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Di Antonio Mellone (del 16/08/2017 @ 14:01:24, in Fetta di Mellone, linkato 2183 volte)

Qualcuno m’ha chiesto come mai non ho ancora scritto nulla in termini di critica aspra altrimenti detta stroncatura in merito all’operato della nuova amministrazione comunale di Galatina [ebbene sì, c’è chi si diverte a leggere le mie filippiche, mentre io m’incavolo a bestia, ndr.].

La risposta è semplice: non ha ancora avuto il tempo di arrecar danni al mondo che ci circonda, come invece han fatto le precedenti. E francamente spero non ce l’abbia mai, questo tempo, ché avrei ben altro per la testa io [tipo, oltre al lavoro, le letture, lo studio e i fatti miei in tema di “donne, cavallier, arme, amori, cortesie e audaci imprese”].

Insomma non è che mi diverta a buttarmi nell’agone come un novello Catilina, o a trattare dell’epica o della lirica di Sindaco & co., o a leggere, di questo codesto o quella, le gesta eroiche (o erotiche, se riportate dal Quotidiano, visto l’utilizzo della lingua da parte di certi “giornalisti” allorché si tratti di centri commerciali, Tap, Twiga e altre sensuali delizie del genere).

Una cosa auguro alla nuova amministrazione Amante (ergo a me stesso): che non somigli per niente alla giunta neretina di Pippi Mellone la quale, a dispetto dei verdissimi proclami pre-elettorali, una volta assisa sulla cadrega cittadina, s’è messa d’impegno a distruggere quel che di bello è rimasto a Nardò e dintorni, con l’aggravante di quella presa per i glutei che fu l’intitolazione dell’aula consiliare alla povera Renata Fonte [la quale non può più replicare con un bel: “Ma come vi permettete” - per non usare un lessico, come dire, più trivialmente colorito, ndr.], contraria fino alla morte, per mano della mafia, ad ogni forma di speculazione edilizia.

 
Di Antonio Mellone (del 05/08/2017 @ 14:00:33, in Fetta di Mellone, linkato 2006 volte)

Qualcuno m’ha chiesto quando avrei intenzione di smetterla con questa rubrica di fette di Mellone.

Come soglio (voce del verbo), gli ho risposto impulsivamente e in maniera lapidaria: “Quandu rriva la fica lu malone ve e se mpica”.

Premesso che il dolcissimo frutto della pianta xerofila della famiglia delle Moraceae in salentino si declina al femminile e che mi deprimono alquanto i perbenisti falsi come una Louis Vuitton acquistata in un sottopassaggio ferroviario, non vorrei ora aprire un dibattito sul concetto subliminale del testé citato aforisma composto dai due succosi termini dal poliedrico significato. Sì, perché qui ci sarebbe insomma da soffermarsi su ogni sintagma del periodo, e magari inoltrarsi (e perdersi) nei boschi narrativi disposti sui suoi diversi piani di lettura.

Tutto questo panegirico per dire che codesta fetta di Mellone non può essere dolce (o edulcorata o sdolcinata) come le altre che parlavano di spiagge, di trombature (appunto) post-elettorali e dunque d’Amore, bensì aspro come il limone e amaro come certi peperoncini calabresi di mia conoscenza. Perché? – vi starete presumibilmente chiedendo.

Ma perché a rovinarmi l’estate (e dunque la verve da sviolinata estiva da leggere sotto l’ombrellone sorseggiando un cocktail alcolico ma anche anal-) è apparso l’altro giorno un diciamo articolo vergato dal diciamo giornalista sul diciamo quotidiano di Lecce, avente ad oggetto (capirai che novità) il Mega-porco commerciale Pantacom da colare su di una ventina di ettari concentrati nel bel mezzo della campagna di Collemeto.

Ero al bar, e nel leggere ‘sto pezzo, il caffè (decaffeinato - se no non dormo) mi è andato di traverso, la schiena mi si è bloccata in erezione, la bocca è rimasta semiaperta per via del crampo mandibolare che mi prende davanti alle coglionate, e così per un tempo indeterminato son rimasto immobile [avrebbero potuto affittarmi, ndr.] a riflettere sulle magnifiche sorti e progressive di Galatina e dintorni.

