Il bar non porta i ricordi, ma i ricordi portano inevitabilmente al bar, dice Vinicio Capossela.
Questa volta il bar è quello della Liliana.
Sì, certo, linsegna riporta la denominazione Bar Castello, ma a Noha e dintorni si utilizza volentieri il genitivo sassone, quel particolare costrutto usato per indicare un esercizio commerciale omettendo il nome comune del locale posseduto (restaurant, shop, office, church, e quindi bar) ma indicandone il titolare, sicché per noi nohani la locuzione Faccio un salto dalla Liliana potrebbe significare Vado a prendere un caffè al bar Castello, ovvero A leggervi il giornale, oppure A guardare Novantesimo minuto [non so nemmeno se esista ancora codesta trasmissione calcistica: di certo, se anche lavessero soppressa, secondo me dalla Liliana continuano a trasmetterla imperterriti, ndr.]. Insomma.
Peccato però che da qualche giorno Lilianas (v. sopra il concetto) ha chiuso definitivamente i battenti dopo sessanta, che dico, quasi settanta anni di onorato servizio: pertanto molti verbi è duopo dora in poi coniugarli allimperfetto.
Qualcun altro, prima di me, ha vergato righe sul caffè e lottima limonina del bar, non tralasciando la pasta di mandorle (rigorosamente baresi, non americane) che le mani doro della Liliana trasformavano in Paste Secche e, quando il caso, in Pecurieddhri pasquali. Vorrei aggiungere, tra le specialità/ricordi, pure il caffè freddo conservato in frigo nelle bottiglie di vetro verde scuro, dico quelle per la salsa, con il tappo di sughero: caffè che doveva essere agitato bene prima delluso o, per dirla alla barman anzi alla bar-tender acrobatico, shakerato.
Non potrei non menzionare qui (ma poi, giuro, mi fermo per davvero) anche la bontà delle sue zeppole: le più morbide e vellutate che io abbia mai mangiato. Liliana ne approntava a bizzeffe per il giorno di San Giuseppe. Si alzava di notte per farle, molto prima del solito orario cioè le cinque (sissignore, una vita intera a vincere la gara con laurora). Con laiuto della sua povera mamma, rompeva le uova, cartoni interi di uova fresche, e preparava limpasto amalgamando gli ingredienti in un grosso recipiente di rame con lutilizzo di un attrezzo in legno. Non vi dico poi la bontà della crema pasticciera con cui venivano guarniti questi grandi bignè fritti o al forno culminanti con un ciuffo di budino al cioccolato amaro. Altro che creme e Nutelle industriali. Il 19 marzo le incartate di zeppole prenotate riempivano ogni angolo del bar, dal bancone ai tavolini, dalle sedie al bellissimo biliardo in legno massiccio ubicato nella seconda sala, anche questa, come la prima, con volta a botte.
Bisogna ricordare infine che presso la Liliana era installato il centralino telefonico di Noha. Prima della diffusione dei cellulari - e ancor prima dei telefoni fissi che pian piano arrivarono nelle case nohane sul calare degli anni 80 del secolo scorso - dalla Liliana potevi fruire del collegamento telefonico in una bella cabina insonorizzata, discreta, seminascosta alla vista dei più. Quante volte da ragazzo ho utilizzato il telefono della Sip, quello grigio attaccato al muro con il disco dei numeri, per telefonare alla morosa di turno conosciuta al mare destate e poi, a fine vacanza, ritornata in patria in qualche altra parte dItalia diversa dal Salento. Nel passarmi la linea, scuotendo un po la testa, ma con saggio compatimento, la Liliana sembrava dirmi: Figlio mio, gli amori a distanza sono croce e delizia: allinizio di più croce, poi man mano di più delizia. Ovviamente aveva ragione lei. Chissà che non per antica dimestichezza con la materia.
Forse non tutti sanno che Liliana, con lo pseudonimo di Liana, è anche uno dei protagonisti dello stupendo Il Mangialibri di Michele Stursi (LOsservatore Nohano Editore, 2010), il primo romanzo ambientato a Noha, di cui riconsiglio la lettura; ma di certo tutti concordano sul fatto che Liliana nostra è ormai una delle pagine più belle della Storia di Noha. Questo non solo per il lavoro diuturno, le sue leccornie dolciarie, il gran cuore e le sue proverbiali accoglienza e disponibilità, ma anche (soprattutto) per la pazienza e la diciamo capacità di ascolto di ipotesi, tesi, antitesi, purtroppo quasi mai sintesi, di molti avventori del suo locale.
Mentre i novelli retori si esibivano nelle loro interminabili elucubrazioni sugli argomenti più disparati, con molte probabilità la Liliana avrà pensato tra sé e sé: Ma coshanno il mio e gli altri bar italiani per far diventare opinionisti tutti o quasi quelli che ci entrano? E come faranno quando chiuderò il bar?.
Tranquilla, Liliana: molti hanno trovato casa su Facebook. Altri addirittura in politica.
Antonio Mellone