L’avevo vista e salutata pochi giorni fa. Passava davanti casa mia quando usciva per le compere o per andare a messa (abitavamo entrambi – io da un anno a questa parte – nel centro storico di Noha, all’ombra della chiesa madre).
La conoscevo praticamente da sempre. Uno scricciolo di donna: piccolina, capelli brizzolati (che io ricordi, sono sempre stati così), passo svelto, e battuta e sorriso a portata di mano. Dev’essere l’aria della parte antica del mio paese. Magari lo fosse anche della nuova.
Michelina aveva 87 anni, ma stava benone. Poi a un certo punto ti arriva il telegramma di convocazione. Devi lasciare tutto e partire. Funziona così. Non ti pare vero. Non ti ci abituerai mai all’idea. Ma è ineluttabile che un bel giorno la cronaca lasci il passo alla memoria.
E la mente vola indietro nel tempo. Lustri, che dico, decenni fa. Quando eri ragazzino, e frequentavi la parrocchia (che prima si chiamava più facilmente Chiesa, mentre il parroco si chiamava Arciprete). Eri insieme a un nugolo di altri chierichetti, come i figli della Michelina, Tommaso e Fabrizio, sempre presenti. E c’era anche Anna, la sorella Cacciapaglia: che cantava nel coro e non poteva mica fare la ministrante lei (le bambine sull’altare verranno ammesse con l’avvento del nuovo millennio).
Da una delle finestre della sagrestia si vedeva l’ingresso della casa della Michelina (quando si dice Casa e Chiesa). La padrona era lì dentro, china tutto il giorno sulla sua macchina per cucire. Ogni tanto faceva capolino, per salutarci, per raccontarci una storia, per offrirci qualcosa da mettere sotto i denti, un frutto della sua campagna (che raccoglieva di persona), o un semplice bicchier d’acqua.
E poi quando ti cadeva uno dei tanti bottoni della lunga veste rossa, o quando la cotta bianca - talvolta per qualche errore di candeggio o più frequentemente per via di qualche mossa sbagliata - si lacerava in qualche punto, l’arciprete ti diceva: “Vai, vai dalla Michelina ché te l’aggiusta subito, lei è una sarta. E anche una santa.”
Sante parole.
Antonio Mellone
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Noha.it abbraccia affettuosamente gli amici Anna, Tommaso, Fabrizio, gli amati nipoti e gli altri parenti della cara Michelina.
La storia si fa sempre più interessante. Qui scopriamo che uno dei Vescovi di Nardò (e quindi anche di Noha), Fabio Chigi, fu eletto papa con il nome di Alessandro VII. Fu il papa, tra l’altro, del colonnato del Bernini in piazza San Pietro. La prossima volta che capitate nella città eterna, e proprio in quella piazza, alzate lo sguardo verso i numerosi stemmi del Chigi che vi campeggiano scolpiti nel marmo: quelli che inquartati - al di sotto della tiara e delle chiavi decussate (tipici di tutti gli stemmi papali) – riportano gli alberi di rovere e i colli sormontati da una stella. E pensate che quel vescovo di Roma fu anche vescovo di Noha. Del resto, come si suol dire, tutte le strade portano a Noha.
La redazione
Girolamo de Franchis (1581 - 1635)
Vescovo di Nardò dal 13 novembre 1617 al 27 novembre 1634
Dal 1617 al 1634 i Papi furono:
Paolo V (1550-1621) Papa dal 1605 al 1621
Gregorio XV (1554-1623) Papa dal 1621 al 1623
Urbano VIII (1568-1644) Papa dal 1623 al 1644
Arciprete di Noha
Don Antonio De Aprile (1594-1650), parroco dal 1622 al 1650
Girolamo De Franchis, figlio di Vincenzo, era nato a Capua nel 1581 e nel 1617 successe a suo fratello Luigi al governo della diocesi di Nardò.
