglio). Ogni risata dell’autore contiene spesso una piccola verità (che a volta fa male, si sa). La satira non può mica piacere a tutti: i suoi bersagli, ad esempio, non ridono (anzi a volte piangono). Quella più tagliente e corrosiva, per dire, è quella che fa scoppiare di rabbia gli interessati. Tempo fa ebbi modo di scrivere, a proposito della satira, che il disagio che aumenta però è solo quello dei parrucconi (gli spiriti liberi, invece, riescono perfino a ridere di se stessi). E su questo sono certo che converrai con me, visto che, se non ricordo male, sei un uomo di mondo dotato di sana e robusta autoironia.
Caro Dino Valente, mi fa piacere che tu abbia avuto modo di leggere la “Laudato sì’” di Francesco (e mi auguro che l’interpretazione che ne poi darai non si discosti più di tanto dalla mia).
Mi conforta il fatto che alla fin fine, ogni tanto, qualche mio scritto serva a qualcosa. Sai, iniziavo a preoccuparmi, vista la completa prolungata assenza di reazioni in merito. Dunque, meno male che ci sei tu che ogni ta
[segue] Dunque, meno male che ci sei tu che ogni tanto ti fai vivo in questo mondo che sembra ormai riuscire a comunicare soltanto a botta di tweet, di emoticons (più o meno come quelli che usavano i primitivi nelle caverne), e di hahahaha; un mondo che rischia sempre più di scivolare irreversibilmente in una sorta di anestesia intellettuale cronica ai limiti della beatitudine. Per questo ti ringrazio e ti saluto.
Antonio Mellone
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