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Articoli del 19/05/2020

Di Marcello D'Acquarica (pubblicato @ 13:31:49 in NohaBlog, linkato 1380 volte)

“Qui muoiono come mosche e vedono morire i loro figli, eppure cercano una “sistemazione” all’Ilva o all’Eni o alla Cementir anche per loro. E’ la dannazione di questa terra: il non pensare al futuro”. (Marta Vignola, La Fabbrica, Meltemi, Azzate -VA; 2018,  pag. 187).

Taranto dista in linea d’aria da Galatina e frazioni circa 80 km, le polveri dell’acciaieria, che trasportano la diossina, coprono un raggio di circa 300 km.

La storia si ripete ma l’evoluzione cambia stato d’essere. “Antropocene” è il termine che indica l'epoca geologica attuale, nella quale all'essere umano e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche (cfr. - Wikipedia).

A proposito di Antropocene, il confronto fra il nostro territorio con il dramma dei tarantini può essere giusto e previdente. A Taranto nel 2008 furono uccise tutte le pecore contaminate dalla diossina: invece di curare le cause, si procedette al palliativo della polvere sotto il tappeto.

La mattanza degli ulivi secolari in corso d’opera, mutatis mutandis, fa il paio con l’abbattimento delle pecore tarantine: non si corre mica ai ripari, non si va alle cause del loro disseccamento, si cerca invece di occultarne in qualche modo gli effetti più immediatamente visibili.

L'inquinamento racchiude tutte le mattanze, compresa quella che ci costringe a non lavorare più liberamente per non essere contagiati dal Coronavirus. Ma difficilmente andiamo alla ricerca delle sue cause: al più evidenziamo disgusto, disappunto ecco, per le sue manifestazioni più immediate, ma mai a chiederci qual è il peccato originale di tanta devastazione. Insomma finiamo per occuparci sempre del dopo, e mai di preoccuparci del “prima”.

Certo se non lavoriamo, non cadrà la manna dal cielo a sfamarci. Ma tra un estremo e l’altro, esiste la ricerca dell’equilibrio, che purtroppo, mi accorgo sempre più, non sta nella parola Antropocene. Covid o non Covid, dovremmo cercare di capire che qualsiasi attività odierna avrà effetti da qui ai prossimi decenni: i danni sull’habitat, e quindi sull’uomo, si manifestano mediamente dopo 15 anni dal “focolaio”.
Secondo quanto riportato a pag. 176 di questo bel volume, se l'Ilva, ad esempio, dovesse cessare in questo preciso momento la sua produzione, i danni provocati sino ad oggi genererebbero patologie almeno fino alle prossime due generazioni di tarantini.

La storia dell’acciaieria di Taranto è nei fatti e nelle cronache di tutti i giorni, e persiste dagli anni ’80 del secolo scorso senza mai aver avuto una equa soluzione, tutt’oggi i tarantini lavorano e muoiono per causa dei processi dell’acciaieria. L’unica speranza sta nelle giovani generazioni, quelle che “non hanno nulla da perdere”:

“…Io penso che adesso tocca a noi giovani prendere coscienza e decidere del nostro futuro: siamo la prima generazione che non verrà assunta dall’Ilva. Dobbiamo ripartire sapendo che là dentro non si può lavorare, per fortuna, ma nemmeno ci vorremmo lavorare. La differenza fra noi e i grandi è che noi giovani non abbiamo più niente da perdere… non abbiamo niente, non abbiamo un lavoro, non abbiamo futuro. Non vedremo mai una pensione e quindi non dobbiamo avere paura di niente perché non abbiamo niente da perdere” (attivista associazione Ammazza che Piazza, M-26).

Ora questo incidente del Covid – 19 che sta mettendo in ginocchio il mondo intero, sta evidenziando l’incapacità del sistema economico e politico dell’antropocene di guardare un po’ più in là del momento attuale. Sembra quasi che tutti non vedano l’ora di ritornare alla famosa Normalità: quella che continuerà a trasformare ogni angolo del mondo nella Taranto dell’acciaieria.

Marcello D’Acquarica

 

Fotografie del 19/05/2020

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