Fu uomo di grande acutezza d’ingegno e perspicacia, laureato in diritto civile. Era cappellano del re di Spagna Filippo III, che nello stesso periodo gli aveva offerto la chiesa di Pozzuoli. Girolamo tuttavia preferì la sede di Nardò che resse con molto zelo per 17 anni. Celebrò più sinodi diocesani. I documenti di questi sinodi sono giunti fino a noi e si conservano nell’archivio di Nardò in due volumi. Il primo volume contiene i documenti che riguardano i sinodi del 1619, 1620, 1623, 1624, 1626 e 1628. Il secondo volume quelli del 1629. Compì più volte la visita pastorale della diocesi. Ebbe cura della cattedrale che arricchì di sacre suppellettili, doni e costruzioni artistiche. Fece restaurare ed ingrandire l’organo della cattedrale. Concesse definitivamente ai frati minori conventuali la chiesa ed il monastero della Grottella di Copertino. Il 4 settembre 1634, quando aveva 53 anni, per le sue qualità di mente e di cuore, da Urbano VIII fu promosso alla chiesa arcivescovile di Capua, sua città natale. Ma vi rimase poco tempo perché, a causa di una grave malattia, morì prematuramente a Napoli il 30 gennaio 1635 a 54 anni. Nel ministero pastorale fu coadiuvato dai vicari generali Antonio Colucci e Giovan Battista Bonincasa.
Relazione con la chiesa di Noha
Sicuramente la chiesa di Noha partecipò ai diversi sinodi e fu oggetto delle visite pastorali. Ma non ho trovato nulla di particolare da sottolineare.
In questo periodo il parroco di Noha si chiamava don Antonio De Aprile, nativo di Carpignano, un Comune vicino Martano, in diocesi di Otranto. Fu Arciprete di Noha per circa 30 anni. Nonostante il lungo periodo del suo ministero pastorale, non abbiamo trovato particolari notizie su di lui.
Forse possiamo fare questa considerazione. Dopo le invasioni dei turchi, guerre ed epidemie la “Domus Novae” era ridotta a poche case, molta gente era fuggita e l’antica cittadina conservava solo la chiesa madre “S. Michele” e l’antichissima chiesa greca della “Madonna delle Grazie”. Sacerdoti necessari per la piccola comunità erano non più di due.
Fabio Chigi (1599 - 1667)
Vescovo di Nardò dall’8 gennaio 1635 al 19 feb.1652
Nel 1655 fu eletto papa con il nome di Alessandro VII
Dal 1635 al 1652 i Papi furono:
Urbano VIII (1568-1644) Papa dal 1623 al 1644
Innocenzo X (1574-1655) Papa dal 1644 al 1655
Arcipreti di Noha:
Don Antonio De Aprile (1594-1650), parroco dal 1622 al 1650
Don Ant. Donato Palamà (1625-1689), parroco dal 1650 al 1689
Fabio Chigi, pur essendo stato vescovo di Nardò per 17 anni, non ebbe relazioni con la chiesa di Noha perché, come vedremo, non venne mai in diocesi.
Era nato a Siena nel 1599. Da piccolo fu educato alla pietà e nelle virtù cristiane, e mostrò presto una grande severità di costumi. Riusciva tanto bene negli studi letterari e filosofici che a dodici anni difese in casa sua, con grande stupore dei presenti, varie tesi di filosofia. A quattordici anni fu costretto a sospendere gli studi per mal di stomaco, malattia che più volte lo spinse a non sperare nella guarigione. Quando gli sembrò di essere guarito, a 16 anni, si recò in pellegrinaggio a Loreto per adempiere un voto alla SS.ma Vergine. Qui, forse per caso, si trovò nello stesso alloggio dove si trovava l’Arcivescovo di Ginevra Francesco di Sales (1567-1622). Parlando con lui, dopo aver trattato diversi argomenti, Fabio Ghigi gli domandò il parere sulla sua intenzione di farsi prete. Francesco da Sales (canonizzato poi dallo stesso Fabio Chigi quando divenne sommo Pontefice) rispose affermativamente, ma lo esortò a non accettare mai qualsiasi grado nella gerarchia, aggiungendo che se l’avesse fatto gli sarebbe accaduto di raggiungere il grado più alto.
Ritornato a Siena, Fabio riprese gli studi.
A 21 anni, terminati gli studi filosofici, difese pubblicamente le tesi di filosofia. L’anno dopo, difese in pubblico alcune proposizioni di diritto civile, alla presenza di non pochi valenti giureconsulti. Intraprese poi gli studi teologici, che compì egregiamente, così che il 12 settembre 1626, a ventisette anni, fu proclamato dottore in teologia ed in diritto civile e canonico nell’università di Siena. Poco distante da Roma possedeva una villa dove, quando desiderava la quiete, era solito ritirarsi. A Roma frequentò dotte personalità famose in diritto e discipline ecclesiastiche, per cui fu conosciuto da Urbano VIII papa dal 1623 al 1644, che nel 1630 gli diede alcuni incarichi di carattere diplomatico.