E niente. Uno pensava che codesto Merda-parco commerciale fosse la classica ideona oggetto ormai di appassionati studi di archeologia, ove non di psichiatria econometrica e sociale, e invece no: c’è infatti ancora chi ne scrive con un afflato, anzi un empito mistico che denuncia, come dire, una sorta di asservimento di alcune classi giornalistiche e diciamo intellettuali alla greppia dei poteri (apparentemente) forti che dovrebbero invece controllare.

 
Di Antonio Mellone (del 22/07/2017 @ 17:47:02, in Fetta di Mellone, linkato 2150 volte)

Non me ne voglia Pietro Aretino (1492 – 1556) - al quale osai paragonarmi un dì, ma soltanto per l’epitaffio vergato dal vescovo Paolo Giovio, onde lo scrittore d’Arezzo pare avesse trascorso la sua vita parlando male di tutti, eccezion fatta per Cristo, ma sol perché asseriva di non conoscerlo. Gli chiedo scusa, dicevo, se intitolo questa terza fetta di Mellone estiva come una delle sue raccolte di ottave e quartine più licenziose, e tuttavia più castigate degli invece ben più spinti “Sonetti lussuriosi”.

Non c’è, dunque, in questa terza fetta di Mellone, nulla di scostumato o lascivo o triviale che rievochi qualcuno dei dubbi ardenti del nostro poeta  rinascimentale (che comunque vi consiglierei di leggere, se non altro per trovare sollievo dalla calura del solleone salentino).      

E’ che a volte son preso anch’io da un dubbio amoroso (molti di meno, dunque, dei trentuno dell’Aretino) e talvolta mi vien la tentazione di uscire a comprare un teschio con cui discutere su chi dei due aveva ragione: se Dante Alighieri (1265 – 1321) o, a quattro secoli di distanza, suor Juana Inés de la Crux (1648 – 1695), a proposito d’amore (malattia endemica contro la quale non esistono vaccini ministeriali).

Premesso che non fa niente se ignoriamo i classici (il bello è invece che sono loro che conoscono noi), Dante e suor Juana in fatto d’amore la pensano in maniera diametralmente opposta.

L’Alighieri nel V canto dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca, al famosissimo verso 103 fa un’affermazione sconvolgente. Che è questa: “Amor che a nullo amato amar perdona”. Chi altri avrebbe mai potuto formularla con tal perfezione se non il Poeta [ecco perché m’incavolo come una iena: perché non io? E lo stronzo sì? Ndr.].

Ebbene, per Dante l’amore non esonera nessuna persona amata dall’amare a sua volta.

Secondo questo diciamo teorema si può affermare che sempre, fulmineamente, senza appello, chiunque s’innamori di una persona automaticamente non può che esserne corrisposto, ricambiato così su due piedi, con pari intensità. Non solo la reciprocità d’amore esiste eccome, ma essa è oltretutto istantanea e perfetta.

C’è chi afferma che questo funzioni solo con l’amore di Dio, per cui amare Dio ed essere amati è un’unica cosa. Ma a me non interessa ora approfondire questi concetti sconfinando in altri campi, come il teologico o il morale. A me interessa ora rimanere sulla terra (ovvero terra terra) e capire invece – magari mi ci darete una mano voi – se questa corrispondenza d’amorosi sensi è vera sempre, o se viceversa è più frequente il fatto che amiamo chi non ci ama e siamo amati da chi noi non amiamo, come se l’amore fosse, diciamo così, asimmetrico.

Guardate un po’ come esprime questi concetti la stupenda suor Juana Inés de la Crux:

L’ingrato che mi lascia, cerco amante

L’amante che mi segue, lascio ingrata;

costante adoro chi il mio amor maltratta

maltratto chi il mio amor cerca costante.

 

Chi tratto con amor, per me è diamante,

e son diamante a chi in amor mi tratta;

voglio veder trionfante chi mi ammazza,

e ammazzo chi mi vuol veder trionfante.

 

Soffre il mio desiderio, se ad uno cedo;

se l’altro imploro, il mio puntiglio oltraggio:

in ambi i modi infelice io mi vedo.

 

Ma per mio buon profitto ognor m’ingaggio

A esser, di chi non amo, schivo arredo

E mai, di chi non mi ama, vile ostaggio.

