Chissà perché ogni volta che parlo di questi due ragazzi di Noha, cioè di Giuseppe Paglialonga e di Luigi D’Amato (scusate, ma non mi viene ancora spontaneo di usare il Don prima del nome - ché mi suona un po’ come una sorta di distacco), mi saltano in mente alcuni versi del canto XI del Paradiso, quelli che Dante Alighieri fa “recitare” a Tommaso d’Aquino: “La Provedenza, che governa il mondo / con quel consiglio nel quale ogne aspetto / creato è vinto pria che vada al fondo […] due prìncipi ordinò in suo favore, / che quinci e quindi le fosser per guida. / L’un fu tutto serafico in ardore; / l’altro per sapienza in terra fue / di cherubica luce uno splendore. / De l’un dirò, però che d’amendue / si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, / perch’ad un fine fuor l’opere sue.”
Ora, né Giuseppe né Luigi fanno parte del Clero Regolare (mentre nei versi della Commedia l’Aquinate fa riferimento ai fondatori delle loro rispettive Regole: San Domenico e San Francesco), bensì del Clero Diocesano Secolare. E tuttavia mi sembra che i versi del Sommo Poeta calzino a pennello a l’uno, Giuseppe, tutto serafico in ardore e oltretutto, come Francesco, amante del canto e della musica; e all’altro, Luigi, come Domenico, di cherubica luce, per sapienza, studio e ricerca filosofica, uno splendore. Ma essendo i diversi carismi fusi dallo Spirito “Ut unum sint”, posso qui dire con Dante che parlando di uno si loda anche l’altro, perché, che si prenda l’uno o l’altro, le azioni di entrambi hanno lo stesso fine.
Dunque, nell’arco di una settimana (santa), entrambi, con l’unzione dal parte del Vescovo Donato Negro, hanno ricevuto l’Ordine Sacro: Giuseppe, già diacono “transitorio”, quello del Presbiterato, sabato sera 23 giugno 2018, nella magnifica cattedrale di Otranto, dopo le litanie dei santi, come previsto dalla liturgia, prostrato a terra nel presbiterio della basilica sul mosaico monumentale realizzato mille anni prima dal prete Pantaleone; e Luigi, quello del diaconato, venerdì sera 29 giugno 2018, a Noha sotto le volte lignee della Chiesa e lo sguardo della Madonna delle Grazie compatrona.
Premesso che prendere i voti non è una gara in cui vince chi arriva primo (al massimo è una corsa ad ostacoli, ma con un traguardo infinito), e che la santità non necessariamente è direttamente proporzionale al grado ecclesiastico ricoperto, diciamo qui che entrambi i candidati hanno pronunciato finalmente il loro Adsum, in momenti diversi e nei vari gradi della gerarchia per una serie di motivazioni legate al curriculum di studi e alle sempre necessarie pause di discernimento (si sa che non si è buoni credenti se si è troppo sicuri di credere, e che la verità non è mai un dato scontato ma una ricerca continua).
Ambedue le liturgie si sono svolte con grande partecipazione da parte dei compagni di studi nei seminari di Otranto e di Molfetta frequentati con profitto dai due chierici, dai loro superiori, da molti sacerdoti ministeriali diocesani, primo fra tutti il parroco don Francesco Coluccia che ha seguito con premura tutto il percorso spirituale scolastico e accademico dei suoi due seminaristi, e poi ancora dai loro commossi genitori, dai fratelli, e da una marea di esponenti del cosiddetto “sacerdozio comune”, vale a dire il popolo degli altri parenti, degli amici, dei conoscenti e del resto dei fedeli. Certamente da lassù avrà fatto festa anche un loro confratello predecessore, don Donato, l’antico parroco di Noha che ha sempre provato affetto e simpatia per i suoi due piissimi chierichetti.
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Giuseppe ha già celebrato la sua prima messa solenne a Noha, domenica mattina 24 giugno 2018; Luigi non ancora: essendo diacono può svolgere tutte le funzioni di competenza del suo ordine “minore”, come amministrare il Battesimo, distribuire la comunione, benedire il Matrimonio, leggere le Sacre Scritture e spiegarle, presiedere a vari culti e riti, ma non ancora officiare l’Eucaristia.
La bicicletta che entrambi hanno scelto di pedalare è dura (mi chiedo se ne sia mai esistita una facile, o da pedalare in discesa anche in altri campi diversi dalla “vigna del Signore”), ma so già che andranno avanti con determinazione sulla strada intrapresa: Luigi continuerà ancora nei suoi studi di specializzazione superiore, prima dell’ulteriore salto in alto; Giuseppe si butterà a capofitto nel suo nuovo lavoro di prete del XXI secolo che comporterà necessariamente apertura di braccia ma soprattutto mentale.
Se mi fosse consentito, vorrei augurare ai due novelli ecclesiastici di non limitarsi a essere dispensatori di sacramenti (anche questo, per carità), ma di diventare sale della terra e di seguire quello che il loro Vescovo ha ribadito più volte nelle sue omelie, cioè di mettere al primo posto i poveri.
I miei due amici mi assolveranno se in conclusione oso chiosare le parole dell’eccellentissimo Monsignore, aggiungendo che sì, bisogna guardare ai poveri, eccome, ma non (più) come a destinatari di servizi assistenziali ma come a soggetti di diritti, artefici cioè della propria storia e del proprio destino. La povertà non è una semplice carenza legata a condizioni naturali o congiunturali: è invece la conseguenza di un sistema ingiusto e oppressivo, contro il quale è legittimo, anzi cristianamente doveroso lottare (come del resto sostenuto anche dai Teologi della Liberazione finalmente riabilitati e benedetti da papa Francesco).
Sissignore, l’annuncio del regno va di pari passo con la denuncia dell’anti-regno, che è quello dove prevale il capitalismo di rapina, il razzismo becero, l’omofobia crassa, la misoginia subdola, il maschilismo zotico, il sessismo discriminatorio e l’ignoranza esibita come un trofeo. C’è infine un altro “grande povero” da curare amorevolmente, ed è il nostro pianeta devastato e ferito (per il quale v’illumini la bella enciclica “Laudato sì” di Jorge Mario Bergoglio).
Insomma, importerà quello che direte e quello che farete. Con l’auspicio che quello che farete corrisponderà a quello che direte.
Antonio Mellone