mag042019
Non vi venga il ghiribizzo di iniziare di sera la lettura de “La Notte degli Indicibili”, il romanzo d’esordio di Giunio Panarelli (Montag, 2018), magari quando siete già a letto: rischiereste seriamente di arrivare alle tre senza accorgervene - prima di dovervi interrompere causa incipiente novella giornata lavorativa da lì a meno di quattro ore.
Di primo acchito, chissà perché, ti vengono in mente i Ragazzi della via Paal, ma dopo appena qualche riga t’accorgi che qui il tragico si trasforma immediatamente in comico, reso oltretutto con inedita scrittura creativa, mai scontata, e direi pure raffinata. Dalla maneggevolezza della penna arguisci sin da subito quanti libri (di cui molto probabilmente è tappezzata casa sua) abbia sfogliato l’autore, quanto gli ronzi in testa il loro brusio, e forse anche quanto sia pure un pizzico figlio d’arte.
Che poi oggi questo ventiduenne di Galatina frequenti la Bocconi e addirittura International Politics & Government (yes, in inglese), con un bel po’ di esami in metodi quantitativi [necessari finalmente a chi nelle istituzioni nazionali e internazionali, e perché no locali, è chiamato a formulare decisioni, ndr.] è un altro paio di maniche e si chiama completamento. Si cresce passo dopo passo, magari anche con la partecipazione alla redazione di Intevalla Insaniae - il giornalino del liceo classico galatinese, a suo tempo così osteggiato dal diciamo potere costituito - (fatto), con uno stage al Fatto Quotidiano (fatto), con la pubblicazione sui social network del Bollettino del Quattro Marcio, notiziario satirico (fatto) [ah, la satira, così invisa agli analfabeti funzionali, ndr.], con la collaborazione a questo o a quel magazine più o meno web (fatto anche questo). Tutto sembra propedeutico (come si diceva di certi esami universitari) a un secondo auspicabile romanzo: un Economic Thriller per la precisione (ché quanto al Political horror non c’è bisogno di inventare nulla, visto quanto ormai la realtà obliteri la fiction).
Ma ritorniamo alla nostra Notte, ché le digressioni dell’Osservatore Nohano potrebbero farvi fare tardi.
Nella seconda delle tre parti del romanzo, i bambini della prima son diventati adolescenti, e tra “grugniti etilici” e “botanica pratica” (al cui confronto le canne al vento del Canale dell’Asso sarebbero modica quantità), la voglia di cambiare nuovamente connotati alla lapide di quello stronzo di Cartesio (che pare non fosse proprio un Federico Moccia nel riportare su carta le sue elucubrazioni), e qualche considerazione sui massimi sistemi politici, si arriva al tratto finale: la notte degli indicibili vera e propria. Quella in cui cade il velo dell’incomunicabilità tra i tre amici, e dove finalmente “ognuno dice delle cose che tutti gli altri promettono di custodire solo per sé senza rivelarle a nessun altro”. Un metodo, quello di parlare agli altri, prima di tutto per parlare a se stessi, trovare una strada, salvarsi, ed evitare che il russa della famosa rivoluzione rimanga solo una voce del verbo.
I pensieri, le parole, le opere, non le omissioni, diventano veicoli che, svoltando a sinistra (mai a destra), dopo la memorabile seconda stella, consentiranno a molti di spingersi fino all’isola che finalmente c’è.
Antonio Mellone
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