 

Chiaro come la luce del sole. Non necessita di alcun commento, questa che non è una poesia ma una vera e propria figata.

Una cosa è certa (e converrete con me): l’amore è il movente del mondo. La causa efficiente della vita. Sicché senza amore non c’è vita. Ovviamente molto meglio del sottoscritto (e non ci vuol mica tanto) sa esprimere questo concetto un’altra grande poetessa francese, Louise Labé (1525 – 1566) che scrisse il componimento che suona così:

Finché i miei occhi potran lacrimare

sulla gioia che un dì teco ho goduta,

finché la bocca mia non sarà muta

per i troppi sospiri e il singhiozzare,

finché la man mi potrà accompagnare

mentre canto il mio amor sull’arpa arguta,

finché il mio cuor d’accogliere rifiuta

ogni altra cura fuorché a te pensare,

io non domando ancora di morire.

Ma quando io senta inariditi gli occhi,

rotta la voce e la mano languire,

e quando il mio cuor mostri d’aver caro

che in questa vita amor più non lo tocchi

venga allor morte e anneri il giorno chiaro”.

*

Perché si ama, l’abbiamo appena visto: l’amore è, dunque, il pretesto della vita. Punto.

Ora vediamo per cosa e come si ama. Per chiarirlo chiedo una mano alla mia amica inglese Elizabeth Barrett Browning (1806-1861). Elisabeth ci spiega che non deve esserci per forza un motivo per amare: si ama per lo stesso amore e basta. Infatti:  

 

Se devi amarmi, per null’altro sia

se non che per amore.

Mai non dire: “L’amo per il sorriso,

per lo sguardo, la gentilezza del parlare,

il modo di pensare così conforme al mio,

che mi rese sereno un giorno”.

Queste son tutte cose

che possono mutare.

Amato, in sé o per te, un amore

così sorto potrebbe poi morire.

E non amarmi per pietà di lacrime

che bagnino il mio volto.

Può scordare il pianto

chi ebbe a lungo il tuo conforto

e perderti.

Soltanto per amore

amami sempre

per l’eternità.

*

Dove è nato tutto codesto amletico dilemma e dunque questa terza fetta di Mellone?

Ma ovviamente lungo il litorale, nei pressi del mio solito scoglio (che credo di avere ormai usucapito). Sedevo colà al calar del sole, e nel sovrumano silenzio miravo gli interminati spazi di là da quello, allorché, bella come l’aurora, fulgida come il sole e terribile come un esercito schierato in battaglia, si presenta davanti a me una donna, che dico, una Madonna. Solo che il portamento, le movenze e le curve di codesta apparizione mariana stimolavano certamente negli astanti (compreso dunque il sottoscritto) pensieri tutt’altro che religiosi, direi pure diversamente casti e pii.

La creatura, guarda un po’, si mette a conversare amabilmente con me, non con altri. Ride. Mi guarda negli occhi. Si tocca i capelli. E dopo un po’ mi fa: “Che tipo da spiaggia che sei. Anzi d’amare”. Penso di non aver affatto frainteso: sennò perché mai avrebbe fissato (lei!) un rendez-vous con me in altro orario e il altro loco?

*   

“All’alta fantasia qui mancò possa;/ ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,/ sì come rota ch’igualmente è mossa,/ l’amor che move il sole e l’altre stelle”. (Dante, Paradiso, XXXIII, 142-145).

Ebbene sì, ha ragione Dante. Da vendere. Ma talvolta anche suor Juana.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 17/07/2017 @ 18:51:42, in Fetta di Mellone, linkato 2376 volte)

Archiviata la più brutta campagna elettorale di sempre [le successive saranno se possibile peggiori, ndr.], siamo ormai nella fase del post-elezioni comunali, della post-verità e della post-trombatura: insomma nell’era del post.