Nel 1634 fu ordinato sacerdote e, alcuni mesi dopo, resasi vacante la diocesi di Nardò, dal cardinale Francesco Barberini (1597-1679), cancelliere di S. R. Chiesa, fu proposto al Pontefice per essere eletto Vescovo della città neretina.
La nomina di Fabio Chigi a vescovo di Nardò, suscitò ovunque grande entusiasmo. Consacrato Vescovo, prevedendo di non potersi recare subito a prendere possesso della sua diocesi, fece nominare suo vicario generale Giovanni Granafei (Brindisi 1603-Bari 1683), già vicario apostolico. Per mezzo di costui, l’otto giugno 1635 prese possesso e amministrò la diocesi in tutto il tempo che fu Vescovo di Nardò, perché continuamente impegnato in importanti missioni apostoliche da parte della S. Sede. Dal Granafei nel 1637 fece iniziare la visita alla diocesi. Nell’archivio di Nardò si conservano gli atti della visita. Essi sono molto importanti perché contengono notizie storiche sullo stato, sulle vicende e lo sviluppo della diocesi, sulle parrocchie e sulle altre chiese. Della chiesa di Noha non c’è nulla di particolare da sottolineare.
Nel 1651 Fabio Chigi fu fatto cardinale e dopo circa due mesi di cardinalato e dopo 17 anni di episcopato neritino, nel 1652 fu trasferito da Nardò a Imola. Nel 1655 moriva Innocenzo X, piamente e amorosamente assistito dal segretario Fabio Chigi. Dal conclave che seguì uscì eletto Pontefice proprio Fabio Chigi che prese il nome di Alessandro VII. Negli anni del suo pontificato non dimenticò mai la diocesi di Nardò dove era stato Vescovo senza mai risiedere. Morì il 22 maggio 1667, dopo 12 anni di pontificato a 68 anni di età.
Relazione con la chiesa di Noha
L’arciprete di Noha era don Antonio Donato Palamà che fu parroco per circa 40 anni, dal 1650 al 1689.
Non abbiamo notizie sicure sulla sua vita, se non quello che è stato arciprete di Noha per lungo tempo. E’ lui che fece mettere l’iscrizione in latino in alto, sopra l’altare di San Michele, leggibile ancora oggi, anche se scorretta nella data, perché è stata ritoccata quando la chiesa nel 1901 fu ampliata e l’altare con tutta la lapide spostato al luogo attuale.
Riporto qui il testo della lapide tradotto in italiano dove leggiamo anche il nome del Palamà:
A Dio ottimo Massimo.
Allo splendore orientale,
al principale capo dei cori angelici.
Michele Arcangelo, vessillifero del nuovo Giove,
la munificenza, l'onore, l'augurio,
a spese proprie il suo predecessore ora in cielo,
Don Donato Palama Arciprete
e i cittadini di Noha
diedero, donarono, dedicarono
nell'anno del Signore 1664.
I Vescovi di Nardò che si sono succeduti in questo lungo periodo di arcipretura di Antonio Donato Palamà furono Calanio Della Ciaia (1652 - 1654), Girolamo De Coris (1656 - 1669) e Tommaso Brancaccio (1669 – 1677). Nella prossima puntata esporrò brevemente alcune informazioni su questi ultimi tre Pastori neretini.
[continua]
P. Francesco D’Acquarica
Cinque consiglieri di minoranza la buttano in caciara per nascondere l’incapacità politica ed amministrativa di esercitare il ruolo che i cittadini hanno riconosciuto loro. Attaccare a testa bassa e senza motivo gli assessori Loredana Tundo e Antonello Palumbo è solo un modo per distogliere l’attenzione sia perché i fatti stanno in modo assai differente da come vengono rappresentati sia perché di tempo per studiare le carte ne hanno avuto ben al di là della settimana di cui parlano.
Quello del 26 marzo era certamente un consiglio comunale ricco di argomenti importanti, su tutti il bilancio, che necessitavano studio e attenzione. L’iter di studio dei documenti è partito con le prime commissioni consiliari già dalla prima metà di marzo e le bozze di delibera sono transitate in più commissioni, come nel caso della Tari o del regolamento della ZTL. Contestualmente alla convocazione delle commissioni, quindi ben prima della convocazione del consiglio, sono state allegate anche le delibere in discussione e pertanto le stesse erano nella disponibilità di tutti i consiglieri già da tempo. Così come nelle loro disponibilità era il bilancio, già approvato con delibera di giunta e quindi pubblicato all’albo pretorio del Comune.
