ott032013
"Nel bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi (10 ottobre 2013) eccovi di seguito un intervento del nostro P. Francesco D'Acquarica i.m.c. sulla religiosità del grande musicista".
La storia di Giuseppe Verdi è iniziata due cento anni fa, a Roncole, piccolo villaggio vicino a Busseto in provincia di Parma. Nacque una domenica in cui si prolungava la festa del patrono San Donnino, un santo che allora dava nome all’attuale Fidenza, la città del vescovo, munita di una delle più belle cattedrali romaniche d’Emilia. Infatti Fidenza fino al 1927 si chiamava Borgo San Donnino. Il nostro Giuseppe nacque in questo contesto di festa religiosa, e la sua religiosità nacque quando nacque lui.
Fin da piccolo bazzicò in chiesa, dove faceva il chierichetto. Lo si vedeva rapito quando il parroco don Pietro Baistrocchi saliva in cantoria e metteva le mani sull’organo. Ma la sua religiosità la possiamo definire piuttosto una “religiosità laica”, perché il suo cuore era incantato dalla musica più che dalla fede e dal Vangelo.
Un giorno, preso qual era dalla magia dell’organo, si dimenticò di porgere le ampolline dell’acqua e del vino. Il prete, per svegliarlo, gli diede un calcio che lo fece ruzzolare dall’altare. Giuseppe, che aveva sette anni e forse conosceva meglio il dialetto che l’italiano, reagì con una tipica imprecazione parmigiana: Dio t’manda na sajetta, “Dio ti mandi un fulmine”. Caso volle che qualche anno più tardi, in altra chiesa, un canonico di Roncole, don Giacomo Masini, morì colpito da un fulmine con altri tre sacerdoti, mentre insieme cantavano i vespri. Verdi si salvò perché fu trattenuto per strada dal temporale.
Comunque è certo che nell’infanzia di Verdi la parrocchia ha avuto la sua parte. Tutto normale diremmo noi oggi. Del resto che cosa può fare un bambino, in un villaggio di trecento abitanti, se non attaccarsi alla tonaca del prete ?
Verdi imparò a leggere e a scrivere da don Pietro Baistrocchi, il suo parroco, che aveva anche funzioni di maestro elementare e di organista. Don Pietro inoltre gli insegnò qualcosa di latino e soprattutto gli diede qualche nozione di musica, con lezioni di pratica di organo. E si deve proprio a questo prete la scoperta del suo talento musicale.
Quando Verdi aveva nove anni don Pietro morì e gli succedette come organista per le funzioni religiose domenicali.
Da Roncole si trasferì poi a Busseto per frequentare il ginnasio e continuare nello stesso tempo gli studi di musica. A Busseto gli insegnanti furono ancora dei sacerdoti e dei frati francescani. Gli proposero perfino di farsi prete.
Ma non bastarono né i preti né i frati per dare autenticità alla religiosità di Verdi. La musica lo vide lanciato nel mondo dell’arte; la sua religiosità che abbiamo definito “laica” rimarrà presente nelle sue opere, ma appunto sempre “laica”.
Ancora giovanissimo gli morirono i due figli e qualche anno dopo anche la moglie, la famosa Margherita Barezzi, di sei mesi più giovane di lui. Non avrà allora remore a convivere con la soprano Giuseppina Strepponi, causando lo scandalo della gente di Busseto. E’ il periodo che possiamo definire anticlericale. E a chi gli faceva osservare che la convivenza era scandalosa, Verdi su tutte le furie rispondeva: In casa mia io faccio quello che voglio !
Infatti dopo dieci anni dalla morte della moglie Margherita convisse con la Strepponi per altri dieci; poi la sposò in chiesa.
Tutti conosciamo i grandi brani musicali del Nabucco, un’opera dove si prega sette volte, dodici volte nei Lombardi alla prima crociata: musica nobile, imponente. Il coro fatidico “O Signor, che dal tetto natìo” finì addirittura nelle chiese. Come si fa a non pensare alla Messa da Requiem dedicata ad Alessandro Manzoni in occasione della sua morte. E poi la Vergine degli Angeli dalla Forza del Destino. Essa fa il paio con il Va pensiero del Nabucco perché vive, senza il resto dell’opera, una vita autonoma e conosce il cuore di tutti come fosse uno solo. Sono tutte musiche molto note che ascoltandole in raccoglimento innalzano l’anima a Dio.
Ci sono anche le musiche sacre come per esempio il “Tantum ergo” per voce e pianoforte, il “Pater noster” per coro a cinque voci, l’Ave Maria per soprano e archi, un’altra “Ave Maria” per coro a quattro voci, i Quattro pezzi sacri all’Opera di Parigi. Perché Giuseppe Verdi è grande per le musiche che sapeva creare, musiche per la gente e sapeva dare emozioni. Lui stesso si confessa quando scrive al suo librettista Francesco Maria Piave: “Quando sono tra me e me alle prese con le mie note, allora il cuore palpita, le lacrime piovono dagli occhi e la commozione e i piaceri sono indicibili”. Questo è il Verdi della musica amata da tutti e da queste emozioni nascono anche i brani musicali che sicuramente riempiono lo spirito.
Morì a Milano, assistito mentre era agonizzante da don Adalberto Catena, il parroco di San Fedele che aveva già assistito al trapasso di Alessandro Manzoni: e sarà questo parroco a recitare le preghiere degli agonizzanti.
P. Francesco D'Acquarica
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