C’è appunto qualche trombato alle recenti amministrative galatinesi [trombato, non nell’altro senso purtroppo per l’interessato, ndr.] che non riesce proprio a mandar giù la sconfitta e cerca in tutti i modi di far passare per vittoria il suo sonoro siluramento, attraverso la pubblicazione di post strappalacrime pubblicati sulla piazza virtuale per antonomasia: face-book. Le lacrime agli occhi ti vengono da un lato per via degli endemici orrori morfosintattici disseminati un po’ ovunque [eh sì, signora mia, non c’è proprio nulla da fare: la situazione è davvero grammatica, ndr.]; e dall’altro, a causa dei crampi addominali da repressione risate dovuti alla diciamo sostanza, al diciamo contenuto, al diciamo noumeno dell’Alto Pensiero che, imperterrite, certe macchiette della politica locale s’ostinano a formulare addirittura per scripta che per definizione manent.

 
Di Antonio Mellone (del 09/07/2017 @ 11:53:31, in Fetta di Mellone, linkato 2492 volte)

La frequenza dei lidi più glamour del Salento non rientra tra le esperienze più formative del mio curriculum vitae. Le ore di sosta in codesti status in luogo da parte mia sono infatti così sporadiche e casuali che si contano sulle dita di una mano monca.

L'accidentale presenza del sottoscritto all’interno di certi recinti è dettata più dalla voglia di studiare l’omologante fenomeno antro-politico (una specie di stage in Sociologia a proprie spese) che da una forma di epicureismo applicato.

Io preferirei invece scogliere e spiagge – a trovarne in giro - senza stabilimenti balneari esclusivi che, appunto, mi escludono: anche perché certi stili di vita stanno allo scrivente come la crema pasticciera sulla pepata di cozze.

Mi piacerebbe che il demanio pubblico continuasse ad essere tale: cioè pubblico, inalienabile, imprescrittibile, e possibilmente salvaguardato dalle concessioni ai privati per un piatto di quattro salti in padella.

Prediligo francamente i sempre più rari litorali liberi da tubi, pali, chiodi, piattaforme, gradini, passamano, tettoie, tende, sbarre, ponticelli, paraventi, porte, cancelli, legno e ferro, e soprattutto da botteghini all’ingresso e parcheggiatori un po’ prima (che magari alla richiesta di rilascio di uno straccio di scontrino fiscale ti rispondono con un’unica emissione di voce molto simile a un muggito, quando non a un belato).

Io scelgo gli arenili senza lettini, sdraio, amache, poltrone, puffi, tavolini, cabine, ombrelloni e box-doccia. Oltretutto credo che sia più igienica la spiaggia rivoltata da vento e moto ondoso e sciacquata dall’acqua salata che il nylon della branda lavato a fine stagione “con la suca”.

Opto per le superstiti marine preservate dalla musica a palla, nefandezza culturale nonché cafonata molesta che ti costringe a sgolarti pure in riva al mare, anche solo per scambiare due chiacchiere con l’interlocutrice di turno. E’ che mi piacerebbe decidere da me quali, quando e a che volume ascoltare i brani della colonna sonora della mia vita. Son fatto così: tifoso accanito di quella pace che ‘il mondo irride ma che rapir non può’.

Adoro leggere i miei libri avvolto da sovrumani silenzi e profondissima quiete, o al più con il sottofondo de ‘lu rusciu de lu mare’. Ma questa forse l’ho già detta altrove.

 
Di Antonio Mellone (del 03/10/2015 @ 21:07:42, in Fetta di Mellone, linkato 8999 volte)

Caro sindaco Mimino Montagna,

anche se non sembra….. sono la sottoscritta tua delegata per la frazione di Noha. Premetto subito che… devo evitare di mettere tutti questi…..puntini di sospensione sennò quel saputello nonché…. rompicoglioni di Antonio Mellone mi prende per il….. LOCULO da qui all’eternità!!!!!!!

Non mi è facile, proverò in tutti i modi a ridurli ai minimi termini, questi puntini, anzi ai Mimini termini, hahahahahaha.

Tu sai che io quando mi ci metto faccio le cose con il cuore (anche se il Mellons’ di cui sopra, quando gli prudono le mani, scrive che utilizzo un altro organo posto un po’ più in basso, e che inizia sempre con CU. Ma, sai, lui è fatto così, non è cattivo: è solo che ha il brutto vizio di canzonare il POTERE: e io, modestamente, può). E poi, detto tra noi, quella che lui pensa sia satira (che a me non piace, anzi non mi fa per niente ridere) altro non è che…….tutta pubblicità per me. Tiè!!!!