Specifichiamo ciò da un lato per ribadire la correttezza delle procedure messe in atto dagli uffici e dall’altro per rendere manifesto quanto sia pretestuoso l’affermare di non aver avuto tempo di “leggersi le carte” e che ciò sia solo un modo per uscire dall’aula, in modo disordinato, e fuggire dalle proprie responsabilità. O forse le carte le avevano lette e non avevano trovato argomenti per votare contro. Contro un piano finanziario della Tari che nonostante una sentenza che ci condanna a pagare oltre 700mila euro nel 2018 per debiti risalenti al periodo 2010-2015 non comporta aumenti di costo; contro una serie di riduzioni e agevolazioni per chi voglia mettersi in regola spontaneamente; contro un regolamento di ZTL che è la più grande operazione per eliminare le auto dal centro storico; contro l’eliminazione del Sedile dall’elenco dei beni in vendita; contro un piano triennale delle opere pubbliche che vede l’inserimento di importanti finanziamenti ottenuti da questa amministrazione come la Community Library e la bonifica di via Giada. Forse sono usciti perché non hanno avuto il coraggio di votare contro la Città ma non hanno avuto nemmeno l’onestà intellettuale di riconoscere la bontà del lavoro di questa amministrazione.
Sugli stipendi dei due assessori mentono sapendo di mentire dal momento che avevano avuto la risposta all’interrogazione già il 21 marzo scorso. Per quanto riguarda l’assessore ai Lavori pubblici, Loredana Tundo, si è proceduto ad una trattenuta a saldo di quanto corrisposto già nei mesi di settembre ed ottobre 2017. Per quanto, invece, riguarda l’assessore ai Servizi sociali, Antonio Palumbo, si sta procedendo ad una trattenuta mensile già da gennaio e si proseguirà fino al saldo. L’interrogazione del consigliere Paolo Pulli è stata protocollata in data 7 marzo, quindi a cose fatte. Ci chiediamo a questo punto quale sia il senso della polemica intrapresa e della sceneggiata messa in atto nel corso dell’ultimo consiglio comunale.
I capigruppo di maggioranza
Pierantonio De Matteis (Andare Oltre)
Vito Albano Tundo (Galatina in Movimento)
Danilo Patera (Nova Polis)
Noel Alberto Vergine (Idea Galatina)
Mercoledì 28 marzo alle ore 18.00 presso il Palazzo Marchesale di Galatone - ingresso da via Castello - quinto incontro delle Lezioni Salentine organizzate dalle associazioni A Levante, spazi per la ricerca e Il Piccolo Principe.
Presentazione del libro di poesie di Laura Barone "Germogli di Sole", edizioni Milella, 2016.
Laura Barone dialoga con il prof. Gianluca Virgilio, scrittore, docente di lettere.
Nella prefazione del libro Franco Donatini scrive: "L'autrice, in queste liriche compie il miracolo di affrontare 'il dramma' con un linguaggio complesso, allo stesso tempo, lieve, quasi sereno, talora intrigante, non cedendo mai alla debolezza di volerci coinvolgere nella propria individuale sofferenza.
Il dolore si universalizza e insieme si smorza, in un linguaggio ermetico, musicale, ricco di assonanze e metafore, tratte da immagini della natura, che evocano, con immediatezza, i drammi e i turbamenti interiori, secondo un approccio tipico della poesia moderna."
NOTE BIOGRAFICHE
Laura Barone è nata a Sesto San Giovanni (Mi). Laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli Studi di Lecce, vive e lavora a Milano dove si occupa di formazione linguistica e orientamento scolastico.
È vincitrice della XIX edizione del concorso nazionale di poesia e prosa “Fazio Degli Uberti” di Pisa ed ha ottenuto vari riconoscimenti in diversi concorsi e premi nazionali ed internazionali. L'Università Popolare di Galatina (Le) le ha dedicato una pagina sul suo sito web. Le sue poesie sono comparse in varie antologie e riviste, tra cui “Malvagia”, rivista fondata da Pino Polistena e Carlo Cassola.
Tra il 2001 e il 2011 ha pubblicato tre silloge: “ Il Velo e i Pavoni”, “Il Canto dell'Edera” e “ Micron Poetici”.
Nel Luglio del 2016 è stato pubblicato il suo libro di poesie “Germogli di sole” a cura delle Edizioni Milella.
Gianluca Virgilio