 

Visto che la prima (cioè l’ennesima) lettera indirizzata all’assessore Andrea Coccioli il 24 luglio scorso non ha avuto esito alcuno (capirai che novità, sicché la luce in fondo al tunnel del centro polifunzionale di Noha la vedremo con il binocolo), proviamo ad indirizzare alla nostra carissima delegata dal sindaco, al secolo avv. Daniela Sindaco, queste domandine semplici semplici. Ma, giacché ci siamo, vorremmo che sul tema battessero un colpo (non apoplettico, per carità di Dio) anche gli altri politici nohani, vale a dire: Antonio Pepe, Giancarlo Coluccia e Luigi Longo, tutti esponenti, insieme alla collega di cui sopra, del partito unico PD-NCD-RC (Pancia Dilatata, Non C’è Dubbio , Riposo Cerca).  

*

Cari D-A-G-L, lo sapevate che, salvo errori od omissioni, sarebbero a disposizione dei comuni pugliesi 17.000.000 di euro per la ristrutturazione, il restauro e la riqualificazione del patrimonio architettonico e artistico del comune? Che questi fondi pare siano stati messi a disposizione dall’assessorato all’Industria turistica e culturale della Regione Puglia (e non, per dire, del Friuli Venezia Giulia)?

 
Di Antonio Mellone (del 24/07/2015 @ 09:28:48, in Fetta di Mellone, linkato 2840 volte)

Gentile assessore Coccioli,

ti scrivo con la consapevolezza che, come al tuo solito, farai finta di non aver letto questo pezzo (non è la prima, né sarà l’ultima volta). 

Il problema, do you remember?, è sempre quello della vecchia scuola elementare di Noha, quasi del tutto ristrutturata ma, appunto, rimasta in mezzo al guado per via di una cabina elettrica dimenticata nella penna di chissà quale ingegnere progettista lautamente retribuito, onde, con il solo allaccio di cantiere (ma quanto durano ‘sti benedetti cantieri a Galatina e dintorni?), in quella scuola diventata nel frattempo Centro (quasi) Polivalente, non funzionano ancora - sebbene installati e nuovi di zecca - né l’ascensore, né l’impianto fotovoltaico, né l’impianto di condizionamento dell’aria.

Abbiamo già sperimentato quanto i nostri politici di Palazzo Orsini siano di fatto tutti chiacchiere e sedativo, ovvero portatori sani di sorrisi ma soprattutto di promesse per allocchi [l’ultima cocciolata, per dire, suonava più o meno così: “Si prevede l’esecuzione dell’intervento di realizzazione della cabina così come sopra detto necessaria ad Enel per fornire i 50 KW richiesti attivando i suddetti impianti tra giugno e settembre 2014.  - Chissà che, parlando di 2014, l’assessore più “promettente” della storia locale non ipotizzasse a suo tempo la reincarnazione, o la vita del mondo che verrà, amen, ndr]; così come non c’è da aspettarsi nulla da certi cittadini affetti da pragmatismo cronico che non considerano codesto scempio di pubblico denaro come un qualcosa di insopportabile, ma come una normale prassi su cui non vale la pena poi di soffermarsi più di tanto (e ripetono con salmodiante democristiano acume:  “U fattu è fattu e l’arciprevate è mortu” – da qualche mese ormai in tutti i sensi).

 
Di Antonio Mellone (del 18/09/2013 @ 22:35:13, in Fetta di Mellone, linkato 3610 volte)

Chi pensava che gli allevamenti di ovini fossero scomparsi dalla circolazione s’è sbagliato di grosso. Son venuti meno molti di ettari di campagna e di pascolo (causa cemento, asfalto e fotovoltaico), ma le pecore ci son sempre, eccome. Siamo attorniati da centinaia e centinaia di pecore, di tutte le razze,  la maggior parte mute, alcune pronte a proferire qualche timido belato, ma così fievole che non disturba. Pecore che non sanno dove andare ed aspettano che le loro guide si decidano a prendere una direzione. Una volta che il pastore ha stabilito la linea le pecore son pronte a seguirlo, condiscendenti, sottomesse come solo le pecore sanno essere: dimesse, credule, quiete, disposte a fare ancora una volta, e come sempre, gregge.

 

Canto notturno di un pastore ...

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